Il colonnello

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Egidio
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Il colonnello

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leggi documento Spiacente ma, in questo browser, la lettura a voce non funziona.

Quella sera trascorse come tutte le altre: un bicchierino di porto invecchiato, un sigaro Avana di qualità, e poi un paio d'ore ad ascoltare della buona musica, rigorosamente classica, prevalentemente Mahler e Debussy. L'anziano colonnello in pensione della quinta armata artiglieri dell'Esercito del suo Paese, si godeva così questi momenti di relax che quasi ogni giornata gli concedeva.
L'ufficiale a riposo sedeva su una sedia di stile antico e, in generale, gran parte della mobilia di quella stanza era di grande valore antiquario: vi erano pezzi introvabili del XVIII sec. Il suo nome era Bernard, e viveva solo già da molti anni: da quando era morta Annie, la moglie.
Avevano avuto due figli, ormai grandi, che, però, vivevano lontano. Con l'invecchiare, aveva assommato un certo numero di passatempi: la passione per l'antiquariato, i vini, la buona musica. D'aspetto appariva come un uomo ormai sull'ottantina, alto, dinoccolato, con ancora tutti i capelli, bianchi, lanuginosi. Abitava in una casa isolata, in aperta campagna, non distante, tuttavia, dal più grosso centro abitato di quella regione.
La moglie era stata fedelmente al suo fianco per tutta la durata del matrimonio, fino al suo ultimo giorno, passando sopra anche ad alcune sue scappatelle, e finendo sempre col perdonarlo. Era morta improvvisamente, nel sonno. A differenza di lui, era una donna di bassa statura, minuta, che dava subito un'impressione di fragilità. Dalla loro unione erano nati il figlio primodgenito, Patrice, e, a tre anni di distanza, Stephanie, la figlia minore. Dopo un'infanzia felice, erano diventati, rispettivamente, un giovane ufficiale biondo, aitante, e un po' guascone, e una giovinetta dai capelli corvini e con una pelle chiarissima e delicata, che faceva girare a guardala, mentre passeggiava, stuoli di potenziali pretendenti. Prima lei, poi, a distanza di pochi anni, anche lui, si sposarono e andarono ad abitare in Paesi stranieri.
Mentre si versava da bere, Bernard richiamò alla mente un preciso momento del passato: si rivide giovane papà che giocava beato con i suoi due figlioli ancora piccoli al parco giochi dell'asilo. Aveva sempre avuto una predilezione per l'ultimogenita, Stephanie, sebbene lo si potesse, a ragione, ritenere un padre affettuoso con entrambi i figli. La luminosa carriera nell'esercito, tuttavia, lo costrinse per lunghi periodi lontano da casa, e questo fece soffrire soprattutto Patrice, che sentiva latitare la figura paterna, presa da lui come riferimento.
La moglie, Annie, lo amava devotamente e, sebbene non subito, finì col perdonargli anche due o tre sbandate per delle avvenenti colleghe sottufficiali. Del resto, anch'egli, al di là di qualche debolezza di farfallone, era veramente innamorato solo della consorte. La casa d'abitazione era circondata da un vasto giardino che, ora, nel pieno dell'estate, era rigoglioso di piante e fiori, alcuni provenienti da Paesi esotici dove era stato in azioni di guerra. Aveva un cane, che faceva la guardia: un grosso alano chiazzato. Si chiamava Buck, come il protagonista del romanzo di Jack London.
A tarda ora, il colonnello si coricò , si addormentò quasi subito, poiché era molto stanco. Ebbe un sonno irregolare, con numerose interruzioni, agitato da sogni premonitori. Sognò di colloquiare con un misterioso bambino, che non aveva mai visto prima, sebbene gli paresse di conoscerlo da sempre. Il giorno dopo, mentre prendeva il sole su di una sdraio, gli fu recapitata una lettera di Stephanie, con la quale lei lo metteva al corrente della nascita del suo primo nipote.
Passarono alcuni anni, e un pomeriggio di tarda estate, nonno e nipote si trovavano in giardino a parlare. Il bambino avrà avuto cinque-sei anni, mentre il nonno portava ancora bene i suoi ottantacinque. Il dialogo si svolse sotto la fresca ombra di una grossa quercia e, subito, anche un estraneo avrebbe potuto rendersi conto della sua assoluta originalità.
— Nonno, è vero che hai fatto la guerra?
— Sì, Michel, (questo era il nome del bimbo).
— Perché gli uomini fanno la guerra? Non si deve uccidere, o essere uccisi, in guerra? — chiese, con l'audacia dell'innocenza, il nipote.
Il nonno provò a dare una risposta che fosse la più ragionevole e convincente possibile, ma fu lui per primo a non restarne persuaso. In effetti, lui aveva dedicato tutta la vita a coltivare l'arte della guerra, ma, a ben guardare, cosa c'era di più orribile e belluino delle guerre? Veri e propri macelli di persone su grande scala. Dietro ogni conflitto si nascondevano, perlopiù, interessi meschini e gretta avidità economica. Tuttavia, ammise la necessità, almeno, delle guerre a scopo difensivo e, dato che non era possibile conoscere le reali intenzioni delle altre nazioni, era ragionevole mantenere un esercito efficiente nel proprio Stato. A tal pensiero, si sentì rincuorato, sebbene non gli sfuggisse la constatazione che, quanti più Stati si fossero armati, tanto maggiore era la probabilità che, quelle armi, avrebbero finito per usarle. Michel, visibilmente, non mostrò alcuna reazione per la spiegazione data dal nonno e rimase impassibile. A Bernard questo atteggiamento fece più male di un'aperta riprovazione. Gli parve l'inesorabile giudizio di una divinità impassibile, che, con quella totale inespressività, lo condannava ancora più duramente di un diretto "Je accuse".
Il mattino dopo, quando il pendolo suonò le 8.00, il colonnello era al telefono a parlare di un po' di tutto con la figlia, Stephanie.
Passò la mattinata a occuparsi di un bel roseto che era in giardino. Nel pomeriggio arrivarono i due suoi amici di una volta, Rogè e Maximillian. Il primo, un tipo segaligno e calvo, con un monocolo assicurato a una cordicella, era andato in pensione con il grado di tenente-colonnello, era più giovane dell'altro di una decina d'anni. Era un tipo basso e grassoccio, con lunghi capelli grigi e unti, sempre sudaticcio, con il grado di colonnello, come il nostro protagonista ed era appena andato in pensione.
— Ciao Bernard — esclamò Maximillian.
— Non ci si vedeva da anni — Rogè aggiunse.
— Già, è passato molto tempo dalla ultima volta che ci siamo visti!
— Accomodatevi, accomodatevi — rispose l'ospitante, con evidente soddisfazione.
I tre si chiusero nello stanzino dove il colonnello riceveva i rari visitatori e si ritirava spesso a fumare. Ben presto il locale si riempì di fumo. Da fuori si udivano le chiacchiere e le risate dei convenuti.
— Ti ricordi di quella volta, in Algeria, in cui ti salvai la vita sparando a quel fante nemico che stava per pugnalarti? — Disse Rogè.
— Eccome se me lo ricordo! — Esclamò il colonnello — Me la vidi proprio brutta, in quell'occasione. Era durante la guerra di Algeria, continuò.
— Fu una carneficina — disse Rogè.
— A proposito di stragi — disse il colonnello — non vi ha mai sfiorato l'idea che eravamo noi dalla parte del torto?
— Stai scherzando, spero. — Ribatté Maximilian.
— Ah! Aha! Ho vinto! — Esclamò, nel frattempo, Rogè, e si prese l'intera posta. — Noi abbiamo combattuto contro dei ribelli e abbiamo servito la Patria.
— Sì, scusa, era solo un dubbio estemporaneo.
Dopo aver salutato i due amici e congedatosi da loro, il colonnello anticipò la cena con un pasto frugale, salì al piano superiore e si coricò.
Passavano le ore, ma il sonno non arrivava. Nella sua mente si affollavano immagini e pensieri. Cercò di svuotare il cervello, ma tutto fu inutile.
Ricordava perfettamente l'occasione in cui ebbe salva la vita, grazie all'amico. Centinaia di algerini, disperati, assaltarono all'arma bianca, i soldati del Paese coloniale, rimasti senza munizioni. L'allora tenente Bernard fu assalito da un giovane nemico che stava per sopraffarlo. Si udì uno sparo: il giovane crollò a terra, senza riuscire nel suo proposito. Era stato Rogè a salvarlo, con una delle ultime pallottole rimaste. Il colonnello, quella notte, ricapitolò i numerosi ricordi di quel passato che, fino al giorno prima gli era apparso come glorioso. Ora, invece, lo vedeva con l'impietoso sguardo della verità, svelatagli dall' innocenza di un bambino.
La figlia del colonnello, Stephanie, s’incontrò col padre il venerdì seguente. – MI sembri un po’ giù di corda stamattina, gli disse, osservandolo attentamente. Bernard inventò, lì per li, una bugia, ma la figlia intuì e disse: - invece di usare frasi di circostanza, faresti meglio a dirmi la verità! – È che per “colpa” di tuo figlio, la mia convinzione di essere stato ùn fedele servitore della Patria è andata in fumo. - Spiegati meglio ‐ lo incalzò la donna.- Il mio adorato nipote ha detto, nella sua innocenza, delle frasi illuminanti sulle guerre e sui soldati. – E la mia coscienza rimordermi, come risvegliata da un lungo sonno, ha cominciato a . – concluse, scrollando il capo. Non è colpa tua se hai ucciso degli uomini, ma di coloro che per conservare il potere hanno pensato bene di radicare nei giovani quei falsi ideali che sono le ideologie e hanno manipolato le masse con la demagogia. Anzi, ora una qualche Provvidenza ti sta offrendo l'occasione per prendere le distanze da quell'oscuro passato! Stephanie concluse e anni di politica coloniale abbandonarono per sempre il suo interesse: il bambino aveva prevalso sul mondo falsamente dorato dell’adulto.
Ultima modifica di Egidio il 15/12/2022, 7:53, modificato 23 volte in totale.
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Nunzio Campanelli
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Messaggio da leggere da Nunzio Campanelli »

Strano racconto, il tuo. Non ho capito, e questo è sicuramente un mio problema, il senso di tutta quella descrizione del colonnello, delle sue passioni e debolezze, dei suoi amori perdonati dalla moglie,"fedele" compagna che naturalmente ha sorvolato sugli stessi. Sappiamo pure della sua passione per i mobili antichi, per la musica classica, per i vini d'annata e per il tabacco d'importazione. Sappiamo tutto questo, ma non ci sErve a niente, visto che il racconto finisce con un colloquio tra nonno e nipote, a ruoli invertiti, dove il primo si lascia sottrarre le battute dal secondo, finendo con il dover riconsiderare la propria vita, porgendosi quelle domande che avrebbe dovuto porgersi cinquant'anni prima. Non lo so, probabilmente la tua esigenza di voler rendere ridicola la guerra e le persone che la praticano ti ha condotto in una specie di vicolo cieco, dal quale sei uscito, a mio parere, non molto bene. Scusa, ma ti devo dare un voto non bello. 2.
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Giovanni p
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Messaggio da leggere da Giovanni p »

Buongiorno

il tuo racconto non mi entusiasmato, ma potrebbe essere un mio problema legato ai gusti.
Sulla scrittura c'è poco da dire, scrivi bene e lo stile è pulito senza refusi. Più che un racconto sembra un diario o al limite un memoriale.

Voto 3, non posso dare un voto negativo a qualcosa che è scritto bene.

A rileggerti.
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Marino Maiorino
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Messaggio da leggere da Marino Maiorino »

A mente fredda, il racconto mi pare un esemplare denuncia della vacuità di certe vite: la casa, la moglie fedele, persino le scappatelle, la carriera militare, l'orgoglio della patria, la necessità della difesa... Un uomo fondamentalmente solo si circonda di mobili d'antiquariato e sigari Avana, conduce gli ultimi giorni della sua vita in una maniera "comoda", fino al j'accuse del nipotino.
Magari lo spettro del conflitto in Ucraina ci fa percepire l'accusa verso la guerra, ma la verità è che molte persone di "successo" conducono vite simili pur senza aver combattuto e aver svolto missioni, facendo i capitani d'impresa o la carriera in un ministero, spesso scavalcando colleghi, sfruttando gli operai o distruggendo la concorrenza (e le vite che ne dipendevano) con ogni mezzo.
Avrai capito che sono più intollerante verso quella comoda vita rilassata piuttosto che verso ciò che il colonnello ha fatto: non tollero il fine, non il mezzo, perché nella nostra società la gente non si fa scrupoli, quando ha individuato quel fine, e ricorre a qualunque mezzo pur di raggiungerlo.
Ma sto divagando: tu volevi evidentemente usare l'immagine del comodo colonnello che si gode la pensione insensibile a ciò che ha fatto (e a ciò che ha vissuto), e lì sta forse il punto che non sei riuscito a trasmettere, probabilmente perché è irreale che una persona così piena del proprio vuoto sia poi colpita dal nipotino.
Hai costruito un ottimo ritratto del vuoto del colonnello, nel quale i suoi interessi vengono elencati ma non sentiti, sono "un'altra cosa ancora", ma che non comunica niente se non status. Il punto è che personaggi così pensano anche in quel modo: sono talmente fieri e soddisfatti di sé, che lo sguardo del nipotino lo prendono come un'insolenza giustificata solo dall'età giovane e immatura, altro che "divinità impassibile"! Gli è morta la fedelissima moglie e lui fuma sigari, beve porto e ha mobili d'antiquariato! C...osa gli frega del nipotino? Magari si concede ancora qualche scappatella!
Altra nota riguarda la punteggiatura. A parte qualche virgola di troppo, suggerisco di spezzare i paragrafi, è necessario.
Il voto riflette il freddo che il personaggio mi ha comunicato.
«Amare, sia per il corpo che per l'anima, significa creare nella bellezza» - Diotima

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Mariovaldo
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Re: Il colonnello

Messaggio da leggere da Mariovaldo »

Al termine della lettura mi sono posto una domanda, che prescinde i contenuti di questa opera. Ecco "opera" ma che tipo di opera? Un romanzo? Vista la lunga parte iniziale, ricca di dettagli minuti e non sempre utili o necessari, poteva essere il capitolo iniziale di un buon romanzo che tuttavia si spegne nelle poche righe del finale. Soltanto nel finale, appunto, è racchiuso il vero contenuto del tuo lavoro, non disprezzabile ma, secondo il mio punto di vista e il mio gusto, migliorabile con una buona sfrangiata della prima parte e un approfondimento del messaggio racchiuso nel finale.
Egidio
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Re: Il colonnello

Messaggio da leggere da Egidio »

Il mattino dopo, quando il pendolo suonò le 8.00, il colonnello era al telefono a parlare di un po’ di tutto con la figlia, Stephanie.
Passò la mattinata ad occuparsi di un bel roseto che era in giardino. Nel pomeriggio arrivarono i due suoi amici di una volta, Rogè e Maximillian. Il primo, un tipo segaligno e calvo, con un monocolo assicurato a una cordicella, era andato in pensione con il grado di tenente-colonnello, era più giovane dell'altro di una decina d'anni. Era un tipo basso e grassoccio, con lunghi capelli grigi e unti, sempre sudaticcio, con il grado di colonnello, come il nostro protagonista ed era appena andato in pensione. -
Ciao Eugene! (questo era il nome dal colonnello) – esclamò Maximillian ‐ Non ci si vedeva da anni – Rogè aggiunse – Già, è passato molto tempo dalla ultima volta che ci siamo visti! – Accomodatevi, accomodatevi - rispose l’ospitante, con evidente soddisfazione. I tre si chiusero nello stanzino dove il colonnello riceveva i rari visitatori e si ritirava spesso a fumare. Ben presto il locale si riempì di fumo. Da fuori si udivano le chiacchiere e le risate dei convenuti. – Ti ricordi di quella volta, in Algeria, in cui ti salvai la vita sparando a quel fante nemico che stava per pugnalarti? Disse Rogè Eccome se me lo ricordo! Esclamò il colonnello. Me la vidi proprio brutta, in quell'occasione. Era durante la guerra di Algeri, continuò.
Fu una carneficina, disse Rogè . – A proposito di stragi, disse il colonnello – non vi ha mai sfiorato l'idea che eravamo noi dalla parte del torto? – Stai scherzando, spero. – Ribatté Maximilian. Ah! Aha! Ho vinto! Esclamò, nel frattempo, Rogè E si prese l'intera posta. – Noi abbiamo combattuto contro dei ribelli e abbiamo servito la Patria. – Sì, scusa, era solo un dubbio estemporaneo. Dòpo aver salutato i due amici e congedatosi da loro, il colonnello anticipò la cena con un pasto frugale, salì al piano superiore e si coricò.
Passavano le ore, ma il sonno non arrivava. Nella sua mente si affollavano immagini e pensieri. Cercò di svuotare il cervello, ma tutto fu inutile.
Ricordava perfettamente l’occasione in cui ebbe salva la vita, grazie all'amico. Centinaia di algerini, disperati, assaltarono all’arma bianca, i soldati del Paese coloniale, rimasti senza munizioni. L'allora tenente Eugene fu assalito da un giovane nemico che stava per sopraffarlo. Si udì uno sparo: il giovane crollò a terra, senza riuscire nel suo proposito. Era stato Rogè a salvarlo, con una delle ultime pallottole rimaste. Il colonnello, quella notte, ricapitolò i numerosi ricordi di quel passato che, fino al giorno prima gli era apparso come glorioso. Ora, invece, lo vedeva con l’impietoso sguardo della verità, svelatagli dall' innocenza di un bambino.
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Re: Il colonnello

Messaggio da leggere da Massimo Baglione »

ok, ti ho sostituito il pezzo.
Ne ho approfittato per dare una veloce reimpaginata a tutto il testo, perché ne aveva un gran bisogno. Necessiterebbe comunque ancora di attenzioni.
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Sono sinceramente un po' in difficoltà a dare un giudizio. Quando J.K. Rowling scrisse Harry Potter gli diedero della pazza, poi… sappiamo bene com'è finita.
Prima parte, che possiamo chiamarla introduzione, piuttosto prolissa. Svolgimento e chiusura sono in pratica un tutt'uno, che arrivano come un macete. La parte centrale andava maggiormente articolata. Anche la trama, il messaggio che si voleva comunicare rimane piuttosto nell'ombra. Spero di rileggerti con un altro racconto in miglior spolvero, questo mi è piaciuto pochino.
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La figlia del colonnello, Stephanie, s’incontrò col padre il venerdì seguente. – MI sembri un po’ giù di corda stamattina, gli disse, osservandolo attentamente. Bernard inventò, lì per li, una bugia, ma la figlia intuì e disse: - invece di usare frasi di circostanza, faresti meglio a dirmi la verità! – È che per “colpa” del mio adorato nipote, nonché tuo figlio, la mia convinzione di essere stato utile alla Patria se sgretolato come argilla. – spiegati meglio ‐ lo incalzò la donna. Ha detto, nella sua innocenza, delle frasi illuminanti sulle guerre e sui soldati. – E la mia coscienza, come risvegliata da un lungo sonno, ha cominciato a rimordermi. – concluse, scrollando il capo. Non è colpa tua se hai ucciso degli uomini, ma di coloro che per conservare il potere hanno pensato bene di radicare nei giovani quei falsi ideali che sono le ideologie e hanno manipolato le masse con la demagogia. Anzi, ora una qualche Provvidenza ti sta offrendo l'occasione per prendere le distanze da quell'oscuro passato! Stephanie concluse e anni di politica coloniale abbandonarono per sempre il suo interesse: il bambino aveva prevalso sul mondo falsamente dotato dell’adulto.
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Re: Il colonnello

Messaggio da leggere da Massimo Baglione »

Egidio segnala di aver modificato il testo aggiungendo quanto scritto qui sopra.
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Messaggio da leggere da Laura Traverso »

Ciao Egidio, ho apprezzato il significato di quanto hai esposto, però devo dirti che la stesura del testo non l'ho trovata molto buona, ci sono molte ripetizioni di concetti, ad esempio la moglie tradita ecc. E poi è un dire troppo semplicistico che a quel colonello sia bastato il ragionamento di un bambino per ravvedersi. Ma volendo tralasciare questi particolari (importanti però) mi fermo sul significato che ho inteso tu abbia voluto dare al tuo scritto, ossia di denuncia sulla assurdità di tutte le guerre e su l'anima innocente dei bambini a confronto di quella mediamente falsa degli adulti. Ecco questi concetti sono apprezzabili, avresti però potuto snellire di molto il racconto, un poco appesantito, secondo me, da descrizioni anche ovvie come "il primogenito e la secondogenita..." Se i figli erano due va da sé che una volta precisato il primogenito... Ciao
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