L'attesa

Spazio dedicato ad Anonimania 2023 (febbraio)

Moderatore: Il Guru

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L'attesa

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leggi documento Spiacente ma, in questo browser, la lettura a voce non funziona.

«Buongiorno M.Melanchon.»
«Buondì a lei M.me Moreau. La ringrazio per la puntualità.»
«Ma si figuri… odio aspettare e far attendere. L’acquirente ha sciolto gli ultimi dubbi e si è dichiarato pronto a versare la caparra concordata per la cifra pattuita.»
«E per quanto riguarda i mobili?»
«È disposto a venirvi incontro con un’offerta aggiuntiva.»
«Non meno di cinquantamila, lo metta subito in chiaro, mi viene un groppo al cuore solo all’idea di disfarmi di tutti i cimeli di famiglia.»
«Ah, la capisco, scelte del genere sono spesso dolorose, M. Melanchon.»
«Eh, lo so bene. Ma qual è l’alternativa? Questa palazzina di fine XVIII secolo è impossibile da gestire per chi vive di stipendio come me… tra le tasse di proprietà e le spese di manutenzione sempre più onerose.»
«Ogni cosa che ha un inizio prima o poi dovrà terminare. Con permesso M.Melanchon, la lascio alle sue attività.»
«Attendo una sua risposta, e grazie ancora.»
«Chi era?»
«L’agente immobiliare, pare che l’acquirente si sia deciso, ed è anche disponibile a farsi carico della mobilia.»
«Ottima notizia. Io ho già fatto l’inventario del piano terreno e del primo, manca solo la soffitta. Se andiamo insieme facciamo in un lampo.»
«Già… Sono anni che non ci metto piede, Kat»
«E perché mai?»
«Non ricordi? Papà aveva l’abitudine di punirmi rinchiudendomici a volte per interi pomeriggi: solo con una vecchia Bibbia da leggere. Dovevo portargli dei riassunti dei libri: Genesi, Deuteronomio … L’ho odiata quella soffitta, e quel libro, e quelle lunghe ore di inutile attesa e anche adesso preferisco non metterci piede.»
«Non sei grandicello per queste fobie? Invece adesso capisco perché sei diventato freddo con la religione. Quei riassunti ti si saranno messi di traverso tra te e Dio. Andiamo a dare un’occhiata, dai.»
«Piano, che la scala scricchiola. E tu, invece, che ricordo ne hai?»
«Il mio non è spiacevole. Era un luogo dove poter scomparire, correvo io a nascondermi, e leggevo. Le mie migliori letture le ho fatte quassù. Le ore volavano, certo non mi pesava stare qui.»
«Di sicuro qualcuno di quei libri sarà rimasto qui da qualche parte, non pensi? Anche quell’odiosa Bibbia colma di odio e di rancore. In un angolo, magari in quel vecchio baule quasi nascosto da quelle sedie accatastate.»
«Mi hai fatto venire un pizzico di curiosità, Frederick. Apri, dai.»
«Ecco… Non viene aperto per lo meno da cento anni. Come non detto… Frederick Melanchon c’è scritto sulla copertina del quaderno.»
«Ma è troppo vecchio per essere tuo.»
«È del nostro trisavolo, ricordi? Quello che ha trascorso parte della sua esistenza viaggiando tra Asia e Oceania e ha poi acquistato una piantagione di riso in Indocina dove il nonno raccontava vivesse solo con quaranta vietnamite in età fertile.»
«Ah, ricordo bene. Frederick il matto. La Cambogia sarà piena di piccoli Melanchon.»
«Probabile. E questo pare un quaderno, o un diario: vergato con grafia minuta e precisa, macchiata qua e là da sbavature d’inchiostro. Prova a leggere tu Kat, io ho bisogno degli occhiali da lettura ormai.»
«È un diario di viaggio infatti. Guarda qui… itinerari, viaggi, luoghi: il lago di Catyr Kol. Sai per caso dove sia?»
«Baviera?»
«Non credo proprio.»

«Mi hai fatto venire una certa curiosità. Prova a leggere, dai.»
«Sì, non sembra difficile. Ecco, ci sono... Nelle montagne del Karakorum la mia guida pashtun mi domandò se volessi vedere la città del lago e si offrì di accompagnarmi.
Presi a spulciare la mappa, ma di quel lago, e men che meno della sua città, non v’era traccia.
Come mai non è segnata sulle carte, provai a domandargli. Non sarà neanche un villaggio, gli dissi diffidente, e presi un’altra cartina, della National Geographic, per averne la sicurezza.
È così ricca e potente che i Re del mondo neanche la segnano nelle loro mappe. Essa svetta sopra gli uomini, fa per sé, non obbedisce a regole o leggi che non siano le sue, non commercia e non comunica con nessun altro luogo, è perfettamente autosufficiente, proprio sulla riva del grande lago di Catyr Kol, le cui acque ne costituiscono il limite invalicabile, mi informò.
Sono tutte leggende, provai a replicare a mezza voce, non esiste nessuna città e nessun lago dove tu indichi. È troppo in alto, non vedi? Saranno alte sei o settemila metri quelle vette.
Ibrahim assentì senza convinzione, sapeva di aver insinuato il tarlo del dubbio nel mio giudizio.
Partiamo appena sorge il sole, badò ad avvisarmi, se saremo fortunati arriveremo nella valle del lago in capo a un paio di settimane.
Ero convinto che mi volesse giocare un brutto tiro, e presi tempo. Una città tanto popolosa e potente come quella che descriveva Ibrahim doveva per forza essere inserita nelle nostre carte topografiche. Invece niente, non v’era traccia né del lago né, tantomeno, della città, ma era segnalata solo un’ampia valle disabitata tra due alte catene di monti.
Sahib, fece allora Ibrahim, con un tono neutro che mi colpì, nessun bianco ha mai visto la città del lago di Catyr Kol. Ma per vederla devi avere fede.
La mattina dopo partivamo con sei cavalli e due muli verso Sud, in direzione del Karakorum.
Faceva caldo, era luglio inoltrato, dondolavamo al sole in direzione delle montagne, gigantesche e coperte da una neve perenne.
Il passo sarà sgombro dal ghiaccio, domandai preoccupato.
Non esiste un passo per il lago. Lasceremo i cavalli al villaggio di Fergan Khan e proseguiremo a piedi per valicare il massiccio del Catyr.
La risposta mi spiazzò. Fermai il mio cavallo di botto. È impossibile, quelle vette saranno alte settemila metri. Sei forse uscito di senno, Ibrahim? Non sappiamo nemmeno se vi sia aria respirabile a quell’altezza.
Fidati delle mie parole, sahib. Esiste un passaggio in cui un uomo a piedi può transitare.
Il giorno dopo lasciammo i cavalli al villaggio e proseguimmo a piedi, seguiti dai due portatori.
La mattina dopo arrivammo al passo, che a malapena era transitabile.
Che vi avevo detto, mi disse Ibrahim, sicuro di sé. Voi siete il primo uomo bianco a vedere il lago di Catyr Kol.
Sotto di noi si poteva ammirare un’ampia valle luminosa tinta di verde e con un grande lago nell’estremità più settentrionale circondato da vertiginosi precipizi, mentre nel lato a sud sorgeva una città circondata da quelle che parevano alte mura.
Non potevo crederci. Ci incamminammo e rimasi ancor più stupefatto quando, nei pressi del lago, notai numerosi accampamenti disposti a raggiera sotto le vaste mura. Ancor più da vicino potevano distinguersi tende che dovevano essere di miserabili, altre all’apparenza di benestanti e altre ancora chiaramente di ricchi personaggi.
Chi sono, domandai stupito, e Ibrahim mi spiegò che erano coloro che speravano un giorno di poter entrare nella maestosa città e per tal motivo attendevano con pazienza non distante dalle sue porte.
E di porte se ne potevano distinguere una molteplicità lungo le mura. Grandi, piccole, medie, ma ognuna in quel momento inesorabilmente chiusa.
E quando le aprono? Non mi dispiacerebbe poter dare un’occhiata all’interno.
Le porte non le aprono quasi mai, mi disse Ibrahim, come se fosse la cosa più naturale di questo mondo. Però è sicuro che esse prima o poi si apriranno. Oggi o domani, tra un mese o tra un anno, verranno spalancate di sicuro. O forse tra cento anni, o mille. Questo è il grande mistero della città del lago, sahib.
Io ero rimasto senza parole, e infatti non aggiunsi nulla, e quando arrivammo in uno degli accampamenti, il primo sulla nostra strada, mi accorsi della moltitudine di gente che lo abitava: donne velate dagli occhi scintillanti o dal viso scoperto e dallo sguardo fiero, uomini abbronzati e dalla pelle diafana, dai nasi camusi o dagli occhi a mandorla, vestiti riccamente o da mendicanti, europei dall’aspetto, mercanti e monaci, guerrieri e nobili, persino quello che sembrava un Maha Raja con la sua corte.
Mi incamminai per l’accampamento traversando la sua straordinaria e variegata umanità fin quando non mi avvidi di un gruppetto di persone che si dirigevano verso una delle porte trasportando un lungo mazzuolo dall’estremità metallica.
Che fanno, domandai alla mia guida.
Si recano a percuotere la porta, sahib.
E perché mai, feci incuriosito. Perché è opinione comune, tra coloro qui in attesa, della necessità di chiedere con forza che venga loro aperto affinché qualcuno all’interno si decida: se non bussi non ti verrà aperto.
Li osservavo stupito, attonito.
E non è venuto mai in mente a nessuno che lì dentro non vi sia nessuno? Che la città in realtà sia disabitata da tempo?
Ibrahim accolse il mio scetticismo con una leggera risatina.
Tutti i miscredenti che arrivano qui per la prima volta pensano la stessa cosa. Che il luogo sia deserto. Che in realtà all’interno non vi sia anima viva.
Nessuno mi pare abbia prova contraria, da quanto ho capito, obiettai.
La prova c’è, mi informò la mia guida.
Quale prova?
Certe sere si odono voci provenire dall’interno. E altre volte si vede del fumo sollevarsi dritto al cielo dai palazzi della città. Segno che vi sono uomini là dentro, e la città è viva e prospera. E poi…
E poi?
Tempo fa una delle porte è stata aperta, mi disse.
Quando, feci io.
A esser sinceri la data precisa è incerta. Mesi, forse non più di un anno. Seppure altri ancora dicono avvenne quando regnava il Maharaja Tibert.
E quando regnò questo Maharaja?
Oltre duemila anni or sono. Ma voi siete un uomo fortunato, sahib, provò ad addolcire l’amaro calice Ibrahim. Neanche siete giunto e già potete vedere del fumo salire sopra i tetti della città. Ecco, proprio là, dovreste esser grato alla sorte benevola per poter ricevere questo segno della presenza di vita nella città di Catyr Kol.
E infatti lo vedevo il fumo librarsi con alte volute fino al cielo, e tutto l’accampamento prese ad animarsi e non c’era uomo, donna o bambino che non indicasse le grigie spirali provenienti dalla città in preda alla più impressionante agitazione.
Non capivo cosa dicessero, ma era chiaro l’entusiasmo. Come se quella presenza evanescente fosse l’avvenimento più meraviglioso mai accaduto nelle loro vite.
Cosa pensate, sahib, mi chiese allora Ibrahim con un gran sorriso di soddisfazione.
Secondo me dei predoni hanno scavalcato le mura da qualche parte, o hanno attraversato il lago in qualche punto, e stanno bivaccando in città.
Ibrahim si mise a ridere. Avete voglia di scherzare, sahib. Come fate a non credere dopo avere visto?
Allora io gli dissi. Dimmi, Ibrahim, quando la porta di cui parlavi è stata aperta, quante persone sono entrate?
Vidi Ibrahim farsi serio, come se avessi colto nel segno.
Una sola, sahib.
Una? È mai possibile?
Quel giorno non nessuno era in attesa davanti alla più piccola porta di Catyr Kol. Al primo mattino giunse un viandante e bussò. Non era un pellegrino, forse non sapeva neanche che le porte della città non venivano mai aperte. Chiese un rifugio per la notte e forse per questo gli venne concesso il gran miracolo. Perché non sapeva niente, la sua richiesta era innocente, la sua anima era candida, era là per puro caso.
Io, invece, ho aspettato qui per trenta anni, sahib, ma non è mai accaduto, nessuna porta si è mai aperta, la città è rimasta chiusa per me, mi rivelò sconsolato. Così me ne sono tornato al mio paese.
Il fumo era cessato, la folla di pellegrini era defluita, qualcuno si era avvicinato a noi e aveva ascoltato le ultime parole di Ibrahim.
Caro, amico, disse uno di questi. Quanta furia immotivata hai avuto e quale mancanza di fiducia negli abitanti della città. Vi sono dei pellegrini qui in attesa da tutta una vita. Un minimo di pazienza è necessario nella vita. Tu pretendi troppo senza aver nulla dato.»
«E poi?»
«E poi nulla, finisce qui. Riattacca la pagina seguente, ma con un’altra storia. Il passo di Sandar Lan.»
«Che ne pensi?»
«Adesso capisco perché papà ti rinchiudesse qui con l’obbligo di leggere la Bibbia. Voleva sincerarsi che non seguissi le orme di Frederick il matto.»
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Siamo in casa Melanchon, due fratelli, Kat e Frederick, stanno vendendo casa e i cimeli di faglia.
I due salgono in soffitta, dove trovano un vecchio baule, dentro al quale c'è il diario di un trisavolo che si chiama proprio come uno dei due (Frederick),che veniva spesso punito con lunghe segregazioni in quel luogo a fare riassunti della Bibbia.
Cominciano a leggere il diario trovato nel baule.
il trisavolo raggiunge un luogo che non dovrebbe esistere e che nessun bianco ha mai visto: la città del lago di Catyr Kol, a 6 o 7 mila metri d'altezza, dove, si dice, una volta (qualche mese o duemila anni prima?) un viandante solitario, ignaro del fatto che che le porte fossero sempre chiuse, sia stato accolto.
E poi? E poi basta, nel diario c'è un'altra storia, ma così si spiegherebbero le strane punizioni di papà verso Frederick junior.
Il racconto è (quasi) scevro da errori, e si fa leggere, storia nella storia, avvincendo: lo stile, nonostante qualche virgola ballerina o, più spesso, assente, è scorrevole e incuriosisce al punto che, quando si arriva in fondo, si vorrebbe sapere il resto di quel che accadde a Frederick senior, in quella città presso il lago di Catyr Kol. In effetti, a parte quell'orrida ripetizione(*), l’unico difetto di questa storia è che, in realtà, resta sospesa, senza un vero finale: la battuta finale («Adesso capisco perché papà ti rinchiudesse qui con l’obbligo di leggere la Bibbia. Voleva sincerarsi che non seguissi le orme di Frederick il matto.») non riempie abbastanza la curiosità suscitata, che è tanta, perché il racconto nel racconto è introdotto bene e scritto da un’Ombra decisamente brava.
Dodicimila battute circa: lo spazio ci sarebbe stato per rivelare qualcosa di più, magari anche la brutta fine fatta dal trisavolo in quel posto, per dire. Trisavolo che, tuttavia, doveva essere sopravvissuto per aver scritto in quello almeno un’altra storia di un altro luogo. Quindi non doveva essersi fermato tutta la vita, epperò se era un viaggiatore, perché rinchiudere junior in soffitta per ore? Il papà non la contava giusta, lo dico.
Sfruttando anche solo due o tremila delle battute rimaste, l’autore avrebbe potuto soddisfare curiosità e dubbi del lettore ( i secondi, più sulla sanità mentale del babbo che su quella del trisavolo).
Il commento in una parola:
Intrigante.
Nota a piè di pagina:
(*)ripetizione: "vita". E, insomma, anche due virgole in più, dai!
Vi sono dei pellegrini qui in attesa da tutta una vita. Un minimo di pazienza è necessario nella vita.
proposta:
Vi sono dei pellegrini anziani, qui, in attesa da quando sono nati. Un minimo di pazienza è necessario, nella vita.
In considerazione della scarsità di errori e, all’opposto, della capacità di avvincere, nonostante la chiusura "piccola":
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Il corpo principale è la parte più interessante del racconto: narra la storia di questa civiltà che attende con pazienza l’apertura di una porta verso il “paradiso”. Parte ben scritta e intrigante.

Il racconto mi ricorda molto un libro che ho letto anni fa (accidenti non mi sovviene il titolo) dove un vecchio si univa a una carovana nel deserto e camminava e camminava verso una meta irraggiungibile, verso dio. Un libro assurdo, ma veramente stimolante.



Se posso: la parte dei fratelli è noiosa e irrilevante, il finale è totalmente assurdo. Mi sarei concentrato sulla storia e sui personaggi della città. Se l’Ombra riscrive il tutto, può venirne fuori qualcosa di ottimo.

Due osservazioni da rompiscatole:

1 - se la città è “popolosa”, è impensabile che vi sia un passaggio per una persona alla volta. Ci dovrebbe essere un notevole traffico in entrata e in uscita, soprattutto di merci. Dubito che uno che attende per anni l’apertura di una porta sia disposto a perdersela perché è a zappare la terra; la città deve essere per forza fornita da carri alimentari e quindi i varchi e le strade devono esserci.


2 - se io attendo che si apra una porta non mi fisso su una sola porta, ma su tutte. Mi immagino quindi che la popolazione ruoti in continuazione intorno alle mura, come succede alla Ka’ba.

Poiché la gente gira intorno all’edificio da secoli, la strada dovrebbe essere molto consumata e trovarsi al di sotto del livello del terreno circostante.

Insomma la storia della città mi intriga molto.

Finale senza senso, va riscritto.

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La storia narra dei due fratelli Melanchon, Frederick e Kat che trovano il diario di un loro trisavolo e ne leggono una parte che racconta la storia di questo loro antenato, alla ricerca di una città che non dovrebbe esistere.

La storia è molto interessante e piacevole, l’ombra crea un’atmosfera immersiva che trascina il lettore dentro a questo mondo fatto di attesa, speranza e meraviglia. A tratti diventa quasi una parabola religiosa, creando un senso di mistico, di spiritualità, dalle tinte eterne.

L’unico difetto secondo me è dato da periodi e paragrafi troppo lunghi che appesantiscono la prosa in alcuni punti. Rendendo il racconto forse troppo denso.

Vorrei leggere di più di questo autore o autrice.

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Francamente il racconto mi pare senza senso, soprattutto in relazione al finale. Mi spiego meglio: se si tratta di una storia surreale, perché metterla nel diario del trisavolo, che è una persona fisica esistita? Se questo è veramente matto e dunque tutta la storia è inventata, cosa c’entra la Bibbia? Solo per riannodare qualcosa sparso casualmente all’inizio? Che si tratti semplicemente di una battuta, quella finale? Francamente non so… In nessuna delle tre possibili interpretazioni, inoltre, si capisce a cosa possa servire la parte iniziale della vendita dell’immobile, se non per introdurre la soffitta: un po’ troppo lunga, in questo caso… La scrittura di buon livello, seppure non particolarmente accesa e con un lessico abbastanza semplice, salva il racconto. Nella prima parte i dialoghi fra i due fratelli mi sembrano un po’ ingessati, molto bene invece la narrazione dell’avventura, sintetica il giusto ma con qualche particolare che aiuta a colorare il tutto. Un piccolo appunto: quando si introduce un discorso diretto all’interno di un altro, sarebbe meglio farlo capire, in qualche modo, ad esempio con degli apostrofi (‘…’) o simili; in questo caso è davvero difficile capire dove finiscano i discorsi e ricominci la narrazione.

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Bella l’immagine della misteriosa Catyr Kol, e della sua porta che si
apre solo quando il vento del caso spira attorno al suo uscio. Apprezzo
anche lo stratagemma del diario dentro il baule centenario. Mi piace.

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Re: L'attesa

Messaggio da leggere da Il Guru »

Sicuramente una storia scritta decentemente, tutto sommato scorrevole. Mi sfugge però il preciso significato: intrigante l'idea di questa città le cui porte pare che si aprano soltanto ad "animi puri" (in questo caso, ignari del fatto che queste rimangono sempre chiuse), ma a parte questo, non riesco ad associare tale idea a nessun particolare messaggio. Non so, il tutto non mi è molto chiaro, ecco.

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