Intervista a Clelia Farris
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Intervista a Clelia Farris
Con il romanzo “La pesatura dell’anima” si è aggiudicata, invece, il Premio Kipple 2010.
Intervista
1- Come e quando nasce la tua passione per la scrittura e per la fantascienza?
La fantascienza è il genere che mi consente più libertà creativa. Non è una decisione che ho preso in modo consapevole.
2- Parliamo de “La pesatura dell’anima”. Com’è nata l’idea?
È un'idea di pizzeria, nel senso che parlando della pena di morte con un'amica davanti a una pizza, non so come sono finita a chiedermi cosa capiterebbe se giustiziando il colpevole di un delitto si potesse “riavere indietro” la sua vittima. Questo giustificherebbe la condanna a morte? Certo, è un potente argomento a favore e perciò molto rischioso, ma la fantascienza vive di idee estreme, ed è l'ambito ideale per sviluppare certi temi, togliendoli dalla ristrettezza della realtà.
3- Il tuo romanzo è ambientato in Egitto pur proponendoci uno scenario ucronico. A cosa si deve la scelta di questa ambientazione?
Gli egizi erano uno dei pochi popoli dell'antichità ad aver sviluppato una religione della speranza. L'aldilà non era un luogo di ombre tristi, come l'Ade greco, ma un vero regno al quale si accedeva con tutto il corpo e il suo re, Osiride, era stato resuscitato da Iside, perciò mi è sembrato che il mito sostenesse bene la vicenda dei Sette.
4- In che modo ti sei documentata al fine di rendere in maniera credibile la storia nel suo particolare contesto?
In biblioteca ho cercato tutto quello che potevo trovare sull'antico Egitto, storia, politica, vita sociale e soprattutto analisi della scrittura geroglifica; ho perfino un piccolo dizionario di termini geroglifici tradotti in italiano. Internet, invece, è stata utile per le ricerche sul culto isiaco, che ho ripreso da Plutarco. Non ho trovato Il libro dei morti, salvo pochi frammenti citati in altri testi, frammenti che ho usato per mettere insieme la dichiarazione di innocenza. Insomma, a volte mi sono dovuta arrangiare, soprattutto per i termini che definivano qualcosa che nell'antichità non esisteva, per esempio la parola kauja l'ho inventata mettendo assieme la particella ka, nel suo significato di potenza creatrice, u, che è l'iniziale di papiro e uja che vuol dire muoversi lentamente, mi sembrava la parola giusta per definire i fumetti che circolano fra la popolazione delle Due Terre.
5- Quest’opera suggerisce una riflessione sul concetto di giustizia. Cos’è per te la giustizia e cosa pensi della pena di morte?
Ero in un momento davvero nero, quando ho scritto La pesatura, e il concetto di giustizia espresso nel romanzo ne ha risentito. È difficile attuare una vera giustizia nel mondo, tuttavia ci sono vari gradi di avvicinamento a quella che dovrebbe essere un'idea umana di azione giusta. La pena di morte, per alcuni aspetti, sembra ristabilire l'ordine dopo il disordine del delitto, il vecchio occhio per occhio, ma è una giustizia apparente, niente può evitare che ciò che è stato non sia stato, alla fine neppure lo scambio delle anime è un vero atto di giustizia.
6- Hai inventato un vero e proprio linguaggio, il dialetto di Dendera, le cui colorite espressioni si inseriscono con grande naturalezza nella narrazione. Come hai ideato questa lingua e perché?
Sono una spigolatrice di parole. Ho raccolto qui e lì termini di gergo familiare, un po' di sardo, un po' di invenzione sonora, qualche suggestione da Gadda, ho sfogliato a caso il dizionario... quando sono impegnata nella stesura di un romanzo trovo sempre quello che mi serve. Avevo solo un dubbio: si capirà? Per me era importante che il lettore potesse afferrare almeno il senso delle parole di Sirah, basandosi anche soltanto sul suono. Nel romanzo esiste una forte demarcazione tra i Sette e il resto dell'umanità; ogni membro della squadra è, a suo modo, separato dalla vita comune, incapace di mettersi in relazione con chiunque non sia stato “legato” da Iside, e il gergo di Dendera mi sembrava esprimesse bene la distanza tra Sirah e il resto del mondo.
7- Con “La pesatura dell’anima” hai vinto il premio Kipple 2010. In realtà, questo è solo l’ultimo, in ordine cronologico, di una serie di importanti riconoscimenti che hanno costellato la tua carriera letteraria. Cosa significano per te e quanto ritieni che siano importanti i concorsi per un autore emergente?
I concorsi sono il modo migliore per farsi leggere dalle case editrici, almeno per quanto riguarda la fantascienza. E se si è fortunati, di farsi pubblicare.
8- In molti sostengono che la fantascienza sia un genere di nicchia, eppure il tuo “Rupes recta” ha ottenuto un gran consenso presso il pubblico di lettori tanto da essere giunto alla terza ristampa. La famosa “eccezione che conferma la regola”?
È di nicchia solo dal punto di vista delle vendite ed è invece un genere molto ampio per quanto riguarda le idee. Non per niente vedo in commercio molti libri che basano tutta la storia su un fondamento fantascientifico. Secondo me c'è stato il grande salto dalla piscina sf all'oceano della letteratura, ma gli editori giocano a far finta che non sia successo. E anche gli scrittori cosiddetti mainstream si sono accorti che non è più sufficiente trasporre sulla pagina la realtà, bisogna trasfigurarla per renderla forte e coinvolgente.
9- In un articolo apparso sul web ti hanno definita “un Valerio Evangelisti al femminile”. Che effetto ti fa una simile affermazione?
Ho ancora molto da imparare. E molto da scrivere.
10- Ho letto di un tuo primo romanzo “Quasar”, caduto ingiustamente nell’oblio. Ti va di raccontarci qualcosa in proposito?
Veramente avevo detto “giustamente” caduto nell'oblio e confermo l'avverbio. Era una storia di ambientazione desertica, in un certo senso vicina a La pesatura dell'anima, ma pur avendo personaggi interessanti e una vicenda ben articolata, il nucleo fondante di tutta l'azione era un pretesto implausibile, al quale non sono ancora riuscita a trovare un'alternativa.
11- Hai mai pensato di cimentarti in un genere diverso da quello fantascientifico?
Ho provato a scrivere qualche racconto fantasy, ma il racconto non è la mia dimensione. Mi consigliano spesso di provare a uscire dal genere, a dirla tutta non credo che mi divertirei e che avrei le stesse soddisfazioni. Mi tenta molto l'horror, perché adoro i film horror, tuttavia è un genere, a parer mio, ancora più difficile della fantascienza. Qualcuno mi ha fatto notare che La pesatura è un misto di fantasy, thriller e fantascienza, quindi forse mi trovo a mio agio solo con gli ibridi.
12- Progetti per il futuro?
Sto rivedendo il romanzo che ho appena finito di scrivere, La seconda possibilità, che è una rielaborazione della Pesatura dell'anima. Non un seguito e neppure un prequel, ma una variazione sul tema, stessi personaggi e stessa ambientazione, musica diversa. Ero insoddisfatta degli aspetti che avevo lasciato fuori dalla Pesatura, primo su tutti la vita delle persone resuscitate. Poi sto pensando a un nuovo romanzo che si basa su una curiosa scoperta da parte di un gruppo di minatori...
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Re: Intervista a Clelia Farris
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Re: Intervista a Clelia Farris
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Re: Intervista a Clelia Farris
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Re: Intervista a Clelia Farris
Grazie per i complimenti.
Ma grazie soprattutto a Miriam, che è riuscita
a farmi parlare così a lungo. Nelle interviste tendo a
essere telegrafica.
Clelia
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Re: Intervista a Clelia Farris
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Re: Intervista a Clelia Farris
Se vuoi puoi presentarti meglio nella nostra sezione "Benvenuti"
Intanto ti spammo il libro va: https://www.braviautori.it/book_la-pesa ... anima.html
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Re: Intervista a Clelia Farris
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