Gara 53 - Bando e racconti

Qui ci sono tutte le vecchie Gare letterarie, dal 2008 all'estate 2018.
Laura Chi
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Gara 53 - Bando e racconti

Messaggio da leggere da Laura Chi »

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Il tema di GARA 53 è: METAMORFOSI

Un tema vecchio come il mondo, che ha sempre suggestionato la mente umana e da cui hanno tratto ispirazione artisti e scrittori di ogni epoca (Apuleio, Ovidio, Bernini, Stevenson, Kafka… per citarne solo alcuni a caso).
Ampia libertà nell’interpretazione, che può riguardare la dimensione fisica o psicologica dell’individuo, ma anche quella sociale o storica o tecnologica; oppure animali, piante, oggetti, ambienti… I testi possono essere di qualunque tipo (narrativi, descrittivi, riflessivi, dialogati, un mix di tutto ciò…) e qualunque genere (comico, horror, avventura, fantascienza… un mix di tutto ciò ) purché in prosa.

Regole:
Valgono tutte le regole ufficiali, che trovate qui: viewtopic.php?f=80&t=2308

Riassumendo:
- lunghezza massima del testo: 1000 parole o 6000 caratteri (spazi inclusi) con una tolleranza del 10%;
- chi partecipa dovrà votare e commentare tutti i racconti eccetto il proprio; in caso contrario verrà escluso dalla Gara;
- ogni racconto dovrà essere corredato di un’immagine, da inserire preferibilmente in apertura del vostro brano;
- voti da 1 a 5, consentiti anche i tagli a mezzo (1,5 e così via fino al 5);
- i racconti postati non potranno più essere modificati se non a gara conclusa; al termine dei
giochi, si potranno apportare eventuali modifiche per la pubblicazione sull’e-book.

Inoltre: Il blocco di commenti migliore sarà premiato con 1 punto a giudizio insindacabile della banditrice.

I racconti potranno essere postati su questa pagina fino alle 24.00 del 15 luglio 2015.

I commenti e i voti dovranno essere postati dalle 00.01 del 16 luglio 2015 fino alle 24.00 del 31 luglio 2015 in questa pagina: viewtopic.php?f=80&t=4803

Premiazione:
Chi vincerà avrà l’onore e l’onere di organizzare la gara successiva.
I premi saranno:
1. Pubblicazione dei racconti in digitale, con il consueto e-book.
2. Il vincitore riceverà da Ser Stefano diploma, accompagnatoria e banner pensato su misura
per il proprio racconto.
Patrizia Chini
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Era ottobre

Messaggio da leggere da Patrizia Chini »

Era ottobre…

Ero piccola. Avrò avuto, sì e no, cinque anni.
Non più alta di un soldo di cacio ero magra da far paura tanto da far temere per la mia salute. Mia nonna, madre di mio padre, a questo proposito, tenne a far presente a mia madre, senza remore e senza alcun tatto:
─ Questa ti muore, non la vedi? Se soffi, cade!
Ero piccola e magra e non ricorderei le parole di mia nonna se non me le avesse raccontate mia madre, parole dettate dal duro carattere contadino. Crude sì, ma vere...
Io ero proprio malmessa, non mangiavo quasi niente, neanche i dolci e le caramelle, i cibi che nell'infanzia non devono essere raccomandati per le proprietà ma si pubblicizzano da soli per la bontà!
Ero piccola e magra... ma ho impresso nella mia pelle, nel mio sentire una gioia grande, di quelle spensierate che non ci capiterà più nella vita di assaporare, di gustarle come solo ai bambini può succedere.
Non andavo ancora a scuola così con mia madre soggiornavamo in campagna, nella fattoria di mia nonna, con la speranza che l’aria salubre e i cibi genuini risvegliassero il mio appetito dormiente.
Prolungavamo un po' le vacanze ed era ottobre...
Era ottobre e io affondavo i miei piedini scalzi, tenendo sollevate la gonna e la sottana trattenute con le mani, in un minestrone frullato di frutta di stagione.
Era ottobre. La frutta di stagione? Uva, naturalmente.
Grappoli raccolti a decine e decine dagli uomini, le donne ma anche ragazzi e bambini non solo della nostra famiglia ma anche di parenti e amici.
Un rito, la vendemmia, da celebrare uniti perché la gioia sia moltiplicata dalla condivisione del lavoro e dei pasti, poi la sera l’allegria dei canti e dei balli…
Sotto i miei piedi c’erano acini di tante qualità diverse, specialmente di quella preferita da mio padre, chiamata in dialetto sabino “u rego”, vitigno dai chicchi piccoli e biondi sicuramente corrispondente al ”greco” o al “grechetto” che si adatta benissimo a essere gustato anche a tavola.
Oggi, quando nella vigna vedo pendere dai tralci grappoli di “rego” con i loro acini numerosi talmente stretti che si ha difficoltà a strappare i primi, il pensiero vola a mio padre che non è più tra noi e di cui sento fortemente la mancanza specialmente nei giorni della vendemmia.
Superavo di poco il basso tino dove pigiavo l'uva e né io, che non avevo ancora giudizio, né i “grandi” che dovrebbero averne, trovavamo in questa attività qualche problema o pericolo… quei pericoli da cui la società oggi, giustamente, ci mette in guardia per proteggere la nostra salute.
Ma mio padre che era un saggio diceva che il mosto pestato con i piedi, naturalmente ben lavati come tutto il resto del corpo, e il vino che ne deriva hanno tanti pregi...
─ La leggerezza dello schiacciamento evita eccessivi spappolamenti delle bucce e non frantuma gli acini acerbi. Si ottiene un mosto con poca feccia e il vino avrà una particolare morbidezza.
Non ho più respirato quel mix di serenità e gioia che aleggiava nell’aria intorno alla vendemmia. Mi rimane nelle orecchie l’eco della mia voce, che si alzava ogni tanto emettendo trilli acuti alternati con risate lanciate al cielo a bocca aperta... spontaneamente così come scaturiscono solo in quella età spensierata, anche senza ragione.
Rivedo mia madre vicino a me nel tino con le gonne alzate e i piedi scalzi, anche lei bambina con i suoi venticinque anni, ridere allegra insieme a me e battere i piedi nell'uva… insieme a me.
Piene di schizzi, i piedi rossi per il lavoro fatto e bagnate fino alle ginocchia ma felici.
Chissà se quella felicità fosse innescata dalla consapevolezza, che rimane al di sotto del livello cosciente ma di cui ogni uomo è portatore perchè scritta nel proprio DNA... la consapevolezza del miracolo a cui i nostri piedi avevano l’onore di dare il “via”. In quel frullato di frutta esseri microscopici erano al lavoro per trasformare quella poltiglia informe e dolce in una bevanda degna di un convivio di dei: il vino.
Mentre lo zucchero si trasformava in alcool si andava compiendo quella metarfosi che restituisce all’umanità, in cambio di un prodotto naturale come la frutta, qualcosa di nuovo. Qualcosa che prima non esisteva come accade magicamente nelle favole dove anche un ranocchio può trasformarsi in principe.
Così, mentre l’uva diventava ambrosia che disseta, mette allegria, nutre e cura, io apprendevo e crescevo. Poi lentamente, con gli anni, il processo di crescita mi avrebbe fatto ragggiungere quest’ultima tappa che mi vede nonna di due fantastici nipoti… Questo processo si chiama vita ed è anch’essa una metamorfosi che si presenta, però, dal punto di vista fisico, della prestanza, della bellezza o della freschezza, al contrario. Infatti, si nasce principi amati e vezzeggiati da tutti e poi pian piano si diventa, non dico “ranocchi” per il profondo rispetto che ho verso gli anziani, ma uomini che per la società sono quasi un peso.
A me piace vedere questo processo, invece, non dal punto di vista fisico ma da quello della conoscenza, del sapere, dei sentimenti, della sensibilità e profondità dell’animo…
Quella è la vera crescita dove si parte “abbozzi” e si finisce, anche se non sempre, “opere d’arte”. Visto che gli abbozzi fanno più tenerezza e si amano di più, spesso con la mente e con gli occhi torno a quei fotogrammi della vendemmia che cerco di fermare per gustarli più a lungo.
Mi emoziono al ricordo del volo leggero tra le braccia di mio padre quando mi tirò fuori dal tino, anche se facevo i capricci… volevo ancora divertirmi con quel gioco nuovo, conosciuto per la prima volta in quell'autunno e che non mi toccò più.
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Ultima modifica di Patrizia Chini il 28/06/2015, 10:10, modificato 1 volta in totale.
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Gloria D. Fedi
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Re: Gara 53 - Bando e racconti

Messaggio da leggere da Gloria D. Fedi »

Metamorfosi

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Forse perché mi chiamo Dafne di secondo nome, scelta foneticamente difficile per quell’allitterazione col cognome che mi accompagna sfarfalleggiando da tutta la vita, forse per le innumerevoli deformazioni che quel nome così esotico, così gudurioso ha subito negli anni, addirittura in prima media mi iscrissero come Davide, forse per un’aspettativa di sensibilità letteraria da parte dei miei genitori-nominatori, forse il Caso, il Destino, l’Imponderabile che governa la nostra esistenza insomma non so perché ma da sempre le metamorfosi mi hanno attratto, intrigato, trascinato in un gioco di rimandi, di possibilità, di interpretazioni.
Il povero Gregory, con quel padre feroce e ottuso, la sorella violinista, il trauma, la paura e quella fine tragica mi accompagna ogni volta che vedo un insetto: uno scarafaggio a pancia in su mi commuove irrimediabilmente.
Da bambina i miti classici e le turbolente vicende di una mitologia fantasiosa e volubile mi hanno attratto più di Cenerentola o di Pollicino, ora in esse ritrovo tutto il senso della nostra storia.
Della nostra cultura.
Quel bipede implume raccoglitore e camminatore, che ad un tratto della propria evoluzione ha deciso di abbandonare , di negare, la propria identità animale, per ritrovarsi solo, smarrito e nudo davanti ad una Natura non più comprensibile, non più materna, non più fertile, ma nemica, ostile, avara, quel bipede si è astratto nel ruolo di padrone, di migliore, addirittura ad immagine e somiglianza di un unico Dio.
Così le metamorfosi, narrate e tramandate, sono un segno di quella possibilità perduta, di quella permeabilità di generi, speci, ruoli, in un sogno di una universalità paritaria e libertaria.
Dei, uomini, cavalli, tori, api, formiche, allori, narcisi… tutto diviene sorgente o effige di un’umanità primeva, sensibile, amorosa, tollerante, umile, feconda e generosa.
La maledizione dell’infelice e focoso Apollo che lo condanna ad inseguire eternamente amori insoddisfatti ed incompiuti con fanciulli che si trasformano in fiori o ninfe in arbusti, è la prima storia letta e scelta autonomamente in un polveroso scaffale in camera di mio padre, mia madre prudentemente aveva consigliato:- non dire a scuola che leggi queste cose.-
Ne è rimasto così un vago aroma di trasgressione.
Ora che l’antispecismo è un concetto acquisito, che la misoteria è riconosciuta da filosofi e pensatori, il magico mondo delle metamorfosi si illumina di significati profondi, di considerazioni etiche di implicazioni esistenziali .
Ora che l’essere più intelligente del creato sembra arrivato agli ultimi atti della sua feroce guerra contro la Natura, alla fin fine contro se stesso, le metamorfosi appaiono come il dolce sogno, come la metafora magica di quello che per sempre stiamo perdendo, di quella felicità, di quella serenità, di quella saggezza.
Che una prof di Matematica si trasformi in un allegro esemplare di femmina di quokka parlante è l’ennesimo scherzo che la Natura ci gioca, esisteranno sempre degli affabulatori, dei narratori erranti, che ci incanteranno con una sorprendente metamorfosi, perché là sotto quella pelle spelata, quella corazza di civiltà tutta d’un pezzo, sempre e comunque c’è quel bipede implume, ora orfano, che cammina, raccoglie semi , frutti, larve e bachini vari e si guarda intorno con occhio curioso, talvolta timoroso, si guarda intorno pronto a trasformarsi, pronto ad imitare il toro, il cavallo, l’antilope, l’ape, il leone, il lupo, il gatto, il quokka e persino le guerriere formiche.
Perché è dal bisogno di imitazione, dal bisogno di identificazione con gli altri animali che nasce la nostra capacità di esistere, di imparare, di vivere.
E di amare.
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Giorgio Leone
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METAMORFOSI - ISTRUZIONI PER L’USO

Messaggio da leggere da Giorgio Leone »

Disegno di Francesca Leone
Disegno di Francesca Leone
8 ATTI UNICI IN STILE ACHILLE CAMPANILE

1) GIRININGIRO
Personaggi:
*PRIMO GIRINO
*SECONDO GIRINO
*RISTORATORI, CAMERIERI E AVVENTORI
La scena si svolge a Bereguardo (Pv) in una tiepida sera d’inizio estate. Nell’acqua stagnante delle risaie e delle marcite, milioni di girini nuotano pigramente aspettando il compimento della metamorfosi. Nei dintorni si notano varie trattorie che reclamizzano il piatto tipico “RANE FRITTE”. All’esterno RISTORATORI, CAMERIERI E AVVENTORI sono in paziente attesa, ma per il momento la campagna rimane avvolta in un perfetto silenzio.
PRIMO GIRINO
- Sento che le branchie mi si stanno chiudendo e i polmoni sono pronti. Sto per emettere il mio primo suono, che gioia!
SECONDO GIRINO
- Trattieniti, che se gracidi diventi subito il piatto tipico.
(sipario)

2) NO-FLIGHT ZONE
Personaggi:
*LA VISPA TERESA
*BRUCHI E CRISALIDI
La scena si svolge ai margini di un bosco a Stradella (Pv) in una fresca mattina d’estate. La VISPA TERESA è seduta su un tronco con una retina e un set di spilloni, pinzette, stenditoi in polistirolo e striscioline di nylon.
UNA CRISALIDE
- La metamorfosi è al termine, il momento tanto atteso è arrivato! Non vedo l’ora di volare.
UN BRUCO
- Non farlo, se no finisci su eBay sotto la voce farfalle da collezione.
(sipario)

3) DOLCE ATTESA
Personaggi:
*STRADA PROVINCIALE 1
*STRADA PROVINCIALE 2
La scena si svolge appena fuori Broni (Pv) in un caldo mezzogiorno estivo.
STRADA PROVINCIALE 1 (rivolgendosi alla STRADA PROVINCIALE 2 con il tono acido e astioso tipico di molte strade asfaltate di provincia)
- Ti vedo molto diversa dal solito! Sei sformata come se fossi ingrassata di brutto.
STRADA PROVINCIALE 2 (con malcelato orgoglio)
- E invece aspetto una rotonda!
(sipario)

4) NON CI SARA’ UNA SECONDA OCCASIONE
Personaggi:
*CENERENTOLA
*LA FATA SMEMORINA
*UNA GROSSA ZUCCA, QUATTRO TOPI, UN VECCHIO CAVALLO, IL CANE TOBIA
La scena ha luogo all'esterno della casa di Cenerentola.
LA FATA SMEMORINA
- Ora trasformerò la zucca in una stupenda carrozza, i topi in quattro cavalli grigi pomellati, il vecchio cavallo in un superbo cocchiere e il cane Tobia in un elegante valletto. Il tuo vestito strappato diventerà uno splendido abito di seta e da sotto la gonna spunteranno delle deliziose scarpette di cristallo, le più belle del mondo.
CENERENTOLA
- Grazie, grazie, fatina. Non vedo l’ora di farmi vedere così alla grande festa del Principe che sta cercando moglie. Sento che sarò io la prescelta!
LA FATA SMEMORINA (agitando in aria la bacchetta magica dalla quale fuoriescono migliaia di stelline luminose)
- Salagadula, mencica bula, bibbidi-bobbidi-bu...
CENERENTOLA
- ma non succede niente!
LA FATA SMEMORINA
- Non sempre riesce.
(sipario)

5) UNO SPARO NEL BUIO
Personaggi:
*IL BRUTTO ANATROCCOLO
*IL CACCIATORE
La scena si svolge all’alba appena fuori Motta Visconti (Pv). Il creato è ancora avvolto nella bruma mattutina e la luce stenta a vincere le tenebre.
IL BRUTTO ANATROCCOLO (nuotando)
- Se me l’hanno contata giusta, fra un attimo mi trasformerò in un bellissimo cigno!
(si ode uno sparo)
IL CACCIATORE
- Madonna quant’era brutto, speriamo almeno che sia buono. Comunque, appena in tempo! Se si fosse trasformato in un cigno, per normativa regionale non avrei potuto sparargli.
(sipario)

6) MILLE E NON PIU’ MILLE
Personaggi:
*IL SENSALE DI MATRIMONI
*LA CONTESSA
*IL DR. JEKYLL (alto, distinto, signorile ed educato)
*MR. HYDE (identità segreta del Dr. Jekyll. Basso, volgare, peloso, maleducato e violento)
La scena si svolge nel grande salotto della contessa dove fanno bella mostra di sé mobili d’epoca, tende preziose e quadri d'autore. Il sensale ha già introdotto, senza alcun esito, 998 candidati.
IL SENSALE DI MATRIMONI (in tono mellifluo, ma facendo anche trasparire un certo nervosismo)
- Ho lasciato per ultimi i miei cavalli di razza. Ecco a lei il n. 999!
(entra il DR. JEKYLL, elegantemente vestito, che fiuta tabacco prendendolo da un'antica tabacchiera di legno intarsiato)
LA CONTESSA
- Non ci siamo ancora. Questo si vede subito che è tanto educatino, perbenino e profumatino, ma io voglio un vero uomo!
IL SENSALE DI MATRIMONI (sospirando e incrociando le dita)
- E l’avrà! Entri il n. 1000.
(fa un cenno al DR. JEKYLL che esce dalla stanza, si trasforma in MR. HYDE e poi rientra)
LA CONTESSA
- Ma per carità di Dio, questo è il massimo del tamarro, mai visto niente del genere! Due botte magari sì, ma di matrimonio non se ne parla. Non si potrebbe avere una via di mezzo fra gli ultimi due?
IL SENSALE DI MATRIMONI (con voce tremante)
- Mi arrendo, da qui non se ne esce!
(lascia la scena singhiozzando mentre cala il sipario)

7) IL TROPPO STROPPIA
Personaggi:
*IL DISEGNATORE DI FUMETTI
*L’INCREDIBILE HULK
La scena ha luogo nello studio del disegnatore. Sulla scrivania matite, penne, pennarelli, carboncini, gomme e altro.
IL DISEGNATORE DI FUMETTI rivolto ALL’INCREDIBILE HULK)
- Adesso mi hai veramente rotto i marroni! Per l’ennesima volta, durante la metamorfosi da Bruce Banner nel gigantesco mostro umanoide che sei, tutti gli abiti si sono strappati e ora siamo daccapo. E' una vita che disegno e poi ridisegno vestiti, potresti almeno levarteli prima di trasformarti!
L’INCREDIBILE HULK
- Ma poi, dove li metto?
IL DISEGNATORE DI FUMETTI (sospirando)
- E' scientificamente dimostrato che troppe metamorfosi fanno male.
(sipario)

8) METAMORFOSI BIDIREZIONALE
Personaggi:
*IL RANOCCHIO (non parla e ogni tanto gracida)
*LA PRINCIPESSA
La scena si svolge nell’appartamento principesco della PRINCIPESSA. I due sono sul letto a baldacchino di lei, tutto un tripudio di meravigliose sete, lino e damaschi preziosi.
LA PRINCIPESSA (facendosi forza per vincere il ribrezzo, sta baciando sulla bocca il RANOCCHIO)
- Se me l’hanno contata giusta, ora si trasformerà in un principe fichissimo!
(si trasforma lei in una ranocchia tra le proteste del pubblico che abbandona furente il teatro mentre cala il sipario e le luci si spengono).
Ultima modifica di Giorgio Leone il 30/06/2015, 19:47, modificato 28 volte in totale.
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Nunzio Campanelli
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Re: Gara 53 - Bando e racconti

Messaggio da leggere da Nunzio Campanelli »

charlie brown e piperita patty.gif
Un’altra cosa

Giovane e imberbe, da ragazzo avevo conquistato una reputazione nel mondo femminile.
Esercitavo il mio personale fascino in modo discreto ottenendo effetti a volte dirompenti.
Non è che cadessero proprio tutte ai miei piedi, ovviamente.
No, cadevano un po’ più distante.
Il tempo di inalare la micidiale mescolanza di acqua di colonia e dopobarba che usavo ai quei tempi e crollavano tutte a terra, senza pietà (la paghetta settimanale era quel che era, e mi dovevo arrangiare).
A me Denim faceva ridere. Ricordate il famoso slogan “Per l’uomo che non deve chiedere mai”?
L’ho inventato io.
Infatti, chi chiedeva.
Me la davano subito, appena mi presentavo.
La borsetta.
Sulla fronte.
Poi sono cresciuto, da adolescente implume mi sono trasformato in giovanotto di belle speranze. Acquisita consapevolezza per prima cosa cambiai profumiere.
Le cose andarono subito meglio.
Emanavo una fragranza discreta, quasi impercettibile.
Infatti nessuna si accorgeva di me.
Ma proprio nessuna, mica scherzo.
Potevo stare lì delle ore.
Niente. Era come se non ci fossi.
Eh, quelle erano soddisfazioni.
Potevo chiedere, finalmente.
Tanto non me la davano.
Mai.
Mica la borsetta.
No.
Un’altra cosa.
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Aurora Cecchini
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Re: Gara 53 - Bando e racconti

Messaggio da leggere da Aurora Cecchini »

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METAMORFOSI

Agosto era il mio mese di nascita e il mese dell’anno in cui avvenivano in me, i cambiamenti più profondi. In agosto mi ero trasferita in città, in agosto avevo acquistato la mia prima auto, in agosto mi ero sottoposta alla prima ceretta completa…e non era stata una decisione ottimale, considerato che con il caldo e il sudore mi ero riempita di bolle. Ad agosto il mio ragazzo del liceo mi aveva piantata per un biondino tutto muscoli, lasciandomi in preda ad una crisi mistica di cui ancora ricordavo le visioni celestiali e il desiderio di prendere i voti. E ora, dopo tanti anni, mi ritrovai ad affrontare quell’agosto senza un programma ben preciso. In effetti era da un po’ che sentivo l’esigenza di avere del tempo solo per me così, avevo buttato in valigia i primi jeans e magliette che mi erano capitati ed ero partita alla volta dei miei che, dai tempi dell’università, si erano abituati a vedermi unicamente per le vacanze di Natale. Come sei smunta – disse mia madre. Come sei cittadina – aggiunse mio padre cogliendo nel segno. Colpita e affondata mi ritirai in camera riappropriandomi dei miei ricordi e del mio letto che si profuse in un abbraccio, l’unico, senza recriminazioni. Con un senso di felicità infantile, passai dallo stordimento al sonno e, senza incubi o ansie oniriche, mi svegliai la mattina dopo, riposata e di buonumore. Per di più di domenica, giornata che odiavo a morte per essere in stretta parentela con il lunedì. Saltai giù dal letto e mi precipitai in cucina a ricevere l’abbraccio affettuoso e rassicurante di mia madre. Lui, mio padre, mi trattava ancora con l’atteggiamento prevenuto che si ha nei confronti di un estraneo disteso sul tuo divano. Lo evitai e divorai un piatto di biscotti appena sfornati e una tazza colma di caffè, davanti allo sguardo attonito di chi è abituato ad avere una figlia in continue crisi di peso e in eterna dieta. Buongiorno! – dissi esibendo un sorriso da ebete - Mi sento un leone stamane. Mi vesto e me ne vado a camminare. Provavo la sensazione meravigliosa della ragazzina che, in estate, scorrazzava libera per intere giornate. Neanche per un attimo avevo pensato ad accendere il cellulare, controllare le email o i post dal mondo virtuale. Quel giorno avevo bisogno di connettermi solo con me stessa e, sempre più decisa, m’incamminai per le stesse stradine, soddisfatta d’aver sconfitto la passata claustrofobia adolescenziale, quando quel luogo tarpava le mie ali di giovane farfalla. Ricordavo ancora la fastidiosa sensazione che mi faceva sentire ridicola e fuori luogo, come le camicie di candido cotone, che mia madre mi costringeva a indossare, nonostante i bottoni non riuscissero più a contenere la spinta esuberante del mio seno, cresciuto improvvisamente. Quando finalmente, riuscii ad allontanarmi da lì, per reazione odiai tutto quello che ne faceva parte, tanto che mi ripugnavano persino i contatti con le persone che mi avevano accompagnato nella crescita e che, ignare della mia ribellione interiore, continuavano a circondarmi di un calore immeritato. Tuttavia, prima di quel tafferuglio emozionale, vi avevo trascorso un’infanzia indimenticabile. La mia fortunata fanciullezza non era stata avvelenata dalla tecnologia e il mio interesse per i programmi via cavo aveva preso concretezza solo verso la fine degli anni ’70. Nel frattempo, le mie passioni erano state le stesse di tutti i bambini di allora, i giochi per la strada. Chiunque di noi aveva distribuito le sue cellule, il suo sangue e la sua epidermide, lungo le strade e nelle piazze. In ogni vicolo o pertugio esisteva traccia del nostro dna. Al termine del triennio obbligatorio però, ci si perdeva e, tranne rare amicizie sopravvissute agli eventi violenti legati alla crescita, il resto di noi si dimenticava dei compagni d’infanzia nel preciso momento in cui varcava la soglia dell’istituto superiore. Lì si stabilivano nuove amicizie, non più incentrate sul gioco infantile; lì iniziavano le sofferenze amorose, vere e proprie tragedie di cotte e pianti, di sentimenti quasi mai ricambiati, che andavano ben oltre quelli ingenui di poco tempo prima. Cinque lunghissimi anni, quando non ripetevi il corso precedente per qualche incomprensione con i professori, a versare lacrime d’amore. Cinque lunghissimi anni a desiderare tremendamente di avere il corpo della biondina della terza c, i capelli di quella della prima a e, spesso, l’audacia delle strafiche del quinto anno, sezione a prescindere. “…ed il vento passava, sul tuo collo di pelliccia e sulla tua persona…” cantava De Gregori e, contraddistinto dalle mode di ogni decennio, il vento passò inesorabile anche sul mio tempo nonostante catastrofi e cataclismi, sembravano essersi accaniti solo su di me. E ora, di domenica, sprovvista anche del tacco dodici, osservando ogni metro quadro conosciuto, mi ricordai all’improvviso di una frase di mia nonna. “Solo quando ti riappacificherai con questo posto, sarai veramente cresciuta. La tua metamorfosi dovrà passare da qui e, invece di fuggire, scoprirai di voler tornare.” E roba da non credere, quel giorno, quel posto odiato per due decenni, riusciva a farmi vivere una felicità ritrovata. Come avevo potuto, solo immaginare, di cancellare un’infanzia così? Ero cresciuta in un mondo pieno di magia, la stessa, che da grande inseguivo invano nei film d’amore a lieto fine, nei classici Disney, nei testi delle canzoni, nelle pagine dei libri. Ritornai alla realtà che il sole era già alto e dalle finestre aperte, si spandevano inconfondibili l’aroma del caffè e i tipici rumori casalinghi e io mi sentii finalmente a casa. Nell’agosto di quell’anno, di sicuro un agosto che avrei ricordato a lungo, fra tutti i mesi d’agosto portatori di cambiamenti profondi, capii che mi ero riappacificata con quel luogo e con la parte più profonda di me. La profezia di mia nonna si era avverata. Non provavo più rabbia o rancore e, invece di fuggire, desideravo restare. La mia metamorfosi era avvenuta. “Mannaggia al diavoletto che c’ha fatto litiga’, pace pace e libertà”.
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Alberto Tivoli
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Re: Gara 53 - Bando e racconti

Messaggio da leggere da Alberto Tivoli »

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APHROTITI

Una ciambella di carne a cavallo della cinta, occhiaie al carbone e una testa spelacchiata costituivano il biglietto da visita dell’uomo seduto nella saletta privata del Tropical Caffè.
Savino aveva riservato la sala in modo da non inceppare la lingua nel vivo dell’appuntamento.
Una saetta bianca e nera giunse al suo tavolo.
- Desidera qualcosa?
Savino sbirciò l’orologio e annuì: - Un tè freddo, per favore. Comunque aspetto una persona, non sono solo.
- Certo signore. Con permesso signore.
Savino consultò il telefono e alternò sorrisi e sospiri.
Venne interrotto dalla consegna della sua consumazione. Porse la carta di credito al cameriere; guardò gli occhi del ragazzo andare e tornare tra la placchetta d’oro e la sua figura; lo squadrò quando decise di verificare la carta.
- Sono un uomo molto impegnato, non ho tempo da perdere in frivolezze estetiche.
- Certo signore. Con permesso signore.
- E tenga aperto il conto.
L’orologio accompagnò lo sciogliersi del ghiaccio, Savino vuotò il bicchiere e lo nascose dietro un vaso.
L’incarnazione del suo ideale estetico entrò nella sala.
Aphrotiti, fasciata in un tubino rosa antico, avanzò tracciando nell’aria note per una sinfonia. Prese posto sulla sedia manovrata dal cameriere.
Si sorrisero.
- Aphrotiti!
- Savino!
Dita di velluto, incorniciate da lame rosse, si unirono a cartapesta pelosa.
- Guardami. Sono io, sono il tuo sogno. – disse la ragazza.
- È incredibile, se me l’avessi detto non ci avrei creduto. Settimane di messaggi mi hanno rivelato la tua anima e in essa mi sono specchiato. Vederti, toccarti e constatare che tu sei perfetta mi fa girare la testa.
- Indovina che porto sotto?
Savino spalancò la bocca e dilatò gli occhi.
- È come nell’ologramma che ho pubblicato?
Aphrotiti suonò una risata e le stelle brillarono nei suoi occhi.
- Lo vuoi vedere?
- Aphrotiti, magari. Ma qui come facciamo? Meglio a casa mia, più tardi.
La donna si alzò, divenendo il centro dell’universo di Savino, girò il tavolo e piazzò un piede tra le gambe dell’uomo.
- Anche i sandali, uguali in tutto e per tutto. – sospirò Savino, carezzando il dorso di quel piedino.
Aphrotiti si piegò verso di lui, il profumo del respiro della ragazza lo ammaliò.
L’uomo esplorò le cosce voluttuose, i fianchi sensuali e il ricco décolleté di Aphrotiti. Fissò gli occhi verdi della ragazza e vide le labbra di lei muoversi, promettendo passione.
- Raggiungimi in bagno. – lo pregò Aphrotiti.
La coppia tornò al tavolo e Savino ordinò due Mojito. Quando con la cannuccia cominciò a tirare su lo zucchero di canna, Savino chiese del bikini: - Ma come hai fatto a trovarlo identico? Io l’avevo disegnato senza copiare nessun modello. Così, di fantasia.
- L’ho fatto ricostruire dal tuo ologramma. È sintetico, ma il tessuto rende fedelmente la pelle, sia alla vista che al tatto. Il mio regalo per te.
- Ma... hai ricostruito altro?
Aphrotiti scosse la testa.
- Mi hai trovata, Savino. Finalmente mi hai trovata. Siamo fatti l’uno per l’altra, siamo due anime gemelle. Non c’è bisogno di fingere tra noi, di simulare, di creare artifici. Noi siamo come siamo e ci accettiamo così.
- Mi riempie il cuore di gioia sentirti dire queste cose. Tu sai quante delusioni ho avuto, quante umiliazioni ho dovuto subire. Ormai mi ero ridotto al solo sesso a pagamento, come un animale che soddisfa l’istinto.
- Sei una così bella persona, Savino. Hai il cuore d’oro.
Savino scrutò oltre la porta a vetri, seguì le sagome che si muovevano e storse la bocca in una smorfia: - Là fuori c’è aggressività e ipocrisia. Sono fortunato a essere abbastanza ricco da potermi difendere. Però ho sofferto tanto, io sono una persona buona.
Aphrotiti annuì, carezzandogli le mani.
- Mi giudichi male per aver richiesto la ricostruzione estetica completa alla donna che avesse risposto al mio annuncio? L’uguaglianza tra te e il mio ideale è totale, ma avresti accettato in caso contrario?
- Ma certo Savino, il mio amore per te è maturo.
Savino sorrise con tutto il viso e goccioloni si affacciarono tra le palbebre. Si scambiarono il loro primo bacio.
- Promettiamoci che ci difenderemo a vicenda e ci sosterremo – dichiarò Aphrotiti.
- Ci sproneremo, senza volere che l’altro cambi a tutti i costi – proseguì Savino.
- E insieme costruiremo il nostro nido d’amore in cui rifugiarci e dare vita al nostro mondo – conclusero all’unisono, celebrando la loro unione.
Ordinarono un prosecco per brindare, bollicine per tradurre in fisica le sensazioni di entrambi.
- Ecco qui, amore mio. E non si discute, offro io. – disse Aphrotiti, posando un proiettore nel centro del tavolo.
Una pressione da parte della ragazza e un ologramma, alto come la bottiglia di prosecco, invase l’aria tra gli innamorati. Fasce muscolari in rilievo, sorriso da far andare falliti gli odontoiatri e occhi da conquistatore: l’ideale estetico di Aphrotiti.
- Quando vuoi, amore. Scegli tu il giorno per la metamorfosi.
- Ma abbiamo detto di accettarci così come siamo.
- E così è, Savino mio. Sei tu che hai chiesto un cambiamento alla tua futura compagna, chiedere di allinearti al mio ideale maschile è del tutto coerente, non offendo certo la tua anima.
Il cameriere tornò a sparecchiare il tavolo.
- Desidera altro, signore?
- No, grazie. Può chiudere il conto.
- Non aspetta nessun altro?
- Nessuno, sono solo. Il mio amore non è maturo. Non sono pronto per andare oltre me stesso e compiere un atto di generosità, così mi ha detto.
- Certo signore. Con permesso signore.
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SCUSATE IL DISTURBO!

Messaggio da leggere da Angela73 »

Scusate, ma vi devo disturbare. Conoscete quelle parole che si sciolgono in bocca come zuccherini e poi divengono lame man mano che arrivano al cuore e poi allo stomaco?
Vi devo disturbare e non posso farne a meno. C’è una sorta di competizione fra me e una sentenza che m’ha condannato ingiustamente a pronunciare fiumi di parole.
Se tacessi, impazzirei del tutto. O quasi. Avevo barattato tutte le parole in cambio di un silenzio non banale. Bello come un piacere sessuale. Il risultato? Non si può tacere a questo mondo.
Chi tace pare stupido, dicono. E se avessi scelto di esserlo? C’è quel concetto strano di metamorfosi che gravita da un po’ sulle mie labbra e, ogni volta che s’accinge a definirsi, fa dietro front e non si muove più.
E’ sospeso come me. Come le mie parole. Come il mondo che mi gira intorno ufficialmente.
Ce n’è uno meno ufficiale dove ci metto di tutto: posso anche mandarlo al diavolo! Qui non interviene nessuno a giudicarmi. Nell’altro invece spuntano dal nulla giudici e sentenze. Ci sono processi tutti i giorni senza ben conoscere i capi d’accusa.
Non puoi tacere. Non puoi impazzire. Non puoi opporti. Chi concede favoritismi è già salvo a priori. Se poi si traveste da pecoraio, quel mondo gli si inchina.
Ma, se ti viene lo schiribizzo di dissociarti dalla folla, sono guai stratosferici. Allora non puoi neanche starnutire che ti accusano di disturbo della quiete pubblica. Trovi sempre qualcuno che vuol mandarti in rovina come la fiamma di un amore crudele. E che amore!
Un giorno, ad esempio, fui citato in tribunale con un’accusa assurda. La più assurda che si possa inventare.
Quella di aver divorato gli uomini! Ora, provate a immaginare un individuo gracile che possa compiere una simile empietà.
Cercai di portare Dio dalla mia parte nel mondo meno ufficiale. Gli raccontai di quando e di quanto ero stato felice un tempo quand’ero libero di immaginarmi i sogni. E là si riaffacciò la metamorfosi come un rospo sulle labbra. Non era più un piacere! No! Un’oppressione che mi conferiva una reputazione diversa, addirittura rovesciata.
Intervenne anche mia madre a difendermi.
“Mio figlio non è un criminale. Non farebbe male ad una mosca. E’ uno che ha due finestre e s’affaccia ora ad una ora all’altra. Che male c’è?”
-Vada via, signora!-
La cacciarono in malo modo e la poverina pianse tanto che s’ammalò di cuore. Anche il mio s’incrinò ma non si franse. Era perfetta la sua sospensione e m’infischiavo di quelle bazzecole che s’inventavano per farmi precipitare.
Volevano metamorfizzarmi, trasformandomi in un manichino compunto e perfetto. Ebbene! Avevo deciso di essere all’opposto e di interpretare il ruolo della verità sul palcoscenico dell’esistenza. Secondo loro divorare gli uomini significava imbeverli di sogni.
Ora, ditemi voi che atto osceno avevo compiuto portando un bagaglio di fantasticherie nel mondo ufficiale, la cui finestra diveniva sempre più angusta. Se ci avessero messo le inferriate, i sogni sarebbero stati imprigionati e addio fantasia! Non lo avrei permesso!
Il mondo meno ufficiale, quello proprio mio, invece, possedeva una finestra spalancata: chiunque vi si affacciava, non centellinava mai la profondità. Si tuffava a piedi nudi lì dove anche gli occhi erano finestre di bellezza e tutto ciò che volava via per abitudine prima o poi tornava, per il piacere di libertà che si respirava.
Mia madre era come un’ombra. Mi seguiva dappertutto nel timore di vedermi sparire o che venissero a prendermi per condurmi un’ultima volta dinanzi a quell’assurdo tribunale.
Pelle e ossa era diventata. Mingherlina, smunta, pallida, fra un abbraccio e l’altro si scioglieva in lacrime e nulla potevo contro la sua tristezza.
I giudici non si erano accorti che quando uno comincia a morire continua a farlo giorno dopo giorno e non smette più fino a consumarsi.
Ero infuriato e sempre in bilico fra imperfezione libera e costruita perfezione. Eppure, nonostante tutto, quando vedevo gli uomini sorridere fantasticando, riuscivo ad essere felice e divorarli (nel loro gergo) mi sembrava più che naturale.
Il giorno temuto giunse inaspettato. All’alba due tizi vestiti da guardie vennero a prendermi per discutere.
Li seguii serenamente, sperando che mamma non vedesse o non sapesse.
Quando arrivammo erano tutti schierati i giudici con tanto di libri di legge e filtri magici strani, impreziositi da una allampanata saccenteria.
-Cosa ha da dire in sua discolpa Signor……. prima della condanna?-
-Sono innocente e non ho commesso infrazione alcuna.-
-Come si permette?- , ribattè un tale con dei ridicoli baffi arricciati senza tempo.
-E voi con quale diritto volete condannare chi non ha commesso nulla?-
Mi stavo giocando l’ultima partita senza voltare e rivoltare le carte del futuro.
-Nel nostro mondo non c’è spazio per i sogni. Uccidono la ragione!-
- Nel mio c’è spazio per entrambi e si sorride. Guardatele le vostre facce troppo serie e tristi. Non vi s’addice cotanta perfezione!-
- La perfetta ragione induce a non cadere nell’errore, i sogni come la fantasia sono pure illusioni. Il cuore vi si aggrappa in maniera indisciplinata e si crea confusione d’interessi e di emozioni-
- Ahaha! Buona questa, davvero! Confusione? Meglio un disordine indisciplinato ma felice e calato nella realtà del cuore, che un ordine sì preciso, per carità, ma distaccato dai sentimenti. Persevererò nei miei comportamenti. Non temo alcun giudizio. Vedo la gente intorno a me felice e non seminerò mai una perfetta tristezza.-
Parlai d’istinto, per disperazione, con quanto fiato mi restasse in gola. Li vidi farfugliare e discutere accanitamente.
Si consultarono per almeno due ore e, alla fine, proclamarono il verdetto.
-Adesso è libero! Volevamo solo mettere alla prova la sua coerenza. Ha superato l’esame!-
Risi come un pazzo e corsi da mia madre. Si rianimò quando mi vide e smise di esalare l’ultimo respiro.
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La Gara 41 - Tutti a scuola!

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(ottobre 2013, 49 pagine, 1,59 MB)

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Calendario BraviAutori.it "Year-end writer" 2019 - (a colori)

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(edizione 2019, 4,37 MB)

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La Gara 45 - Due personaggi in cerca d'autore

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È il giorno dell'inaugurazione di un supermercato, uno davvero grande, uno iper, uno dei tanti che avrete voi stessi frequentato e arricchito. Durante questa giornata di festa e di aggregazione sociale, qualcuno leggerà un dattiloscritto ancora inedito il cui contenuto trasformerà l'impossibile in normalità.
"...come se dal cielo fosse calata la mano divina di un Dio stanco e dispiaciuto dei propri errori, o come se tutte le altre grandi divinità finora inventate dal Genere umano per compensare la propria inconsapevole ignoranza tribale e medievale verso i misteri della Natura e della Vita, si rivoltassero ai propri Creatori e decidessero di governare le loro fantasie".
La storia è leggermente erotica, vagamente fantasy, macchiata di horror e forse un po' comica.
Di Massimo Baglione.

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Trentun paia di gambe hanno pedalato con la loro fantasia per guidarci nel puro piacere di sedersi su una bicicletta ed essere spensierati, felici e amanti della Natura.
A cura di Massimo Baglione.
Copertina e logo di Diego Capani.

Contiene opere di: Alessandro Domenici, nwAngelo Manarola, nwBruno Elpis, nwCataldo Balducci, Concita Imperatrice, Cristina Cornelio, Cristoforo De Vivo, nwEliseo Palumbo, nwEnrico Teodorani, Ettore Capitani, Francesco Paolo Catanzaro, Germana Meli (gemadame), Giovanni Bettini, Giuseppe Virnicchi, Graziano Zambarda, nwIunio Marcello Clementi, Lodovico Ferrari, Lorenzo Dalle Ave, nwLorenzo Pompeo, nwPatrizia Benetti, Raffaella Ferrari, Rebecca Gamucci, nwRosario Di Donato, nwSalvatore Stefanelli, Sara Gambazza, Sandra Ludovici, nwSonia Piras, Stefano Corazzini, nwUmberto Pasqui, Valerio Franchina, nwVivì.

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Poliziesco ambientato a Chicago e Nuovo Messico

Un poliziesco vecchio stile, cazzuto, ambientato un po' a Chicago e un po' in New Mexico, dove un poliziotto scopre di avere un figlio già adulto e, una volta deciso di conoscerlo, si accorgerà che non sarà così semplice. Una storia dura e forse anche vera.
Frank Malick, attempato sergente della polizia di Chicago, posto finalmente di fronte alle conseguenze d'una sua mancanza commessa molti anni prima, intraprende un viaggio fino in Nuovo Messico alla ricerca di qualcosa a metà tra il perdono delle persone che aveva fatto soffrire e la speranza di un'improbabile redenzione.
Di Massimo Baglione e Cataldo Balducci.

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