Gara 55 - Bando e racconti

Qui ci sono tutte le vecchie Gare letterarie, dal 2008 all'estate 2018.
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Skyla74
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Gara 55 - Bando e racconti

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Gara 55- La Capsula del tempo

Una capsula del tempo è un contenitore preparato per conservare oggetti o informazioni destinate ad essere ritrovate in un'epoca futura. Si tratta di un metodo per comunicare in modo unidirezionale con il futuro e non va confusa con la macchina del tempo.
Molte capsule del tempo sono preparate da singole persone, altre vengono deposte in cerimonie di inaugurazione di edifici o eventi importanti. Il contenuto può comprendere oggetti rappresentativi dell'epoca, giornali, registrazioni, fotografie, monete ecc.
Le capsule del tempo sono contenitori studiati per durare nel tempo salvaguardando il contenuto. Possono essere piccoli barattoli oppure intere stanze sigillate. L'atmosfera interna può essere alterata per ridurre il contenuto di ossigeno e limitare l'ossidazione. Il posizionamento deve essere fatto in modo da consentire il ritrovamento in un'epoca prestabilita e all'esterno possono essere apposte indicazioni sulla data di apertura, tenendo conto dei possibili cambiamenti nella lingua usata. (Fonte: Wikipedia)

Come potrete immaginare dopo questa introduzione, il tema della gara è:

“La capsula del tempo”
Cosa metterete nella scatola del tempo? Lettere, oggetti, fotografie, telefoni cellulari, videogiochi? Che aspettative avete nel riporre i vostri preziosi ricordi? Con che stato d’animo la aprirete in futuro? Saranno gioie o rimpianti?
Potete elaborare il racconto come meglio preferite. Non dev’esserci necessariamente tutto il rito dal sigillo all’apertura, potete anche solo insistere su uno dei due eventi, ma nulla vi impedisce di seguire tutto il percorso. I racconti possono essere di ogni genere (vedere regolamento generale per le eccezioni), in particolare gradirò quelli a carattere personale. Non che io non apprezzi la fantascienza, ma non vorrei che l’apertura delle capsule avvenisse invariabilmente sulla galassia di Andromeda con la Terra ormai devastata da un Fallout atomico :-D
Sarà inoltre previsto 1 voto in più al miglior commentatore.
Per lunghezza e formattazione riferirsi al regolamento generale.
viewtopic.php?f=80&t=2308

In breve:
- Chi partecipa alla gara e poi non commenta e vota gli altri racconti, sarà escluso dalla gara.
- Il blocco di commenti migliore sarà premiato con 1 punto a giudizio insindacabile del banditore.
- lunghezza massima del testo: 1000 parole o 6000 caratteri (spazi inclusi) con una tolleranza del 10%;
- ogni racconto dovrà essere corredato di un’immagine, da inserire preferibilmente in apertura del vostro brano;
- voti da 1 a 5, consentiti anche i tagli a mezzo (1,5 e così via fino al 5);
- i racconti postati non potranno più essere modificati se non a gara conclusa; al termine dei giochi, si potranno apportare eventuali modifiche per la pubblicazione sull’e-book.


I racconti potranno essere postati su questa pagina fino alle 23.59 del 20 ottobre 2015.
Chi vincerà avrà l’onore e l’onere di organizzare la gara successiva.

I premi saranno:
1. Pubblicazione dei racconti in digitale, con il consueto e-book.
2. Diploma, accompagnatoria e banner, pensato su misura da Ser Stefano per il proprio racconto.
3. Un cucciolo di pura razza “Cerbero” con Pedigree, che verrà recapitato nella notte del 31 ottobre in un elegante pacco dono. Fai conoscere“Bravi Autori” anche ai tuoi amici per avere diritto anche a un Satanasso sputa fiamme, ideale nella stagione invernale. (offerta non cumulabile con altre promozioni in corso).

Potete pubblicare i racconti di seguito dal 01/10/2015 al 20/10/2015.
Potere chiacchierare a volontà a questo indirizzo:
viewtopic.php?f=80&t=4848
offrire spunti e commenti ma… attenzione! Spoiler e voti solo a partire dal 21/10/2015 quando si apriranno ufficialmente le votazioni che si concluderanno il 31/10/2015. Nella notte di Halloween (o forse anche il giorno dopo se parteciperò al consueto sabba) verranno proclamati i vincitori!

Grazie a tutti quelli che vorranno partecipare!
Skyla
Ultima modifica di Skyla74 il 05/10/2015, 18:17, modificato 1 volta in totale.
Le paranoie limitano la vita.
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Angelo Manarola
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Re: Gara 55 - Bando e racconti

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COSA SAPREMO DIRE DI NOI
(pertinente o fuori tema?)



Belenda era una donna moderna. Studiava, rifletteva, approfondiva e sperimentava. La sua più grande sfortuna, tuttavia, era l'epoca in cui viveva. Se il medioevo, infatti, mal si conciliava con l'attività di studioso, per una donna equivaleva al probabile rischio di ritrovarsi legata ad un palo sopra una pira di legna.

Per sua fortuna nello staterello in riva al mar ligure dove abitava, l'inquisizione pareva non esistere grazie al convento di frati domenicani acerrimi nemici di alcune istituzioni ecclesiastiche e anche loro dediti a studiare, pur nel rispetto di Dio, più di una scienza tra cui l'alchimia e l'astronomia.
Anche il popolo, pur temendola spaventato dal suo sapere e da quella spontaneità che solo le menti brillanti hanno, si avvaleva delle sue arti ogniqualvolta ci fossero malanni sconosciuti o gravi.

Una sera di primavera ricevette una visita inaspettata; nella sua dimora entrarono tre persone a lei ben note. Di uno era amica fraterna da anni; si trattava di Frate Bartolomeo, anch'esso studioso e col quale spesso si scontrava troppo legato, sosteneva sempre, ai tanti dogmi cattolici che lei, pur credente, non accettava perché a tutto, affermava, c'è sempre una spiegazione logica. L'altra persona era il delegato degli Sforza presso il marchesato dove viveva e il terzo, lo stesso marchese Alfonso del Carretto.
Si alzò immediatamente facendo un ossequioso inchino al suo illustre ospite balbettando qualche parola di circostanza; vero che spesso era chiamata al castello per alleviare qualche malanno ai nobili ma mai si sarebbe aspettata che il suo signore arrivasse a farle visita, per giunta privo di alcuna arma ed in forma così privata.

“Tranquilla donna Belenda, non c'è alcuna malattia o dolori di cui tu debba occuparti. Sono appena tornato da una visita al nostro alleato Il Moro a Milano. Ho conosciuto un toscano alla sua corte e ammirato la sua abilità di pittore al convento di Santa Maria delle Grazie e soprattutto il suo acume come inventore e progettista. Gli Sforza sono convinti che attraverso le sue opere, il ricordo di Milano e degli Sforza rimarrà a imperitura memoria nei secoli a venire. Il mio amico qui presente, delegato proprio degli Sforza nel nostro territorio, sostiene invece che il tempo corrode e distrugge tutto, mentre fra Bartolomeo si è trincerato dietro un diplomatico -nessuno lo può sapere-. A questo punto la mia curiosità mi ha spinto a chiederti il tuo parere dato che, più e più volte, mi hai sorpreso con la tua sagacia.”

Rinfrancata dalla certezza che quell'inaspettata e illustre visita non era dovuta ad accuse di stregoneria ma, anzi, come evidente dimostrazione di stima nei suoi confronti, fissò per alcuni minuti un punto indefinito riflettendo sulle varie opinioni.

“Mio Signore, già nelle vostre terre abbiamo degli esempi di cose e ingegnosità tramandate ai posteri: non solo i ponti della vicina via Julia Augusta costruiti dai Cesari ma anche la strada che collega il sacro suolo di Roma alla Francia. Nei libri della sua stessa biblioteca, che mi ha concesso l'onore di poter esaminare, si vedono disegni e descrizioni di imponenti costruzioni non solo nella Roma imperiale ma anche in ogni luogo dove quella civiltà avesse posato i piedi. Anche al di là del mare, nell'Africa, piramidi maestose paiono sfidare il cielo e chissà quante altre meraviglie sono state ideate e ancora ci sono sconosciute. E' ovvio che ogni uomo voglia tramandare ai posteri non solo la propria grandezza e potenza ma anche semplicemente la propria esistenza. Tuttavia è anche vero che nelle rocce del marchesato si vedono conchiglie tramutate in pietra di cui tutti ignoriamo il motivo. Perciò se il buon Dio decidesse di distruggere tutti gli uomini come ha fatto con quei gusci, a nulla servirà dipingere, scolpire e costruire alcunché. Presumibile che negli anni futuri saranno progettate altre soluzioni per tramandare ricordi, avvenimenti ed esistenze. Rimango tuttavia ferma al mio parere che solo gli uomini stessi potranno portare avanti il loro ricordo e lo faranno per tutti indistintamente e non solo riguardo ai grandi uomini o condottieri. Ogni nuovo nato infatti, son sicura, ha dentro di se qualcosa dei genitori e dei nonni e dei bisnonni e ancora indietro fino ad arrivare ai figli di Adamo e Eva. Nessuno di noi morirà mai completamente finché sarà in vita un proprio discendente e solo questo farà in modo che le genti future, o nuovi uomini che potrebbero giungere chissà da dove e con nuove intelligenze, possano sapere, conoscere e apprendere.
La vita stessa è il mezzo stesso che illustrerà a nuovi arrivati chi siamo, cosa eravamo e capire allo stesso modo, anche cosa saremo.”

“Gli uomini di grande pensiero vorrebbero lasciare notizie della propria esistenza anche quando e se, l'umanità potrebbe non esistere più. Col tuo ragionamento, morto l'ultimo uomo sulla terra, la luce della conoscenza e dei ricordi si spegnerebbe per sempre” obiettò l'acuto frate.

“Vero; ma scoprire e capire cosa erano gli uomini a questo punto sarebbe un problema di altri esseri che verranno ad abitare questa terra. Chi siamo noi per assumerci la boria di voler insegnare ad altri quando, noi stessi, nutriamo dubbi sulle nostre medesime possibilità e abilità?”

La serata si concluse con il marchese e il delegato che, dopo aver salutato donna Belenda e scortato il frate al proprio convento, si dirigevano a cavallo verso il castello.

“Hai risolto i tuoi dubbi di cui abbiamo discusso durante il viaggio di ritorno da Milano, Alfonso? Per conto mio mi trovo ancora più confuso dopo tutte quelle differenti congetture pur se tutte brillanti.”
“Potrebbero avere ragione gli Sforza, come il frate o la fattucchiera. Di una cosa in questo momento sono certo: domani tornerò al convento e ordinerò al priore di aprire la scuola anche alle fanciulle. Che Ludovico si tenga il suo Leonardo; io mi terrò nel prossimo futuro tantissimi Bartolomeo e altrettante Belenda. Inutile voler tramandare all'infinito il proprio ricordo, se non si raggiunge prima possibile l'armonia e la conoscenza tra tutti i nostri contemporanei.”
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Giorgio Leone
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JACK'S TIME CAPSULE (THE LAST ROOM)

Messaggio da leggere da Giorgio Leone »

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Di tutti i tycoon in circolazione Jack Letrenette è quello che mi affascina di più. Si è fatto dal nulla sgomitando e, raggiunto il successo nell’alta finanza, ha avuto una carriera con vertiginosi alti e bassi. Nato in Idaho da un piccolo allevatore di tacchini emigrato dalla Francia e una bidella, con un Master in Business Administration alla Columbia è riuscito a diventare partner di Goldman Sachs Asset Management prima di fondare A.A.A. Alpha Alpha Advisors che attualmente amministra risorse per dodici miliardi di dollari. Con gli amici si vanta delle sue umili origini, come pure di essere violento e vendicativo tanto da avere ucciso due uomini nel corso della sua vita senza pagare il conto alla giustizia. Poi aggiunge che stava scherzando, ma io non ne sono affatto convinto.
E’ uno dei più importanti collezionisti di opere d’arte che, diversamente da altri, tiene gelosamente nascoste evitando di prestarle a musei e mostre. Il suo hobby mi interessa poiché anch’io sono un collezionista, anche se molto particolare perché mi limito a collezionare le collezioni degli altri, di qualunque natura siano. Come avrete capito sono un ladro e ora Jack, come per stuzzicarmi, ha comunicato di avere concentrato tutti i suoi capolavori in una capsula del tempo. Naturalmente questa capsula è concepita alla grande ed è costituita da un infinito insieme di stanze sigillate nei sotterranei della sua villa di Fort Lauderdale in Florida. Tuttavia il mondo non dovrà aspettare secoli per la sua apertura, come per altre capsule simili, perché Jack ha stabilito che la cerimonia dovrà avvenire dopo la sua morte alle 10 di mattina del giorno del suo compleanno. E naturalmente ha già venduto a caro prezzo i diritti di sfruttamento dell'evento ai media.
- Solo quando vedrete l’interno della mia capsula del tempo - ha detto al David Letterman Show – capirete veramente chi io sia stato! Ad aprirla sarà J.J., all’anagrafe Jack Junior, il figlio cretino e drogato unico erede delle mie sostanze, a meno che non decida di risposarmi. Perché mia moglie Darleen, che Forbes ha definito “tutta rifatta e quasi sempre fatta”, poco tempo fa è scappata con il suo personal trainer, e non certo a mani vuote. E’ quindi vero quello che si mormora alle mie spalle, David! Quella troia mi ha ripulito, ma non si è presa niente di più di quello che mi sarebbe costata con un divorzio. C'è però una buona notizia. Levando il disturbo di sua volontà e facendosi diseredare mi ha risparmiato la parcella di quel maledetto vampiro del mio avvocato!
Capito di che personaggio stiamo parlando? Ma probabilmente adesso vi chiederete come possa pensare di violare la sua capsula che, ovviamente, sarà protetta con ogni accorgimento possibile tanto da essere inespugnabile. Molto semplice! Dovete sapere che non esiste nulla al mondo che non si possa comprare, per cui ho deciso di investire in questo colpo, l’ultimo della mia carriera, tutto quello che ho guadagnato nella mia vita. Non certo quattro soldi, eppure sono stati appena sufficienti per ottenere da molte persone avide i codici d’accesso, le password, i pin e le chiavi segrete elettroniche necessarie per bypassare impianti di allarme, lettori di cornea e di impronte digitali e vocali, trappole laser, telecamere nascoste, sensori di calore e chi più ne ha, più ne metta.
E finalmente ora sono dentro la capsula, ho acceso le luci e, passando di stanza in stanza, non posso credere ai miei occhi. Sembra che tutti i capolavori del mondo, conosciuti, sconosciuti o anche dimenticati perché scomparsi da tempo, siano davanti a me senza essere disposti in nessun ordine logico, legati solo dal filo conduttore della bellezza assoluta e universale. Infatti, uno dopo l’altro, posso ammirare un Raffaello, un Velasquez, un Manet, un Tiepolo, un Cezanne, un Donatello e così via. Non so quanto tempo ci impiego, ma infine arrivo in prossimità di una stanza che, a differenza delle altre, è chiusa. Proprio allora avverto la canna di una pistola contro la nuca.
- Ma guarda un po’ chi abbiamo qui, un fottutissimo ladro! - dice una voce alle mie spalle e così mi volto e vedo Jack che, come da informazioni comprate a caro prezzo, non dovrebbe essere qui, ma in Europa. C’è poco da dire, così sto zitto e lui continua.
- Stupito di vedermi? Non è la prima volta che sto per partire, ma poi non ce la faccio. E’ troppo difficile separarmi dalla mia capsula. Pensa che, oltre al sottoscritto, solo tu al mondo hai potuto goderne il contenuto che nessun altro vedrà mai.
- Beh, almeno sino a quando verrà aperta dopo la tua morte. – puntualizzo.
- E invece no! Ogni anno, qualche tempo prima del mio compleanno, premo un pulsante nascosto che, quando sarò morto, nessuno premerà. Per cui, il giorno prima di quello di apertura, un bombardamento di raggi laser distruggerà tutto quello che esiste qui dentro e che è mio, solo mio. Morto io, infatti, morti tutti e finisce il mondo. Nessuno avrà il diritto di vedere quello che il sottoscritto non potrà più vedere. Questa è la mia personale interpretazione della capsula del tempo che, in realtà, è una capsula “a” tempo! Tutti la usano per trasmettere qualcosa ai posteri, io per il motivo contrario.
- Sei pazzo, non puoi farlo!
- Oh sì che posso, e lo farò. Sono sempre stato uno stronzo egoista e, con il passare del tempo, sono peggiorato. Ma adesso entra nell'ultima stanza o ti sparo in testa.
Così apro un’enorme porta stagna e immediatamente mi investe un lezzo immondo di putrefazione. Dentro ci sono due morti d’annata – sicuramente le persone che si è sempre vantato di aver ucciso – e altri due freschi completamente nudi, una donna e un uomo molto muscoloso. La moglie Darleen e il personal trainer.
- Ma perché non hai semplicemente divorziato? Perché ucciderli? - gli chiedo.
- Prima di tutto perché nessuno può pensare di prendermi impunemente per i fondelli. E poi, come pensi che si diventi straricchi, regalando centinaia di milioni alle puttane e ai loro gigolò? Con i soldi risparmiati ho comprato all’asta due Picasso e un Van Gogh.
Poi mi dice addio, esce richiudendo la porta, spegne la luce ed io rimango da solo al buio, morto fra i morti, nell’ultima stanza della capsula del tempo di Jack.
Ultima modifica di Giorgio Leone il 15/10/2015, 8:46, modificato 3 volte in totale.
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Patrizia Chini
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Re: Gara 55 - "Questo dura cent'anni"

Messaggio da leggere da Patrizia Chini »

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Era cominciato tutto in un mattimo pioviggionoso di settembre del lontano 2001… o fu solo l’occasione che mi spinse a mettere a fuoco il problema.
Libera dall’impegno di lavoro ero rimasta a lungo a letto un po’ disturbata dal tempo tipicamente autunnale con bruschi cambiamenti di temperatura e scrosci improvvisi di pioggia battente.
Quando finalmente mi misi in piedi, sul tavolo di cucina mi preparai un cappuccino, mi sedetti e, con il telecomando, accesi il televisore… era l’ora del TG.
Dopo qualche notizia veloce sugli ultimi avvenimenti, il giornalista annunciò un servizio sui progressi della robotica.
E apparve! Sembrava un giocattolo. Era in piedi su un banco, le gambe leggermente piegate in un atteggiamento catatonico, un robot della grandezza di un bimbo di sei anni: un maestro che stava tenendo a un gruppo di allievi universitari una lezione di informatica.
E la cosa più buffa è che quelli lo stavano a sentire! No! Non lo potevo guardare! Come si può accettare un automa per insegnante?
Avevano iniziato con gli studenti universitari, ma sarebbero arrivati a sostituire il corpo docente della scuola primaria e poi forse anche quello degli asili e -cosa assurda!- avremmo avuto anche delle nursery tutte robotiche…
I robot potevano ottenere la stessa attenzione e lo stesso impegno che un maestro amato può ottenere? Ero convinta che nel rapporto didattico, perché s’inneschi la curiosità, quindi la volontà di impegnarsi nello studio, c’è bisogno di due elementi fondamentali. Il primo è il fine, la meta da raggiungere che dà un senso a quello che si fa. Il secondo, ma più importante, è l’affetto che deve fluire nei due sensi tra il docente e l’allievo e, più del primo, motiva l’impegno nello studio.
Questa mia teoria non era contemplata dallo scenario, invece, che ci stavano costruendo per i nostri discendenti era agghiacciante, una scuola fredda, popolata di robot dove erano esclusi i sentimenti, il contatto caldo dei corpi con gli abbracci e le carezze che consolano chi sbaglia o gratificano chi fa bene…
─ Che possiamo fare? ─ andavo chiedendo un po’ a tutti.
─ Il futuro sarà migliore, lavoreremo di meno e nelle scuole i robot garantiranno l’esattezza dello scibile trasmesso… Lascia perdere, la tua è una battaglia persa quanto inutile.─ mi rispondevano.
Mi resi conto che la mia sarebbe stata davvero una battiglia persa se l’avessi condotta da sola, quindi dovevo assumermi la responsabilità di fermare la robotizzazione della scuola e annullare le conseguenze che portava con sé.
In questo progetto ebbi sempre l’appoggio delle mie amiche.
─ Specialmente nella scuola dell’infanzia non si possono lasciare i bambini nelle mani (mani? Tenaglie di ferro che se impazzissero stritolerebbero i poveri malcapitati che transitassero nei paraggi) di queste macchine intelligenti!
C’era sempre però qualche bastian contrario che rispondeva con tono saccente:
─ Chi l’ha detto, poi, che il progresso non è gradito dalla scuola? Chi lo dice che un’atmosfera fredda e correzioni asettiche, non gioverebbero all’apprendimento?
Rispondevo che come mamma, nel momento dell’errore o della difficoltà di mio figlio, avrei preferito che una persona, uomo o donna non aveva importanza, gli stesse vicino, gli facesse sentire tutta la sua comprensione e lo rassicurasse per un futuro successo… insomma un maestro (o una maestra).
La lotta era impari. I proseliti del progresso tecnologico agguerriti.
Mi arresi, non si può arrestare il progresso, una macchina che aumenta la sua velocità in maniera esponenziale… Decisi, comunque, di scegliere un segno, un simbolo della scuola che, pur con i suoi difetti, amavo; doveva essere un oggetto che stimolasse la riflessione, lo scambio di idee, il dialogo e la discussione negli ambienti dove si studia ma anche fuori.
Pensai allo strumento usato dagli insegnanti per correggere i compiti scritti: quel matitone a due colori, rosso e blu rispettivamente per gli errori gravi e per quelli lievi.
L’oggetto era di una semplicità unica eppure raccontava molto della nostra scuola, il suo uso discrezionale lo rendeva potente, poteva affondare lo stiletto con chi era restio a correggersi, poteva calcare meno gli errori dei ragazzi fragili per non stroncarli. Dava all’errore una sua dignità, una sua ragion d’essere, soprattutto ricordava a chi lo usava e a chi lo subiva che nel percorso della crescita l’errore ci sta, si apprende sbagliando. Non si deve temere di sbagliare, si deve sbagliare. Il valore di quella matitona a due punte era legato alle attenzioni e alle strategie che le mani sapienti delle maestre e dei maestri, in carne e ossa, seguivano come in un rito magico. A volte temuto a volte amato rappresentava bene la scuola… con la sua severità o meno dosata al momento giusto.
Uno strumento inutile nella scuola dei robot dove sarebbe presto sparito!
Radunai le mie amiche con le quali decisi, per fare in modo che anche le generazioni future potessero conoscerlo e apprezzare i colori e il calore della vita che aveva intorno, di affidare questo compito a una capsula del tempo.
Nel cofanetto d’acciaio, scelto per questo scopo e sigillato con un collante che sarebbe durato a lungo nel tempo, avevamo inserito la matitona dai due colori, una lettera alle persone che avrebbero aperto la capsula e una pennetta usb con il video di un giorno di scuola in una classe di bambini di prima elementare.
Portammo la capsula al ministero della Pubblica Istruzione e lo consegnammo al sottosegretario di turno perché il Ministro era occupato in una riunione importante.
Consegnammo anche una lettera, dieci copie della quale erano state spedite al Capo del governo, al Presidente della Repubblica e a altri vari “capoccioni”, dove spiegavamo il perché della capsula: “Perché non si perda la memoria della scuola delle “maestre dalla penna rossa e blu””
L’apertura era fissata al 4 ottobre 2101 fidandoci di ciò che ci aveva assicurato, tra il serio e il faceto, il rivenditore del collante:
─ Questo dura fino a cent’anni!
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Alberto Tivoli
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Re: Gara 55 - Bando e racconti

Messaggio da leggere da Alberto Tivoli »

NOI SIAMO MORTI, VOI SIETE VIVI
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Il silenzio nel cortile della scuola era rotto dal cigolio della giostra. Lo stridio andava e veniva al ritmo delle spinte con cui Vittorio, Filippo e Giovanna matenevano in moto il giocattolo. I tre amici, a turno, afferravano il cerchio fisso di metallo incrostato di giallo e, tenendosi ai tondini che fungevano da braccioli delle seggiole, tiravano in obliquo verso di loro.
- Ci avete pensato su? – chiese Giovanna.
Vittorio annuì e sporse le labbra come per baciare una minuscola boccuccia.
- Non ha senso – disse Filippo.
- Ancora! Abbiamo deciso, parteciperemo; su questo non ci si ritorna. Non puoi tirarti indietro – spiegò Giovanna.
- Ha ragione, se non partecipi non puoi nemmeno fare parte di noi.
- Voi? Noi? Siamo in tre, siamo una confraternita di sole tre persone.
- Ma poi, dico – continuò Filippo – dobbiamo per forza decidere oggi? Non è meglio parlarne ancora un po’, rimandare la decisione.
- Entro questa settimana dobbiamo inviare la nostra proposta, non c’è più tempo, dobbiamo decidere. E di certo non c’è più tempo per tirarsi indietro. A volte sei proprio odioso – protestò Giovanna.
- Tu e le tue psicosi! – sbuffò Vittorio.
- E va bene, va bene. Sentiamo che avete pensato voi.
- Allora – iniziò Giovanna – bisogna mandare un messaggio di speranza e di forza, di coraggio. Ecco, di verità e coraggio.
- Hai ragione – concordò Vittorio – al bando la malinconia, l’introspezione solitaria, la mia vita ne è già piena.
- E cosa c’è di reale, me lo dite? Come si fa a non essere pessimisti – protestò Filippo.
- Sei davvero palloso. Eppure sei spirituale e fantasioso; a modo tuo, certo, ma lo sei – disse Vittorio, e proseguì – Giovanna, dobbiamo esaltare la verità, il coraggio degli uomini comuni, i sacrifici della nostra quotidianità. Questo è il messaggio che dovrà essere affidato alla capsula del tempo della nostra città.
- Abbasso i falsi eroi, abbasso gli ingarbugliati sproloqui dei potenti, inutili e senza significato. Il potere ci mente.
- Ma sentila – intervenne Filippo – che ne sai che penseranno tra mille anni, come saranno umani, te lo sei chiesto? Io non saprei rispondere oggi, e credo che neppure loro ci riusciranno.
- Per questo motivo dobbiamo suggerirgli un’interpretazione olistica della storia, una visione che tenga conto della provvidenza. E, di certo, con il loro punto di vista ci daranno ragione, potranno guardare alla nostra epoca e risalire lungo il corso degli anni - ribatté Vittorio.
Filippo si prese la testa tra le mani e mormorò - A volte vorrei che una mente trascendente e razionale prendesse possesso della mia e mi guarisse.
- Mamma mia, che pesanti che siete! Forza, ognuno scriva il proprio messaggio – esortò Giovanna.
La giostra si fermò, sussultando intorno a un alberino rugginoso, gravata dal peso dei tre amici troppo adulti per le sue sedioline.
Filippo e Vittorio riposero le penne in tasca e alzarono i biglietti al cielo, come bandierine, stretti tra l’indice e il pollice. Giovanna fece il giro e prese gli scritti degli amici. – Allora – disse – “Non siate ciechi o, peggio, mezzi ciechi” questa è tua Vittorio; “Non smettete mai di crederci altrimenti il mondo scomparirà. Noi siamo morti, voi siete vivi” e questa, ovviamente, è tua Filippo. Che scoramento! Però ha un suo fascino.
- E ora la mia “Non credete a quello che vogliono farvi credere, credete a ciò che è”.
- Lo so, lo so – continuò Giovanna di rimando alla bocca spalancata di Filippo – per te non c’è nulla di reale o, comunque, non è roba per noi.
- Pensi che vinceremo? – domandò Vittorio, fissando Giovanna.
- Al sindaco arriveranno migliaia di proposte ma, anche se non faccio parte della maggioranza, alla presentazione credo che riuscirò a sponsorizzare le nostre idee.
- Non è meglio accompagnare le frasi con una nota esplicativa? Magari un raccontino sulla situazione attuale, potrei scriverlo io – propose Filippo.
- Potrei anche scriverlo io – si piccò Vittorio.
- Oh, ma tu sei così prolisso! – lo schernì Giovanna.
- E lui scrive in un modo che lo capiranno solo dopo che sarà morto!
- Allora è proprio il caso che lo scriva io – concluse Filippo.
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carlocelenza
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Re: Gara 55 - Bando e racconti

Messaggio da leggere da carlocelenza »

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Una pillola amara
Io demolisco case, lo faccio per professione, non per divertimento, ho una ruspa e in un solo giorno sono in grado di eliminare una villetta fondamenta comprese.
L'incarico di oggi è di demolire casa mia, o quella che una volta lo era.
Imbarazzante.
Quando sono arrivato col camion per scaricare la ruspa erano già tutti li a aspettare, pompieri, genio civile e carabinieri. Strada bloccata per l'intero giorno, proteste dei vicini e casini vari.
Era proprio lei, due piani di un giallo sbiadito venato di ruggine e una cantina.
Una volta fatta scendere la ruspa dal pianale del camion vado a parlare con i pompieri per pianificare il lavoro, ma quelli si accorgono che sono distratto da qualcosa e smettono di parlare.
- Qualcosa non va signor Rossi? - chiede uno di loro.
- Scusate – rispondo dopo un attimo dissimulando le mie vere intenzioni – ho qualche dubbio sulle fondamenta, vorrei andare a controllare di persona. -
- Certamente – mi risponde - venga l'accompagno. -
- Preferirei andare da solo se non le dispiace, non vorrei essere distratto. -
- Come vuole, vedo che il casco lo ha già, faccia come se fosse a casa sua. -
Loro non lo sanno, e io l'avevo scordato, strana cosa i ricordi.
Mi avvio attraversando il giardino in cui giocavo da bambino, apro la cadente porta d'ingresso e scendo le scale che portano al seminterrato.
È vuoto adesso, il pavimento è coperto d'acqua e i muri pieni di muffa di salnitro.
Non faccio un passo, non devo controllare nulla, solo me stesso e l'assalto dei miei ricordi.
Uno specchio rotto in una cornice polverosa è ancora appeso a una parete.
Rimanda una frammentata immagine di me. Mezzo occhio e una parte di naso, affiancati a una bocca troppo in basso per associarla a un viso completo e sono io anche se non mi riconosco.
Sono confuso, non so cosa cercare dentro di me ma sopratutto cosa allontanare, a volte i ricordi puzzano come vecchi cadaveri.
Continuo a fissare lo specchio, ricordando malvolentieri, rievocando vecchi dolori.
Un luogo, un contenitore di ricordi pronto a essere distrutto, come se aggiungessi violenza a quanta ne hanno già vista queste mura, ma i miei ricordi resteranno.
Cerco di scuotermi da quell'empasse, giro lo sguardo verso un piano di legno dove mio padre scriveva di se, accanto alla stufa a carbone che riscaldava la casa.
Passava giornate intere a riempire in un elegante e ordinato corsivo, pagine di carta giallastra e lucida, con le memorie di una guerra che aveva distrutto ogni sua certezza.
Come puoi dire male, come puoi dire bene?
Non ci sono parole per quel che non capisci.
Vorrei poter cancellare i miei ricordi, fingere di aver avuto una vita diversa, serena e felice, in cui l'unico rimpianto sia la giovinezza persa e sbrodolarmi nella nostalgia.
La vita il più delle volte si subisce.
Non potevo farlo, quando da giovane avrei voluto distruggere quella casa, ma ora si.
Avrei commesso un crimine allora, ma ora mi pagano per farlo e allora voglio divertirmi a ridurti in briciole, incolpevole specchio di una tragedia.
Torno fuori e in silenzio salgo sulla ruspa accendendo luci e sirena. Si comincia ragazzi, godetevi lo spettacolo.
La camera di mia madre va giù per prima, poi tocca a mia nonna, mio fratello l'avrei voluto sgretolare per primo ma era come sempre nascosto dietro qualcosa o qualcuno o qualche principio.
L'ultima è la cantina, mi prendo una pausa, scendo e fumo una sigaretta.
Non ho cancellato il mio passato, ho solo il rimpianto di non aver capito in tempo quanto eri confuso, tu che non chiedevi aiuto.
La sigaretta finisce e anche il mio tempo.
Finisco il lavoro e liscio il terreno ormai scoperto.
Sembra una tomba appena ricoperta di terra in mezzo a un prato.
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Ida Dainese
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Re: Gara 55 - Bando e racconti

Messaggio da leggere da Ida Dainese »

Foto di Loris Prandin
Foto di Loris Prandin
Un regalo da lontano

L’uomo aspettò che calasse il buio poi uscì dal limitare del bosco e furtivo entrò nella baita. Era casa sua, ma nessuno lo aspettava all’interno. Ne fu contento, ormai era rischioso starsene lassù per sua moglie e suo figlio, meglio che fossero in paese dai genitori di lei, tanto più che lei aspettava un bambino.
La guerra sembrava voler durare per sempre, nascondersi tra le montagne era una cosa per gli uomini, non per le famiglie.
Dentro la baita non accese la lanterna né il fuoco; frugò tra le poche cose per cercare un maglione, una coperta, del cibo. Non si sarebbe fermato a lungo, rischiando di farsi trovare dai militari, giusto qualche ora di sonno fino all’alba e poi doveva raggiungere i compagni per la missione dell’indomani.
Aprì gli occhi al suono lontano di campane, il cielo era appena rosato. Immaginò le voci dei suoi cari, i volti, il sorriso di quel figlio che stava per arrivare, i loro passi sulle vie del paese.
Dentro a una cassetta nell’angolo della dispensa trovò della carta, un paio di pennini e una boccetta d’inchiostro, si guardò intorno e gli venne un’idea.

* * *

Giulia aveva preparato il lettino per la sua bambola nell’angolo tra il muro e il bordo del caminetto ma l’ultima pietra non era a filo come le altre e cigolava.
- Che cos’è? – chiese Giulia al fratello, armeggiando in ginocchio su quel lato.
- Fai vedere! – disse Mauro, scostando la mano della sorellina e la bambola.
La pietra su quel lato in basso era stata smossa. Con sforzo riuscì a estrarla e Giulia si chinò a sbirciare nel buco terroso.
- C’è una scatola! –
Il ragazzo osservava la pietra che era stata scalpellata in modo che fosse meno spessa delle altre poi si chinò anche lui.
- Chi vuoi che metta una scatola in un posto simile?
- Che ci sarà dentro?
- Va’ a chiamare il nonno, è qui fuori, nell’orto. –
La bambina corse fuori nella fresca mattina d’estate e respirò forte quell’aria che sapeva di pini e di fiori. Le piaceva passare le vacanze dai nonni in montagna, le piaceva quel terreno mai piano, su cui a volte era così faticoso avanzare e a volte si poteva correre giù come una palla.
Finalmente il nonno aveva acconsentito a portarli lassù, lungo i sentieri del bosco, in quella baita più in alto, dove seduti sulla soglia della porta si potevano guardare le nuvole incagliarsi sulla montagna immensa che si ergeva dall’altra parte della valle.
- Ha ragione Giulia, è una scatola di metallo. – affermò il nonno – Ci si mettevano le sigarette o il tabacco per la pipa.
- Ma tu non fumi, nonno. E poi, guarda, è molto vecchia. –
Aiutandosi con la lama di un coltellino il nonno riuscì ad aprire la scatola, dentro c’erano un’immagine sacra, due vecchie monetine, un anello d’oro e un foglio ripiegato.
- Guardate! – esclamò la bambina – La Madonna della neve! Uguale a quella che c’è nella chiesa, giù in paese.
- Sulle monete c’è un’aquila con scritto “1 L”, è una lira del 1936 – aggiunse il ragazzo.
Il nonno aveva aperto il foglio e leggeva in silenzio mentre le mani tremavano.
I nipoti si guardarono incuriositi e preoccupati:
- Nonno, perché piangi? –
L’uomo passò il fazzoletto sugli occhi e rimise gli occhiali.
- È una lettera, bambini, una lettera di mio padre.
- Del bisnonno Pietro, vuoi dire? Ma è morto durante la guerra, come ha fatto a scriverti?
- Mi ha scritto tanto tempo fa e ha lasciato qui la lettera perché un giorno la trovassi. Aveva mandato me e mia madre dai nonni, ma dopo la nascita di mia sorella non siamo più tornati quassù. Adesso ci vengo solo io, per l’orto.
- Perché il bisnonno vi aveva mandato via? Perché non è sceso con voi?
- Perché c’era la guerra e lui combatteva con i partigiani sulle montagne. Vivere quassù da soli era pericoloso.
- Cosa ti ha scritto, nonno? Ce la leggi?
- “Mia amata sposa, mio caro figlio,
sono passato per salutare questa casa, domani faremo qualcosa di pericoloso e ho paura di non tornare più qui. Mi mancate tanto, tanto. Eppure siete sempre con me, nella mia testa, quando sono stanco, quando ho paura. Sarete sempre con me, anche quando sarò morto. Vorrei che queste montagne un giorno tornassero belle e sicure, per voi, per i miei nipoti e per i loro figli. Vi lascio tutto quello che ho di più prezioso: a te, mia sposa, la fede nuziale simbolo del mio amore, ai miei figli queste due monete con la mia benedizione, e quest’immagine perché vi protegga.
Le lacrime in questa lettera non sono di tristezza ma di gratitudine per voi, miei cari, che il Cielo ha voluto donarmi.
Siate benedetti e ricordatemi!
Pietro, marito, padre e forse nonno.” –
Nel minuto di silenzio che seguì sembrò a tutti che il bisnonno, dovunque egli fosse, avesse udito e ne fosse contento. Poi Giulia sorrise:
- Oh, nonno, ma ha scritto anche a noi!
- Sì, è proprio così. Perciò queste due monete sono vostre ora, ve le regala lui.
- L’ultima volta le ha toccate lui. – rifletté Mauro a voce alta e sfiorare quella moneta diventò qualcosa di incantevolmente magico. Si girarono a guardare la montagna, sentendo che anche i suoi occhi si erano posati là.
Il nonno mise la fede di suo padre nella lettera e la ripiegò per bene poi prese il cesto con le verdure e, col cuore leggero, si avviò con Giulia e Mauro sul sentiero di ritorno.
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Nunzio Campanelli
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Re: Gara 55 - Bando e racconti

Messaggio da leggere da Nunzio Campanelli »

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Il custode del tempo

Nella mia città, percorrendo la strada che conduce a Roma, ci si può ritrovare in un piccolo borgo, dove il tempo sembra essere trascorso con un ritmo diverso da quello usuale. Alcuni anni fa capitò a me. Nell’affanno di fare inversione per ritornare sulla mia strada, mi resi conto di trovarmi di fronte alla casa in cui ero nato. Dimenticando gli impegni, scesi dall’auto. Erano almeno quarant’anni che non mettevo più piede in quel luogo. Del resto, di quel periodo della mia vita non conservavo che pochi frammentati ricordi. Vidi un gruppo di anziani seduti poco distanti all’ombra di un frassino. Una vecchina con i capelli coperti da un fazzoletto scuro si fece avanti. Giunta a pochi passi da me, curva sotto il peso di un’età che doveva essere ragguardevole, puntò verso di me un dito ossuto, sussurrando:
- Tu… tu sei Sandro!
- Sì.
Replicai stupito.
- Non mi riconosci, vero?
Come potevo, avevo cinque anni quando la mia famiglia traslocò in una nuova casa.
- Mi dispiace, signora ma io…
- Non fa niente. Sono Malvina. Il mio nome almeno lo ricorderai.
- Sì, sì, certo, come no.
Risposi in evidente imbarazzo, poiché appariva chiaro che anche il nome mi era ignoto.
- Vieni, ti devo dare una cosa.
- Come… una cosa! No, guardi, devo andare via, è tardi.
- Lascia perdere, su, vieni.
Senza osare replicare, seguii la curva figura fin davanti a quella che doveva essere la sua casa. Entrò facendomi segno di aspettare. Dopo una decina di minuti Malvina uscì dalla porta tenendo in mano una cassettina di legno, delle dimensioni di una scatola di scarpe.
- Tieni. È tua.
Mi disse, porgendomela. La presi, e prima di riuscire a domandarle qualcosa mi anticipò.
- Non so che cosa c’è. Non l’ho mai aperta. Me l’ha data prima di morire la vecchia Marietta. Saranno passati una decina di anni. Di lei ti ricordi, almeno?
- No. Mi dispiace.
- Ho capito. Non ti ricordi niente.
- Aspetti. Marietta, non era la… la donna del malocchio? E poi, scusi, che ci devo fare con questa?
Mi rispose con un sorriso. Si fermò un attimo a guardarmi, poi ritornò a sedere all’ombra del frassino, riprendendo la conversazione con i suoi compagni, troncata dal mio arrivo.
Avrei voluto delle spiegazioni, ma era chiaro che Malvina non mi avrebbe detto più nulla. In ogni caso sentire quel nome dopo tanto tempo aveva evocato una moltitudine di ricordi che ora si affollavano a riemergere. In breve ne restai sommerso.
Da piccolo la mia mamma mi esibiva con orgoglio nelle passeggiate serali lungo la via. Quando si ritornava a casa, però, iniziavo un pianto disperato che terminava solo a notte fonda. Per risolvere il problema naturalmente i miei non mi portarono dal medico ma dalla vecchia Marietta, che non appena mi vide sentenziò un caso di “malocchio”, una sorta di negatività indotta da individui che ne avevano il potere sulle persone indifese, quali i bambini. A quei tempi la campagna si estendeva infinita intorno alle case, e l’influenza di antiche superstizioni era ancora intensa. La vecchia Marietta si occupava di “guastare” il malocchio.
Salii sull’auto, appoggiai la scatola sul sedile posteriore e partii di buona lena. Era ora di riappropriarsi di un tempo che scorresse con un ritmo normale. Trascorsi un’intensa giornata di lavoro, e la sera, dopo cena mi sistemai nello studio, per aprire la misteriosa cassetta. La scatola di legno, di antica età e fattura, era stata sigillata in più punti con la ceralacca. Mi aiutai con un coltellino e in poco tempo liberai il coperchio della scatola, che subito sollevai. All’interno trovai un’altra scatola, questa volta di cartone, anch’essa sigillata come l’altra, e una busta bianca con sopra scritto il mio nome. Quella specie di gioco mi andava incuriosendo sempre di più. Aprii la busta.
“Ciao Sandro, mi stai leggendo quindi vuol dire che hai sentito l’esigenza di tornare nei luoghi in cui sei nato. Magari ci sei capitato per caso. Non fa niente. Sai come chiamavano questo quartiere, quando ero giovane? Le casette. Il perché è di facile spiegazione, no? Eppure quelle casette, così piccole e insignificanti, da cui fuggire non appena possibile, come ha fatto la tua famiglia e tante altre, se ci rimani appena un po’ di più diventano parte di te stesso. Allora è fatta, non puoi più partire. Come è successo a me. Come è successo ad altri che, una volta assuefatti allo scorrere di questo tempo, non potrebbero più adattarsi a quello normale. Al vostro.
Devo affidarti un compito molto importante. Se accetti, devi aprire la scatola, dentro vi troverai un oggetto e un’altra lettera. Se no, considera queste parole come i vaneggiamenti di una povera vecchia.”
Senza pensarci sopra più di tanto, aprii velocemente la scatola di cartone, al cui interno trovai quello che aveva scritto Marietta. L’oggetto, pesante, era avvolto da un telo. Lessi il foglio contenuto nella seconda busta.
“Da piccolo, quando i tuoi genitori ti portavano da me, mi ero accorta che tu eri predisposto, più degli altri bambini, a poter svolgere il ruolo che è stato mio, e prima di me di una moltitudine. Quale ruolo? Quello di custode. Vedi, quella strana sensazione che si avverte quando si entra nel borgo delle casette, non è solo una… sensazione, appunto. Il tempo lì scorre davvero più lento. Non posso ora spiegarti come e perché. È un po’ complicato. Lo capirai da solo. Ora tutto questo ti sembrerà strano, al limite della follia. Non temere, ci sono passata anch’io, e prima di me gli altri custodi. Devi fare una cosa, per rispondere alle mille domande che ti staranno affollando la mente. Prendi l’oggetto che hai trovato nella scatola. Lì troverai tutte le risposte. Ah, dimenticavo. Aprendo la seconda scatola hai accettato l’incarico di guardiano del tempo. Non puoi tornare indietro.”
Finii di leggere quel foglio pensando che si trattava di uno scherzo di cattivo gusto. Presi comunque l’oggetto, lo liberai dal telo, e mi ritrovai tra le mani un antico volume rilegato in pergamena, dal titolo “URANIA Custode del Tempo varie considerazioni pubblicate da Geminiano Rondelli” stampato a Bologna nel 1700, le cui pagine stampate erano interamente ricoperte da annotazioni scritte da più mani. Cominciai a leggere.
Sono passati dieci anni da quel giorno, e sto ancora leggendo. Sono ritornato di casa nel borgo, guasto il malocchio e trascorro le giornate a discorrere con i miei compaesani. Tanto qui il tempo scorre più lento, e non faccio per dire. Non ho ancora trovato il mio possibile successore. Nel mio studio, sulla libreria, la cassetta di legno aspetta il proprio turno. Verrà il tempo in cui ritornerà a essere una “capsula del tempo”.
In tutti i sensi.
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Re: Gara 55 - Bando e racconti

Messaggio da leggere da nembo13 »

Camere del Tempo?

Un giorno d’estate del 2016.
Osservo sempre attivamente…
Il Sole è caldissimo, le sabbie eterne sono di color oro.
In fondo alla mia visuale le vedo.
“Belle, tutte belle…”
So che una vale l’altra ma io vado deciso verso la più bella.
Le osservavo da distante quasi sorridendo mentre parlavo mentalmente da solo, sapevo che mi avrebbero risposto.
Una leggera vibrazione nella mia mente.
Parlano assieme come un coro di farfalle, una nenia dolcissima.
Mi sondano.
Io chiedo silenzioso.
“Quanti anni hai?”
“Centinaia di migliaia, noi ti aspettavamo era scritto che arrivavi. Ma sei Rosso, e sappiamo che sei troppo giovane per sapere la nostra storia e ciò che abbiamo visto, e anche se hai la coscienza del sapere tutto, è nulla al confronto di ciò che siamo”
E’ vero… Rosso non sapeva l’intera storia delle sorelle, ma era conscio che era ancora rosso, un segno di pura giovinezza della sua razza.
Adesso osservo la radura desertica. E vedo che sei un po’ cambiata da come mi eri stata descritta migliaia di anni fa, vicino a te che sei immensa, molte sorelle più piccole ma uguali a te
So che la tua camera, come le camere in molte altre sorelle è ancora chiusa.
Difficile per intelligenze inferiori trovarla.
Bastava conoscere bene l’unica persona che parlava la nostra lingua, un uomo semplice un matematico di nome Fibonacci, un ibrido, uno di noi, e seguire le sue semplici regole matematiche. Il codice di attivazione era dentro la sua tavola numerica bastava leggere le prime 18 numerazioni al contrario per avere la chiave e aprire tutte le porte.
Solo così si sarebbe saputo che la Terra era una capsula del tempo, con le gioie e i dolori di miliardi di umani e di generi di vita nate, cresciute e quasi tutte scomparse… ma noi abbiamo registrato tutto. Tutto il sapere di questa Unica Capsula, imperdibile cultura di una civiltà che ancora adesso sta continuando a crescere.
Vedrò se aprendo questa camera del tempo troverò ciò che mi hanno lasciato da 500.000 anni Terrestri, cercherò di capire il perché di tutto ciò che è successo.

Sono stato chiamato dagli Eterni Dei che vogliono sapere se è giunta l’ora del Cambiamento.
Ma da allora tutto è cambiato anche la mia civiltà.
Sono solo e lo sarò per sempre.
Io sono Rosso l’ultimo dei Ljkjeni.
Sono arrivato sulla Terra per spingere un bottone nella camera nera, la camera finale di un Mondo perso nella sua malvagità.

I turisti esterrefatti videro di spalle che uno strano umanoide di colore rosso stava entrando e attraversando un grande blocco di roccia, scomparendo alla base dell'entrata della Piramide di Cheope.
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Re: Gara 55 - Bando e racconti

Messaggio da leggere da Skyla74 »

LA GARA E' UFFICIALMENTE CHIUSA!
DATECI DENTRO COI VOTI E... RICORDATE IL PUNTO EXTRA PER I MIGLIORI COMMENTI!!
8)
Le paranoie limitano la vita.
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Nessuno li ha mai raccontati in maniera avvincente.

Cosa può accadere se una élite di persone geneticamente Migliore si accorge di non essere così perfetta come crede?
Una breve storia di Fantascienza scritta da Carlo Celenza, Ida Dainese, Lodovico Ferrari, Massimo Baglione e Tullio Aragona.

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I sogni di Titano

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Il "cubo sognatore" su Titano aveva rivelato una verità sconvolgente sull'Umanità, sulla Galassia e, in definitiva, sull'intero Universo, una verità capace di suscitare interrogativi sufficienti per una vita intera. Come poteva essere bonariamente digerito il concetto che la nostra civiltà, la nostra tecnologia e tutto ciò che riguardava l'Umanità… non esisteva?
"Siamo solo… i sogni di Titano", aveva riportato il comandante Sylvia Harrison dopo il primo contatto col cubo, ma in che modo avrebbe potuto l'orgoglio dell'Uomo accettarlo? Ovviamente, l'insaziabile sete di conoscenza dell'Essere umano anelava delle risposte, e la sua naturale curiosità non poteva che spingerlo alla ricerca dell'origine del cubo e delle ragioni della sua peculiare funzione.
Gli autori GLAUCO De BONA (vincitore del Premio Urania 2013) e MASSIMO BAGLIONE (amministratore di BraviAutori.it) vi presentano una versione alternativa del "Tutto" che vi lascerà senza parole. Di Glauco De Bona e Massimo Baglione.

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