Turi, Elena e il Gattopardo

Spazio dedicato alla Gara stagionale d'estate 2019.

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Namio Intile
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Turi, Elena e il Gattopardo

Messaggio da leggere da Namio Intile »

leggi documento Spiacente ma, in questo browser, la lettura a voce non funziona.

«Stai sempre a lamentarti» mi fa Elena dal soggiorno.
«Non è nulla» volo basso, «solo che stamattina m'è venuto un gran mal di stomaco.»
«Sarà perché ti sei finito quella bottiglia di passito di Pantelleria e la mousse al limone» mi rimprovera.
La osservo a distanza, e nonostante gli anni mi pare ancora bella.
«La mousse l'hai preparata tu» mi difendo io. «Eppoi la panza da prima mi faceva male… lo sai che quando [i] m'acchiananu [/i] i nervi, quando mi sale il nervoso, di cose dolci ho bisogno.»
«E [i] pircchì[/i] 'sta botta di [i] nervosia [/i]?»
Il cordless ripiglia a squillare e la domanda rimane nell'aria.
«Ancora? Non dirmi ch'è di nuovo tua sorella.»
«E pure se fosse? Fastidio ti dà?»
Proprio assai, penso.
«Non capisco com'è che adesso ci passate ore al telefono, quando da [i] picciotte [/i], da ragazze, manco vi potevate vedere.»
«Le cose cambiano» sentenzia.
Proprio così, penso io, mentre mi sforzo di evacuare gli intestini. Le cose cambiano, ma in peggio.
«Non ci posso pensare...» aggiungo ad alta voce.
«Non piangere, povero tesorino» fa lei.
«A quella povera capitana tedesca» preciso, «finita ai domiciliari per sostenere un imperativo etico. Proprio non ci posso pensare al Capitano che la tratta come una criminale e chiede il carcere. Ai miei tempi mi hanno rinchiuso a Peschiera del Garda perché non volevo fare il soldato. Obiezione di coscienza, tutti lo sapevano; e pure in carcere mica ti consideravano un criminale… come adesso, che ogni cosa pare bianca o nera, e nessuno sa distinguere tra disobbedienza civile e un delitto qualsiasi.»
«Vedrai che tutto andrà per il verso giusto» insiste Elena.
«Esisterà un giudice a Berlino. Tutto [i] annirvatu [/i] sono!» Urlo.
I nervi mi strizzano le viscere.
«Non fare così… »
«E invece devo proprio: te la ricordi la dichiarazione di sostegno di Berlusconi a Renzi durante l'ultima campagna referendaria? [i]Esiste un unico leader del centro-destra: Renzi.[/i] Non ci posso pensare! Il segretario del Partito Democratico, erede del Partito Comunista di Gramsci e Togliatti» continuo a sbraitare ad alta voce.
«Con chi stai parlando?» Chiede Elena, e apre la porta.
Ha il cordless appiccicato all'orecchio.
«Marilena ha di nuovo litigato con quel vecchio porco.»
«Non drammatizzare» le rispondo. «Son cose che passano.»
«Ti conosco a te.»
E muove l'indice accusatore su e giù insieme alla mano guantata di giallo fosforescente.
Intuisco dove vuole andare a parare ed esco dal cesso tutto infoscato.
«Ma si può sapere che hai? Ti sei fatto un vecchio brontolone. A casa di mia sorella è in corso una tragedia e quindi non posso stare appresso a te.»
«Te lo dico io qual è la vera tragedia. Il mio mal di pancia… che nel 1991, prima ancora di Mani Pulite, per seguire la faccia pulita di Mariotto Segni a quello stramaledetto referendum per abolire le preferenze io ci votai [i]Sì[/i]; erano il capro espiatorio del momento, propagandavano che si fosse annidato lì il mostro genera corruzione. Porca puttana!» Mi incazzo. «Dobbiamo cambiare lo diceva pure il Partito. Solo che a quel punto, fatte fuori le preferenze e confezionata una legge elettorale maggioritaria, scomparvero la DC e il Partito Socialista e spuntò Berlusconi gridando io sono il cambiamento, viva la rivoluzione liberale; e così facendo riempì le liste del movimento di socialisti e democristiani; i peggiori sia chiaro, perché li sceglieva lui, mica un partito serio. E a noi comunisti ci fece fuori in un battibaleno.»
«Non ci pensare più, tesoro... La febbre ciai?»
«Ma che febbre e febbre. Le cose cambiano, l'hai detto tu. Così la corruzione rimase lì e io da quel giorno non potei neanche scegliermi il candidato, perché le liste le avevano bloccate e chi votare me lo sceglieva il capo partito di turno.»
«Ma che fai, straparli?»
«Io o tua sorella?»
Bingo, penso, perché pure saluta Marilena in fretta e furia.
«Poi, siccome il debito era arrivato al centoventi per cento, e tutti in Europa gridavano allo scandalo, mi derubarono del sei per mille il conto corrente e mi riempirono di tasse. E va bene, mi dissi allora, si deve cambiare, si devono fare sacrifici. E colla mia voglia di cambiamento e sacrificio, in ossequio alla rivoluzione liberale, fecero fuori d'un botto lo Stato dal mercato e privatizzarono fior di imprese pubbliche che macinavano utili.
Il risultato fu che quattro [i] manciatari [/i] si comprarono la chimica di Stato, la siderurgia di Stato, i telefoni di Stato, la compagnia aerea di Stato, le banche di Stato, le poste di Stato.
Ma sì, tanto erano piene di parassiti, ci dicemmo tutti allora. Ti ricordi?»
« E mi ricordo, mi ricordo» mi concede Elena, con la faccia di chi la sa lunga.
«Tutto 'sto ben di Dio lo consegnarono ai [i]Capitani coraggiosi[/i] e quindi tutto funzionò a meraviglia, soprattutto da noi qui in Sicilia. I lavoratori si trovarono più ricchi di prima, quei pochi che rimasero, e pure il popolo utente poté godere di servizi svizzeri, soprattutto qui in Sicilia. Le cose cambiano, l'hai detto tu.»
«Pazienza, Turi. Ci hanno preso per i fondelli, vuoi detto questo? Però adesso, se non stai male, se non t'è preso un colpo, se è solo colpa del solito passito, io ritelefono a Marilena, che quel porco l'ha di nuovo cornificata.»
«Ecco vedi... Alcune cose non cambiano mai.»
Il suo sguardo sulfureo mi ustiona il volto.
«Gli hai tenuto sempre bordone a quel delinquente. Ti ho sentito quella volta, sai? Quando lo supplicavi di non lasciare Marilena per nulla al mondo, che la famiglia viene prima di tutto, che non la poteva lasciare sola, senza arte né parte. Che qualche licenza un uomo dentro al matrimonio se la può pure prendere senza sentirsi in colpa.»
Mi sto zitto, che pure mi conviene. Quella sciroccata di sua sorella è capace di installarsi a casa mia sine die se quel povero disgraziato di Cristoforo capisce il mio gioco, penso terrorizzato.
«Sei generoso e altruista a parole, poi nei fatti, pure con mia sorella, fai lo stronzo sciovinista. Ragione tiene Salvini. Sei comunista solo dentro al salotto di casa tua» aggiunge infuriata.
E mi fredda l'anima, come s'avesse ragione e mi viene il dubbio pure che alle ultime europee abbia votato Lega pigliandomi per i fondelli.
«Sto male, lo vuoi capire?» Mi esce fuori come un lamento.
E mi accascio a terra.
Elena subito mi viene incontro e mi abbraccia.
L'amore oltrepassa ogni fazione.
«Ieri Namio mi ha detto che da Messina a Trapani in treno ci ha messo sette ore e quaranta, e gli ultimi 80 chilometri se li è fatti in pullman, che la ferrovia l'hanno soppressa da tre anni causa frana e non ci sono i soldi per ripararla.»
Si allontana di botto. Mi guarda con sufficienza.
«Storia vecchia.»
«Vecchia un corno. E quando ci dissero che si doveva fare l'euro, che si doveva cambiare la nostra povera svalutata liretta, che con la moneta unica sarebbe iniziata l'età del Bengodi, anche qui in Sicilia? Per farlo però era necessario pagare la tassa per l'Europa e per non lasciarla sola s'inventarono anche l'ICI e l'ICIAP, l'IRAP e la TARSU. Bisognava entrare coi conti in regola, dicevano. Poi ci dissero che bisognava aprirsi, globalizzarsi, cambiare noi stessi per cambiare il mondo e nel 2001 fecero pure entrare la Cina nel WTO; quando scomparve mezza industria manifatturiera italiana, fu colpa della sua scarsa competitività. Ma invece di fare investimenti i nostri [i]Capitani coraggiosi[/i] furono capaci solo di abbassare il costo del lavoro e di precarizzare due generazioni. Ma il popolo utente, come al solito, ci guadagnò. Io, per esempio, mi comprai una motosega cinese alla minima cifra di centodiciannove euri, ma alla prima mezzora di lavoro si sfasciò. Non mi preoccupai più di tanto, la garanzia cantava per me. Mandai la motosega al dealer britannico per averne una nuova indietro. Che forza la globalizzazione. Saranno state le poste private, ma dopo otto anni io ancora aspetto. Le cose cambiano!»
«Ho capito, Turi. Chiamo il dottor Provenzale. Fuso mi pari.»
«Ma quale dottore e dottore, Elena. Ci vogliono filosofi, sociologi, antropologi, gente con le palle che ci conti una volta per tutte a questo povero popolo di coglioni affetto da Alzheimer come stanno le cose.»
«E come stanno?» Mi dà corda, e mi fa segno con la manina di continuare.
«Che ci devono spiegare come in mezzo a tanta rivoluzione liberale, e regnando sua maestà EURO, il debito dello Stato sia salito al centotrentacinque per cento del PIL, le tasse continuano ad aumentare e ne inventano una al giorno. Senza contare la disoccupazione alle stelle e che andare in pensione sia diventato un miraggio, che se ci vai lo fai con la miseria che hai versato, e se sei in pensione non ti calcolano manco la perequazione. Per non parlare degli ospedali. Fammi stare zitto, va'… Avanti, popolo!»
«Avanti popolo senza [i] mirudda [/i]» mi strizza l'occhietto azzurro. «Nessuno con la spina dorsale. Forse aveva ragione Tancredi Falconeri: [i]Bisogna cambiare tutto affinché nulla cambi[/i].»
Heidegger in salsa sicula, penso.
E arriva un'altra colica.
«E ti ricordi quando ci fecero votare quel maledetto referendum costituzionale per la riforma del Titolo V? La riforma federale della Lega di Bossi. Ma per quel frangente ho la coscienza in regola. [i]No[/i] io votai, pure se quel cornuto di baffetto e tutto il pidiesse che l'aveva confezionata mi dicevano di votare [i]Sì[/i].»
Non riesco a staccarmi dalla tazza, manco avessi il colera, e il telefono riprende a starnazzare.
«Ma al referendum del Berlusca e poi a quello del toscano il popolo pecora ha intuito la fregatura» osanno fiero.
«Buone notizie, Turi»
Cristoforo è proprio un minchia, penso soddisfatto. Ecco! Qualcosa almeno non cambia mai.
«Marilena starà da noi. Il vecchio porco vuole dare una sterzata alla sua vita, mi ha raccontato» mi annuncia da dietro la porta.
«Le cose stanno cambiando. E tu hai la possibilità di mettere alla prova il tuo altruismo» cinguetta tutta allegra.
Mi frega sempre, penso tutto infoscato. Manco posso sillabare un no, a meno di non fare la figura del porco egoista parra a vanvera.
E la sento accendere la radio. Ascolto il bel campano di Di Maio che mi incita al cambiamento, e dice che gli altri sono come il Gattopardo (casomai sarebbe il contrario; ma lasciamo la logica alle aule scolastiche) e minaccia il diluvio dopo di lui se non lo facciam contento della sua razione di cambiamento. O cambiare o morire! Dice.
L'ennesima scarica mi sfinisce. Cambio moglie, cambio partito, cambio casa, cambio cognata.
«Cambia canale!» Urlo, «che il cinquestelle non lo reggo più.»
Un giornalista mi informa che persino il Financial Times prevede sciagure se qualcosa in Italia non cambia, se non si fanno le riforme.
Diavolo! Però, se la democrazia in Turchia muore, penso tutto [i] annigghiatu [/i], pieno di nuvole in testa. Al Financial Times non gliene frega una beata m... e dice che va bene uguale, anzi forse meglio.
Il capitalismo funziona meglio con una dittatura che con una democrazia, penso ancora, Pinochet docet.
«Le cose purtroppo cambiano» farnetico distrutto.
E mi sento un po' come il principe di Salina quando finanziò la Rivoluzione del nipote.
«Però la stupidità» mi ripiglio, «quella rimane sempre uguale.»
Ultima modifica di Namio Intile il 10/07/2019, 16:00, modificato 1 volta in totale.
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Draper
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Messaggio da leggere da Draper »

Non so chi abbia votato uno a questo pezzo, ma posso intuirne i motivi - potrebbero essere l'uso del dialetto o la lunghezza del racconto. Cose già viste. Eppure non è giusto che a un racconto così, che pure non è esente da difetti, vengano tagliate le gambe. Lo trovo scorretto, e penso che la scusa dei gusti personali regga fino a un certo punto. Ho assegnato 3 al testo perché ci sono delle cose su cui difficilmente soprassiedo o sorvolo, ma se non ci fossero state - e lo dico senza problemi - gli avrei dato sicuramente un quattro, perché rappresenta un bel tentativo d'allegoria.

Procedo per gradi. A parte qualche refuso (punti non messi alla fine dei dialoghi, virgole mancanti qua e là ecc.) di piccola entità, mi è dispiaciuto vedere l'uso del siciliano azzoppato dalla stampella delle "traduzioni". E' una questione complicata, ma dal mio punto di vista hai usato termini che già di loro sono comprensibilissimi, e il doverne spiegare il significato ha depotenziato molte delle battute. Io ti consiglierei di andare full sicilian e di lasciare "picciotte" o "acchiananu" i nervi senza alcuna spiegazione accanto. Purtroppo quando si usa il vernacolo non si può tenere il piede in due scarpe, e te lo dico per esperienza.

Secondo punto: l'intento allegorico del pezzo è chiaro almeno dal titolo, anche se ci vuole un po' prima di ritrovarlo nel testo. La storia contemporanea italiana che da oggi si snoda indietro nel tempo, in una circostanza ben precisa e con un grande stratagemma ironico, è una bella intuizione, perché rende ogni livello del racconto "fisiologico" e "organico" rispetto agli altri. Il problema però è che, a volte, ho avuto l'impressione che a parlare fosse l'autore e non i personaggi. Ho percepito un certo sconfinamento, ecco, ma può essere stata solo una mia impressione. Salta fuori uno spirito invettivo, ogni tanto, che l'ironia avrebbe già stemperato di suo senza calcare troppo la mano.

Questo racconto mi ha sorpreso, ripeto, e penso che determinate mentalità di chi legge qui - premio brevità o no - vadano un attimo riviste. Se non arrivate alla fine di un testo perché vi stancate, e parlo in generale, non leggete, nessuno vi costringe, ma almeno abbiate l'accortezza di non votare, dato che basta un solo "uno", col sistema di punteggio attuale, per mandare a monte l'intera gara di un autore.

A rileggerti.
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Laura Traverso
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Messaggio da leggere da Laura Traverso »

L'ho letto tutto, sono arrivata alla fine con un po' di difficoltà, non poca... Eh! che dire... è un racconto molto politicizzato, intervallato da frammenti di storie familiari e coliche addominali: questa è, dal mio punto di vista, la parte più simpatica del narrato. Certo, l'autore racconta una realtà triste e indiscutibile di una Italia allo sfascio. Non darei 1 perché riconosco il "lavoro" non da poco solo nell'elencare i vari elementi della politica e le loro penose caratteristiche. Però, secondo me, il racconto, pur apprezzabile, non è di facile lettura.
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Marco Daniele
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Messaggio da leggere da Marco Daniele »

Devo essere sincero e mi dispiace scriverlo, perché dietro ogni pezzo c'è sempre del lavoro e dell'impegno, ma questo racconto non mi è piaciuto (a differenza di quello con cui hai partecipato alla scorsa gara). Non è una questione di lunghezza o di uso del dialetto, che apprezzo sempre, e nemmeno del tema scelto, ma del modo in cui è trattato tale tema. Più volte ho avuto l'impressione di trovarmi di fronte a una semplice riflessione/sfogo/invettiva dell'autore e/o del personaggio senza una vera e propria narrazione, e in una gara di racconti non è quello che cerco.
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Selene Barblan
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Messaggio da leggere da Selene Barblan »

Grazie per questo racconto, mi ha fatto sorridere dopo una giornata di m... ; non perché il tema sia divertente, anzi, ... . Nonostante il dialetto ho capito quasi tutto, pur essendo Svizzera 🇨🇭, ed è proprio il dialetto che mi ha permesso di immergermi nella scena, quasi teatrale... domanda: che significa m’agghiananu?
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Roberto Bonfanti
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Messaggio da leggere da Roberto Bonfanti »

Il contorno (le vicissitudini famigliari e la conseguente querelle con la moglie, le disavventure intestinali) mi sembra, appunto, una cornice nella quale hai inserito la tua visione (del tuo personaggio?) sintetizzata della situazione politica italiana, dall’attualità procedendo a ritroso fino ad evocare i peccati originali del Bel Paese.
Sui punti deboli del racconto Draper mi ha tolto le parole di bocca (non è vero, lui l’ha detto meglio), anche se, lo ammetto, quella “stampella” al dialetto mi ha fatto comodo.
Per quanto mi riguarda trovo che il modus che hai scelto sia coraggioso; per quanto filtrata dall’allegoria e dall’ironia hai preso una posizione su temi concreti (condivisibile o meno, ma non importa), hai infranto una specie di tabù: quello di schierarsi, dichiararsi, uscire dall’astratto. Pratica fin troppo sdoganata in altri ambienti social, ma che sembrava un dogma, almeno per la mia limitata esperienza (e se mi sbaglio chiedo venia), nell’ambito di questi contest, anche parlando di massimi sistemi o dell’ideologia. Tu l’hai fatto (sono sempre incerto se rivolgermi a te o al tuo personaggio).
Mi sbaglierò, ma credo che anche il voto minimo che ha preso il tuo racconto dipenda da questo. Auspicherei un contraddittorio per chiarire il mio dubbio.
Al netto delle considerazioni di cui sopra trovo che ci sia anche un apprezzabile valore letterario.
Che ci vuole a scrivere un libro? Leggerlo è la fatica. (Gesualdo Bufalino)
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Namio Intile
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Re: Turi, Elena e il Gattopardo

Messaggio da leggere da Namio Intile »

Un paio di precisazioni: la virgola alla fine del discorso diretto la evito sempre, non è un errore, anzi;
gli inserimenti in siciliano sono ridotti all'osso e ho aggiunto, cercando di creare il minor danno possibile, una traduzione degli stessi. Si tratta di un male, lo riconosco, ma voluto. Esistono poi dei termini siciliani ormai entrati a far parte della lingua italiana e quindi ormai invisibili, come minchia.
Mi fa sempre riflettere quanto Il dialetto si noti, mentre inserimenti in lingua inglese del tutto gratuiti, come cordless, sembrano del tutto invisibili e organici, se non dovuti.
Un paio di considerazioni: il racconto l'ho scritto anni or sono e per questo contest ho solo inserito i fatti più recenti se non la cronaca. Che funzioni a distanza di anni e faccia discutere allo stesso modo dimostra quanto siamo sempre fermi allo stesso punto in questo paese.
La malattia, le coliche, è un modesto omaggio al Bell'Antonio di Brancati, ed ha un chiaro intento allegorico. Come il riferimento al Gattopardo del titolo, che poi si ritrova nel testo.
L'autore non interviene mai, la voce dei protagonisti è interrotta dalla sola voce narrante. Il finale cileno che un po' confonde, lo ammetto, è un pensiero di Turi. Provo a organizzarlo meglio.
Spetta, infine, al lettore giudicare se l'autore sia riuscito ad andare oltre l'invettiva fine a se stessa e a costruire un racconto in cui magari rintracciare qualcos'altro.
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Angelo Ciola
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Messaggio da leggere da Angelo Ciola »

E' vero, tutto il racconto è in fondo una riflessione storica sulle vicende politiche degli ultimi anni in Italia, e di cui in gran parte condivido le impressioni del protagonista, ma lo ritengo scritto bene e con riferimenti appropriati.
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Messaggio da leggere da Isabella Galeotti »

Che dire? Al contrario di altre volte, il vernacolo non fa per me, questa volta ho voluto leggerlo con un altro spirito. La mia difficoltà nel comprendere i dialetti è stratosferica, non guardo Montalbano perchè non capisco tante battute, figuriamoci leggere un racconto. Comunque l'ho gustato, sono tornata sui miei passi molte volte perchè non capivo. Ho visto che c'è un minuzioso lavoro nel narrare la vita politica degli ultimi anni. Un impegno non da poco.

Mi è parso di leggere un monologo, più che un racconto. La protagonista femminile andava avanti per la sua strada, ossia parlare al telefono con la sorella, lei aveva quel problema e poco le importava di rispondere a tutto quel sciorinare incazzoso di Turi.

Per fortuna ogni tanto ho incontrato un pò di sano umorismo che mi ha fatto sorridere. Sia qualche parola in dialetto, sia il mal di pancia del protagonista.

Per terminare, secondo il mio modestissimo parere, non lo ritengo un racconto da gara.

Hai osato, e bisogna sempre provarci.

Voto3 per il lavoro di stesura degli episodi politici.
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