Il Calvario, di uno scrittore di gialli
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Il Calvario, di uno scrittore di gialli
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Commento: Il Calvario, di uno scrittore di gialli
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Re: Il Calvario, di uno scrittore di gialli
Ho creato volutamente un protagonista antipatico, debole, vigliacco, per certi versi inconsistente, tanto da non poter suscitare alcun processo di immedesimazione. Allo stesso tempo si arrangia, sopravvive, prova a raggiungere i suoi fatui obiettivi passando sopra tutto e tutti. L'autoconservazione sembra essere la sua stella polare. Per come lo vedo io è il prototipo del borghese, e l' volevo andare a parare, con tutti i suoi pregi (il lucido modo in cui interpreta il reale) e i tantissimi difetti.
Che poi il protagonista sia cattivo e il racconto brutto, francamente non esiste il nesso, non c'è il collegamento.
Cara ElianaF, il racconto è lungo quanto le regole lo consentono, altrimenti non avrei potuto pubblicarlo. Lungo o corto non può costituire un giudizio di valore. L'omicidio avviene solo nel finale, e avviene per errore, e non mi pare di averne fatto l'apologia. Si tratta di un racconto dove la chiave ironica e metaforica è evidente, se non l'hai colta faccio ammenda. Attenzione però, non vorrei che sulla strada del politicamente corretto si cominciassero a bruciare libri, o, ed è il meno, attribuire etichette.
Quanto ai gatti, non ne viene ucciso nessuno. Anzi il protagonista afferma di essere amato e capito solo dal proprio felino e che alla sua specie dovrebbe essere affidata la Terra intera. Ma forse ricordo male.
Re: Il Calvario, di uno scrittore di gialli
Okay, volevo riferirmi al cane Lapo, ma probabilmente mi dirai che nemmeno lui è stato ucciso. Ci sta. Ci sta anche, se mi consenti, che io sono un comune mortale e probabilmente, in questo caso, credo di aver persino sbagliato a formulare il commento nella sua interezza, non riuscendo nemmeno di sguincio a valutarne l'aspetto narrativo. Be', alla prossima.Namio Intile ha scritto: ↑03/01/2020, 10:54 Quanto ai gatti, non ne viene ucciso nessuno. Anzi il protagonista afferma di essere amato e capito solo dal proprio felino e che alla sua specie dovrebbe essere affidata la Terra intera. Ma forse ricordo male.
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l'unica cosa che mi è arrivata è la bastardaggine del protagonista e della moglie, due persone non proprio raccomandabili.
le descrizioni sono buone, questo è vero, ma non sono riuscito a entrare in sintonia con la storia.
diciamo che ho avuto difficoltà a completare la lettura, ma può tranquillamente essere un mio problema.
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Il protagonista, per me, è qualcosa di wow, non mi vengono altre parole, hai saputo concentrare un mix di emozioni in maniera magistrale e in alcuni passi credo che qualunque autore/scrittore o aspirante tale si possa rivedere, sopratutto durante il famoso blocco dello scrittore, oppure nel vano tentativo di tenersi impegnato ed esercitarsi, vano perché il buon Turi non c'è riuscito, per trovare l'ispirazione ha dovuto commettere un omicidio. Protagonista ben descritto, anche se si autodefinisce un depresso non credo proprio che lo sia, le pillole sono un tentativo di ricerca superiore, un tentativo di evasione da quel mondo che sembra avvilirlo; insicuro e vigliacco forse si, ma depresso non credo proprio, perché manca quel pizzico di paranoia travolgente e sconvolgente; la risposta da parte di un uomo alla sua chiamata lo destabilizza, è vero, lo porta a compiere un omicidio, verissimo, tuttavia alla fine accetta lo status di cornuto, questo mi ha fatto storcere un po' il naso.
In fine lo invidio, se è stato in grado di scrivere un romanzo intero in mezza giornata si merita tutta la mia invidia.
Personalmente preferisco un bel rum Diplomatico allo Zacapa, per quanto riguarda quello filippino mai assaggiato.
Per il resto ho apprezzato il racconto nel racconto; mi ha portato a chiedermi dove fosse il giallo nella vicenda di 'Gnazio e della moglie, poi per fortuna ho capito che il fatto efferato doveva ancora avvenire e quando si è materializzato ne sono rimasto contento.
Che dire Namio, a me il racconto è piaciuto tantissimo.
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Re: Il Calvario, di uno scrittore di gialli
La critica, in una gara del genere, non solo è dovuta, si tratta anzi di un diritto, ma è essenziale per mettere in luce le debolezze del testo. E le critiche le ho accettate sempre, senza replicare e ho provato a farne buon uso ; quando però si affermano cose non vere, mi spiace ma non ho altra scelta oltre quella di puntualizzare.
E ancora un'osservazione di carattere generale: se il diritto di critica si riduce a un paio di righe che riassumono un troppo lungo, troppo corto, troppe descrizioni, troppo barocco, non mi piace, non è il mio genere, e raccapriccianti banalità simili, non serve né a me né a chi le esplicita. Basterebbe il voto a questo punto. Magari ci si dovrebbe sforzare di mettere giù un paio di periodi di senso compiuto, cercare di capirlo il testo e gli sforzi dell'autore.
Un ringraziamento a Selene e soprattutto a Eliseo, che ha fatto lo sforzo di leggerlo tutto il testo. Anche se il giallo nel racconto dentro il racconto non può esserci.
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Turi, lo scrittore, si confessa in questa massima, le è fedele e accetta i compromessi, anche con la propria coscienza; anzi li piega a suo vantaggio in quello che è un vero e proprio manifesto di vita.
E chissà che da quell'incidente, quasi da novello Burroughs, ma più scaltro e impulsivo, non scaturisca per lui una fioritura letteraria di rilievo, pari a quella del melograno.
Namio, questo racconto probabilmente non piacerà a tutti, sicuramente è piaciuto a me.
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Re: Il Calvario, di uno scrittore di gialli
Il racconto dentro il racconto, la storia di Maria e 'Gnazio è apparentemente antitetica rispetto a quella di Turi ed Elena. Amore e altruismo, pazienza e devozione, fanno da contraltare all'egoismo e al cinismo dell'altra coppia. Esiste un'altra via: si può leggere semplicemente in questo modo. Oppure si può pensare che questa diversità sia solo apparente, perché la ricerca del benessere è il sintomo del male e inevitabilmente, col tempo, i loro pronipoti assomiglieranno a Turi ed Elena.
E comunque lo so che hai ragione: non è per tutti. Troppo lungo e barocco.
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Re: Commento
Ciao Trevigiana. Pesante nel senso che ti sei annoiata? Lento nell'avanzamento nel senso che il racconto rimane sempre a un punto, o che non finisce mai? Mi piacerebbe saperne di più.Trevigiana ha scritto: ↑22/01/2020, 0:32 Ho trovato il racconto pesante e per questo lento nell'avanzamento dell'intreccio. Lo stile, benché curato, allontana il lettore dalle vicende narrate. Non fa per me, mi spiace.
Mi spiace comunque, non volevo appesantire od annoiare nessuno.
Perdonami se lo preciso: non sei un autore in gara, e il mio è il tuo primo commento in questa gara. Al tuo profilo, attivo da oltre un anno, non è collegata alcuna opera, e non hai partecipato ad alcuna competizione. Ho visualizzato solo due brevi commenti nella gara di primavera dell'anno scorso, oltre al presente.
Il fatto che tu abbia scelto proprio il mio lento e pesante racconto per tornare a scrivere le tue profonde impressioni è per me un motivo di vanto.
Alla prossima
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Il primo racconto breve - Dio solo sa quanto è lontana la Merica -, mi è piaciuto molto e il finale aperto ci sta tutto. Il secondo racconto ancor più breve - Proprio a lei stavo aspettando! – è ancora meglio, soprattutto per le belle descrizioni.
Del terzo, quello grosso che annega gli altri, non ho capito perché nel titolo c’è una virgola tra “Il Calvario” e “di uno scrittore di gialli”. Forse un refuso. O è voluto? Comunque anche questo mi ha soddisfatto, scrivi veramente molto, molto bene e hai tante idee. Tanto che mi sono fatto pirsuaso che, sfruttando anche la tua sicilianità, potresti aspirare a ben altre mete. E, dopo aver letto il tuo libretto sull’anarchico mafioso, ne sono ancor più convinto. E tu, sei poi così convinto di essere uno scrittore di thriller? Pensaci.
Da ultimo un mio parere non richiesto. “E la fede poi, cosa diavolo sarebbe?” ti chiedi. Io credo sia la sospensione dell’incredulità – intesa come attenzione critica – applicata agli umanissimi, e non proprio divini, proclami e dettami delle varie religioni.
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Quanto al resto, non mi sono mai preso sul serio.
Sei l'unico che ha notato quella virgola nel titolo. Non è un refuso, anzi è stata la scelta più meditata, e sofferta, dell'intero racconto. Il Calvario di uno scrittore ritorna nella narrazione, ed era questo l'aggancio; ma quel termine così denso di significato (anche un non credente come me non può non dirsi cristiano), dopo che l'ho scritto mi ha bloccato. Era troppo, e quella virgola è stata un espediente psicologico, come se avessi alzato un muro che separa il sacro dal profano. Dopo che l'ho messa mi sono sentito meglio, e l'ho lasciata là.
Quanto alla fede, non male davvero la sospensione dell'incredulità. La dice lunga sullo scrittore che è in te.
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