Mia

Spazio dedicato alla Gara stagionale di primavera 2020.

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Sondaggio concluso il 20/06/2020, 1:00

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Speranza
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Mia

Messaggio da leggere da Speranza »

leggi documento Spiacente ma, in questo browser, la lettura a voce non funziona.

La veranda assolata raccoglieva le ultime ore di luce. Mia si godeva il frinire incalzante delle cicale e una leggera brezza estiva. Il rombo dei tir che ad ogni ora del giorno alzavano la polvere della strada sterrata non la infastidivano più. Erano anni che un divieto era stato apposto all’inizio della via per evitare che i mezzi pesanti passassero di là; ma quella strada era il perfetto anello di congiunzione tra Monte dei Conti e la zona industriale. Oramai facevano parte del paesaggio naturale, immersi con le loro lucenti armature tra i campi di grano e gli sterminati vigneti. La sua fortuna era che la strada svoltava poco prima di raggiungere casa sua.
Comunque più a nessuno importava di loro e dei rumori molesti, tanto meno a lei; pochi erano i cittadini rimasti in quella manciata di case che costeggiavano la via, la maggior parte erano vecchie fattorie, abbastanza lontane da non dover sopportare l’odore di vacche e maiali.
Ad ogni modo non voleva pensare al vicinato e alla sua vita antisociale. Chiuse gli occhi ed inspirò profondamente. Di lì a poco avrebbe piovuto, si sentiva chiaramente l’odore dell’erba umida e in lontananza si scorgeva qualche nuvola grigia. Il calore del sole cominciava a indebolirsi e la calura estiva era decisamente più sopportabile ora.
Un brivido la fece sobbalzare per un attimo e la ferita alla gamba la svegliò da un piacevole intorpidimento. Probabilmente si era appisolata per qualche minuto. Aprì gli occhi e si perse a fissare la macchia di caffè che disegnava una sorta di stivale tra i fiori stampati del vestito in cotone.
-Mi scusi!
Una voce tuonò da destra e la fece rizzare in piedi ignorando il dolore alla gamba.
Un uomo sui trent’anni, di bell’aspetto, vestito di tutto punto, pulito e profumato le era apparso all’improvviso come una visione.
Imbarazzata si sistemò il vestito sgualcito che era rimasto leggermente sollevato sopra le ginocchia. Non potè fare a meno di notare lo sguardo compiaciuto di lui e questo la infastidì, ma allo stesso tempo la fece avvampare come un’adolescente.
Non era abituata ad avere visite e, soprattutto, non era avvezza al sostenere lo sguardo di un uomo.
Dopo la morte della madre avrebbe potuto riprendersi la sua vita, riafferrare i suoi sogni, che erano ancora là, a portata di mano; sarebbe bastato allungare il braccio e sarebbe riuscita a raggiungerli e afferrarli. Ma era troppo stanca, dopo una vita passata ad accudire una madre depressa e schizofrenica non era più capace di vivere e non era nemmeno sicura di volerlo imparare. In fondo stava bene così, seduta sotto il suo portico a respirare la polvere e a guardare i campi; questo era ciò che voleva e che la faceva stare bene.
L’uomo la fissava incuriosito. Poi piegò di lato la testa e il suo sguardo si fermò sul seno prosperoso. Istintivamente Mia lo coprì con la mano sinistra e ancora una volta avvampò.
Raccolse quel po’ di coraggio che ancora possedeva e con un filo di voce domandò al porco:
- Cosa vuole?
La testa iniziava a girarle e le mancava il respiro. Forse un attacco di panico.
L’uomo strappò un filo d’erba dal cortile e iniziò a masticarne il gambo poi, dopo aver sputato un grumo verde, sentenziò:

-È un bel posto questo, tranquillo, forse anche troppo. Non hai paura a vivere qui da sola?
A Mia si raggelò il sangue. Quelle parole le rimbombarono martellanti nella testa “Come fa a sapere che vivo sola!”
In quel momento davanti agli occhi si susseguirono immagini atroci di donne stuprate, sgozzate, brutalmente seviziate. Il cuore accelerò i suoi battiti mentre le gambe iniziarono a tremare. La mandibola contratta incorniciava un viso paonazzo e deformato dalla paura. Il sudore le macchiò l’abito e un rivolo d’urina discese lungo la gamba destra fino alle mattonelle in porfido. Il terrore l’aveva paralizzata. Solo la mente galoppava divorando immagini e parole: “Ricordati bambina mia che nessuno ti ama, nessuno ti considera e se lo fa è per avere qualcosa in cambio”. La testa pareva esploderle. “ Non fidarti di nessuno, sono tutti lupi travestiti da agnello, non abbassare mai la guardia perché alla prima occasione ti divoreranno”. Per anni aveva cercato di scrollarsi di dosso quelle che lei riteneva parti di una mente malata, ma ora era innegabile che la mamma avesse ragione.


*****


L’uomo sputò un grumo d’erba che sapeva di grano e polvere. Fissò quella ragazza strampalata che aveva di fronte: sporca, trasandata, forse malata; non aveva potuto non notare quella macchia a forma di stivale all’altezza del seno.
Aveva percorso circa seicento chilometri per arrivare a Monte dei Conti, un paesino di trecento anime, alla ricerca di una sorella di cui ignorava l’esistenza, almeno fino ad una settimana prima.
Aveva sempre condotto una vita sregolata, fatta di vizi, avidità, lusso e droga. Ma dopo quella scoperta aveva deciso di dare un colpo di spugna.
Guardò la ragazza in modo miserevole; vide l’urina che le scendeva lungo la gamba e per la prima volta provò un sentimento che non gli apparteneva: compassione. Si avvicinò di qualche passo, voleva stringerla, rassicurarla e raccontarle tutto, condividere con lei la sua felicità.
Ma ogni passo che lui faceva in avanti lei ne faceva due indietro. Avanzò tendendo le mani e gesticolando per farle capire che andava tutto bene, che non c’era nulla da temere. Era evidente che fosse spaventata.


*****


Mia vide l’uomo avanzare, vide le sue luride mani che si avvicinavano. Capì subito che se non avesse fatto qualcosa quelle mani sarebbero finite sul suo collo e l’avrebbero stretto fino a farle perdere i sensi e poi si sarebbero intrufolate dappertutto, in ogni anfratto del suo corpo. Lo sapeva bene lei, molte volte la mamma l’aveva messa in guardia. Non poteva permetterlo.
Indietreggiò fino a che non si ritrovò con le spalle al muro, accanto al traballante tavolino d’abete.
Iniziò a boccheggiare come fosse in carenza d’ossigeno. Una lacrima scese e si disperse tra i capelli appiccicati al collo. I muscoli contratti le procuravano un dolore intenso ma, a stento, riuscì ad afferrare uno dei ferri da maglia posati sul tavolino.
Un tuono avvisò che il temporale si stava avvicinando. Qualche goccia pesante di pioggia iniziò a macchiare la terra misto ghiaia della strada. Un odore ancor più forte di polvere si sollevò e una folata di vento fresco le scostò i capelli dal viso.
Accadde tutto in un attimo. All’improvviso ritrovò una forza e una rabbia nascosta che da anni aspettava di esplodere. Con un balzo fu sull’uomo che non ebbe il tempo di fare alcun movimento. Si aggrappò alle spalle di Mia per qualche secondo; la bocca deformata da un ghigno e un rantolo uscì strozzato prima di crollare a terra come un sacco trascinandosi giù anche lei.
Una pozza di sangue si stava formando sulle mattonelle chiare e mischiando con la chiazza di urina. Mia, seduta a terra, guardò la macchia che si allargava sempre più e quell’uomo accasciato con il ferro conficcato nel petto. Trovò che avesse un qualcosa di comico e irriverente nella sua espressione di morte ed esplose in una fragorosa risata. Provò delicatamente a spingerlo, ma non si mosse.
Con passo pesante entrò in casa e scese in cantina a cercare della candeggina per pulire il porfido, se non si affrettava il sangue si sarebbe rappreso e la macchia sarebbe rimasta lì per sempre. La tensione ora si era affievolita, si sentiva bene, rilassata, felice. Cercò tra i barattoli di vernice canticchiando un vecchio motivetto di quando era bambina. Trovò il flacone pieno per metà.
Continuando a canticchiare andò verso il congelatore; avrebbe cucinato costolette d’agnello per cena. Posò la bottiglia di candeggina e aprì la porta del grande congelatore a pozzetto. Una piacevole ondata di gelo la rinfrescò. Portò l’indice alla bocca come faceva da bambina quando suo padre le nascondeva qualche piccolo regalo. Sperava di trovare le costolette senza dover spostare quel grosso ingombro che nascondeva la visuale. Si chinò, spostò il grande sacchetto e vide che il piccolo imballo di carne stava proprio sotto. Si chinò un po’ di più per acquistare forza nelle braccia. Spinse l’intralcio sulla destra e si trovò a fissare gli occhi vitrei di sua madre.
Le sorrise e le accarezzò la testa attraverso la plastica ghiacciata. Poi, sempre canticchiando, risalì le scale; posò la cena nel lavandino ed uscì in veranda per pulire.
L’uomo era sempre lì, immobile.
Pensò che l’indomani sarebbe dovuta andare ad acquistare un altro freezer e questo pensiero la spaventò a morte, ma non ci voleva pensare ora.
Si sedette sul vecchio dondolo a guardare il cielo plumbeo e la pioggia che ora scendeva copiosa. Cominciavano a formarsi le prime pozzanghere e i lampi parevano spezzare il cielo in tanti pezzi luminosi.
Ancora una volta inspirò profondamente e chiuse gli occhi. La pioggia, come una coltre, aveva nascosto l’odore di polvere.
La gamba ora non le doleva più, sicuramente l’indomani il tempo sarebbe stato bello.
Ultima modifica di Speranza il 14/04/2020, 12:06, modificato 4 volte in totale.
Ida Dainese
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Messaggio da leggere da Ida Dainese »

Un racconto che mi ha colpito, per la svolta a sorpresa, per la pena infinita verso i protagonisti, per il modo in cui hai fatto capire i diversi punti di vista. Ben riuscita la descrizione dell'ambiente e quell'atmosfera di solitudine e tristezza iniziale. L'argomento lascia l'amarezza dell'incomprensione, tanto che si vorrebbe intervenire a metà della storia e fermare l'azione, cercare di far capire quale grosso equivoco sia in atto. Direi quindi che sei riuscita nell'intento, attirando con la tua storia, colpendo la sensibilità di chi ti legge.
Andr60
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Messaggio da leggere da Andr60 »

Racconto pirandelliano, in cui si conferma che la schizofrenia è una patologia ereditaria (pare su base familiare, più che ereditaria semplice).
Consiglio alla protagonista di tenere pronta una roncola, che nella cucina di una schizofrenica può sempre servire.
Selene Barblan
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Messaggio da leggere da Selene Barblan »

Dalla calma alla tempesta ad una calma ritrovata. Molto viene detto e tanto si può intuire ed immaginare; l’equilibrio tra ciò che dici e ciò che lasci immaginare è molto ben riuscito. Mi è piaciuto molto, anche perché sei riuscita a creare immagini molto vivide, nella mia testa come dei dipinti all’acquarello molto carichi. Voto 5.
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Laura Traverso
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Messaggio da leggere da Laura Traverso »

Il racconto è scritto molto bene, le descrizioni ambientali, dei personaggi e delle emozioni sono perfette, sembra di viverle e di vederle. L'argomento trattato è da film horror, ma vero è che nella vita ci sono anche certi personaggi psichicamente disturbati, capaci di commettere mostruosità del genere da te descritte.
Stefyp
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Messaggio da leggere da Stefyp »

Complimenti! Raramente io do 5 come voto, lo riservo ai racconti che mi piacciono in modo particolare. Il tuo se lo merita a pieno titolo. Ben scritto, con la giusta tensione e con un finale inaspettato.
Un'unica piccolissima frase da rivedere: " Con un balzo fu sull’uomo che non ebbe il tempo di fare alcun movimento. Si aggrappò alle spalle di Mia per qualche secondo" se il punto di vista qui è quello di Mia la seconda frase è da rivedere.
10aprile1992
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Re: Mia

Messaggio da leggere da 10aprile1992 »

Complimenti, un racconto che mi ha colpito particolarmente. Non di quelli che io definisco racconti "fast food" ovvero leggibili in poco e anche distrattamente, che non ti lasciano particolare emozioni, bensì una storia che ti scuote, ti lascia anche profondamente perplesso e di cui, a lettura finita, ti chiedi il senso, pensando a cosa abbia voluto comunicare. Davvero molto ben scritta, inoltre, e scorrevole.
Namio Intile
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Messaggio da leggere da Namio Intile »

Finalmente un omicidio al femminile e non un femminicidio, penserebbe qualcuno.
Un racconto gradevole e ben scritto, non era facile con un tema del genere, con forse solo qualche ingenuità lessicale (antisociale, avvezza) ad appesantire il testo. Nulla da segnalarti dal punto di vista formale.
Quanto al racconto in sé, forse è troppo carico di fatti e coincidenze e forzature che lo rendono poco vero: la madre depressa e schizofrenica, la protagonista sola e pure lei malata, la casa isolata, il fratello sconosciuto che torna e quella frase che pronuncia pure un poco equivoca che scatena la furia di Mia, un uomo adulto e pieno di forze sopraffatto da una ragazza esile e non proprio ben messa.
Quanto alla malattia (o al disagio) che descrivi, quella di Mia, visto quella gamba ferita che citi e quell'omicidio commesso nel finale, mi sembra un disturbo di una personalità borderline. Poco importa.
A ogni modo, nonostante tutto riesci a descrivere e a far sentire vero il disagio di lei, la sensazione di oppressione e di non aver via d'uscita, e a giustificare l'atto finale. Questo disagio, questa solitudine riesci a farla emergere ed è il vero punto di forza del racconto.

Un buon lavoro
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Eliseo Palumbo
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Messaggio da leggere da Eliseo Palumbo »

Complimenti. Bel racconto, scritto molto bene, senza nessuna sbavatura apparte che manca la "l" nella folata polvere.
Mi è piaciuta la distinzione dei due punti di vista anche se mi ha fatto storcere il naso come si sia presentato il fratello, a meno che non sia una distorsione del personaggio Mia dovuta alla sua schizzofrenia, in quel caso allora mi piace molto come idea.
Non so perché ma quel: "Sperava di trovare le costolette senza dover spostare quel grosso ingombro" mi ha fatto subito pensare che ci fosse un cadavere nel congelatore, forse per la reazione avuta dopo il misfatto, come se fosse abituata, ecco.
Comunque sia voto positivo. Bella prova
Mostrare ad altri le proprie debolezze lo sconvolgeva assai più della morte

POSARE LA MIA PENNA E' TROPPO PERICOLOSO IO VIVO IO SCRIVO E QUANDO MUOIO MI RIPOSO


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DarioTes
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Messaggio da leggere da DarioTes »

Mi è piaciuto. La struttura è equilibrata, e i tempi sono giusti. Credo che l'equilibrio sia dovuto al contrasto tra il tema tetro e la natura di divertissement del racconto, che impone di sorvolare sui punti non sviluppati della narrazione e sulla verosimiglianza. Lo scherzo è nel finale, ci sorride dagli occhi della madre della protagonista. Una buona scelta con una meta di caratteri a 5000, come prevista dal bando.
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Francesco Dell'Accio
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Messaggio da leggere da Francesco Dell'Accio »

Ciao Speranza
mi è piaciuto molto li ritmo: la partenza lenta, con la descrizione del luogo, del tempo, l'odore dell'erba. Il ritmo poi sale con la focale che si sposta sui personaggi. Ecco, l'unica cosa che non mi è piaciuta molto è la descrizione dello stato d'animo dell'uomo ("...voleva stringerla, rassicurarla e raccontarle tutto, condividere con lei la sua felicità..."). Chiaro che l'intento era quello di fare entrare in scena l'equivoco tra i due, però ho trovato eccessivamente improbabile questo trasporto.
Per me voto 4
A rileggerci
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Fausto Scatoli
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Messaggio da leggere da Fausto Scatoli »

Partiamo dalle critiche: ci sono parecchie d eufoniche da togliere, ci sono degli spazi in più e altri mancanti.
Tutte cose minime, in ogni caso.
Venendo alla storia, le descrizion sono belle ed efficaci. Riesci a far vedere quello che accade, e questo è un bel punto in più. Anche a livello emozionale funziona bene, tanto che la follia della protagonista è palpabile.
L'unica cosa che non mi piace è la storia in sé, ma è una pura questione di gusti.
Bel lavoro.
l'unico modo per non rimpiangere il passato e non pensare al futuro è vivere il presente
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Mariovaldo
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Messaggio da leggere da Mariovaldo »

Un racconto angosciante, ciò significa che riesce a trasmettere emozione e sensazioni in modo efficace. Se devo trovare il classico pelo nell'uovo devo parlare più di gusto personale che di cose oggettive; forse asciugherei un poco la scrittura eliminando qualche dettaglio di troppo, ad esempio , all'inizio, quel "... e profumato" . Comunque un gran bel lavoro, complimenti
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Roberto Bonfanti
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Messaggio da leggere da Roberto Bonfanti »

Racconto molto interessante, ben scritto e gestito con l’alternanza dei focus su Mia e sul fratello. Volendo trovare un punto debole penso che gioverebbe di uno sviluppo oltre il numero di caratteri adeguato alla gara, ne guadagnerebbero dei passaggi che ora risultano un po’ “frettolosi”, come l’escalation della follia della protagonista o la caratterizzazione del fratello.
Ottimi il finale e le immagini che aprono e chiudono il racconto, malinconiche e poetiche, perfette per circoscrivere le ossessioni di Mia.
Che ci vuole a scrivere un libro? Leggerlo è la fatica. (Gesualdo Bufalino)
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Macrelli Piero
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Messaggio da leggere da Macrelli Piero »

Il tragico equivoco è una formula che mi è sempre piaciuta e qui mi sembra il meccanismo abbia scattato abbastanza bene, quindi il racconto è decisamente buono.
Leggendo i commenti mi sono trovato a riflettere anche io su cosa avrei cambiato per raffinare il meccanismo narrativo.
L'introduzione del fratello la integrerei di più nel testo e mi chiedo se sia necessario rivelare il grado di parentela o lasciarlo come ipotesi tragica. Magari farei partire il racconto, con la scusa di dover descrivere l'ambiente, con l'arrivo del fratello nei pressi della casa, un po' come l'inizio de "La Notte Dei Morti Viventi".
Non mi sembra necessario descrivere la malattia della madre, ma preferirei insinuare, in qualche modo, il dubbio di chi sia pazzo.
Eliminerei la descrizione di dover spostare "quel grosso ingombro" che rovina un po' la sorpresa.
Mi sono permesso questo mio commento perché credo sia lo scopo dei nostri confronti. Bel racconto.
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Ida Daneri
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Messaggio da leggere da Ida Daneri »

Una storia che spiazza, dall'inizio fino alla fine e costringe a leggere, ad andare avanti, anche se è non la "speranza" che fa da motore, bensì quel continuo spaizzamento di punto di vista, finchè ti rendi conto che il punto di vista che conduce il gioco non è quello... "buono".
Davvero brava l'autrice a creare un mondo e la conseguente aspettativa del lettore; perfetto l'intermezzo con il punto di vista dell'uomo, l'unico equilibrato, spazzato subito via dal punto di vista dominante, che trascina con sé il lettore, anche se ormai il lettore (per lo meno quello scafato) sa che non è più quello il punto di vista corretto da seguire. Ciò che il lettore non immagina, però, è il finale, che va oltre ogni mmaginabile straniamento (salvo per gli esperti lettori che, in quel freeezer, la macabra sorpesa ormai se l'aspettano). ma l'acquisto del nuovo freeezer è una vera chicca.
Bravissima! Voto 5

Solo un piccolissimo errore, che rilevo affinchè non disturbi la perfezione del resto: "in quella manciata di case che costeggiavano la via" c'è un errore di concordanza. Il soggetto è "la manciata" (singolare) e non "le case" (plurale), quindi la voce verbale corretta è "costeggiava".
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Teseo Tesei
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Messaggio da leggere da Teseo Tesei »

Credo bene che il rombo dei tir che ad ogni ora del giorno alzavano la polvere della strada sterrata davano fastidio, almeno in principio.
E per fortuna che la strada svoltava poco prima di raggiungere casa di Mia.
Per fortuna poi che pochi erano i cittadini rimasti in quella manciata di case che costeggiavano la via e sempre fortunatamente la maggior parte erano vecchie fattorie, abbastanza lontane da non dover sopportare l’odore di vacche e maiali, piuttosto che versi, urla o scenari "poco normali".
Antisociale per eccellenza e con nessuna velleità di attaccar bottone con il vicinato, Mia stava bene così ... tra le sue ossessioni e patologie mentali, ormai assopite.

Poi arriva questo estraneo e le sue fobie risvegliano tutto.
Mia torna ad essere quel che già in passato è stata: una pazza assassina.

Ad esser sincero non mi piace il nome associato a questa donna malata.
Mia è di origini ebraiche ed è la variante di Maria.
Simbolo di speranza, fede, purezza etc. che stride con il personaggio.

Non è certamente scritto male, è una brutta storia, sebbene a peggiori e con simili personaggi mi è capitato di incrociare la strada.
Personalmente mi sono fatto l'idea che certi racconti, specie quando trasmessi in TV sotto forma di film o di sola cronaca, possano suggerire a soggetti malati ed instabili il modus operandi ispirando il loro futuro agire criminale.
Nei casi incrociati questo è successo indubbiamente.

Per questa ragione non apprezzo questo genere di racconto, dove la volontà di ispirare un criminale con la propria fantasia è quasi sempre lontanissima dello scrittore, sceneggiatore etc.
Non apprezzo neppure la pubblica cronaca relativa i suicidi: specie nella meticolosa ed invasiva descrizione di "ragioni" e modalità di auto-accoppamento.
Diventare ignari strumenti del male è spiacevole per tutti, almeno per i sani di mente.
Purtroppo lo spirito di emulazione è sempre in agguato.

Voto sospeso.
Oggi non sono in vena.
Le stelle brillano soltanto in notte oscura.
https://www.youtube.com/watch?v=HTRHL3yEcVk

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Il "cubo sognatore" su Titano aveva rivelato una verità sconvolgente sull'Umanità, sulla Galassia e, in definitiva, sull'intero Universo, una verità capace di suscitare interrogativi sufficienti per una vita intera. Come poteva essere bonariamente digerito il concetto che la nostra civiltà, la nostra tecnologia e tutto ciò che riguardava l'Umanità… non esisteva?
"Siamo solo… i sogni di Titano", aveva riportato il comandante Sylvia Harrison dopo il primo contatto col cubo, ma in che modo avrebbe potuto l'orgoglio dell'Uomo accettarlo? Ovviamente, l'insaziabile sete di conoscenza dell'Essere umano anelava delle risposte, e la sua naturale curiosità non poteva che spingerlo alla ricerca dell'origine del cubo e delle ragioni della sua peculiare funzione.
Gli autori GLAUCO De BONA (vincitore del Premio Urania 2013) e MASSIMO BAGLIONE (amministratore di BraviAutori.it) vi presentano una versione alternativa del "Tutto" che vi lascerà senza parole. Di Glauco De Bona e Massimo Baglione.

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