Nero Romagnolo (romanzo breve di Enrico Teodorani)

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Nero Romagnolo (romanzo breve di Enrico Teodorani)

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E' uscito già da qualche mese, ma non lo avevo ancora segnalato qui per pudore. Si tratta del mio primo romanzo breve, pubblicato dalla EF Libri, per cui ho curato anche un paio di antologie di racconti noir. Il libro è disponibile sia in versione cartacea (http://www.efedizioni.com/cat140_p158.htm) che in ebook (http://store.kobobooks.com/it-IT/ebook/nero-romagnolo). Ci terrei a sapere cosa ne pensate. Postate pure le vostre opinioni qui oppure sul mio blog: http://enricoteodorani.blogspot.com.
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Re: Nero Romagnolo (romanzo breve di Enrico Teodorani)

Messaggio da leggere da Massimo Baglione »

Bravo Enrico!
Sul sito dell'editore non mi pare di poter accedere a un'anteprima del libro, cosa questa che per me è fondamentale per valutare un libro e il suo eventuale acquisto.
Se l'editore è d'accordo, e se ovviamente vuoi tu ehehe, puoi allegare qui le prime 10-15 pagine, in un unico pdf, così sono sicuro convincerai molti di quelli che ancora non sanno come scrivi (e il loro è un più che legittimo dubbio).
In ogni caso, complimenti!
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Re: Nero Romagnolo (romanzo breve di Enrico Teodorani)

Messaggio da leggere da Enrico Teodorani »

Incipit del mio romanzo breve "Nero Romagnolo":

Era all’incirca mezzogiorno quando il camion si fermò in uno spiazzo. Lui ancora dormiva steso nel fieno, riparato dal sole da un telone, quando sentì qualcuno tirarlo per un piede.
– Ehi, sveglia! Certo che ne avevi di sonno arretrato, eh!
Cercando di vincere la stanchezza che lo spingeva giù, alzò la testa, sforzandosi di abituare gli occhi alla luce del giorno.
– Dove siamo?
– A Sorrivoli, – rispose il camionista. – Io scarico il fieno qui vicino, poi torno indietro. Se vuoi proseguire per casa tua il resto del viaggio lo devi fare a piedi.
La prospettiva di farsi dei chilometri a piedi attraverso le colline romagnole per tornare a casa non era delle più felici, ma d’altronde non c’erano alternative. Saltato giù dal camion si incamminò per la strada principale del paese in cerca di qualcosa da mangiare.
In lontananza vide l’insegna dell’osteria, un edificio bianco poco fuori del centro del paese, senza altre case intorno, e si ricordò di Teresa. Teresa era stata la prima ragazza di cui si era innamorato, addirittura fin da quando giocavano insieme da bambini, ma la famiglia di lei non lo vedeva di buon occhio. Tutti quanti dicevano che era una testa calda, e forse non avevano tutti i torti. Così la convinsero a sposare Faustino, una brava persona, per quanto ne sapeva, un tipo che non si metteva nei guai e che, pur non essendo ricco sfondato, non era uno spiantato come lui: viveva bene gestendo la sua osteria a Sorrivoli. Lui non l’aveva presa bene: da allora aveva fatto di tutto per non incontrarla più. Ma ora, con la fame che mordeva, non era il momento per prove d’orgoglio. Affrettò la camminata e si diresse verso l’osteria.
Arrivato alla porta ebbe un attimo di esitazione. Per una frazione di secondo ebbe la tentazione di voltarsi e riprendere il cammino per la strada principale, ma la ricacciò indietro ed entrò. E subito la vide. Stava dietro il bancone, con gli occhi bassi perché intenta ad asciugare una caraffa con un panno. Non era cambiata, era sempre bellissima. Anzi, forse era ancora più bella di come se la ricordava. Il cuore cominciò a battergli più velocemente nel petto e si sentì uno stupido. Si era ripromesso di innalzare un muro ideale che tenesse fuori addirittura il suo ricordo e poi, alla prima occasione, si faceva fregare dai sentimentalismi. Scacciò ogni pensiero di tenerezza dalla mente, o almeno ci provò, e schiarendo la voce disse: – Teresa?...
Lei alzò gli occhi, i suoi magnifici occhi neri, e uno splendido sorriso le illuminò il volto: – Teodoro! Sei tu!
Sentirsi chiamare così lo riportò indietro di anni. Solo lei lo chiamava così. Certo, quello era il suo nome, ma tutti, anche in famiglia, sin da bambino lo avevano sempre chiamato Durìn, perché aveva la testa dura, dicevano. Quel nome, pronunciato da qualsiasi altro, lo avrebbe percepito come un qualcosa di alieno da sé, ma detto da lei, dalla sua voce dolce e sottile, lo sentiva stranamente appropriato.
Teresa uscì da dietro il bancone e gli corse incontro: – Da quanto tempo non ti vedevo!
– Eh, sì, – rispose Durìn cercando di ostentare freddezza, – negli ultimi tempi ho avuto un po’ di affari da sbrigare…
– Ah! Che affari?
– Beh, tipo una guerra…
Lei fece una faccia perplessa, come era solita fare in passato quando non capiva se Durìn stesse scherzando oppure no.
–Senti, Teresa, – disse Durìn facendosi improvvisamente serio, – arrivo subito al punto: sono di ritorno dal fronte e mi mancano ancora chilometri prima di poter arrivare a casa. Non so da quanti giorni non faccio un pasto decente, ma al momento non ho con me soldi per poter pagare. Mi chiedevo se tu potessi procurarmi qualcosa da mangiare e da bere facendomi credito. Ti prometto che una volta arrivato a casa farò in modo di farti avere i soldi…
– Sì, le conosco le tue promesse, – sorrise Teresa, – comunque non ti preoccupare, vado a prepararti qualcosa! Tu intanto siediti!
Durìn, ancora stanco nonostante le ore di sonno sul camion, non si fece ripetere l’invito due volte: afferrò una sedia e si sedette a un tavolo mentre Teresa scompariva nel retro dell’osteria. Nell’attesa cominciò a tamburellare nervosamente con le dita sul tavolo. Rivederla aveva avuto su di lui un effetto inaspettato: tutto il rancore che provava per lei era sparito di colpo e sentiva una gran leggerezza nel cuore. Tuttavia non poteva fare a meno di provare un grande imbarazzo per quella situazione. I suoi pensieri si spezzarono quando la rivide apparire tenendo fra le mani un piatto di minestra calda.
– Spero ti piaccia, – gli disse sorridendo mentre glielo porgeva.
Solo in quel momento, quando si avvicinò, Durìn si rese conto che dietro il grande grembiule bianco indossava un abito nero. Forse era solo un caso, si disse, ma la sua linguaccia non poté fare a meno di chiedere: – Scusa se sono indiscreto, ma per caso hai avuto un lutto di recente?
Lei si bloccò per una frazione di secondo in cui anche il suo abituale sorriso le scomparve dalla bocca, poi, sforzandosi di mascherare un dolore comunque evidente , disse: – Beh, ecco, sì… Anche se non è stato proprio di recente… Però immagino che tu non l’abbia saputo, se eri in guerra…
– Saputo cosa?
– Sono vedova. – Le parole sembravano uscirle a fatica. – Faustino è morto da quasi un anno.
Durìn pensò a quante volte aveva desiderato la morte dell’uomo che gliel’aveva portata via. A come aveva sempre immaginato di poter reagire alla notizia che aveva appena ricevuto. Cioè con un’esplosione di gioia. Ora invece tutto ciò che provava era una sincera pena per il dolore che vedeva nel volto di Teresa, e ribrezzo per sé stesso per essere stato capace di pensare una cosa tanto meschina. Avrebbe voluto trovare le parole per consolarla, ma in mente gli venivano solo banali frasi di circostanza, per cui preferì starsene zitto.
Lei stava per aggiungere qualcos’altro, quando due camice nere, con tanto di fez in testa e manganelli alla cintola, entrarono nell’osteria.
– Buongiorno Teresa, ci porti due bei bicchieri di vino?
– Subito, – disse lei, spostandosi verso il bancone.
– Tutto bene?, – disse uno dei fascisti notando la sua espressione triste e gli occhi bassi.
– Sì, sì, perché?
– Mah, hai una faccia strana…
Poi l’attenzione del fascista si spostò verso Durìn, ancora seduto al suo tavolo, che aveva appena iniziato a mangiare la minestra.
– Un forestiero, eh?
Durìn continuò a mangiare la sua minestra senza rivolgere lo sguardo al suo interlocutore.
– Non si vedono spesso dei forestieri in questo paesino: voi per quale motivo siete qui?
– Turismo.
– Volete fare lo spiritoso, eh?! Beh, a noi la gente che ha tanta voglia di scherzare non piace troppo.
– Lo immaginavo, visto che siete vestiti da beccamorti.
Il fascista diventò subito paonazzo in volto: – Attento, coglione, che ti faccio sputare tutti denti!
– Ah, siamo passati a darci del tu, adesso! Bene, mi piacciono le persone amichevoli che entrano presto in confidenza!
– Fammi vedere se hai la tessera del partito. Scommetto di no. Scommetto che sei uno sporco rosso!
Durìn avvicinò le dita della mano alla tasca della camicia lisa e impolverata, come per prendere qualcosa, poi si bloccò con un sorrisetto sul volto: – Ops!... Devo averla lasciata nel vestito buono!
Il fascista si voltò verso l’altro che era sempre rimasto in silenzio: – Visto che questo qui vuol fare il commediante vorrà dire che gli dovremo insegnare noi a fare la persona seria.
– Hai bisogno del suo aiuto? Dì un po’, anche quando vai al bagno hai bisogno che lui ti regga l’uccello?
– Un pezzente come te posso schiacciarlo quando voglio, senza l’aiuto di nessuno, – fece il fascista, piccato nell’orgoglio.
Durìn allargò le braccia: – Vediamo!
Il fascista si avvicinò al suo tavolo con aria minacciosa.
– Per ora non sono impressionato, – disse con sufficienza Durìn, ma intanto fece scivolare lentamente la mano destra lungo i pantaloni, fino all’altezza del calzino.
La camicia nera si sfilò il manganello dalla cintola e lo alzò per colpire, ma con un fulmineo movimento Durìn afferrò un coltello che teneva nel calzino e lo puntò ai genitali dell’uomo.
– Prova a colpirmi col manganello e ti faccio fare la fine del cappone!
Lo spavento per come stava degenerando quella situazione fece sfuggire a Teresa dalle mani una brocca di vino, che si frantumò in mille pezzi sul pavimento, inondandolo di un mare rosso.
Per alcuni secondi tutti rimasero in silenzio e immobili, come se il tempo si fosse fermato. Poi il fascista che era rimasto più indietro disse: – Cosa facciamo?
– Niente, – rispose l’altro, cercando di simulare una calma apparente nonostante la lama puntata contro i suoi testicoli. – Non facciamo niente. Ora noi usciamo e avvisiamo il capo di ciò che è successo. Ci dirà lui come regolarci con questo forestiero.
Detto questo, il fascista cominciò a indietreggiare, sempre tenendo gli occhi fissi su Durìn e sul suo coltello, subito imitato dall’altra camicia nera. Non appena usciti dalla porta dell’osteria aumentarono il passo, per la fretta di trovare qualcuno che desse loro man forte.
– Che hai combinato!, – gridò Teresa.
Durìn guardò verso di lei: – Chi andranno a chiamare ora?
– Amedeo Lamberti. E’ il segretario politico del Fascio di Combattimento della zona, abita in quella grande casa laggiù – rispose la donna indicando attraverso la finestra.
Durìn si alzò dalla sedia e guardò nella direzione indicata da Teresa. Una lussuosa villa spiccava tra le misere case da contadini del paese.
– Di sicuro non deve essere uno che soffre la fame.
– Avere una buona posizione sociale non è una colpa.
– Forse, ma è per colpa di gente come lui che i poveracci come me sono costretti ad andare in guerra.
Lei sospirò. – Ma è possibile che in tutta la tua vita non riesce mai a esserci un momento in cui non ti metti contro qualcuno? Non sarebbe molto più bello stare in pace con tutti?
– Teresa, non sei cambiata in questi anni. Tu sei ancora convinta che sia bello non odiare nessuno, ma se vuoi amare tutti allo stesso modo, questo è peggio che impossibile, è sbagliato, specie quando si tratta di certe cornacchie nere!
– Sì, hai ragione, io in questo non sono cambiata. Tu invece mi sembri cambiato, e molto. Adesso nei calzini nascondi un coltello. Prima al massimo ci nascondevi le carte.
– Se non si può barare con gli amici, allora non val più la pena di giocare a carte.
– Non cercare di deviare il discorso! Ora devi andare via subito. Verranno a cercarti e io non voglio guai, non voglio essere coinvolta. Vai subito via, prima che arrivino! Se mi chiederanno di te dirò che non ti conosco.
– Va bene, non voglio crearti problemi con la mia presenza.
Durìn si avviò verso la porta dell’osteria. Mentre stava per uscire si voltò per incrociare ancora lo sguardo della donna, per vederla un’ultima volta. Ma lei si era già chinata a pulire il pavimento su cui si era versato il vino e a raccogliere i cocci della brocca infranta. Forse era giusto così, che cosa pretendeva? L’aveva rivista per la prima volta dopo anni e aveva quasi scatenato una rissa nella sua osteria. Era già tanto che non l’avesse cacciato a calci. Accennò un saluto, ma Teresa non si distolse dalle sue faccende. Forse non lo aveva sentito. O forse era giustamente arrabbiata con lui e non voleva rispondere. Durìn preferì non scoprire quale delle due ipotesi fosse vera ed uscì senza rinnovare il saluto. Arrivato in strada si incamminò a passo veloce per uscire in fretta dal paese. Aveva già provato in passato manganellate ed olio di ricino, ed era un’esperienza che non voleva ripetere.
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Re: Nero Romagnolo (romanzo breve di Enrico Teodorani)

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Re: Nero Romagnolo (romanzo breve di Enrico Teodorani)

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La copertina del libro.
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Re: Nero Romagnolo (romanzo breve di Enrico Teodorani)

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Semplice ed efficace!
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Re: Nero Romagnolo (romanzo breve di Enrico Teodorani)

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Massimo Baglione ha scritto:Semplice ed efficace!
Se si legge il romanzo fino alla fine, la copertina ha anche un senso collegato all'epilogo della storia.
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Re: Nero Romagnolo (romanzo breve di Enrico Teodorani)

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Un articolo dove si cita "Nero romagnolo": https://www.bombagiu.it/hardboiled-roma ... teodorani/
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Re: Nero Romagnolo (romanzo breve di Enrico Teodorani)

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Enrico Teodorani ha scritto: 13/12/2020, 15:54 Un articolo dove si cita "Nero romagnolo": https://www.bombagiu.it/hardboiled-roma ... teodorani/
Il link de mio messaggio precedente non funziona più; mando il link corretto: https://www.bombagiu.it/lhardboiled-rom ... teodorani/
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