PATATRAC
Tututum! Faceva il cuore di Elio. Tututum!
— Prego, scegli prima tu — serrò il pugno e ficcò il gomito tra le costole.
— Che hai? — chiese lei.
— Oh, nulla, mi stava cascando il tovagliolo — la guardò scrollare le spalle e immergersi nel menù. “Non muoverti” si disse “non un muscolo”, chiuse gli occhi e si visualizzò seduto al tavolo, inspirò profondamente. — Che fragranza qui sul terrazzo, il profumo dei fiori si sposa con il tuo — sussurrò.
— Grazie. Pensavo che non volessi guardarmi — lei arricciò le labbra e velò le iridi con le ciglia — Io ho scelto, tu cosa prendi?
Elio deglutì, una, due, tre volte; fissò il menù semiaperto e sospeso tra il centro tavola infiorato e la candela a lato. Si figurò un obelisco in fiamme rovinare su un’oasi e infuocarla, e l’esondazione di un fiume sorgente dal bicchiere di fronte a lui, e detriti di cristallo tra le pieghe della tovaglia color sabbia. — Io prendo sempre la stessa cosa, grazie. — La lista atterrò tra l’apparecchiato senza danni.
Movimenti minimi, solo forchetta, niente combinazioni con coltello e cucchiaio. La cena fu ottima.
Poi lei, con la sigaretta tra le labbra, chiese d’accendere. — Io non fumo — si difese lui, ma lei occhieggiò la candela.
Elio si mosse come un fiore che si apre al primo sole, il suo braccio trasportò la mano intorno al portacandele, trasferimenti osmotici di fluidi ansiosi fecero chiudere le sue dita sulla basetta di legno. La candela si innalzò sulla tovaglia beccheggiando, gocce colavano lungo lo stelo di cera e giù dalla sua tempia. La fiamma arrivò a toccare la punta della sigaretta, e poi baciò lei con focosa passione.
— Ma che fai! Mi hai bruciato la bocca!
Le braccia e le gambe di Elio fendettero l’aria come tensostrutture squassate da un terremoto e lui versò vino e acqua, sparse fiori e cibo e precipitò all’indietro sperando di spappolarsi il cranio.
Susanna scandagliava la terrazza semibuia scrutando le facce degli uomini. Era come un periscopio sottile sottile, decorato da un caschetto biondo e, quando esplose il patatrac, guizzò girandosi e abbassandosi ad altezza tavolo. “Oh mamma! Quello c’è rimasto” temette con un filo di pensiero.
Osservò il cameriere risollevare l’infortunato, il poveretto se ne rimase solo rischiando nuovamente di collassare a terra quando un gamba della sedia si piegò mogia. Guardò la compagna di lui filare via come una torpedine e in fondo alla sala, sorto dai glutei isterici di lei come se l’avessero beccato ad assaggiarli, riconobbe il viso del suo innamorato. Era lui, il suo corpo ne era convinto.
Lo raggiunse e lo salutò con un “ciao” al miele.
— Ciao — rispose lui guardandosi intorno.
— Scusa, ho fatto tardi. Faccio sempre casino con gli orari — Susanna si accomodò prendendogli la mano e stringendola più volte perché la sentiva incerta e sfuggente.
Elio faceva forza con i quadricipiti per ridurre il peso sulla sedia, ma non poteva rimanere così, doveva arrischiarsi a cambiare seduta. “Tanto il danno è fatto” pensò.
Si mosse incassando la testa tra le spalle e, mentre aspettava l’arrivo di ulteriori disastri, una scena lo incuriosì: una rossa virago baccagliava di fronte a una testa pelata in ascetica attesa del fulmine e a una bionda minuta. Quest’ultima suscitò in lui un notevole interesse: sembrava un’appassionata dentista che indagava le qualità ortodontiche di una tigre, sacrificando la paura al bisogno di comprendere.
Quando la biondina si congedò profondendosi in scuse, Elio si rese conto di essersi accomodato su una sedia sana e nulla era in aria, a fuoco, allagato o fracassato. Allora, quando lei passò vicino al suo tavolo, non poté fare a meno di ammiccarle come un complice grato.
Susanna sentiva le guance bruciare. “Vergogna! Vergogna! Vergogna! Ti sbagli sempre! E che vuole questo? Vuoi vedere...”
— Ciao — salutò lei, all’acqua tonica.
— Sei un po’ scossa, ma guarda me — Elio guidò con le mani lo sguardo di lei tra le rovine che lo circondavano.
— Hai fatto un macello — ridacchiò Susanna.
— E tu? La moglie ti ha pizzicato?
— Non è come pensi. E poi che vuoi, manco ti conosco... non ci conosciamo, giusto?
— Mai incontrati prima d’ora. Però, mi fai un effetto strano. — Elio affondò il cucchiaino nel dessert, con movimenti ampi si riempì la bocca e non esplose nulla.
— Rompi sempre tutto? Sbatti dappertutto?
— Totalmente, inesorabilmente, eternamente imbranato — dichiarò lui con accademico cipiglio.
— Io confondo i giorni, le ore, non azzecco mai un appuntamento.
Elio scrollò le spalle — Non mi sembra così grave.
— Scambio anche i posti. Se mi dici di vederci in piazza, io magari ti aspetto tutto il giorno davanti al tribunale. E rimango lì, fino a sera, perché nessuno mi cerca, visto che il giorno è sicuramente quello sbagliato.
— Sì, ma prima o poi ti incontrerai con chi ti dovevi vedere, e ci starai insieme, e non rimarrai da sola. Io, invece, non riesco a stare con nessuno. Insomma, anche chi resiste di più, alla fine scappa, si mette paura.
— Sì ma... io scambio anche le persone.
— In che senso?
Elio attese. Lui non rompeva niente e lei era una bambolina. Immaginò una cosa così impossibile: sognò di baciare una mora, facendo una boccuccia piccola piccola, gustando ogni drupa. Incantato, guardò Susanna accomodarsi.
— So di essere innamorata ma confondo i fidanzati — concluse lei con una risata schioccante.
“O che benedizione!” Pensò lui. — Beato il fortunato. È come vincere alla lotteria.
— Davvero lo credi? Perché io sono sicura di non averti mai incontrato prima, e sento che ti riconoscerò tra tutti dopo questa sera. Anche se... — agitò le mani, dirigendo il crescendo di felicità che i tratti di lui componevano — intorno a te non fosse un campo di battaglia!
— Allora dovremmo metterci insieme, per prenderci cura l’uno dell’altra — cantò Elio.
Susanna gli carezzò la mano e lui gliela coccolò. Le dita non sfuggirono le une dalle altre. Non ci furono incertezze.