La luna inutile
Inviato: 16/01/2019, 9:44
Spiacente ma, in questo browser, la lettura a voce non funziona.
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– Brindisino?
– Lalà lalà lalààà!
Si respirava un’atmosfera piuttosto euforica nella sede dell’associazione culturale “StraLunati” di Coldelmonte. Alterigio Qualunquelli, presidente del direttorio generale dei comitati periferici dell’associazione, aveva da poco annunciato una notizia di quelle “bomba”. Ebbene sì, il loro spettacolo teatromusidanzante — ancora senza nome, senza trama e senza programma — aveva ottenuto il patrocinio della Provincia. In altre parole, degli ingenti fondi a disposizione da spendere a piacimento e senza dover rendere conto a nessuno, eccezion fatta per il poco esigente pubblico coldelmontano.
– In alto i calici!
L’impatto tra la ventina di bicchieri causò una leggera pioggia di prosecco misto ai residui dello Chardonnay e delle Ceres bevute nelle due ore precedenti. In sede erano attrezzati con un ben rifornito baretto, nelle occasioni importanti ingaggiavano persino un barman ma per quell’incontro improvvisato si era deciso di optare per qualcosa di più facilmente mescibile.
Dopo la breve riunione conclusasi con un salomonico vabbè poi al limite ci si aggiorna dopo le feste, il variegato gruppo di artistintellettuali si era addentrato già da qualche minuto nelle lande delle chiacchiere senza costrutto. Qualunquelli, ridendo sotto i baffi, si soffermò ad ammirare la propria creatura: un manipolo di inetti disposti a poco per mettere in scena il nulla. Personaggi ibridi, sfuggenti ma ancorati a delle necessità di cui non avevano mai fatto virtù: il dover sostenere le ormai defunte aspettative di genitori e insegnanti. Dell’arte lì non importava niente a nessuno, l’avevano messa da parte prima di impararla; era il mezzo per raggiungere un fine francamente ignoto a tutti.
Rotte ufficialmente le righe con l’ultimo brindisi, i presenti si divisero in capannelli. Alcuni improvvisarono una tragedia greca sull’imminente sessione d’esami universitari, curiosamente senza contemplare l’ipotesi di mettersi a studiare per superarli ma prodigandosi, in un secondo momento, nella presa in giro di professori e matricole. A dirla tutta i primi iniziavano a essergli coetanei e i secondi potenzialmente figli, ma oramai dieci-quindici anni fuori corso equivalevano, accademicamente parlando, a un quarto d’ora di ritardo. Boccheggiavano come pesci sazi, ingurgitando patatine e birre come se gli avessero installato un meccanismo all’altezza delle mascelle.
Poco più in là stavano i veterani, appesi ai loro drummini spenti e rispenti. Dalle loro micronuvole di tabacco si propagavano blandi temporali di esternazioni unidirezionali, piccoli comunicati stampa per un pubblico inesistente. Il leitmotiv era “dimostro la mia apertura mentale fingendomi intollerante”. Il menu presentava etero che parlavano male gay, gay che insultavano neri, neri che inneggiavano ai partiti xenofobi, donne che contestualizzavano stupri in presenza di abbigliamenti femminili troppo succinti e uomini che lamentavano la scarsa copertura mediatica degli episodi di violenza contro i loro pari sesso, evidenziato dalla mancanza di un termine come “uominicidio”.
Verso le ventitré molti membri degli StraLunati si resero conto di trovarsi nel limbo di metà settimana e che l’indomani si sarebbero dovuti alzare a un orario decente, come promesso a loro stessi. Con una certa flemma, iniziò il valzer della ricerca di cappotti, sciarpe, borse e tascapane.
Nello stesso momento il signor Donato imboccò il vicolo in cui si trovava la sede dell’associazione culturale. L’anziano uomo era uno dei pochi invisibili di quella cittadina piuttosto benestante. Sulla settantina, costantemente avvinazzato, indossava un logoro cappotto blu scuro stretto stretto, a evidenziare una pancia colma più di vizi che di pane. La sua testa era nuda, calva e tonda, imperlata di sudore a dispetto del clima rigido; sul volto si scorgevano appena dei lineamenti arrossati dal freddo e contratti in una smorfia rassegnata. A Coldelmonte nessuno ricordava più perché si fosse ridotto in quel modo: la disoccupazione, un incidente, un divorzio, psicofarmaci o tutto questo insieme.
Non era silenzioso il signor Donato, aveva molto da dirsi in quelle lunghe notti da trascorrere passando da un androne all’altro, alla ricerca di portoni semichiusi e condòmini compiacenti. Quella sera però si era trincerato in un silenzio causato dall’incessante battere dei propri denti. La temperatura si stava rapidamente abbassando, una robusta tramontana aveva già fatto pulizia di nubi nel cielo.
Nella penombra di quel vicolo male illuminato, l’anziano scorse il gruppetto di persone che sostava davanti all’associazione. Si avvicinò seguendo l’istinto di cercare punti riparati in prossimità di luoghi frequentati. Nessuno si curò di lui, gli artistintellettuali erano impegnati in una discussione sulla figura della settimana bianca nella cinematografia di Vanzina.
Il signor Donato era molto miope e per altri motivi ci vedeva persino doppio, ma sull’insegna listata in oro scorse nitidamente “…Luna…” e “culturale”, quindi si sentì come in dovere di dare il proprio contributo. Gli piaceva comporre dei semplici versi, riusciva così a memorizzarli facilmente. Non si considerava di certo un poeta ma, in fondo, non si considerava proprio nulla e ormai aveva perso da tempo l’abitudine di interrogarsi sulla propria esistenza. Certo, le poche volte in cui si era arrischiato a recitare versi in pubblico era divenuto oggetto di scherno e battute sul suo stato, come dire?, lievemente alterato. Tuttavia, rassicurato dalla lettura delle parole luna e culturale, si fece coraggio e prese a declamare:
– Freddo è l’oblio in cui sono immerso, triste e beffardo è il destino perverso…
Erano lì, erano in venti. Dalle vacanze vanziniane passarono, del tutto indifferenti alle parole dell’anziano, a caldeggiare l’eventualità di una vegan week di gruppo per riprendersi dai cenoni e presentarsi all’appuntamento di Capodanno in forma smagliante. Avrebbero documentato la loro impresa attraverso delle stories da pubblicare sul profilo Instagram dell’associazione; l’hashtag sarebbe stato #felicevegannonuovo.
Donato, confuso da quei discorsi pieni di parole a lui ignote, proseguì:
– Dimenticato da questo universo, prendo soltanto… il che m’è concesso…
Bocciata la vegan week per paura di perdere eventuali follower vegani suscettibili, i membri dell’associazione affrontarono la spinosa questione di come organizzare la cena-raccolta fondi per la carestia in Niger evitando che la loro sede si riempisse di immigrati. Venne proposta una selezione di massimo cinque esponenti del centro di accoglienza locale, purché venissero già mangiati.
– Luna che ascolti ogni mio turbamento, pronta tu accogli il mio vuoto lamento…
L’anziano uomo pronunciò questo passaggio con un tono di voce elevato, esalando un umile effluvio di Tavernello enfatizzato dall’assenza forzata di igiene orale. Di tacito ma comune accordo, gli artistintellettuali si salutarono in una girandola di goliardiche bestemmie, gridolini, notifiche e altri suonini indistinguibili che si ovattavano con l’accelerare dei loro passi.
– Questi che vedo saranno un po’ umani?…
La domanda dell’anziano svanì nei vapori del suo fiato. Le sagome di quei tizi erano già lontane, claudicavano verso le invitanti luci del centro.
– Possiate morì tutti quanti domani – concluse il signor Donato.