Nebraska
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Nebraska
Io sono da sempre per la pari opportunità delle emozioni, forse per questo mi ritrovo a mio agio nella dimensione egualitaria dell’arte. Nel senso che, se nella realtà ci viene propinata da secoli la felicità, qualsiasi cosa essa significhi (1), come la regina delle emozioni - primo posto assoluto nell’elenco delle eventualità positive, rimedio per tutti i mali possibili (salvo quelli che ti rendono infelice) -, nel mondo dell’arte esiste un’estetica, e quindi una posizione paritaria, per qualsiasi tipo di emozione, anche quelle negative. Nell’arte ognuna di esse può trovare la sua ragione d’essere, e soprattutto diventare fonte a sua volta di ulteriore emozione in chi ne fruisce, producendo un benessere (temporaneo, ahimè) che travalica l’espressione (2).
Veniamo al punto. I film che ho visto di Alexander Paine mi sono piaciuti tutti, in primo luogo perché partono da una situazione di disagio o crisi interiore per poi espandersi e assumere un valore sociale, esemplificando come nessun individuo sia mai realmente un’isola in mezzo al mare o in altre parole come qualsiasi sfiga di cui si possa essere oggetto, è molto probabilmente già stata la sfiga di qualcun altro. Poi c’è quel senso dell’umorismo molto sottile, molto intelligente (relativo, lo so), che prediligo. Quello che solitamente definiamo “ridere per non piangere”, per intenderci.
Il film in questione ha molte altre virtù. È in bianco e nero, tanto per cominciare, ed è concepito per costruire, come dicevo all’inizio, un’estetica della tristezza, della nostalgia, del rimpianto, della vita prossima alla fine e della morte prossima all’inizio (chi può asserire con assoluta certezza che la morte sia una fine, in fondo? E forse la morte non è anch’essa parte della vita e non, come normalmente la nostra società la concepisce, la sua nemesi?).
L’atmosfera, ripensandoci in questi giorni di quarantena forzata, è analoga a quella di una società esausta, sfinita da decenni di sviluppo economico (e di sfruttamento umano, ambientale), che ha lasciato dietro di sé non già persone realizzate, appagate e serene, ma piuttosto rassegnate, prive di sogni e illusioni, deluse. Gli scenari sono quelli di un’America rurale, abbandonata, semideserta. Una natura spazzata dal vento che sembra in procinto di liberarsi del peso degli esseri umani. L’atteggiamento dell’opera nei confronti della discussa umanità non è però ostile, tutto il contrario. Segue le vicissitudini di padri, madri e figli, con un occhio di riguardo, una comprensione decisamente di parte che coccola a pari modo i loro difetti e le loro virtù, e una dolcezza fuori dal comune.
Da menzionare, in chiusura, l’interpretazione offerta da un attore che abbiamo visto in moltissime pellicole USA (perlomeno chi è venuto su a cinema e televisione in quell'ambito lì), ma mai nei panni del protagonista. Qui lo è e la sua performance è memorabile. Grandissimo Bruce Dern.
Bella colonna sonora di Mark Orton.
NOTE:
1) Immagino si intenda quello stato d’animo euforico ed energizzante che induce in genere le persone a ridere per qualsiasi idiozia e rompere le palle a chi non lo fa, distribuendo a iosa consigli non richiesti e comunque fuori luogo. Non sono molto pratico, in merito, ma a me pare dipenda spesso più che da un effettivo benessere fisico e spirituale (in quel caso potrei capire), dalla ragionevole aspettativa di poterne godere in un futuro prossimo e costante. Cioè di un’emozione indotta dall’immaginazione, più o meno credo la stessa cosa che io faccio a fini personali scrivendo.
2) Cito Guccini, da “Vedi cara”
“…quando rido senza muovere il mio viso,
quando piango senza un grido, quando invece vorrei urlare…”
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Re: Nebraska
Splendida la fotografia, il bianco e nero dà sempre un valore enorme all’immagine e di scorci, paesaggi, inquadrature bellissime questo film è pieno.
Un film che parla di dignità, mi è piaciuto molto.
La Gara 4 - Ciak, si gira!
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Fungo più, fungo meno...
Nessuno li ha mai raccontati in maniera avvincente.
Cosa può accadere se una élite di persone geneticamente Migliore si accorge di non essere così perfetta come crede?
Una breve storia di Fantascienza scritta da Carlo Celenza, Ida Dainese, Lodovico Ferrari, Massimo Baglione e Tullio Aragona.
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Il "cubo sognatore" su Titano aveva rivelato una verità sconvolgente sull'Umanità, sulla Galassia e, in definitiva, sull'intero Universo, una verità capace di suscitare interrogativi sufficienti per una vita intera. Come poteva essere bonariamente digerito il concetto che la nostra civiltà, la nostra tecnologia e tutto ciò che riguardava l'Umanità… non esisteva?
"Siamo solo… i sogni di Titano", aveva riportato il comandante Sylvia Harrison dopo il primo contatto col cubo, ma in che modo avrebbe potuto l'orgoglio dell'Uomo accettarlo? Ovviamente, l'insaziabile sete di conoscenza dell'Essere umano anelava delle risposte, e la sua naturale curiosità non poteva che spingerlo alla ricerca dell'origine del cubo e delle ragioni della sua peculiare funzione.
Gli autori GLAUCO De BONA (vincitore del Premio Urania 2013) e MASSIMO BAGLIONE (amministratore di BraviAutori.it) vi presentano una versione alternativa del "Tutto" che vi lascerà senza parole. Di Glauco De Bona e Massimo Baglione.
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Nota: questo libro non proviene dai nostri concorsi ma è opera di uno o più soci fondatori dell'Associazione culturale.