L'uomo che spazza
Inviato: 24/09/2021, 0:52
Spiacente ma, in questo browser, la lettura a voce non funziona.
C'è un uomo che spazza tutto il quartiere.
Non il mio quartiere, uno limitrofo che raggiungo in pochi minuti, nelle mie ormai abituali passeggiate urbane.
In breve tempo l'ho esplorato tutto, si trova in una tranquilla zona residenziale; la strada principale che l'attraversa si interseca con angoli retti alle tante traverse, a loro volta ramificate a formare un complicato disegno labirintico fra le villette, le case unifamiliari e qualche spazio verde attrezzato, utile per le passeggiate dei cani, molto più numerosi dei bambini, da queste parti.
L'uomo è anziano, di più non so dire riguardo alla sua età, potrebbe essere un settantenne in ottima forma o un ottantenne in forma straordinaria. Ha movimenti svelti, decisi, direi nervosi, usa la scopa e la paletta con maestria, è quasi ipnotico nella sua azione di pulizia. Niente lo distrae dalla sua missione – non saprei con quale altro nome definire la sua attività – ben diversa dal lavoro di un netturbino, anche del più solerte. Il suo spazzare non è semplicemente pulire i marciapiedi e badare al decoro del vicinato, ha un che di ascetico, di indaffarata meditazione.
Lo avevo già notato passando in macchina, ma l'attenzione che richiede la guida ci permette solo un quadro grossolano dell'ambiente che attraversiamo, i dettagli sfuggono; la velocità ci dà qualcosa e ci toglie tanto.
Passeggiando, invece, ho iniziato a prestare attenzione a questa figura singolare, alla sua opera insistita. È un po' come quando vediamo un modello di auto che non avevamo notato prima e poi ci accorgiamo che ce ne sono molti in giro. Oppure come ascoltare distrattamente una nuova canzone alla radio e alla lunga iniziare a canticchiare il ritornello a ogni nuovo passaggio. In questo modo l'uomo che spazza ha conquistato la mia attenzione. Lo osservo a distanza, giro intorno a un isolato e quando l'ho di nuovo a tiro ne studio i progressi, fingo disinteresse mentre valuto i risultati del suo operare che, è questa la cosa sorprendente, sono ineccepibili: niente sfugge alla sua scopa. Mi sembra di avvertire il suo disappunto quando non trova qualcosa da raccogliere e vaga con lo sguardo in cerca di un rimasuglio da spazzare via, allora procede velocemente in avanti, sempre con gli occhi puntati verso il basso incurante del caos che lo circonda, la vita mentre si svolge, attento a cancellarne le tracce inevitabili che lascia dietro di sé.
Passeggiare, per come lo intendo io, non ha niente a che vedere con il footing, lo jogging, il walking o qualsiasi altra attività che finisca con –ing, è un esercizio più filosofico che fisico. Lascio vagare i miei pensieri e perdo la cognizione del tempo; ora, però, ho iniziato a fare una tabella mentale degli orari e dei luoghi dove lo incontro, cercando di indovinare i nostri incroci prima che avvengano. A volte ci riesco, altre volte no, probabilmente deve seguire un complicato piano operativo che per il momento non mi è del tutto chiaro.
Credo di aver individuato la sua casa, una villetta a un piano con giardino – curatissimo, ça va sans dire – perché è in quei paraggi che lo incontro più di frequente.
Ammetto di aver atteso con una certa impazienza e una punta di sadismo – di carattere puramente scientifico, per carità – che arrivasse la stagione del vento e delle foglie gialle, solo per vederlo alle prese con quella contingenza. A riprova della mia buonafede posso vantarmi di aver affrontato il freddo e le raffiche della tramontana, quando potevo starmene rintanato in casa al caldo in compagnia di libri e caffè, giusto per spiarne l'opera. L'uomo che spazza ha ripagato i miei sacrifici, l'ho visto intrepido sfidare gli elementi, caparbio nella sua missione, solo un po' rallentata dai più frequenti viaggi verso i cestini pubblici per svuotare la paletta ricolma del fogliame raccolto. Mi sono chiesto anche come avrebbe affrontato la neve, rara da queste parti, ma il clima mi è stato avverso in questo inverno mite e la mia curiosità è rimasta insoddisfatta.
Queste giornate di pioggia primaverile sottile e persistente, invece, mi invogliano a rimanere a casa e quasi mi dimentico dell'uomo che spazza. Ma è in quel "quasi" che abita la mia ossessione; basta un mattino di sole perché mi venga la smania di uscire e andare a cercarlo.
Che questa sia un'ossessione ormai mi è chiaro, la conferma l'ho avuta stanotte, in sogno. Lui non faceva niente di diverso da quello che fa nella realtà, spazzava la via e i marciapiedi, ma mi sembrava più cupo, per qualche indefinibile ragione meno concentrato nel suo compito, come se ci fosse un pensiero che lo distraeva. Ho visto che dopo il suo passaggio uno scontrino accartocciato era rimasto per terra, l'ho raccolto e gliel'ho mostrato. Mi ha guardato come se non capisse l'importanza di quella piccola mancanza, come se fosse una cosa da nulla, mentre per me era il segno di una sconfitta inaspettata, una crepa nella monolitica stabilità degli eventi.
Nel mondo delle cose reali non abbiamo dialogo, in questa dimensione, invece, è stato fin troppo loquace.
Mi ha tediato con una filippica sulle onde elettromagnetiche e sui loro effetti sull'organismo, forse per giustificare il grosso cavo nero che, ho notato, gli spuntava dall'orlo dei pantaloni e si avvolgeva in spire ronzanti, come un serpente in agguato, nell'erba del giardino di quella che credo essere casa sua.
Poi mi ha parlato a lungo – per ore? Il tempo onirico non si misura con l'orologio – della vita e della morte, ma non ha detto niente di nuovo, di interessante e rivelatore, niente che chiunque con una certa esperienza non sappia già.
Mi sveglio un po' demoralizzato, mi ci vuole del tempo per realizzare pienamente che il fascino di quella figura non sia uscito ridimensionato dalla sua deludente versione che mi è apparsa in sogno.
Ma la luce del giorno ristabilisce l'ordine naturale delle cose: lui non è cambiato, è la mia fase REM che mi ha teso un tranello, tentando di sminuire la sua ortodossia.
Con la bella stagione le mie passeggiate si fanno sempre più mattutine, qualche volta mi capita di anticipare le sue uscite, ma di solito lo trovo già al lavoro, in pantaloncini e scarpe da ginnastica, a torso nudo, con la pelle del colore del cuoio, come quella dei vecchi marinai bruciati dal sole.
A volte vorrei sapere perché fa quello che fa. Mi aspetto una complicata teoria filosofica secondo la quale l'ordine e l'armonia dell'esistenza si conquistano con un rito quotidiano di purificazione; ognuno deve trovare il proprio e quello è il suo.
Andando avanti in questo dialogo immaginario gli chiedo perché si limiti a pulire una zona circoscritta quando potrebbe estendere il suo compito ad altri quartieri, a tutta la città e poi, in un delirio metafisico, al mondo intero.
"Un uomo dovrebbe conoscere i propri limiti" è la sua risposta. Sorrido per la citazione e per questo gioco fra di noi. Il mio gioco, lui ne è del tutto ignaro.
Questa terza versione, tutta mia personale, dell'uomo che spazza si pone un po' a metà fra quella ciarliera e fatua del sogno e quella rigorosa e distaccata che vedo tutti i giorni. Probabilmente è il mio bisogno di diventare parte del suo mondo, di esserne attore, seppure comprimario, e non semplice spettatore.
Forse è proprio questo quello che temo, che non voglia rispettare il copione che scrivo per lui, che mi deluda con spiegazioni del suo comportamento banali e fuori dai miei schemi e aspettative. Meglio rimanere nel non detto, in una zona nebulosa del dubbio, dove il mistero conserva intatto il suo fascino.
Peggio ancora sarebbe scoprire che il suo agire deriva da una tara caratteriale o cognitiva. È facile immaginare quanta preoccupazione ne deriverebbe per i suoi familiari. Mi figuro l'imbarazzo di un nipote che paga l'eccentricità del nonno con gli sfottò degli amici, la pena di una figlia impotente di fronte a quella mania incomprensibile, la rassegnazione di una moglie ormai messa da parte nelle priorità e negli affetti.
Ma, in fondo, della sua vicenda umana poco m'importa, la cosa che mi affascina è la sua azione: spazzare non è come passeggiare, del mio vagare non rimane segno tangibile né ricordo, quello che fa lui lascia una traccia per sottrazione. Dove prima c'erano mozziconi di sigaretta, cartacce e foglie ingiallite ora non rimane più niente, la strada ha ritrovato la sua verginità.
Stamattina c'è uno sfaccendato che osserva l'uomo che spazza. Lo noto mentre passo e sulle prime spero che sia intento a guardare qualcos'altro, invece no, mi volto a controllare e non ci sono dubbi, è qui proprio per lui. Se ne sta lì con le mani in tasca, nella posizione del fenicottero, cioè in equilibrio su una gamba, mentre l'altra è ripiegata ad appoggiare il piede a un muretto di cinta. Lo studia con una sfrontatezza che mi irrita, io non ho mai osato arrivare a tanto. Vado avanti per qualche decina di metri e poi torno sui miei passi, rallento quando sono davanti a questo tipo, fingo di armeggiare con il cellulare e mi soffermo frapponendomi fra lui e il mio protetto. Lo sconosciuto mi ignora e si sposta un poco per non perdere la visuale dell'uomo che spazza, aumentando il mio fastidio. Riprendo il cammino e devo far appello al mio autocontrollo per non tornare indietro e dirgliene quattro, come meriterebbe. Più tardi, a mente fredda, rifletto sui motivi del mio disappunto.
Mi fa male ammetterlo, ma devo accettare questa irritazione per quello che è: gelosia. L'uomo che spazza è mio, l'ho scoperto io! Che cosa vuole questo intruso, questo parvenu del voyerismo antropologico? Perché non si cerca un soggetto tutto per sé, che diamine!
Sono turbato da questo sentimento, forse per una ragione più profonda che, finora, non ho afferrato in pieno.
Talvolta mi chiedo se l'uomo che spazza, tutto preso in un'attività che per lui dev'essere dilettevole e terapeutica come lo è per me camminare, segretamente spii il mio vagare senza che me ne renda conto; magari mi ha anche definito l'uomo che passeggia. O forse, semplicemente, vorrei che il nostro rapporto avesse questa natura speculare, ma temo che sia solo una mia chimera, perché lui, ostinatamente, a capo basso, spazza e non si cura di me.