Scherzi da prete
Inviato: 24/09/2021, 14:27
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SCHERZI DA PRETE
La preoccupazione principale di Cosimo, nei dieci minuti a seguire, sarebbe stata solo una: che non toccassero le pareti del Ducato con la cassa imballata. Vide malauguratamente uscire dal portone della Serio Utensili Speciali un muletto stracolmo, condotto da un ragazzotto un po' scuro col viso deturpato da due orecchini e un piercing. Finendo a tutto gas su un tombino evitabilissimo, per poco non aveva ribaltato il carico: la sua fronte già imperlata di sudore cominciò a gocciolare, quel giovanotto spericolato e irresponsabile verso i beni altrui gli aveva fatto più paura del fantasma della nonna. Doverosa una precisazione: a Cosimo non importava nulla del carico, poteva contenere lingotti d'oro quanto letame, per lui valeva sempre diciotto centesimi al chilo per i primi 50 chilometri. A spaventarlo era l'effetto che una manovra troppo garibaldina avrebbe potuto causare al Ducato quasi immacolato.
Il quasi era d'obbligo in quanto la settimana prima, appena uscito dal concessionario, una sgualdrinetta sui venticinque anni l'aveva tamponato. Proprio lui, un onesto cittadino al lavoro dalle sei del mattino e che aveva atteso con ansia di ritirare il furgone pagato la bellezza di quarantatremila euro! In fondo stava seduto lì tutto il giorno, forse sentiva più suoi sedile e contagiri che divano e TV: voleva stare comodo, ecco tutto. Sedili ergonomici, aria condizionata a controllo elettronico, navigatore con comandi vocali e tanti altri gadget facevano spiccare il nuovo cabinato bluette dall'indistinguibile banalità di tutti gli altri furgoncini, rigorosamente modello-base e tristemente bianchi per risparmiare qualcosa sul metallizzato.
Deborah Rodriguez si chiamava la tamponatrice, Deborah con l'acca, chissà da dove veniva con quel nome! E aveva anche fatto finta di provarci con lui, per giunta! Tante scuse, qualche sorrisino buttato lì non a caso, le gambe che si accavallavano… Lusinghe sicuramente collaudate per una buzzicona con quel nome e con quelle mosse, per giunta truccata in quel modo e con quei capelli di un biondo così finto. Come se quelle zinnone ciondolanti e un po' strizzate nella camicia, ovviamente semi-sbottonata, avessero avuto il potere di ipnotizzarlo. Lui non ci era cascato, per nulla: chi tampona ha sempre torto. Aveva visto all'ultimo momento il rosso? È vero, ma l'aveva pur sempre visto, non stava armeggiando con il telefono per chiamare il moroso, come quella lì.
Che Cosimo fosse ultimamente un po' affaticato alla guida non era un mistero. Pochi mesi prima quasi benedisse l'improvvisa dipartita dei fratelli Marzouk dalla sua microazienda di trasporti: una coppia di sfaticati buoni a nulla che gli riconsegnava il furgone sempre ammaccato o malfunzionante, lamentandosi di continuo per sciocchezze indegne di trentenni robusti e vigorosi. Un bel giorno la Finanza scoprì che i due non solo non avevano la patente, ma da accurati controlli risultavano pure immigrati irregolari; del resto, lavorando in nero, non avrebbero potuto mettersi in regola nemmeno volendo. Per quell'inghippo Cosimo era stato persino sottoposto ad un piccolo procedimento per riduzione in schiavitù ma poi, essendosi i Marzouk dati alla macchia, finì tutto nel nulla; con la sola seccatura, peraltro non trascurabile, di aver sborsato qualcosa come cinquanta piotte per le spese legali. Ecco la ricompensa per averli trattati come fratelli, levandoli dalla strada e dai barconi! Li aveva accolti a braccia aperte nonostante i fondati sospetti che i fratelli fossero decisamente poco raccomandabili: una volta si erano persino scordati un sacchettino di marjuana nel cassetto portaoggetti. Per fortuna che Cosimo se ne fosse accorto prima del controllo doganale di Chiasso, altrimenti gli si sarebbero dischiuse le porte di San Vittore per chissà quanti anni. Rimasto così a corto di dipendenti, il padroncino era ritornato infine alla guida, al motto di "chi fa da sé fa per tre". Si rese conto presto però di non avere più vent'anni e quel continuo svegliarsi alle sei del mattino per rientrare a sera inoltrata iniziava a pesargli. Prese alfine in considerazione l'idea di assumere un aiutante ma, alla prova dei fatti, finì per cacciare a pedate almeno una dozzina di ragazzini che pretendevano di essere pagati milleduecento euro al mese, per giunta in regola. Ai suoi tempi era già un onore guidare il furgone, altro che stipendi principeschi!
Fatto sta che quella Deborah-con-l'acca l'aveva proprio infastidito. Melensa e sorridente durante tutta la constatazione amichevole, pareva fregarsene di aver provocato un danno così evidente al suo furgone nuovo; anzi, peggio ancora, pareva fregarsene pure di aver causato un danno ancor più evidente alla propria Pixo. Per potersi permettere tutto quel menefreghismo, era sicuramente una delle tante pigre e viziate cocche di papà, come sua figlia del resto: quelle da "Papi, ho fatto un incidente" – "non ti preoccupare tesoro, sistemo tutto io!" A quell'età Cosimo era invece già al lavoro da più di un lustro, anni costellati di privazioni e fatica, arrivando perfino a fumare le MS anziché le Marlboro pur di risparmiare qualche -milalire da investire nell'acquisto di un mezzo tutto suo. "Gioventù scapestrata e fancazzista, potessero andare tutti a lavorare per davvero in miniera!"
Poiché lo scatolone fu incredibilmente caricato senza intoppi né incidenti, Cosimo uscì dalla Serio Utensili Speciali con un umore leggermente migliore del solito. Si fermò al semaforo fra Via Aldo Moro e Via Ornato quando una bottarella da dietro, in tutto e per tutto simile all'incontro ravvicinato con Deborah, lo fece tornare indietro di una settimana. Ci risiamo! Chi poteva essere questa volta? Samantah? Sarah? Norah? Scese così dal furgoncino a grandi passi, lasciando aperta la porta e tirando su le maniche della camicia per sembrare ancora più minaccioso, sebbene il broncio acuito dall'accaduto e la corporatura temprata da anni di carichi pesanti fossero già più che sufficienti per incutere timore.
Si ritrovò invece davanti un pretino piccino piccino che, tentando di uscire dalla sua Smart gialla, pareva un pulcino intento a rompere l'uovo. Se non fosse stato per qualche capello grigiastro e due profonde rughe sulla fronte lo si sarebbe detto appena uscito dal seminario, impaurito anche della sua ombra.
«Mi scusi signore, mi scusi davvero, non so come scusarmi… è da poco che ho cambiato gli occhiali e faccio ancora fatica a prendere le misure.»
Era così imbarazzato da stentare a guardare negli occhi Cosimo, ormai rabbonitosi vedendo davanti un omettino del genere e, soprattutto, dopo aver constatato che sul furgone non erano stati prodotti danni visibili. Il pretino riprese:
«Caspita, proprio oggi che rientro a Kinshasa per la missione dei Salesiani! Spero che il contrattempo non mi faccia perdere il volo!»
«Ma no, si figuri, non stiamo nemmeno a fare la constatazione amichevole! Tanto mi pare che nessuno dei due abbia riportato danni ai mezzi!» Terminò Cosimo, di umore decisamente migliore.
Era sempre stato generoso con il clero, non crediate: una volta aveva persino concesso al suo neo-parroco, durante il trasloco, di pagare metà tariffa. Con uno slancio di pietà e di commiserazione verso il sacerdote davanti a lui e alla Chiesa intera, estrasse stentoreamente il portafogli dalla tasca posteriore dei jeans, sgranò una banconota da venti euro e sventolandola con solennità davanti al malcapitato, col petto gonfio, non poté trattenersi dal declamare:
«Ecco Padre, penso che possano esserle d'aiuto per la sua missione!»
«Grazie, davvero non doveva!» e tutti i salamelecchi del caso. «Le chiedo solo un ultimissimo favore. Potrebbe controllarmi un attimo le gomme davanti? Mi è già capitato qualcosa di simile in un villaggio del Kenya, l'urto ha danneggiato gli pneumatici a tal punto da farli scoppiare una ventina di chilometri dopo, quando ero nella savana… Lei mi sembra così esperto!»
«Ma certo, non si preoccupi!»
Buttò il portafogli sul sedile e indietreggiò verso la Smart. Quel piccoletto in Africa? Avrebbe potuto essere sbranato da un gatto o da una nutria, figuriamoci faccia a faccia con un leone o un rinoceronte! È proprio vero che la forza della fede e la provvidenza del Signore valgono più di mille fucili e cento cannoni!
«Padre, qui è tutto a posto, può pure riprende il cammino. Buon viaggio!»
«Grazie figliolo, sia lodata la tua gentilezza e la tua generosità! Sia lodato Gesù Cristo!»
«Sempre sia lodato!» ancor prima di finire la frase, la Smart si era dileguata scattando nel traffico: quel prete doveva essere davvero in gran ritardo, ma del resto con le nuove norme anti-Covid le attese in aeroporto non gli sarebbero mancate. Nel trambusto non si era nemmeno accorto di aver perso la targa anteriore, che Cosimo raccolse e mise sul furgone. Riprendendo le consegne, gli venne l'idea di riportarla al Comando dei Carabinieri.
Si trovò davanti il brigadiere Serbini, sui cinquant'anni, passati in massima parte in ufficio a redigere verbali di poco conto. L'azione non aveva mai fatto per lui, i casi più importanti passavano tassativamente dagli ufficiali, così si era bevuto l'ultimo quarto di secolo come un sorso di vino fermo cartonato, senza guizzi ma onestamente. Aveva solo maledetto il giorno in cui era entrato in vigore il divieto di fumo nei locali pubblici; ormai costretto a ritagliarsi improbabili pause per soddisfare il vizio, già da cinque minuti guardava stizzito l'orologio al polso, bramando il cambio dal collega Guspetti, leggermente in ritardo. Quando entrò Cosimo in ufficio, il graduato non nascose la sua impazienza, ma non ci sarebbe voluto molto.
«Prego, mi indichi chiaramente le modalità del ritrovamento di suddetta targa per la redazione del verbale.»
«Ma non basta che ve la consegni, semplicemente?»
«Signore, questo non è un oggetto qualsiasi, è un prezioso strumento identificativo del Ministero dei Trasporti, vale quanto un documento ufficiale. La preghiamo pertanto di essere preciso e di non omettere nulla.»
Erano parole ripetitive e pronunciate milioni di volte ma che fecero un certo effetto sull'esacerbato Cosimo: avrebbero di certo significato un'ulteriore perdita di tempo sulle consegne. Rifletté un attimo e decise di non raccontare proprio tutta la verità, omettendo l'incidente con il prete che, per l'inconveniente, avrebbe probabilmente perso il volo: a quell'ora era sicuramente già al gate. Per che cosa poi? Una placchetta di ferro con scritte quattro lettere e tre numeri? Ecco cosa si guadagna ad essere cittadini onesti e coscienziosi, solo un sacco di perdite di tempo! Si inventò così la scusa che, sceso dal camioncino per controllare il carico, aveva trovato la targa a bordo strada nell'incrocio in questione intorno alle 15:30.
«Mi favorisca i documenti per l'identificazione.» concluse il brigadiere che, scorgendo la sagoma del collega al di là della porta di vetro, si era messo a ticchettare sulla tastiera con il ritmo ronzante di una gara di stenografia.
Cosimo tastò la tasca posteriore dei jeans ma era inesorabilmente vuota. Corse fuori seguito dal carabiniere per verificare di non aver lasciato il portafogli sul furgone, frugò in tutto l'abitacolo ma non trovò nulla. Eppure si ricordava benissimo di averlo usato pochi minuti prima per l'offerta al sacerdote!
«Non importa, signore, il collega che mi sostituisce le fornirà tutte le indicazioni per la denuncia di smarrimento.» Intanto il brigadiere si era già acceso la sigaretta e, portatala alle labbra, riassaporava il maggior piacere della sua vita fra sbuffi e volute.
Rientrato in caserma, Cosimo si trovò davanti l'Appuntato Guspetti, un bel pezzo d'uomo di un metro e novanta, atletico e pronto a rincorrere i più efferati criminali pure disarmato.
«Dunque ha smarrito i documenti, giusto? Una bella sfortuna, non le pare?»
Nella sua voce, il trasportatore trovò un tono leggermente indagatorio e retorico. Probabilmente il portafogli gli era scivolato dalla tasca quando aveva controllato le gomme del prete; anzi, quasi sicuramente. Di fronte a quel marcantonio, tuttavia, non voleva fare la figura del fesso sbadato, era pur sempre un imprenditore di successo! E poi la deposizione non avrebbe combaciato con la mezza verità raccontata prima. Trovò così la scusa:
«Me lo avranno rubato in metropolitana questo pomeriggio… Verso le tre e mezzo, sono andato da Duomo a Bignami, ricordo di averlo aperto per comprare il biglietto.»
L'appuntato non fece obiezioni, trascrisse tutto nel solito gergo burocratese, rilesse il documento e fece firmare la denuncia a Cosimo. Il Guspetti, dopo i fasti dell'antimafia, aveva preso quel trasferimento a Milano come una degradazione, ma fonti certe lo designavano da lì a poco quale infiltrato in una pericolosa banda di narcotrafficanti. Lontano dall'azione, in attesa di quella chiamata che non sarebbe tardata ad arrivare, si prodigava annoiato in qualche inutile esposto fra vicini rissosi o denunce di gattini scomparsi, senza perdere tuttavia la professionalità, lo zelo e la vicinanza al cittadino che sempre distinsero la Benemerita fra tutte le Forze Armate.
Cosimo, senza portafogli, guidò così il furgoncino con il fanale rotto verso le ultime consegne della giornata, in ritardissimo, sorbendosi le proteste dei clienti furibondi, condite da bestemmie tanto ardite da poter scatenare un nuovo diluvio universale.
Rientrato in sede dopo le 18, quasi al buio, salutò a malapena la sciatta segretaria all'ingresso, si tuffò nell'ufficio e con le ultime forze residue si accasciò sulla scrivania, senza alcuna voglia di visionare i percorsi del giorno successivo. Voleva andarsene, ma non avrebbe dato il buon esempio ai suoi dipendenti. Aprendo il primo cassetto trovò così un portamonete nuovo, che la figlia gli aveva regalato quando aveva sette anni, a fiorellini e con una grande zip rosa. Non era proprio mascolino ma meglio di nulla, per il momento. Sicuro di non essere visto si adagiò sullo schienale reclinato al massimo, in posizione da siesta, ma prima ancora di chiudere gli occhi fu disturbato da una voce stridula:
«Signor Cosimo, c'è qui per lei una certa Deborah!»
Quel nome, proprio quello, con l'acca finale, gli fece pensare di cadere in un incubo; invece era tutto vero. Non desiderava certo vederla, ma quella stordita della segretaria l'aveva fatta entrare nello studio senza nemmeno aspettare una risposta. Se la trovò davanti prima ancora di ricomporsi e faccione sferico pitturato alla Picasso rese vana anche la fioca speranza di una possibile omonimia. Dopo saluti non troppo calorosi la donnona iniziò:
«Signor Cosimo, non è che per caso questo pomeriggio è venuto al McDonald's di Sesto?»
Che domanda era mei quella? E cosa importava a lei dove andava a mangiare? Ma a prescindere, cos'era tutta quella confidenza? Replicò burbero:
«Neanche per sogno! Non mi piace quella robaccia!»
Anziché stizzire la ragazza, la brusca risposta fu presa da Deborah come una battuta e iniziò a stamparsi sul volto quel sorrisetto fra il dolce e il beffardo tanto irritante per Cosimo, fino a quando riprese con:
«Sa, io lavoro lì e ho ritrovato questa patente su un tavolino. Ho visto che era la sua e così ho voluto riportargliela, tanto avevo l'indirizzo. In effetti quello che c'era seduto al tavolo poco prima non era lei, era un po' più basso!»
Che storia era mai quella? Non metteva effettivamente piede in un fast food da dodici o tredici anni, da quando la figlia lo scocciava per portarla a prendere l'Happy Meal con annesso regalino. Poi era cresciuta e aveva cominciato ad andarci con le amichette o il fidanzatino di turno, scampandolo dalla necessità di ingurgitare quelle americanate così falsamente gustose. Però c'era qualcosa che non andava, quella Deborah lo stava proprio prendendo per il naso. Sicuramente, sbadata com'era, gli aveva sottratto per sbaglio la patente al momento della constatazione amichevole e ora non osava dichiararlo apertamente, per timore di fare una figuraccia. Però lui non gliel'avrebbe data vinta, l'avrebbe fatta infine crollare a dichiarare il vero come il suo idolo Montalbano. Pensò per un attimo la sua linea accusatoria quando squillò il telefono:
«Pronto, sono l'appuntato Guspetti, ci siamo visti poco fa, vero?»
«Buonasera appuntato, come posso esserle utile? Mi avete trovato i documenti o mi chiama così per piacere? Sappia che sono sposato…»
«Qui c'è poco da scherzare: che cosa ci faceva con la targa di un veicolo rubato? E poi, confrontando il verbale con quello del collega, qualcosa non torna: possibile che guidasse il furgone e viaggiasse in metropolitana nello stesso momento? La preghiamo di non allontanarsi dalla città e di venire al Comando domani mattina alle 9 per gli accertamenti del caso!»
Cosimo fissò la porta ancora semiaperta nel vuoto: questa volta le grane non sarebbero mancate, eppure lui non aveva fatto nulla. Gli era andata bene con la bamba nel furgone e con gli immigrati al volante ma questa volta l'angelo custode pareva voltargli le spalle.
«Scusi signorina, non è che per caso il signore del panino era Don Pino, il coadiutore della parrocchia?» Inventò un nome tanto per dire.
«Caspita, come ho fatto a non ricordarlo, era proprio un prete: aveva anche il collarino!»
Cosimo si sforzò un attimo di trovare una scusa plausibile per giustificare il fatto che la sua patente fosse nelle mani di un sacerdote, anzi di un lestofante, ma era troppo sfinito e provato per ragionare razionalmente. La ragazza invece non ci trovava nulla di particolare né pareva aver intuito che qualcosa non quadrasse. Lo guardava e sorrideva, pareva sorridere pure agli uccellini dell'orrendo cucù cinese che campeggiava sopra di lui. Era da anni che la moglie o la figlia non gli sorridevano, se non a corto di liquidi.
Dalla porta semiaperta, gli occhi di Cosimo passarono indifferentemente al volto della ragazza, tanto vacui da poter fissare qualsiasi cosa nel raggio di un chilometro. Rimase così per una decina di secondi, senza che nessuno facesse nulla per stemperare l'imbarazzo. Che cos'era quel neo sulla guancia destra di Deborah? Possibile che, grosso com'era, non se ne fosse accorto il giorno dell'incidente? Anche il colore era particolare, un po' troppo traslucido e scintillante, semisolido. Sembrava quasi fatto di… salsa?
L'uomo si diresse con circospezione ma abbastanza deciso verso la giovane, alzò minacciosamente una mano verso di lei, che teneva stretta stretta la borsetta a mo' di scudo per le parti più delicate del suo generoso corpo: avesse avuto uno spray al peperoncino gli avrebbe fatto provare l'inferno di Soverato.
«Scusi signorina, ma lo devo proprio fare.»
Il pervertito sguainò l'indice destro dalla tasca dei pantaloni e lo passò sulla guancia sinistra della ragazza, paffuta e soffice ma un po' scabra e butterata come i panini al latte che farciva tutti i giorni. Che porco! Al massimo, al fast food, qualche vecchietto le fissava il sederone quando si chinava per raccogliere i vassoi ma mai nessuno aveva osato toccarla senza permesso! Rimase pietrificata, distogliendo lo sguardo dall'uomo nella speranza di provocarlo il meno possibile. Non poteva essere secca e insignificante come tutte le sue colleghe? Di sottecchi distinse chiaramente che il maiale aveva fissato il dito, se l'era messo in bocca e gustato per bene, quasi l'avesse intinto in un barattolone di Nutella per tastarla prima di affondare con il cucchiaio. Il dessert, questa volta, sarebbero state le sue grazie altrettanto morbide e grassocce.
Il terrore fu scosso da una sonora risata, seguita da qualcosa di incomprensibile tipo:
«Sì, è proprio salsa… salsa barbecue per la precisione!» poi verso la giovane, che aveva il cuore a mille: «ma lei non se la lava la faccia finito di lavorare?» sembrava un ammonimento, ma lo prese ancora per una battuta e rise anche lei di gusto, rinfrancandosi dopo lo scampato pericolo. Cosimo riprese a voce alta, per farsi sentire dalla segretaria nell'altra stanza. «Luisa, mi assento per una decina di minuti; vado a prendere un caffè al bar con la signorina. Sa, è un'ospite di riguardo, non posso offrirle quello della macchinetta che sa di segatura!»
Ritirata la patente nel ridicolo portafogli nuovo, superando il Ducato con il fanale ancora inesorabilmente rotto, i due si allontanarono così dalla rimessa.