Il verme
Inviato: 26/10/2021, 20:14
Le giornate si erano accorciate, alle otto di sera il sole era già tramontato facendo calare la notte. Abram aveva deciso di fare due passi dopo cena. Ultimamente si sentiva agitato e non riusciva a controllare la sua ansia. Faticava molto a prendere sonno a meno di non scolarsi una mezza bottiglia di Gin. Non aveva mai bevuto in vita sua, ma ora era diverso. Si sentiva solo in quell'enorme casa. Era già passato più di un mese da quando la moglie lo aveva lasciato. Era partita portando con sé le sue due amate figlie. Non era neppure sicuro se le avrebbe mai riviste.
Nonostante l'alcol già ingerito cercava di camminare con passo composto e spedito. «Il Gin fa davvero schifo», pensava. Odiava quel gusto di resina che lascia in gola. Era uscito da circa un'ora e stava smaltendone gli effetti. Iniziava a recuperare un po' di lucidità ma sentiva le gambe sempre più pesanti.
Stava percorrendo un marciapiede dissestato lungo una stradina secondaria di campagna. In quel minuscolo paese dopo una certa ora, specialmente in quella stagione, non c'era mai nessuno in giro. Il silenzio era totale. La casa più vicina distava almeno trecento metri. Vedeva i moscerini che ronzavano attorno alle luci di quei tristi lampioni che illuminavano la strada con fioca luce giallastra.
Alla sua destra, oltre ad una rete metallica arrugginita, delle piante di rovo crescendo da lungo tempo senza controllo avevano formato delle siepi disordinate e fittissime. Pensò per un attimo alle dolci more che si sarebbero potute cogliere a fine estate.
Notò con la coda dell'occhio che un ramo pieno di spine si mosse come se qualcosa lo avesse colpito. D'istinto volse lo sguardo cercando di capire cosa potesse essere. In mezzo al buio, fra le foglie rugose, per un attimo scorse due riflessi luminosi simili a quelli che creano gli occhi di un gatto nella notte. «Un gatto in mezzo ai rovi?» pensò. «Che strano!». Si fermò e rimase immobile fissando con attenzione lo spazio semivuoto tra le fronde. Con suo stupore i due pallini luminosi si mossero verso l'alto. Erano troppo vicini fra loro per essere gli occhi di un felino. I fumi dell'alcol che annebbiavano la sua mente erano svaniti e si sentiva ormai quasi del tutto lucido, ciononostante non riusciva proprio a capire. Preso dalla curiosità, raccolse un sasso e lo lanciò verso quello strano fenomeno. Centrò in pieno il bersaglio. Un tonfo sordo seguito da una specie di sinistro gemito ne era la prova. Estrasse allora il cellulare dalla tasca e accese la torcia. Sentì un rumore come di un animale che si fosse mosso furtivo in mezzo alle piante. Pensò allora che forse sarebbe stato meglio lasciar stare. Se dai rovi fosse saltata fuori una volpe o un cane con intenzioni bellicose, lì in mezzo al niente, sarebbe stato difficile trovare qualcuno pronto ad aiutarlo.
Riprese quindi la strada che stava percorrendo affrettando il passo in modo da allontanarsi da quel posto inquietante. In pochi istanti quei tristi pensieri che lo opprimevano da settimane si impossessarono ancora una volta di lui. Pensava alle sue figlie. A sua moglie. A come lo avessero abbandonato in quel modo. Non credeva di essersi meritato un simile trattamento.
Per un momento la luce dei lampioni si oscurò. Del resto in quella misera città non funzionava mai niente. La rabbia lo colse e si aggiunse alla tristezza e alla disperazione che avvelenavano la sua mente debilitandolo sempre più. Sentì distintamente qualcosa che si muoveva alle sue spalle in mezzo ai rovi. Si girò. Una creatura a cui non sapeva nemmeno dare un nome si ergeva immobile proprio davanti a lui.
Una specie di verme gigante era sbucato da quel punto in cui un attimo prima aveva lanciato il sasso. La pelle dell'essere era spessa e secca. La sezione era perfettamente sferica. Alla sommità c'era una corona di occhi luciferini che andavano a disegnare una sorta di terrificante cerchio. L'essere misterioso teneva la parte superiore del corpo sollevata come fanno certi serpenti quando puntano la preda. Era davvero imponente e lo fissava rimanendo immobile e minaccioso. Abram rimase pietrificato senza riuscire quasi a muoversi, sopraffatto dall'orrore.
Il verme colossale fuoriuscì ulteriormente da quel nascondiglio arrivando a sovrastarlo di almeno qualche metro. Il pover'uomo non poté fare a meno di notare le escrescenze a forma di V che decoravano il ventre dell'essere e la miriade di piccole braccia o zampe che orribilmente uscivano e rientravano dai fianchi dell'animale.
La creatura gli si avvicinò a poco a poco finché la corona di occhi fu a pochi centimetri dai suoi. Notò con raccapriccio che dietro alle pupille quasi umane del mostro, rotonde e nere, si celava una coscienza senza dubbio malvagia. La sommità del disgustoso corpo cilindrico si rivelò essere dotato di una sorta di ventosa. Con uno scatto il verme calò tale struttura sulla testa di Abram e vi si attaccò.
Sentendosi tirare la pelle della faccia con un'impensabile forza verso l'alto urlò con tutta il fiato che aveva nei polmoni. In preda al terrore si chiese se quella ventosa non fosse in realtà la bocca della belva. Cercò di divincolarsi ma del tutto paralizzato e in balia del suo immondo aggressore.
Sentì con orrore che in qualche oscuro modo la malefica coscienza dell'animale era penetrata nella sua testa per frugare nei suoi pensieri. Tentò invano di opporsi ma lo strano essere utilizzando una sorta di potere telepatico si insinuò ancor più a fondo nella sua mente come se volesse appropriarsene o forse ancor peggio, nutrirsene. Abram si convinse che con ogni probabilità fosse proprio questo lo scopo di tale assalto.
Inerme e suo malgrado assoggettato al suo carnefice, con grande stupore si accorse che il tormento interiore che lo attanagliava da settimane inspiegabilmente stava scemando. Il dolore psichico che lo consumava sembrava abbandonarlo a poco a poco. L'angoscia e la tensione dei suoi nervi si allentarono lasciando il posto a un nuovo incredibile senso di pace e tranquillità. Lo stato di prostrazione che si era impossessato di lui da quando era rimasto solo, con sua grande sorpresa lo abbandonò in poche decine di secondi. Il verme doveva essere entrato in contatto con i suoi pensieri e forse aveva tentato di estrarli per nutrirsene. Magari aveva iniziato a predigerire la sua mente come fanno certi ragni con le loro prede prima di succhiarne i tessuti interni ridotti a una poltiglia. Quasi certamente la creatura era intenzionata a banchettare con la psiche della sfortunata preda e aveva iniziato da lì, da quei pensieri neri che riempivano la coscienza martoriata di Abram. Si poteva presumere, però, che la bestia luciferina non si aspettasse di trovare così tanta sofferenza lì dentro. Forse non pensava che fosse possibile che ce ne fosse così tanta in una persona sola. In ogni caso l'animale dopo qualche minuto si ritrasse disgustato e impaurito come quando si addenta un boccone avariato.
Il mostro, mollò la presa interrompendo il processo in atto e si ritrasse nel suo buco scomparendo mentre emetteva strani e penosi versi.
Abram cadde a terra sfinito ma allo stesso tempo sereno. Cercò dentro di sé la sofferenza che da settimane lo torturava. Con suo stupore non vi trovò più niente. Niente! Scandagliò a fondo gli angoli più remoti della coscienza. Non c'era più traccia nemmeno di un briciolo del suo tormento. Pur ricordandosi ogni cosa fin nei minimi dettagli, ora riusciva a gestire le emozioni senza alcuno sforzo. Non sapeva se preoccuparsi o meno. Calde lacrime di gioia scesero sulle sue guance ferite.
Riusciva a pensare a ciò che gli era successo nella sua lunga e travagliata esistenza, a sua moglie che lo aveva lasciato e alle sue dolci figlie, pur rimanendo sereno e lucido. Aveva ripreso il controllo e anzi non era mai stato così sano di mente come ora. Il verme sembrava aver agito in qualche modo sul suo cervello, estraendo quel grumo di dolore psichico che da settimane lo devastava e forse aveva agito ancor più in profondità sbloccando alcune capacità mentali che nemmeno lui sapeva di avere.
Il mostro d'un tratto rispuntò dal suo rifugio forse per tentare un nuovo attacco. Si lanciò verso di lui spalancando la mortale ventosa o bocca che fosse. Abram ebbe la prontezza di riflessi necessaria per schivarlo. L'essere, esaurite le ultime energie, dopo un istante cadde a terra esanime, molto probabilmente avvelenato da quel pasto indigesto.
Il giorno dopo, tutti i giornali parlavano di una strana ed enorme creatura trovata morta a terra in una zona poco frequentata.
Abram non raccontò mai tali incredibili avvenimenti, a nessuno.
Nonostante l'alcol già ingerito cercava di camminare con passo composto e spedito. «Il Gin fa davvero schifo», pensava. Odiava quel gusto di resina che lascia in gola. Era uscito da circa un'ora e stava smaltendone gli effetti. Iniziava a recuperare un po' di lucidità ma sentiva le gambe sempre più pesanti.
Stava percorrendo un marciapiede dissestato lungo una stradina secondaria di campagna. In quel minuscolo paese dopo una certa ora, specialmente in quella stagione, non c'era mai nessuno in giro. Il silenzio era totale. La casa più vicina distava almeno trecento metri. Vedeva i moscerini che ronzavano attorno alle luci di quei tristi lampioni che illuminavano la strada con fioca luce giallastra.
Alla sua destra, oltre ad una rete metallica arrugginita, delle piante di rovo crescendo da lungo tempo senza controllo avevano formato delle siepi disordinate e fittissime. Pensò per un attimo alle dolci more che si sarebbero potute cogliere a fine estate.
Notò con la coda dell'occhio che un ramo pieno di spine si mosse come se qualcosa lo avesse colpito. D'istinto volse lo sguardo cercando di capire cosa potesse essere. In mezzo al buio, fra le foglie rugose, per un attimo scorse due riflessi luminosi simili a quelli che creano gli occhi di un gatto nella notte. «Un gatto in mezzo ai rovi?» pensò. «Che strano!». Si fermò e rimase immobile fissando con attenzione lo spazio semivuoto tra le fronde. Con suo stupore i due pallini luminosi si mossero verso l'alto. Erano troppo vicini fra loro per essere gli occhi di un felino. I fumi dell'alcol che annebbiavano la sua mente erano svaniti e si sentiva ormai quasi del tutto lucido, ciononostante non riusciva proprio a capire. Preso dalla curiosità, raccolse un sasso e lo lanciò verso quello strano fenomeno. Centrò in pieno il bersaglio. Un tonfo sordo seguito da una specie di sinistro gemito ne era la prova. Estrasse allora il cellulare dalla tasca e accese la torcia. Sentì un rumore come di un animale che si fosse mosso furtivo in mezzo alle piante. Pensò allora che forse sarebbe stato meglio lasciar stare. Se dai rovi fosse saltata fuori una volpe o un cane con intenzioni bellicose, lì in mezzo al niente, sarebbe stato difficile trovare qualcuno pronto ad aiutarlo.
Riprese quindi la strada che stava percorrendo affrettando il passo in modo da allontanarsi da quel posto inquietante. In pochi istanti quei tristi pensieri che lo opprimevano da settimane si impossessarono ancora una volta di lui. Pensava alle sue figlie. A sua moglie. A come lo avessero abbandonato in quel modo. Non credeva di essersi meritato un simile trattamento.
Per un momento la luce dei lampioni si oscurò. Del resto in quella misera città non funzionava mai niente. La rabbia lo colse e si aggiunse alla tristezza e alla disperazione che avvelenavano la sua mente debilitandolo sempre più. Sentì distintamente qualcosa che si muoveva alle sue spalle in mezzo ai rovi. Si girò. Una creatura a cui non sapeva nemmeno dare un nome si ergeva immobile proprio davanti a lui.
Una specie di verme gigante era sbucato da quel punto in cui un attimo prima aveva lanciato il sasso. La pelle dell'essere era spessa e secca. La sezione era perfettamente sferica. Alla sommità c'era una corona di occhi luciferini che andavano a disegnare una sorta di terrificante cerchio. L'essere misterioso teneva la parte superiore del corpo sollevata come fanno certi serpenti quando puntano la preda. Era davvero imponente e lo fissava rimanendo immobile e minaccioso. Abram rimase pietrificato senza riuscire quasi a muoversi, sopraffatto dall'orrore.
Il verme colossale fuoriuscì ulteriormente da quel nascondiglio arrivando a sovrastarlo di almeno qualche metro. Il pover'uomo non poté fare a meno di notare le escrescenze a forma di V che decoravano il ventre dell'essere e la miriade di piccole braccia o zampe che orribilmente uscivano e rientravano dai fianchi dell'animale.
La creatura gli si avvicinò a poco a poco finché la corona di occhi fu a pochi centimetri dai suoi. Notò con raccapriccio che dietro alle pupille quasi umane del mostro, rotonde e nere, si celava una coscienza senza dubbio malvagia. La sommità del disgustoso corpo cilindrico si rivelò essere dotato di una sorta di ventosa. Con uno scatto il verme calò tale struttura sulla testa di Abram e vi si attaccò.
Sentendosi tirare la pelle della faccia con un'impensabile forza verso l'alto urlò con tutta il fiato che aveva nei polmoni. In preda al terrore si chiese se quella ventosa non fosse in realtà la bocca della belva. Cercò di divincolarsi ma del tutto paralizzato e in balia del suo immondo aggressore.
Sentì con orrore che in qualche oscuro modo la malefica coscienza dell'animale era penetrata nella sua testa per frugare nei suoi pensieri. Tentò invano di opporsi ma lo strano essere utilizzando una sorta di potere telepatico si insinuò ancor più a fondo nella sua mente come se volesse appropriarsene o forse ancor peggio, nutrirsene. Abram si convinse che con ogni probabilità fosse proprio questo lo scopo di tale assalto.
Inerme e suo malgrado assoggettato al suo carnefice, con grande stupore si accorse che il tormento interiore che lo attanagliava da settimane inspiegabilmente stava scemando. Il dolore psichico che lo consumava sembrava abbandonarlo a poco a poco. L'angoscia e la tensione dei suoi nervi si allentarono lasciando il posto a un nuovo incredibile senso di pace e tranquillità. Lo stato di prostrazione che si era impossessato di lui da quando era rimasto solo, con sua grande sorpresa lo abbandonò in poche decine di secondi. Il verme doveva essere entrato in contatto con i suoi pensieri e forse aveva tentato di estrarli per nutrirsene. Magari aveva iniziato a predigerire la sua mente come fanno certi ragni con le loro prede prima di succhiarne i tessuti interni ridotti a una poltiglia. Quasi certamente la creatura era intenzionata a banchettare con la psiche della sfortunata preda e aveva iniziato da lì, da quei pensieri neri che riempivano la coscienza martoriata di Abram. Si poteva presumere, però, che la bestia luciferina non si aspettasse di trovare così tanta sofferenza lì dentro. Forse non pensava che fosse possibile che ce ne fosse così tanta in una persona sola. In ogni caso l'animale dopo qualche minuto si ritrasse disgustato e impaurito come quando si addenta un boccone avariato.
Il mostro, mollò la presa interrompendo il processo in atto e si ritrasse nel suo buco scomparendo mentre emetteva strani e penosi versi.
Abram cadde a terra sfinito ma allo stesso tempo sereno. Cercò dentro di sé la sofferenza che da settimane lo torturava. Con suo stupore non vi trovò più niente. Niente! Scandagliò a fondo gli angoli più remoti della coscienza. Non c'era più traccia nemmeno di un briciolo del suo tormento. Pur ricordandosi ogni cosa fin nei minimi dettagli, ora riusciva a gestire le emozioni senza alcuno sforzo. Non sapeva se preoccuparsi o meno. Calde lacrime di gioia scesero sulle sue guance ferite.
Riusciva a pensare a ciò che gli era successo nella sua lunga e travagliata esistenza, a sua moglie che lo aveva lasciato e alle sue dolci figlie, pur rimanendo sereno e lucido. Aveva ripreso il controllo e anzi non era mai stato così sano di mente come ora. Il verme sembrava aver agito in qualche modo sul suo cervello, estraendo quel grumo di dolore psichico che da settimane lo devastava e forse aveva agito ancor più in profondità sbloccando alcune capacità mentali che nemmeno lui sapeva di avere.
Il mostro d'un tratto rispuntò dal suo rifugio forse per tentare un nuovo attacco. Si lanciò verso di lui spalancando la mortale ventosa o bocca che fosse. Abram ebbe la prontezza di riflessi necessaria per schivarlo. L'essere, esaurite le ultime energie, dopo un istante cadde a terra esanime, molto probabilmente avvelenato da quel pasto indigesto.
Il giorno dopo, tutti i giornali parlavano di una strana ed enorme creatura trovata morta a terra in una zona poco frequentata.
Abram non raccontò mai tali incredibili avvenimenti, a nessuno.