Opere d'arte
Inviato: 29/12/2021, 12:38
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1.
“Un vero artista muore di fame, altrimenti è solo un cortigiano”. Le parole del suo vecchio maestro gli risuonavano ancora nelle orecchie, quando andò a bussare all'ultima porta, almeno per quel giorno.
- Sì, desidera? - una graziosa signorina gli si parò davanti.
- Salve, vorrei parlare col signor Verri delle mie opere.
- Lei è un artista? - chiese lei, mentre il sorriso le si spegneva trasformandosi in una smorfia.
- Esattamente. Uno scultore, per la precisione.
- Veramente il dottor Verri non riceve, se non su appuntamento, per quest...
- Agata, chi è? - una voce maschile proveniente dal fondo del corridoio la interruppe.
La ragazza socchiuse la porta per frapporre un ostacolo all'ospite indesiderato e, alzando il tono per farsi sentire chiaramente, disse: - È uno dei soliti, di quelli che la importunano nei momenti meno adatti.
- Ah, un artista. - considerò l'uomo tra sé, e poi: - Va bene, fallo passare.
Era un giorno di calma piatta, nessun acquirente per i suoi pezzi pregiati e solo in serata sarebbe stato ospite in una trasmissione radiofonica ascoltata da quattro gatti.
Il sedicente artista bussò timidamente alla porta aperta dello studio: - Dottor Verri, scusi il disturbo ma vorrei presentarle le mie opere. Mi chiamo Alfonso Mazzi e sono uno scultore.
L'ennesimo scappato di casa illuso di essere un novello Leonardo, si disse sarcastico il critico d'arte nonché proprietario di una delle gallerie più rinomate della capitale e di un negozio di antiquariato: - La prego, niente dottore; mi fa sentire come quegli idioti in camice bianco che pontificano in tv. Cosa vuole farmi vedere?
Il giovane depose lo zainetto che aveva a tracolla e sedendosi tirò fuori un catalogo di fotografie che depose sulla scrivania.
Verri lo girò e, alzando la pesante copertina di cartone rigido, vide la prima foto: - Ma è...
Il giovane, inarcando la schiena e alzando il mento, annunciò: - Sì, è la mia prima scultura, quella che mi ha dato l'ispirazione. L'ho chiamata “Cacca numero cinque”.
2.
Verri la osservò con molta attenzione, poi disse: - Ovviamente lei è al corrente di non essere il primo a... come dire, a usare le deiezioni come mero espediente provocatorio.
- Ma la mia non è affatto una provocazione, tutt'altro. - fece il giovane, che ora sembrava molto più sicuro di sé, - Ogni deiezione – come le chiama lei, io preferisco la denominazione meno colta – è un'opera unica, anche se indipendente dalla volontà dell'artista o, meglio, soggetta solo alle scelte che l'artista fa in merito alla propria alimentazione, o alle sue condizioni fisiologiche. Comunque ogni cacca è unica, esattamente come un fiocco di neve o una goccia d'acqua: è un prodotto della Natura e ne è anche una potente metafora, visto che è il materiale più riciclabile che esista, tanto è vero che si usa come fertilizzante; dopo l'emissione la congelo in azoto liquido e poi ne faccio il calco. Successivamente, esso viene fuso nel metallo.
- Capisco... ma perché ha usato il bronzo?
- Ma per fare rima, naturalmente.
Verri stette a rimuginare per qualche secondo, poi inaspettatamente sorrise: - Sì, credo che ne possa venire fuori qualcosa di buono... dal punto di vista artistico, intendo. Torni domani, con qualche sua opera; troveremo uno spazio espositivo nella mia galleria.
Il giovane si alzò e gli tese la mano, entusiasta: - Dottor... , cioè signor Verri la ringrazio, non se ne pentirà. - si alzò dalla sedia e uscì dallo studio con passo elastico, come se si fosse tolto un peso enorme.
Il gallerista-antiquario-critico d'arte rimase seduto per qualche minuto, rimuginando tra sé; da tempo non c'erano grandi novità, e poi gli artisti affermati ormai disdegnavano il circuito tradizionale e preferivano l'autopromozione. Potrebbe essere la mia occasione di tornare alla ribalta, pensò, compiaciuto.
3.
Arrivò con un camioncino, guidato da un altro ragazzotto: - Questo è Luigi, un mio amico. - lo presentò alla segretaria, che aprì il portone per farli passare.
I due scaricarono due casse piuttosto pesanti, poi iniziarono a disimballarne il contenuto.
Giunse anche Verri, che lo rimproverò: - Signor Mazzi, avevo detto solo qualche opera: non so se lo spazio espositivo sarà sufficiente.
- Signor Verri, vedrà che troveremo una soluzione. - rispose l'artista, con quel suo entusiasmo contagioso che ricordava al critico i propri bollori giovanili.
Intanto Luigi passava ad Alfonso le sculture, ognuna delle quali era contenuta in un cubo di plexiglas, con una base di metallo.
- Ha fatto un gran lavoro, chissà quanto le è costato. - considerò Verri.
- Tutto quello che avevo, ho persino venduto la casa dei miei genitori. - ammise Alfonso, - Ma per l'Arte, questo e altro.
La settimana seguente era tutto pronto: la mostra di Alfonso Mazzi, “scultore scandaloso” come recitava la locandina scritta da Verri e fatta circolare sul web e sui giornali più importanti, ebbe una grande affluenza, anche oltre le previsioni.
Naturalmente la televisione si buttò a pesce sulla notizia, e subito fioccarono gli inviti alle trasmissioni di approfondimento in seconda serata, sia all'artista che al suo scopritore.
In una delle più importanti, “La notizia che sfizia” su TV1, Vito Tafani invitò Verri dopo anni di totale oblio, a causa di un famoso diverbio con un politico – a quel tempo – piuttosto potente.
Ora che il politico era caduto in disgrazia, era tornata l'ora del critico; quella sera si scatenò contro altri critici che inveivano contro le opere che egli aveva lanciato verso la notorietà.
- Questa non è arte, è spazzatura! - fece uno dei più esagitati.
- Siete lenti come dei bradipi, il vostro cervello non riesce a connettere un neurone con un altro in tempi ragionevoli. Siete bradipi, bradipi!
Mentre Tafani si sfregava le mani pregustando i dati dell'audience, Verri si rigirò nella poltrona, soddisfatto: aveva svoltato, finalmente!
4.
L'apoteosi arrivò con l'invito al MOMA di New York; in quell'occasione Alfonso fece l'outing – in privato, per il momento – a Verri, confessando che il rapporto con Luigi, più che di amicizia, era di tipo coniugale.
Al che Verri disse: - Caro Alfonso, potevi dirmelo prima: il pubblico va pazzo, per queste cose.
L'artista sorrise, un po' imbarazzato, ma accettò con soddisfazione che Verri pagasse il biglietto aereo anche per il convivente.
Negli Stati Uniti le sculture spopolarono, e Alfonso ricevette offerte da capogiro: la numero trentasei – una del periodo colon irritabile – fu valutata cinque milioni di dollari.
Un petroliere texano la volle assolutamente: - Mi ricorda la gioventù, quando soffrivo di dolori lancinanti. - dichiarò al giornalista che lo intervistava, - Bisogna sempre ricordarsi da dove si parte, per sapere dove si sta andando.
Mentre Alfonso e Luigi rimanevano a New York per una vacanza romantica, Verri ritornò a Roma per far fronte a pressanti impegni, ora che era tornato famoso e acclamato in tutti gli studi televisivi.
Qualche giorno dopo, però, una telefonata inaspettata lo riempì d'orgoglio: era nientemeno che il Presidente Premier Adalberto Maria Perfetti.
- Dottor Verri, la Nazione ha bisogno di Lei. - annunciò con voce solenne.
Trattenendo a stento l'emozione, Verri rispose: - Sono pronto, Eccellenza.
Perfetti, apprezzando molto l'appellativo – entrato in uso da poco, visto che il titolo di Eccellenza era ormai riservato esclusivamente a chi come lui non era più eletto in libere elezioni ma scelto direttamente dal Fondo Monetario Internazionale – gli propose la carica di Ministro dei Beni Culturali, visti i suoi meriti eccezionali nel promuovere l'Arte Italiana.
5.
Tutto andava per il meglio anzi, di più. Secondo le più rosee previsioni, la galleria stava facendo affari d'oro grazie al traino delle opere di Mazzi.
Verri era persino riuscito a piazzare delle ignobili croste dell'Ottocento, che valevano meno delle loro cornici, a prezzi incredibili; e gli acquirenti lo ringraziavano pure!
Potenza della televisione, pensava l'esperto d'arte, che aveva conservato una certa capacità autocritica: non era un idiota prima, quando era in disgrazia, non era un genio ora, che viaggiava sulla cresta dell'onda.
Ma come all'onda segue la risacca, così accadde al gallerista più alla moda del momento.
L'improvvisa ricchezza diede alla testa allo scultore, che una sera bussò alla porta della galleria, quella stessa che aveva varcato tempo prima tra esitazioni e speranze.
Verri stesso andò ad aprire, Agata era corsa a casa poiché la baby sitter della piccola Sara aveva avuto un imprevisto.
- Cosa c'è, che vuoi a quest'ora? - chiese, infastidito a causa di un noioso mal di denti che non gli dava tregua.
L'artista lo aggredì a male parole: - Sei un ladro, il nostro accordo è nullo, basta! Non ti darò più un soldo per tenere qua le mie opere e nessuna percentuale sulle vendite. È tutto mio.
Verri storse il naso: - Sei ubriaco, vai a casa.
- Sì, ho bevuto ma non vado via. Non c'è nessuno, a casa. Se n'è andato.
- Luigi ti ha lasciato?
- Sì, era diventato geloso; dei miei soldi, della mia arte. E anche tu sei geloso, del mio successo.
Verri cominciò a spingerlo verso la porta: - Ti prego, vai a casa. Ti chiamo un taxi.
Allora Alfonso lo colpì con un diretto al mento, che fece vacillare il critico; Verri rispose con un pugno nello stomaco, e Alfonso si piegò in due, senza fiato.
Dopo essersi ripreso, anziché voltarsi e uscire, si avventò su Verri; entrambi caddero a terra. Alfonso era sopra di lui, e iniziò a tempestarlo di pugni in faccia; poi, esausto, si accasciò a terra.
Dopo qualche minuto, Verri si alzò barcollando; prese il primo oggetto pesante che trovò, una scultura, e la calò sulla testa di Alfonso, che era rimasto a terra.
Non gli ci volle molto, per accorgersi che il giovane era morto; rimase immobile anche Verri, per un tempo interminabile. Poi prese una decisione.
6.
La mattina dopo i giornali aprirono con un titolo a nove colonne: “Tragico incidente, muore l'artista Mazzi”; Verri, interrogato dai carabinieri, aveva raccontato che, in preda ai fumi dell'alcool, l'artista era entrato nella galleria e lo aveva aggredito; in seguito, aveva perso l'equilibrio ed era caduto, fratturandosi il cranio.
Dopo una settimana di titoli in prima pagina, il tema fu accantonato, col sollievo del diretto interessato, che finalmente avrebbe potuto dedicarsi alla gestione museale.
Il neo-ministro infatti aveva intenzione di aprire un'ala agli Uffizi, tutta dedicata alla memoria e all'arte di Alfonso, e aveva già in mente l'opera che avrebbe avuto il posto d'onore al centro della sala: la cacca numero cinque, la prima opera, capostipite dell'intera serie, quella che aveva dato a Mazzi l'ispirazione per proseguire in quel miracolo di creatività.
Verri l'aveva acquistata da Alfonso come segno d'impegno e d'interesse per l'opera dell'artista, ed era stato lungimirante: la sua quotazione avrebbe raggiunto cifre da capogiro, soprattutto ora che Mazzi era morto.
Squillò il cellulare, una voce femminile: - Signor Ministro, parla la commissaria Lombardi della Polizia di Stato. Dovrei farle alcune domande di chiarimento sul caso Mazzi; venga alla Centrale.
Verri sbiancò, e per fortuna non c'era nessuno nei paraggi: - Sono a sua disposizione.
Venne fuori che Luigi – l'ex convivente di Alfonso – non era molto convinto della versione ufficiale, e aveva chiesto un supplemento d'indagine.
- Ma si può fare? Io ero convinto che la faccenda fosse definitivamente chiarita. – fece Verri, indispettito.
- Se ci sono elementi poco chiari, spetta a noi stabilirlo. - ribatté la commissaria, una piccoletta che si muoveva a scatti – E gli elementi ci sono: i Carabinieri, come al solito, hanno fatto un'inchiesta lacunosa. Il sopralluogo, ad esempio.
Verri rimase in silenzio, con sguardo interrogativo.
La Lombardi proseguì: - In questo momento stiamo facendo altri rilievi sul luogo del fatto.
- Nella mia galleria? E con quale diritto? Non sono stato nemmeno avvertito, e io sono un Ministro...
La legge ci dà questo potere, e Lei non ha niente da temere, se ciò che ha dichiarato è vero.
Verri annuì, a fatica.
7.
Ormai dieci gocce non bastavano più; Perfetti si rigirò nel letto per l'ennesima volta, maledicendo i farmaci e i farmacisti.
Diede un'occhiata d'invidia alla moglie, che stava ronfando beatamente accanto a lui, quando il cellulare vibrò.
Sullo schermo scorse, con occhio cisposo, l'orario: le tre del mattino; tuttavia, il nome memorizzato gli dava la facoltà di disturbarlo anche a quell'ora: - Leoni, cosa c'è? Spero che sia importante.
- Lo è, Eccellenza. Si tratta del caso Mazzi, e del ministro Verri.
La riunione straordinaria si tenne al Viminale, sede del Ministero degli Interni; tutti convennero che lo scandalo doveva essere evitato, impedendo l'uscita della notizia che erano state trovate tracce di sangue su una delle sculture di Mazzi.
La versione ufficiale, ossia la perdita di equilibrio dell'artista che, cadendo, aveva picchiato la testa contro lo spigolo di un basamento, doveva rimanere l'unica versione.
- E per tutto il resto, occupatevene voi. Credo che a Lampedusa ci sia un posto vacante da commissario di Pubblica Sicurezza. - suggerì il Presidente Premier, rivolto al capo dei Servizi Speciali Leoni e al ministro degli Interni.
La stessa mattina, Verri venne ricevuto in segreto da Perfetti.
- Non si deve preoccupare, è tutto sistemato. - fece il Capo Supremo, con tono rassicurante.
- Non so come ringraziarla, Eccellenza. È stata una disgrazia, una sfortuna, non meritavo di finire in carcere.
- Lo so, la capisco. Adesso vada, e buon lavoro.
Perfetti era soddisfatto; ripensò alla scultura che troneggiava nel salone della sua villa rinascimentale nella zona dei Castelli Romani, la cacca numero quindici: doveva valere un bel gruzzolo, quell'opera d'arte.
Ma in fondo, l'arte più difficile, per la quale non c'era prezzo, era quella di governo.
La prossima notte avrebbe dormito benissimo, anche senza gocce.
Scr