Tore
Inviato: 04/04/2022, 9:27
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Scendendo a valle, dopo un paio di chilometri di curve, d'improvviso ti colpisce una luce abbagliante, fatta di milioni di luci in movimento: è il mare che riflette il sole, d'inverno e d'estate. E d'estate e d'inverno anche la luna si affaccia con mille luci in movimento. Ed ogni luce è uno specchio e ogni specchio è un richiamo che ti dice: vieni… vieni… vieni… e ti piacerebbe lasciarti inghiottire, se sapessi nuotare.
Tore, per esempio, non sa nuotare.
Tore è un diminutivo, ma non di Salvatore. Tore sta per Castore.
A nessuno però importava veramente di cosa fosse diminutivo il suo nome, perché in fondo a nessuno interessa veramente qualcosa di lui.
Ma a lui questo non interessa, l'importante è il suo mare, il suo sole, la sua luna…
Tore non è scemo come dicono gli altri, almeno non è più scemo di quelli che lo chiamano scemo.
Tore ha la sua vita come gli altri hanno la loro.
Agli altri piace scorrazzare a notte fonda col motorino smarmittato e svegliare tutti; a Tore piace inseguire una biscia in mezzo all'erba per vedere dove ha la casa e poterla tornare a salutare quando si trova a passare di là.
Agli altri piace gettare dal finestrino dell'auto le cicche ancora accese e i pacchetti vuoti di sigarette; a Tore piace passare la sera sul lungomare e con uno scopino e un sacchetto raccoglierle tutte, perché il sole del giorno dopo possa trovare almeno una strada pulita.
Agli altri piace… ad ognuno, insomma, piace una cosa diversa.
Certo, non tutto quello che piace è buono e bello ma, come dice Tore, il mondo è fatto da quelli che distruggono e da quelli che costruiscono. Lui ha deciso che è più bello stare tra quelli che costruiscono; e puliscono…
Per Tore ogni uomo è importante, anche il più cattivo, anzi ogni essere vivente è importante, anzi anche una pietra è importante.
Questa che voglio raccontare, comunque, non è la storia di Tore, o forse non è solo la sua storia.
Prendiamo, per esempio, i genitori di Tore, quelli che gli hanno messo questo nome.
Sua madre ha cominciato a ricamare una tovaglia per l'altare della Chiesa quando aveva sedici anni. Tra un ricamo e il matrimonio, un ricamo e un figlio, un ricamo e un parroco nuovo, sono ventisette anni che ancora non ha finito. Eppure ha fatto quattro figli, ha seppellito due parroci, ne ha sentito predicare per la Pasqua altri tre. Ogni volta il calice è troppo rosa, le foglie dell'uva sono troppo piccole e il merletto del bordo è troppo dorato. Ma lei sogna sempre, quando tutte le sere si mette a ricamare dopo aver messo tutti a letto e aver lavato tutti i piatti, che per la festa dell'ingresso del prossimo nuovo parroco la tovaglia dell'altare della prima Messa sarà la sua e tutti diranno: "com'è bella la tovaglia ricamata dalla mamma di Tore!".
Il papà di Tore, invece, è molto bravo ad aggiustare le ossa e i muscoli. Non è dottore, non ha studiato niente tranne l'alfabeto e le 4 operazioni. Ma aggiustare ossa e muscoli sono di quelle cose che, nei paesi, sanno fare i padri e poi i figli, e poi i figli ancora.
Tore veramente il suo papà non l'ha mai conosciuto, perché dopo aver ingravidato la mamma, era partito per la guerra, e non era più tornato. E quando Tore aveva cominciato a capire, prima di andare a scuola, e gli avevano detto che ogni mamma aveva un papà, Tore aveva pensato che quell'omone con le bretelle e gli scarponi da contadino che dormiva con la mamma era il suo papà. E quando poi qualcuno gli aveva detto che il suo papà era partito per la guerra e non era più tornato, e aveva chiesto spiegazioni alla mamma, lei, tra un ricamo e un altro figlio, aveva risposto che quello era uno 'zio'.
Se dalla mamma Tore aveva imparato la pazienza, il papà (quello che aveva adesso) gli aveva insegnato che tutti, buoni e cattivi, sono figli di quello che la domenica in Chiesa il parroco chiama Dio e nel resto della settimana ognuno chiama come vuole, ma è sempre la stessa persona, che se ne sta lassù, in cielo, in alto, ma molto più in alto del sole, in un posto così alto che neanche Caterpillar - che lo chiamano così per via della sua forza - con la sua fionda lo potrà mai raggiungere (eppure tutti sanno che Caterpillar la notte di S. Lorenzo, quando non riesce a vedere una stella cadente, prende la sua fionda, ci mette dentro un sasso liscio, di quelli di mare, e poi lo tira così forte che colpisce qualche stella, così che anche lui, guardandola cadere, può esprimere un desiderio). Questo Dio ha creato la biscia e quello che butta le cicche dal finestrino, quello che aggiusta i motorini smarmittati quando si rompono e anche lui, Tore. Ed è per questo che Tore vuole bene a tutti, anche ai cattivi.
È vero che qualche volta anche lui non riesce a capire perché certe cose succedono. Come quando la figlia di un pastore di un paese vicino era sparita per due giorni, e poi la mattina del terzo giorno aveva bussato alla porta di casa e la mamma che aveva aperto l'aveva trovata con tutti i vestiti strappati e sporchi di sangue e i capelli coperti di terra. E ai carabinieri aveva detto che il suo papà l'aveva portata alla stalla per governare le pecore; ma quando lei l'aveva visto dietro una pecora che faceva certe cose che non capiva cosa fossero, lui si era molto arrabbiato e aveva cominciato a fare con lei quello che stava facendo con la pecora. Poi il maresciallo aveva portato via il pastore e il pastore ancora non era tornato. Forse, aveva pensato Tore, quel pastore aveva tante altre pecore da far pascolare, ma tante che non finiva mai di lavorare e perciò non era ancora tornato a casa anche se erano passati più di cinque anni.
Ma certo Dio voleva bene pure a quel pastore, anche se forse aveva fatto una cosa brutta. Forse che Dio non voleva bene anche a lui, Tore, che qualche volta - lo doveva confessare - aveva tagliato la coda a qualche lucertola e una volta aveva, addirittura, ucciso un ragno? Certo lui si era pentito, aveva capito che faceva qualcosa di male, ma anche quel pastore si poteva pentire del male fatto. Ma, forse, al pastore quando era piccolo nessuno aveva detto che certe cose non si fanno, che sono peccato. E allora, chissà, Dio puniva di più quelli che non avevano detto niente al pastore su quello che era buono e non buono fare.
Perché Tore una cosa aveva imparato da solo: tutto quello che si sa bisogna subito insegnarlo agli altri, altrimenti poi si perde, si dimentica. E soprattutto gli altri poi sono meno bravi a fare le cose oppure le fanno cattive, come forse il pastore. Anche per questo, gli avevano detto una volta, esistono i libri, dove ognuno scrive quello che sa.
E così Tore aveva pensato di scrivere un bel libro, con dentro tutte le cose che aveva imparato fino ad allora e quelle che avrebbe imparato dopo. E un giorno aveva comprato un bel quaderno, tutto colorato, a righe, aveva trovato una bella penna, si era seduto sotto un bell'albero di noci, enorme, che faceva una bella ombra e, con tante idee in testa e una grande gioia nel cuore, aveva cominciato a scrivere. Ma dopo dieci minuti aveva sentito un rumore dietro di lui e aveva visto con la coda dell'occhio una lunga biscia, nera nera, che cercava di scappare nella sua tana, e lui l'aveva seguita. E fu così che Tore non scrisse mai un libro con dentro tutto quello che sapeva.
Poi una mattina, appena sveglio, sentì che qualcosa non andava.
Eppure il sole passava dalle fessure della persiana, i mobili erano tutti nella stanza, al loro posto. Ma nell'aria c'era qualcosa che non andava, qualcosa di freddo, qualcosa che non c'era; sentì la mancanza di un profumo: non c'era l'odore del caffellatte fatto con amore, quello che la mamma gli portava ogni mattina. Non voleva alzarsi, voleva restare ancora lì, a vedere se la sua mamma si fosse ricordata di lui che era solo a letto, e fosse venuta a portargli il caffellatte e a prenderlo per portarlo con lei come tutti i giorni.
Espresse forte forte questo desiderio dentro di lui, pensando al Dio dei ragazzini col motorino smarmittato e di quelli che lo riparano quando si rompe. Ma non successe niente.
Ma di una cosa era sicuro e per questa volle alzarsi. Passò davanti alla stanza della mamma, piena di gente che parlava a bassa voce e andò in cucina. Lì a terra, accanto alla poltroncina vicino la finestra, c'era il cestino con le cose che la mamma usava per ricamare e dentro, ripiegata per bene, la tovaglia per l'altare. La prese di nascosto e corse fuori a guardarla. Sì, era finita, ed era bellissima con tutti i disegni e i colori al posto giusto: le foglie della vite di un verde che quelle della vigna di Giovanni si sarebbero vergognate di non essere come loro; un calice d'oro più splendente del più bel calice del re Mida.
E un'altra cosa cercava Tore su quella tovaglia. La rigirò a lungo finché in un angolo, proprio sotto ad un grosso grappolo d'uva color del sole, trovò ricamato il nome di chi l'aveva fatta. E non si stupì quando lesse: "questa tovaglia là fatta la mamma di tore".
Allora Tore capì che la mamma gli voleva ancora bene, anche se per quella mattina non gli aveva preparato il caffellatte.
Ancora nessuno si era preoccupato di andare nella sua stanza a cercarlo. Chissà se c'è un altro mare come questo in qualche altro posto dopo le montagne da dove tutti i giorni viene il sole? pensò. E le bisce, sono uguali dappertutto?
Tore doveva scoprirlo. Andò in camera della mamma e puntò dritto al comò. Nessuno fece caso a lui. Per un attimo la vide da dietro tutta quella gente, stesa sul letto. Sembrava dormire, ma lui sapeva che era solo un trucco per poter stare per sempre col suo Tore. Sul comò c'era una cassettina di stoffa ricamata, dove sapeva che la mamma teneva i soldi. L'aprì, tirò via qualche spilla di plastica lucente che la mamma usava mettere sul vestito per i giorni di festa, e trovò i soldi, tutti avvolti e fermati con un elastico. Li prese e uscì dalla stanza. Poi uscì anche dalla casa e quindi dal cancello. Scese verso la stazione, dove tutti i mesi andavano con la mamma per prendere il treno che li portavano da quei signori che gli facevano tante domande, sempre le stesse e poi si arrabbiavano se lui dava sempre le stesse risposte.
Sotto un braccio reggeva la tovaglia ricamata dalla sua mamma, e in una mano teneva stretti i soldi perché sapeva che senza quelli il signore dietro lo sportello non gli avrebbe dato il biglietto per salire sul treno.
- Dove vai, Tore?
- Voglio andare in un posto dove c'è un altro mare.
- E la mamma non c'è oggi?
- La mamma è già andata e io devo raggiungerla. Mi dai il biglietto? – e gli tese la mano con i soldi.