Giallo nero

Spazio dedicato alla Gara stagionale di primavera 2022.

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Sondaggio concluso il 20/06/2022, 1:00

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Andr60
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Giallo nero

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PROLOGO
La donna, matura ma ancora piacente, scese dall'auto e si diresse verso lo chalet. Salì i tre scalini agilmente nonostante i tacchi alti, e bussò alla porta: - Amore, sono qui!
Nessuna risposta, allora lei insistette: - Ricky, lo so che ci sei, – disse, entrando. – vuoi fare il bambino cattivo come l'altra volta?
Girò per la casa per cinque minuti, ma non trovò nessuno. Spazientita, fece per uscire ma, appena mise la testa fuori dalla porta, qualcuno la colpì. Non seppe mai chi, perché era già morta prima di crollare sulla soglia, con il cranio spaccato.

1.
- Mamma, ti presento Olena Tkachenko. Sarà la tua nuova badante.
Mary Quantrill la squadrò da capo a piedi; una slava con mani da contadina, sprizzava gioventù da tutti i pori. Mary la odiò fin da subito: - Piacere, signorina.
- La prego, mi chiami Lena. – disse, porgendole la mano e stringendogliela non molto vigorosamente, forse temendo di farle del male, visto che l'aspetto della madre di Freddy era quello di una signora anziana piuttosto male in arnese, magra e fragile.
Freddy osservò soddisfatto; sembrava che sua madre l'avesse accolta bene. Le tre precedenti badanti erano scappate disperate, e Freddy aveva avuto il suo bel daffare per evitare delle denunce. Nonostante l'aspetto dimesso, Mary quando era arrabbiata poteva diventare molto aggressiva, e i piatti di casa ne sapevano qualcosa – Freddy aveva dovuto comprare due interi servizi da dodici, dopo aver raccolto i cocci dei precedenti, finiti, in parte, sulla testa delle poverette.
Si era sempre giustificato con la malattia della madre, nascondendo il fatto che il presunto morbo di Alzheimer non era stato diagnosticato da nessuno, ma si “accendeva” solo quando le faceva comodo, ossia quando a Mary qualcosa non andava a genio.
Sono i guai dei figli unici, sospirò Freddy tra sé.
- Mamma, mi raccomando: per qualunque cosa, rivolgiti a Lena. In ogni caso, – disse rivolto alla badante, – avete il mio numero di cellulare.
- Non si preoccupi, staremo benissimo. – rispose Lena, con un larghissimo sorriso.

2.
Ormai era una tradizione il tè con le amiche, e a Mary cominciava a piacere, anche il fatto di cambiare la sede ogni settimana. Non era mai stata una grande casalinga, infatti detestava le pulizie; però quel ritrovo periodico almeno la obbligava a tenere la casa in ordine, e ci teneva a che le sue amiche trovassero sempre inappuntabile ogni aspetto della sua dimora: dalla tovaglia nuova alle tendine fiorite, dai pasticcini freschi alla nuova essenza ambientale con la quale le accoglieva.
Quel giorno però accadde un fatto nuovo: la sua vecchia amica Dorothy arrivò accompagnata a un'altra donna della stessa loro età. Si chiamava Jennifer, si era trasferita da poco da Milwaukee ed era andata ad abitare accanto a lei.
Viveva da sola, aveva divorziato da poco e non aveva figli; Mary trovò fastidioso il fatto che Dorothy non gliene avesse parlato prima, di questa Jennifer.
Trovò ancora più fastidiosa l'occhiata che quella donna diede al suo Richard, quando rincasò dal lavoro e passò dal soggiorno, salutando educatamente il gineceo come sempre.
Richard era, come si usa dire, un gran pezzo d'uomo, prestante e volitivo; le sue amiche glielo invidiavano, e non facevano nulla per nasconderlo, anzi. Vincendo il naturale imbarazzo di Mary, era diventato uno dei principali temi delle loro conversazioni, negli ultimi tempi, nei quali invece i rispettivi mariti delle sue amiche avevano calmato di parecchio i propri bollori giovanili, soprattutto in camera da letto.
Invece Richard, puntuale come un orologio, arrivava all'appuntamento in ottima forma e con invidiabile efficienza, nonostante il fatto che non fosse più un giovanotto.

3.
Lena, oltre che badante, era una tuttofare: faceva la spesa, le pulizie, pure la dog sitter, visto che a Mary era venuta la mania dei cani.
Brutta cosa, la vecchiaia, si disse Freddy mentre guidava verso la casa dei suoi. A mamma Mary gli animali non erano mai piaciuti poi, improvvisamente, aveva comprato tre chihuahua uno più pestifero dell'altro. Freddy sospettava che c'entrasse l'improvvisa morte di papà Richard, a causa di un infarto. Trovarsi di punto in bianco la casa vuota doveva essere stato uno shock per lei, visto che anche il figlio – ormai un uomo – se n'era andato da tempo.
Da pochi mesi, però, Freddy era riuscito a ottenere il trasferimento lavorativo e ora poteva dedicarsi di più alla propria madre; la scelta della badante era stato il primo atto di questa assunzione di responsabilità, nonostante le perplessità di Jane, la sua convivente.
Mary aveva sempre avuto un carattere difficile, ma con l'età era peggiorata. Per fortuna con Lena le cose sembravano andare bene, soprattutto – sospettava Freddy – grazie alla giovane ucraina, che indubbiamente avete tutto l'interesse a non creare problemi, in vista del rinnovo del permesso di soggiorno.
- Tutto bene, signor Quantrill. Sua mamma a volte è un po' nervosa, ma la lascio sfogare e poi diventa un agnellino. – Lena lo accolse con un largo sorriso, come sempre.
- Ne sono lieto. Se per questo week end hai degli impegni, posso rimanere io a controllare mia madre.
- In effetti, sì. Se possibile, vorrei andare a trovare dei miei parenti. Mi farebbe un grosso favore.
Ma prego, puoi tornare lunedì mattina. – disse affabile Freddy, mentre la madre osservava la scena disgustata.

4.
Erano diventate inseparabili, Dorothy e Jennifer, e dove andava una l'altra la seguiva. Così le visite da Mary si fecero più assidue, anche oltre i consueti pomeriggi del tè, e le occasioni per incontrare Richard si moltiplicarono, per Jennifer.
Dopo la brutta impressione dell'incontro iniziale, Mary non ci fece più caso, allo scambio di occhiate tra i due, e per un po' non ci pensò più.
Ma un evento le fece cambiare idea; il marito le parlò di un convegno al quale era stato invitato. Si sarebbe tenuto in un mega-albergo fuori città ma, a differenza di altre occasioni, stavolta i dipendenti non avrebbero potuto farsi accompagnare dalle rispettive consorti.
Peccato, si disse Mary, sarà per un'altra volta.
Però poco dopo la partenza di Richard, Mary ricevette la telefonata di un suo collega che lo avvertiva che il soggiorno sarebbe durato un giorno in più, per permettere a tutti di rilassarsi con le famiglie al seguito.
Il collega aveva detto proprio così, insomma il suo Richard le aveva raccontato una bugia. Mary ci rimuginò per una settimana.

5.
Già l'avere estranei in casa era sgradevole per lei, ma con Lena la misura era colma. Quel suo modo di fare, quella sua aria perennemente soddisfatta e il fatto che canticchiasse quand'era allegra, beh... erano tutte cose che avevano risvegliato in Mary brutti ricordi che avrebbe voluto cancellare definitivamente. Ma era sempre in tempo per farlo, si disse. Aveva solo bisogno di pensarci un po' su.
Quando infine la vide ritornare il lunedì mattina con un vestito giallo a fiori, Mary seppe che doveva agire in fretta.
Salutò il figlio e diede alla ragazza la lista delle incombenze della giornata. La ragazza le svolse con puntualità ed efficienza, come al solito. Appena ebbe finito di pulire la casa, ormai dopo il tramonto e giunta l'ora di cena, Lena chiamò l'anziana signora, che non era in camera sua.
- Sono in garage, Lena. – rispose Mary, – Ti prego, vieni ad aiutarmi.
- Ma che ci fa in garage, signora? - le chiese Lena, entrando nella rimessa tutta impolverata – da quando Richard era morto, nessuno ci lavorava più.
- Avevo bisogno che tu fossi qui. – le disse Mary, tirando giù a metà la saracinesca.
- Vuole che pulisca anche qui? Ho notato che ha messo del cellophane sul pavimento. - Lena si stava interrogando sulle intenzioni di Mary, non capiva se stesse avendo una crisi.
La ragazza si sporse verso la vecchia, che con insospettata agilità e forza prese una grossa chiave inglese dal bancone degli attrezzi e la vibrò sulla testa della malcapitata.
Lena barcollò, poi crollò in ginocchio. Allora Mary, con un altro colpo ben assestato, le sfondò il cranio e poi infierì sul cadavere con altri colpi, tutti sulla testa. Il pavimento del garage non si macchiò di sangue e di materia cerebrale, il cellophane sì.

6.
Ormai il tarlo aveva cominciato a scavare nella sua mente. E le occhiate di Richard a Jennifer, e di lei a lui, una conferma ulteriore che ciò che sospettava era esatto.
L'intesa tra lei e il marito non era più la stessa; Mary per ogni sciocchezza iniziava a discutere con Richard, e il piccolo Freddy iniziò ad andare male a scuola.
“C'è forse qualche problema in famiglia, signora?”: quell'impicciona della Farrys, cosa diavolo voleva da lei? Che spiattellasse ai quattro venti che il marito la tradiva? No, signora maestra, è tutto come sempre, sarà un momento passeggero, sa come sono i bambini…
Quella sera l'argomento era lo scarso rendimento scolastico del figlio, e Richard lanciò un'idea: - Potremmo andare per il week end alla casa sul lago, sono secoli che ne parliamo e poi non se ne fa mai nulla, è un peccato perché è un posto bellissimo, ci rilassiamo e Freddy potrà giocare all'aria aperta, e lo porterò a pescare, e…
- Okay, va bene. – rispose sbrigativamente Mary, che detestava la campagna e le zanzare. Ma, almeno, per quel week end ci sarebbe stato un armistizio.

7.
- Quella tua amica se n'è andata.
Al telefono, Freddy se lo fece ripetere due volte: - Come sarebbe, se n'è andata? Quando è successo?
- Non lo so, stamattina mi sono svegliata e la sua stanza era vuota. Ieri sera ho preso un sonnifero, così ho dormito profondamente e non ho sentito niente.
- Senti, non fare nulla finché non arrivo. – il tono di Freddy era sconcertato; l'ultima cosa che si sarebbe aspettato da Lena era che piantasse quel lavoro così, di punto in bianco.
Freddy arrivò nel pomeriggio; Lena era scomparsa dal mattino, e il suo cellulare era muto. Freddy non aveva ricevuto alcun messaggio nelle ultime ore, ed era sempre più perplesso.
- Che c'è di strano? Le straniere sono tutte così, inaffidabili. – sentenziò la madre, infastidendolo alquanto.
- Lena non era così, quel lavoro le serviva troppo. Non capisco, a meno che non ci siano sotto altri motivi, forse familiari. - colto da un'idea improvvisa, armeggiò col suo smartphone per controllare la rubrica.
Con un'esclamazione soddisfatta, trovò il numero della cugina e lo compose subito.
Dopo qualche secondo di conversazione, disse deluso: - Nemmeno loro sanno nulla. Sarà meglio chiamare la polizia.
Attese cinque minuti, e finalmente qualcuno rispose. Dopo un po', Freddy disse alla madre: - Manderanno qualcuno a parlare con te, intanto faranno dei controlli.
- Okay, - rispose lei, con aria scocciata, – ma promettimi di non chiamare nessun'altra estranea. Me la so cavare benissimo anche da sola.
- D'accordo, per ora faremo così. Comunque chiamami, per qualunque evenienza. – Freddy si mostrava premuroso, però era davvero preoccupato per la ragazza ucraina. Che cosa poteva esserle successo?

8.
Nonostante le premesse, erano stati bene, in quella casupola che Richard aveva ereditato dai genitori. Un posto isolato, al riparo da occhi e orecchie indiscreti, adatto per le famiglie. O gli amanti. E se Richard ne avesse già approfittato, altre volte, con Jennifer o con altre?
Era lunedì, il tarlo aveva ricominciato a scavare caverne nelle sicurezze e nell'amor proprio di Mary.
Decise che era arrivato il momento di affrontare la situazione. Si presentò a casa sua: - Mary, che sorpresa! - esclamò Jennifer, ma non dovevamo vederci domani?
- Ero nei paraggi, ed è ancora presto per tornare a casa. – tergiversò lei.
- Hai fatto benissimo! Volevo giusto far vedere a te e a Dorothy il catalogo di carte da parati, per decidere quale prendere. – Jennifer la fece accomodare sul divano del salotto e poi si diresse nell'altra stanza in cui aveva i campioni di tappezzeria.
Del tutto casualmente, gli occhi di Mary caddero sul dépliant di un albergo che Mary aveva già sentito, posato sul tavolino.
Lo chiese a Jennifer, che rispose: - Ah, sì, me ne hanno parlato bene. Pare che nel prezzo delle stanze siano compresi anche idromassaggi e sauna, credo che ne approfitterò.
Era proprio quell'albergo; sì, quello del convegno di Richard, nel quale le famiglie non erano ammesse, almeno secondo lui.
Le venne un'idea. Continuò a parlare con Jennifer – anche se ormai non l'ascoltava più – e poi scelse a caso un campione di tappezzeria.
Si salutarono.

9.
- Sì, me la ricordo benissimo; aveva un vestito giallo a fiori, era difficile non notarla. E poi camminava in un modo… mi scusi, non dovrei parlare così con una signora. – il concierge, visibilmente imbarazzato, riconsegnò a Mary la foto.
- Non si preoccupi, – convenne Mary, – anche secondo me cammina sculettando in modo indecente.
La fotografia scattata durante un party di beneficenza e che ritraeva Mary insieme a Dorothy e Jennifer le era stata indispensabile, per avere finalmente la prova che cercava, ossia la certezza del tradimento del marito con quella puttana.
Jennifer doveva aver preso il dépliant in quell'occasione, ma non aveva fatto i conti con la gelosia di una moglie tradita.
Rimaneva una cosa da fare, e Mary era decisa a farla il più presto possibile.


10.
Era trascorso più di un mese, e Lena sembrava scomparsa nel nulla. Meno male che Mary sembrava davvero cavarsela da sola; l'unico aiuto, accettato di malavoglia, era una visita settimanale di Freddy e di quella Jane. A Mary non andava per niente a genio, la convivente del figlio; la trovava insulsa, poco interessante e piuttosto antipatica.
Comunque i due le facevano la spesa settimanale, e Freddy eseguiva le riparazioni della casa, all'occorrenza. Avevano anche preso un cane – Ma quale cane, quand'è che mi fai un nipotino? Gli aveva chiesto Mary, furente – un beagle che si era messo a frugare dappertutto e a litigare con i chihuahua.
Quando il cane uscì in giardino e passò vicino al salice si mise a guaire in modo strano, e a scodinzolare. Freddy chiese a Jane che cosa avesse, e lei disse: - Credo che abbia fiutato una traccia. Là sotto ci dev'essere qualcosa.
Freddy prese una pala nel garage e cominciò a scavare. Trovò delle ossa, o almeno gli sembravano tali, visto che non erano intere ma frammentate.
- Che cosa state facendo? - Mary, che stava facendo il riposo pomeridiano, si era svegliata e ora stava quasi urlando, – Volete distruggere il mio giardino?
- No, mamma. Il cane ha fiutato qualcosa e stavo controllando.
- Perché non lasciate quel cane a casa vostra? Qui combina solo guai.
Così Freddy richiuse il buco ma si tenne le ossa; voleva conoscere il parere di un esperto.

Dopo qualche giorno, il responso: erano sicuramente ossa umane, anche se il DNA era troppo danneggiato per fare un'analisi completa. Rimaneva da stabilire che cosa ci facessero ai piedi del salice del giardino di mamma, si chiese Freddy, sgomento.


11.
Non era stato facile trovare quella stradina seminascosta dalla vegetazione, ma alla fine c'era riuscita. Non aveva idea di cosa gli passasse per la testa, al suo Ricky; certo, doveva essere dura avere a che fare tutto il giorno – e la notte – con un tipo insopportabile come Mary. Per fortuna c'era lei, pronta a fargli dimenticare tutte le preoccupazioni e a soddisfarlo così come lui la soddisfaceva; era stata fortunata a trovare un uomo come Richard, dopo tante delusioni e tanti omuncoli che alle prime difficoltà se la squagliavano, o le rubavano il portafoglio e scomparivano – le era successo, per ben tre volte. Dall'ultimo omiciattolo aveva divorziato, ed era stata una liberazione: cosa le era venuto in mente di sposare un tipo così insignificante e fisicamente poco prestante? L'unica sua qualità era un buono stipendio, ma Jennifer se n'era stancata presto, di un così misero vantaggio. E, forse, anche il suo ex, visto che non aveva fatto la minima difficoltà a concederle il divorzio e la sospirata libertà.
Ma ora era tutto diverso, con Ricky: era stato un campioncino di football al college, aveva una posizione sociale consolidata e un lavoro impegnativo. Unico difetto, la moglie; con le spinte emotive giuste, Jennifer era sicura che sarebbe riuscita ad averlo tutto per sé.
Era arrivata, finalmente! Chissà perché non le aveva telefonato, invece di lasciarle quello strano bigliettino nella posta. L'avrebbe scoperto presto. Scese dall'auto stando attenta a non spiegazzare la gonna del vestito giallo a fiori che adorava e che la faceva sentire così sexy, e si diresse alla casa, facendo un gran rumore e stando attenta a non prendere storte sulla ghiaia, con quelle scarpe dai tacchi troppo alti per quel terreno.

12.
L'auto della polizia, anziché fare il consueto giro di vigilanza del quartiere, parcheggiò davanti a casa Quantrill.
Due detective in borghese scesero e bussarono alla porta, mentre stavano cenando: - Vorremmo parlare con Richard e Mary Quantrill. – dissero a Mary.
- Perché? Che cosa è successo? - chiese Mary, mentre il marito si avvicinò.
- Volevamo sapere se conoscete Jennifer Moore, che è scomparsa da una settimana. Dorothy Lambert, la sua vicina di casa e sua amica, ci ha detto che è anche una vostra conoscente, e volevamo sapere se l'avevate vista o sentita. – chiese il primo, un nero corpulento e dall'aspetto poco rassicurante.
I due si guardarono negli occhi: - No, non l'abbiamo vista e non ha telefonato.
- La sua auto è stata ritrovata abbandonata sul ciglio di una strada periferica. Avete idea di dove potrebbe essere andata? - chiese il secondo poliziotto, un bianco obeso e, dall'aspetto, alle soglie della pensione.
- Nessuna. Sa, non siamo così amici e non conosciamo molto di lei.
- Capisco. Beh, se avete notizie o se vi viene in mente qualcosa, questo è il mio numero. – disse il nero a Richard, porgendogli un biglietto da visita.
I poliziotti uscirono e i coniugi Quantrill chiusero la porta alle loro spalle.
Richard guardò nuovamente la moglie, che mantenne fissi gli occhi su di lui e disse: - Andiamo a tavola. La cena si fredda.

13.
Freddy l'aveva appena chiamata dal posto di lavoro, non poteva proprio accompagnarla da Mary, si sarebbe trattenuto ancora per almeno un'altra ora.
Jane fece una smorfia di disappunto; non aveva la minima voglia di ritrovarsi da sola con lei, non sapeva dire perché ma le dava i brividi, quella donna.
Suonò alla porta di casa, portando i pacchi della spesa: - Mary, sono io, Jane.
Mary andò ad aprire e vide che c'era solo la – futura? – nuora, che non sopportava. A malincuore, le aprì l'uscio: - Freddy non viene più?
- Arriverà più tardi, è stato trattenuto. Dove metto la spesa?
- In cucina.
Jane entrò e vide che, nel lavandino, c'era un sacchetto di carne congelata che Mary aveva lasciato sotto l'acqua corrente.
- Non finisci il pollo allo spiedo che ti abbiamo portato ieri? - domandò incuriosita Jane.
- Quella carne non è per me, è per i miei tesorini.
- Ma io ho comprato i bocconcini Fido…
- Non le voglio quelle schifezze, meglio la carne vera.
Jane prese il sacchetto e lo guardò con più attenzione.
- Cosa c'è che non va? Non hai mai visto della carne scongelata? - il tono di Mary era volutamente sarcastico, proprio non riusciva a nascondere la sua antipatia per lei.
- Che pezzi di carne sono? - chiese a Mary.
La mamma di Freddy, meno sicura del solito, iniziò a tergiversare: - Non so, non ricordo, mi pare degli ossi buchi…
- Ho studiato un po' di anatomia, al college, – rispose Jane, – ma quelli mi sembrano dischi vertebrali, e non di bovino. Dove hai preso questa carne?
- Me la sono procurata. È forse un reato? - rispose brusca Mary, arrossendo lievemente.
Senza rispondere, Jane si ricordò improvvisamente che Freddy gli aveva detto che in garage i suoi avevano un grosso congelatore, nel quale stipavano la scorta di cibo di prodotti congelati per settimane intere.
Ci andò di corsa, seguita da Mary che la tallonava. Aprì lo sportello e vide tanti sacchi e sacchetti, pieni di pezzi di carne di origine incerta; un sacchetto però attirò la sua attenzione; le sembrò di vedere una piccola farfalla, che aveva tutta l'aria di un tatuaggio.
Pallidissima, si voltò verso Mary, che si era allontanata da lei ma era rimasta impassibile: - Lo sapevo che eri pazza, sei da rinchiudere in manicomio! Telefono subito alla polizia! - le ultime parole Jane le gridò.
Imperturbabile nonostante la situazione, Mary si avvicinò lentamente alla serranda del garage e la tirò giù a mezz'altezza. Curiosamente, osservò solo in quel momento che Jane indossava una maglietta gialla con i fiorellini.
Namio Intile
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Messaggio da leggere da Namio Intile »

Questa volta la lotta di classe l'hai lasciata defilata, se non fosse per la povera Lena, e ciò che trionfa è un bieco egoismo venato dalla follia. Il tutto legato a quel giallo, il giallo nel giallo, che sembra infastidire la protagonista.
Il racconto è ben strutturato, la tua scrittura procede ordinata con la solita maestria. Ma mi pare che qualcosa non funzioni in relazione al tempo in cui si svolge la narrazione. C'è una narrazione la presente e delle analessi con dei ricordi, ma la loro successione mi è sembrata incerta. Ad esempio, il marito di Mary, Richard, pirma lo fai uscire di scena con la morte, ma arrivato a un certo punto sembra resuscitare. Se così non fosse, come credo, hai ultilizzato male i tempi verbali al 4,6, 9 e 11. Perché se sono situzioni passate rispetto al presente della narrazione avresti dovuto adoperare dei trapassati e comunque indicare le analessi in modo da non ingenerare confusione sul quando.
A parte questo mi sono pure divertito con la signora Mary Quantrill e il suo amore per i gialli.
un buon lavoro
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Re: Giallo nero

Messaggio da leggere da Andr60 »

La storia si svolge su due piani temporali diversi e indipendenti: il prologo e i capitoli 2-4-6-8-9-11 si svolgono nel passato, gli altri nel presente, però la narrazione onniscente non muta, rimane al passato remoto. Ho voluto cambiare, alternando i due piani, col rischio (ahimé prevedibile) d'ingenerare un po' di confusione nel lettore, che solo in un secondo momento si accorge di stare leggendo di avvenimenti che fanno parte del passato dei protagonisti. Di solito per le analessi si cambia il tipo di carattere ma in questo caso mi risulta difficile poiché col copia/incolla questi cambiamenti si perdono.
Una precisazione: ho scritto il racconto due anni fa, all'epoca l'Ucraina era conosciuta solo per badanti e prostitute (che notoriamente nei racconti gialli fanno una brutta fine); d'altra parte, il fatto che la poverina venga mangiata dai cani è una piccola metafora delle conseguenze de "l'abbaiare della Nato alla Russia".
Grazie del commento attento, un saluto
Namio Intile
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Re: Giallo nero

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I trapassati, Andr.
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Ciao! Veramente un bel racconto in un classico stile "americano" con i piani temporali ben distinti, ma che si intrecciano nella narrazione. Tra l'altro trovo l'uso dello stesso tempo verbale tutt'altro che un limite nella comprensione: è molto cinematografico, dato che nel cinema c'è spazio solo per i fatti qui ed ora senza distinzioni di tempi verbali. L'anticipazione del arche-delitto è l'unico scostamento dalle due linee temporali che ti sei concesso ed è perfettamente funzionale ad attirare l'attenzione del lettore. Sarebbe bello vederlo trasposto in salsa padana, invece che nella quieta provincia USA. Anche il vestito giallo a fiori è un bel MacGuffin. Insomma gli ingredienti ci sono tutti e secondo me potresti tranquillamente ampliarlo rispetto alle modeste 25.000 battute previste dal regolamento. Complimenti!
Vorrei essere il mare che si muove per rimanere se stesso e più di tanto non lo sposta il vento. Fragile ma tenace.
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Re: Commento

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Domenico Gigante ha scritto: 23/05/2022, 9:38 Ciao! Veramente un bel racconto in un classico stile "americano" con i piani temporali ben distinti, ma che si intrecciano nella narrazione. Tra l'altro trovo l'uso dello stesso tempo verbale tutt'altro che un limite nella comprensione: è molto cinematografico, dato che nel cinema c'è spazio solo per i fatti qui ed ora senza distinzioni di tempi verbali. L'anticipazione del arche-delitto è l'unico scostamento dalle due linee temporali che ti sei concesso ed è perfettamente funzionale ad attirare l'attenzione del lettore. Sarebbe bello vederlo trasposto in salsa padana, invece che nella quieta provincia USA. Anche il vestito giallo a fiori è un bel MacGuffin. Insomma gli ingredienti ci sono tutti e secondo me potresti tranquillamente ampliarlo rispetto alle modeste 25.000 battute previste dal regolamento. Complimenti!
In effetti l'intenzione era quella, capisco che faccia arricciare il naso a Namio e a chi è abituato a rispettare le (giuste) regole della consecutio temporum.
Sull'ampliamento ci penserò, anche se mi risulta difficile poiché l'ho pensato così per un concorso al quale ho partecipato (senza successo) :smt009 .
Ti ringrazio del giudizio e grazie anche a Francesco Pino, saluti
Namio Intile
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Re: Giallo nero

Messaggio da leggere da Namio Intile »

Nessun arriccio di naso. Sai, Andr quanto ti stimo e non soltanto perché in molte cose la pensiamo in ugual modo, ma anche per la tua abilità come scrittore, costretti come siamo in questo palcoscenico. Però se i commenti in calce debbono avere un senso quello dovrebbe essere proprio quello di stimolare il senso critico e la discussione. Allora, il racconto per me rimane ben strutturato e solido. E ci mancherebbe altro che tu non possa sperimentare un modo diverso di organizzare la struttura temporale della narrazione provando una strada differente da quella data dalla concordanza dei tempi; io stesso non faccio altro che sperimentare generi e modi diversi di scrivere: mi pare che in questi brevi anni l'abbia dimostrato percorrendo vie anche solitarie e incomprensibili. Questa la doverosa premessa: il mio primo appunto si riferiva alla mancata indicazione delle analessi avendo tu scelto di normalizzare i tempi verbali scegliendo un tempo passato uniforme. Alla luce dei tuoi appunti, e delle indicazioni di Domenico, capisco che la scelta di piegare le analessi al continuum narrativo tragga spunto dall'estetica cinematografica dove, come ben scrive Domenico, "...c'è spazio solo per i fatti qui ed ora senza distinzioni di tempi verbali."
Ora, è vero che la narrativa cinematografica proceda in questo modo e che i balzi temporali non siano accompagnati dall'uso del passato nella voce narrante. Non bisogna dimenticare però che il cinema è un'arte fondamentalmente visiva, come il teatro, e per di più dinamica. Il cinema è una rappresentazione, una raffigurazione della realtà. Tramite l'occhio posso scegliere di dire ciò che la bocca tace e pertanto rappresentare immediatamente tramite un cambio di scena o qualsiasi altro artificio grafico ciò che la voce narrante può e vuole tacere. Non è un caso se il cinema sia nato muto, perché il cambio d'inquadratura, di soggettive, nel montaggio conferiscono un significato immediatamente percepibile allo spettatore senza la mediazione della voce. In una pellicola cinematografica conta il soggetto, ma anche la sceneggiatura, la regia, l'interpretazione, il montaggio, la colonna sonora, i costumi e così via. Una pellicola è un'opera corale.
Nel caso della narrativa il significato, il senso, la direzione del tempo non possono essere demandati all'immagine, non possono essere suggeriti da altro che dalla parola scritta: devono dunque essere specificati dall'autore (il solo artefice) affinché il lettore ne possa usufruire immediatamente. La tua tecnica narrativa è la normalità nelle sceneggiature o nei testi teatrali dove il come e il quando sono specificati in ogni atto o in ogni scena. Ma a mio avviso in narrativa l'espediente dell'appiattimento lessicale rischia di essere fine a se stesso, un mero artificio tecnico senza un legame con la realtà o con la necessità di descrivere i fatti. Quale potrebbe essere il senso di una sperimentazione del genere se non quello di inseguire un modo di raccontare che appartiene a un'altra arte?
Mi viene da pensare, tra parentesi, quanto poche siano le riduzioni(non è un termine casuale) cinematografiche riuscite di testi letterari o anche di testi teatrali. Poche in verità e quando riescono spesso stravolgono il testo originario, a dimostrazione di quanto sia arduo il transito da una sponda all'altra.
Insomma, l'operazione contraria, quella che hai attuato, di portare il modo di pensare il cinema nella letteratura rischia a mio avviso di creare un lungo infinito piano sequenza che in effetti tale non è. E quindi di piegare la realtà artificialmente a un'esigenza tecnica.
Spero di non essere stato troppo caustico, mia moglie me lo dice sempre che sono troppo diretto, col risultato che mi faccio schifiare da tutti.
Un caro saluto
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Marino Maiorino
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L'ho trovato molto bello, e mi ha quasi bucato la pagina.
Perchè "quasi"? È come quando vedi un'immagine sintetica molto realista, ma definitivamente non reale, da piccoli dettagli sparsi qui e lì, come il DNA troppo danneggiato per fare un'analisi completa. Con le tecnologie forensi di oggi non esiste più un DNA troppo danneggiato.
Il pregio maggiore è la ricostruzione, quella certamente il punto nodale di tutta la narrazione, della personalità totalmente anaffettiva e a-(privativo)patica di Mary. Ho notato come nel narrare di questi personaggi non si possa quasi mai raccontare quello che essi stessi vivono, ma solo ciò che fanno, come se dentro non avessero davvero gran cosa.
Allo stesso tempo, mi è difficile contestualizzare un personaggio del genere che sembra preso da un racconto del miglior Hitchcock, e che forse non a caso fai vivere in un paese anglosassone. Che dovrebbe essere UK più che USA, data la nazionalità ucraina di Lena, ma tant'è.
Temo che purtroppo, col diffondersi dei modelli culturali anglosassoni, oggi questi comportamenti siano assai comuni anche a latitudini più mediterranee (in effetti, la cronaca ne è piena).
Spero che Jane la faccia franca.
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Marino Maiorino ha scritto: 24/05/2022, 9:33 L'ho trovato molto bello, e mi ha quasi bucato la pagina.
Perchè "quasi"? È come quando vedi un'immagine sintetica molto realista, ma definitivamente non reale, da piccoli dettagli sparsi qui e lì, come il DNA troppo danneggiato per fare un'analisi completa. Con le tecnologie forensi di oggi non esiste più un DNA troppo danneggiato.
Il pregio maggiore è la ricostruzione, quella certamente il punto nodale di tutta la narrazione, della personalità totalmente anaffettiva e a-(privativo)patica di Mary. Ho notato come nel narrare di questi personaggi non si possa quasi mai raccontare quello che essi stessi vivono, ma solo ciò che fanno, come se dentro non avessero davvero gran cosa.
Allo stesso tempo, mi è difficile contestualizzare un personaggio del genere che sembra preso da un racconto del miglior Hitchcock, e che forse non a caso fai vivere in un paese anglosassone. Che dovrebbe essere UK più che USA, data la nazionalità ucraina di Lena, ma tant'è.
Temo che purtroppo, col diffondersi dei modelli culturali anglosassoni, oggi questi comportamenti siano assai comuni anche a latitudini più mediterranee (in effetti, la cronaca ne è piena).
Spero che Jane la faccia franca.
Ho esitato molto prima di aggiungere il particolare del DNA troppo danneggiato per l'analisi forense, in effetti ho presunto che Mary sia un'assidua spettatrice del telefilm CSI.
Ci sono molti ucraini anche in USA anzi, pare che sia la nazionalità post-sovietica più gradita, per motivi facilmente intuibili (cfr.: vedi la città di Parma - in USA - e zio Vanja alias Ivan Demjanjuk).
Spero anch'io che Jane si salvi: è agile e veloce, forse riuscirà a schivare la chiave inglese.
Grazie della lettura, saluti
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Namio Intile ha scritto: 23/05/2022, 16:14 Nessun arriccio di naso. Sai, Andr quanto ti stimo e non soltanto perché in molte cose la pensiamo in ugual modo, ma anche per la tua abilità come scrittore, costretti come siamo in questo palcoscenico. Però se i commenti in calce debbono avere un senso quello dovrebbe essere proprio quello di stimolare il senso critico e la discussione. Allora, il racconto per me rimane ben strutturato e solido. E ci mancherebbe altro che tu non possa sperimentare un modo diverso di organizzare la struttura temporale della narrazione provando una strada differente da quella data dalla concordanza dei tempi; io stesso non faccio altro che sperimentare generi e modi diversi di scrivere: mi pare che in questi brevi anni l'abbia dimostrato percorrendo vie anche solitarie e incomprensibili. Questa la doverosa premessa: il mio primo appunto si riferiva alla mancata indicazione delle analessi avendo tu scelto di normalizzare i tempi verbali scegliendo un tempo passato uniforme. Alla luce dei tuoi appunti, e delle indicazioni di Domenico, capisco che la scelta di piegare le analessi al continuum narrativo tragga spunto dall'estetica cinematografica dove, come ben scrive Domenico, "...c'è spazio solo per i fatti qui ed ora senza distinzioni di tempi verbali."
Ora, è vero che la narrativa cinematografica proceda in questo modo e che i balzi temporali non siano accompagnati dall'uso del passato nella voce narrante. Non bisogna dimenticare però che il cinema è un'arte fondamentalmente visiva, come il teatro, e per di più dinamica. Il cinema è una rappresentazione, una raffigurazione della realtà. Tramite l'occhio posso scegliere di dire ciò che la bocca tace e pertanto rappresentare immediatamente tramite un cambio di scena o qualsiasi altro artificio grafico ciò che la voce narrante può e vuole tacere. Non è un caso se il cinema sia nato muto, perché il cambio d'inquadratura, di soggettive, nel montaggio conferiscono un significato immediatamente percepibile allo spettatore senza la mediazione della voce. In una pellicola cinematografica conta il soggetto, ma anche la sceneggiatura, la regia, l'interpretazione, il montaggio, la colonna sonora, i costumi e così via. Una pellicola è un'opera corale.
Nel caso della narrativa il significato, il senso, la direzione del tempo non possono essere demandati all'immagine, non possono essere suggeriti da altro che dalla parola scritta: devono dunque essere specificati dall'autore (il solo artefice) affinché il lettore ne possa usufruire immediatamente. La tua tecnica narrativa è la normalità nelle sceneggiature o nei testi teatrali dove il come e il quando sono specificati in ogni atto o in ogni scena. Ma a mio avviso in narrativa l'espediente dell'appiattimento lessicale rischia di essere fine a se stesso, un mero artificio tecnico senza un legame con la realtà o con la necessità di descrivere i fatti. Quale potrebbe essere il senso di una sperimentazione del genere se non quello di inseguire un modo di raccontare che appartiene a un'altra arte?
Mi viene da pensare, tra parentesi, quanto poche siano le riduzioni(non è un termine casuale) cinematografiche riuscite di testi letterari o anche di testi teatrali. Poche in verità e quando riescono spesso stravolgono il testo originario, a dimostrazione di quanto sia arduo il transito da una sponda all'altra.
Insomma, l'operazione contraria, quella che hai attuato, di portare il modo di pensare il cinema nella letteratura rischia a mio avviso di creare un lungo infinito piano sequenza che in effetti tale non è. E quindi di piegare la realtà artificialmente a un'esigenza tecnica.
Spero di non essere stato troppo caustico, mia moglie me lo dice sempre che sono troppo diretto, col risultato che mi faccio schifiare da tutti.
Un caro saluto
Caro Namio, tranquillo: siamo qui per parlare e discutere se occorre, ma sempre col sorriso: a mio parere invece le contaminazioni tra forme d'arte (con tutti i distinguo del caso, sto parlando di un mio racconto :smt005 ) sono da promuovere, poiché può nascere qualcosa di nuovo che non era stato previsto prima. Anche su questo sito, le opere con testo e canzone sono un esperimento molto interessante. Intendiamoci, sono d'accordo su tutto ciò che hai scritto, sulle differenze tra cinema e letteratura, sul fatto che il primo è un'opera corale mentre la seconda è individuale, quindi è molto difficile la traduzione dell'una nell'altro (a meno che regista e autore non siano la stessa persona, cosa che a volte capita: penso a Bevilacqua, ad esempio). Lo spaesamento del lettore di fronte a un capitolo non congruente con quello precedente può spiazzarlo, ma lo obbliga a tener desta l'attenzione su due vicende anziché una, in modo analogo a quando si alternano i personaggi o i punti di vista. E' anche vero che ormai l'immaginario del lettore è inevitabilmente influenzato dalle centinaia di film che ha visto nel corso dell'anno in tv o al cinema, quindi è sicuramente più "allenato" a questo tipo di visione/narrazione rispetto a un lettore/spettatore di quarant'anni fa.
Direi che abbiamo due punti di vista differenti sulla questione, ma questo non è un buon motivo per schifare qualcuno...
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Bravoautore ha scritto: 24/05/2022, 5:17 Il tempo è una variabile difficile da trattare e rappresentare.Oltre a questo c'è la differenza, già spiegata da Mario Intile, tra l'arte visiva cineteatrale e quella letteraria.Questa differenza diventa interessante laddove un' opera letteraria viene riproposta in chiave cineteatrale. Forse per questo,è raro trovare il contrario: un libro che ripropone in chiave letteraria un film di successo!
Comunque l'autore propone un buon racconto che non cade o inciampa mai, questo è l' importante!
Metto un 4
Grazie del commento e del giudizio, saluti
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Buongiorno

Lo stile mi ricorda molto "un giorno diverso in tribunale", racconto che a suo tenpo ho molto apprezzato.
Anche in questo caso ci hai proposto qulalcosa di divertente e dinamico, e anche se in qualche caso mi sembra che i tempi verbali siano sbagliati mi piace.

Voto 4
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Alberto Marcolli
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Ho "partorito" un commento decisamente troppo lungo e non vorrei essere giudicato male.
Ho deciso di metterne solo una prima parte. Se l'autore me lo chiedesse, glielo potrei inviare, magari per posta elettronica.
Personalmente non prediligo i testi con un uso eccessivo del “che”. Qui il “che” abbonda (77 ricorrenze ), a volte in sequenza molto ravvicinata.
segnalazione
- Che cosa state facendo? - Mary, che stava facendo -– facendo --- facendo
Segnalazione
“non chiamare nessun'altra estranea. Me la so cavare benissimo anche da sola. - D'accordo, per ora faremo così. Comunque chiamami – chiamare – chiamami
Concordo sulla faccenda del DNA danneggiato.
Commento sulla storia.
Non sono appassionato del genere. Da buon vecchietto preferisco, quando voglio leggere queste storie, molto raramente per la verità, il vecchio King, coetanei non ancora, ma quasi.
Sul voto diciamo che si lascerebbe leggere, anche così, ma ai miei occhi potrebbe migliorare con una buona revisione.
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Giovanni p ha scritto: 24/05/2022, 16:09 Buongiorno

Lo stile mi ricorda molto "un giorno diverso in tribunale", racconto che a suo tenpo ho molto apprezzato.
Anche in questo caso ci hai proposto qulalcosa di divertente e dinamico, e anche se in qualche caso mi sembra che i tempi verbali siano sbagliati mi piace.

Voto 4
Sui tempi verbali, faccio riferimento agli altri interventi: ho preferito usare sempre il passato remoto su entrambi i piani temporali, senza una netta distinzione (a parte i capitoli).
Grazie del commento.
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Re: Commento Giallo nero

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Alberto Marcolli ha scritto: 25/05/2022, 16:25 Ho "partorito" un commento decisamente troppo lungo e non vorrei essere giudicato male.
Ho deciso di metterne solo una prima parte. Se l'autore me lo chiedesse, glielo potrei inviare, magari per posta elettronica.
Personalmente non prediligo i testi con un uso eccessivo del “che”. Qui il “che” abbonda (77 ricorrenze ), a volte in sequenza molto ravvicinata.
segnalazione
- Che cosa state facendo? - Mary, che stava facendo -– facendo --- facendo
Segnalazione
“non chiamare nessun'altra estranea. Me la so cavare benissimo anche da sola. - D'accordo, per ora faremo così. Comunque chiamami – chiamare – chiamami
Concordo sulla faccenda del DNA danneggiato.
Commento sulla storia.
Non sono appassionato del genere. Da buon vecchietto preferisco, quando voglio leggere queste storie, molto raramente per la verità, il vecchio King, coetanei non ancora, ma quasi.
Sul voto diciamo che si lascerebbe leggere, anche così, ma ai miei occhi potrebbe migliorare con una buona revisione.
Sulle ripetizioni, dovrei imparare a usare il programma che le controlla, ma sono davvero troppo pigro.
Ho voluto cimentarmi, per una volta, nel racconto giallo (per modo di dire, il lettore conosce l'assassino quasi subito), anche se preferisco altri generi.
In questo sito c'è la possibilità di mandare anche messaggi privati, se lo desideri.
Intanto, ti ringrazio del commento sempre utile e puntuale, un saluto e a rileggerti
RobertoBecattini
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Non sono un fan del giallo, del thriller, ma riconosco che hai costruito bene la storia, molto "classica". Certo il personaggio di Mary è inquietante assai, ben delineato, e mi piace il fatto che, nonostante abbia bisogno di una badante, (ATTENZIONE SPOILER!) sia in grado di stendere una donna più giovane con un colpo di chiave inglese evidentemente ben assestato, di farne a pezzi il cadavere e darlo da mangiare ai cani. Mi hai fatto venire in mente mia zia 90enne che ritrovò energie sconosciute quando una volta per scherzo mia cugina le nascose il bancomat. Mi è piaciuto anche il finale sospeso (La casa dalle finestre che ridono docet), forse sarebbe ancora più efficace e coinvolgente se ambientato in Italia, vista la badante ucraina. Non mi ha disturbato per niente la scelta del tempo verbale.
RobediKarta
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RobertoBecattini ha scritto: 30/05/2022, 17:40 Non sono un fan del giallo, del thriller, ma riconosco che hai costruito bene la storia, molto "classica". Certo il personaggio di Mary è inquietante assai, ben delineato, e mi piace il fatto che, nonostante abbia bisogno di una badante, (ATTENZIONE SPOILER!) sia in grado di stendere una donna più giovane con un colpo di chiave inglese evidentemente ben assestato, di farne a pezzi il cadavere e darlo da mangiare ai cani. Mi hai fatto venire in mente mia zia 90enne che ritrovò energie sconosciute quando una volta per scherzo mia cugina le nascose il bancomat. Mi è piaciuto anche il finale sospeso (La casa dalle finestre che ridono docet), forse sarebbe ancora più efficace e coinvolgente se ambientato in Italia, vista la badante ucraina. Non mi ha disturbato per niente la scelta del tempo verbale.
Il mio modello per Mary è stata Leonarda Cianciulli, la saponificatrice di Correggio: gli inquirenti ritenevano impossibile che avesse fatto tutto da sola (infatti era stato accusato degli omicidi anche il figlio) e lei ha tranquillamente fatto a pezzi e bollito la carcassa di un maiale, sotto i loro occhi sbigottiti. Mai fidarsi delle apparenze :lol:
Grazie del commento, saluti
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