Un portiere di notte
Inviato: 21/03/2023, 11:44
Spiacente ma, in questo browser, la lettura a voce non funziona.
Il telefono gli illuminò il viso con la sua luce bluastra, il portiere alzó la cornetta e la appoggió all’orecchio, tenendola con il mento.
— Sì, signore, di qualsiasi cosa abbia bisogno…
Prese la Montblanc e tolse il tappo.
— Come? Certo... Le mando qualcuno a ripulire. Se ha bisogno di altro non esiti a farcelo sapere.
Scrisse il numero della stanza su un foglio e premette dei tasti sul computer.
— La ringrazio di aver scelto il Grand Hotel.
Riagganciò il telefono.
Da una porta nascosta nel muro comparve un gruppo di persone coperte da capo a piedi da delle tute bianche e il viso nascosto dietro a mascherine chirurgiche con il filtro, mostrò loro il numero della stanza dove dovevano andare. Sparirono appena ricevuto l’ordine.
Prese il foglietto e lo gettò nel caminetto alle sue spalle, controllando che non restasse niente.
Sistemò il nodo della cravatta con la mano, guardando le fiamme fino a quando gli occhi non si arrossarono. Il fumo che aleggiava nella stanza lo fece tossire.
Il portiere sedette alla reception: una scrivania di mogano stile Impero, con tre cassetti chiusi a chiave. Sopra aveva il computer, un Olivetti M300, il telefono e un blocco per gli appunti.
Un basso lampadario illuminava a malapena i tappeti gettati sul pavimento grezzo; il vetro, una volta magnificente, era offuscato dalla fuliggine e dalla sporcizia degli anni.
La luce verde sopra la porta d’ingresso e il rumore della posta pneumatica annunciarono l’arrivo di un ospite.
Indossava una tunica nera che gli copriva anche le scarpe. Si trascinò fino alla reception, il viso era coperto da una maschera con un becco lungo come quello di un uccello.
Il portiere allungò la mano verso il tubo pneumatico alla sua destra, estrasse dal bossolo la chiave della stanza, la soppesò nella mano e la rigirò; era d’oro con uno zaffiro incastonato. Ne fu rapito. Con un tremito respinse il pensiero di possederla.
— Benvenuto al Grand Hotel.
— Ringrazio, i bagagli? disse l’ospite.
La sua voce era familiare, il tono profondo, deformato dalla maschera, lo riportava ai viaggi in auto, quando c’erano ancora i suoi genitori, tante estati scandite e marchiate da quella voce.
Gli porse la chiave,
— I suoi bagagli sono già in camera… Grazie di aver scelto il Grand Hotel.
— Bene, molto bene.
Il portiere strinse i denti fino a farsi male. I ricordi erano dolorosi.
L’uomo gli passò a lato e una zaffata lo investì, riconobbe lavanda, menta, aglio, aceto e ne venne nauseato per un istante. Inspirò profondamente e tossì, per colpa del lieve odore di fumo. Ascoltò la grigia porta metallica richiudersi, prima un cigolio seguito da un sonoro clang. Era di nuovo solo.
Il portiere non era mai entrato in una camera del Grand Hotel e così nessuno dei colleghi che aveva visto passare negli anni.
Alcuni però millantavano di averle viste…
Questi raccontavano di meraviglie irraggiungibili!
Favellavano di camere anche di sette stanze. Di statue e quadri dal valore inestimabile, provenienti direttamente dalle collezioni del Louvre, del Met o dei Guggenheim. Poi biblioteche private, alcune con libri antichi e autografi. Tutto ovviamente smontato e rimontato su misura per l’ospite. Poi di piscine interne alle camere, se non saune, spa. E qualunque cosa il loro cuore voglia.
Basta chiedere al portiere che certamente lo procurerà.
Chissà quale sia la verità, si è chiesto a volte il portiere, ma non ci sono risposte per loro. Comuni mortali.
La luce verde brillò sopra la porta seguita dall’aria compressa della capsula. Fece ritorno nella realtà. Entrò una donna, con un vestito che mostrava più di quello che copriva, le movenze le aveva viste in televisione, molte molte volte.
La maschera che portava era di un demone giapponese: rossa con due corna, la bocca deformata in un’espressione malvagia.
— Benvenuta al Grand Hotel.
Le porse la chiave, lei indossò un guanto di pelle nero e la prese. Scappò alle sue spalle, lasciando una nuvola di biancospino dov’era fino a un secondo prima.
Clang, la porta alle sue spalle lo isolò di nuovo dal mondo esterno.
Il portiere si chinò sulla scrivania, richiamato dalla luce blu del telefono. Raccolse la cornetta stropicciandosi gli occhi.
— Certo, ragazza o ragazzo? Mando subito qualcuno.
Digitò la richiesta sul computer.
— Certo, non c’è problema, anche una Beretta…Come dice… della polvere rosa… mi faccia controllare.
Picchiò sulla tastiera.
— Certo, a breve sarà in camera sua. La ringrazio di aver scelto il Grand Hotel.
Il fuoco ardeva e il portiere rabbrividiva. Tossiva e gli facevano male le ossa.
La luce sopra la porta diventò rossa, entrò un ragazzo quasi identico a lui, con la camicia bianca e i pantaloni neri, il viso rasato di fresco, senza accessori o gioielli e quasi senza un odore.
Il portiere di notte uscì dal Grand Hotel, il sole faceva capolino dalle pareti grezze e sporche della struttura.
Lui alzò gli occhi verso l’astro del mattino. Il tepore si espanse sul suo corpo. Inspirò l’aria fresca.
La luce abbacinante gli ferì le palpebre.
Trattenne il respiro per quanto riuscì, pizzicori e formicolii si espansero sul suo petto; un orecchio iniziò a fischiare.
Annaspò per respirare ancora. Aprì gli occhi e guardò il Grand Hotel, abbassò la testa.
Quando aveva iniziato questo lavoro spesso vomitava appena era fuori.
Ora non più.