Solo tu e io
Inviato: 21/03/2023, 19:13
Spiacente ma, in questo browser, la lettura a voce non funziona.
Non metto piede nel locale da cinque mesi esatti. Non diedi spiegazioni quando mi allontanai dal giro. Non tentarono nemmeno di ricontattarmi, come se non fossi mai esistita: peggio per loro!
Solita porta, solito fumo, solito muro olfattivo di alcol, solito tanfo di uomini affamati, perennemente affamati. Non capisco come riuscissi a sopportarlo, allora: grazie a te non ci sono più andata. Martha e Samantha, mano nella mano come due lesbiche, mi riconoscono appena, scambiano giusto un saluto. Cingono un paio di clienti alla vita, meglio non disturbarle e passare oltre.
Immancabile Mike al bancone anche se, in cuor mio, lo avrei preferito altrove: perché non ho ceduto alla sua corte, alle sue lusinghe, al suo buon cuore? Sarebbe stato meglio per me, forse anche per te, anzi no: se ci fosse stato lui difficilmente ci saremmo incontrati. Mi sono sempre chiesta come un uomo del genere riuscisse a lavorare lì, a suo agio come una lucertola sotto l’aurora boreale. «Artista di giorno, barista di notte», diceva lui: non ho mai indagato oltre. Gli piacevo, eccome se gli piacevo. Me lo ricorda ogni giorno il timido ritratto che tutte le mattine mi fissa davanti al letto; spezzoni di me, delle mie esibizioni attorcigliata al palo, ripassate a memoria ad ogni pennellata. Mi ritraeva casta, pulita, come si sforzava di vedermi. E come tu, oggi, insegni a vedermi.
«Isabel, che bella sorpresa! Quasi non ti riconoscevo, sei sempre…» voleva aggiungere “bellissima”, ne sono certa, ma la tua presenza glielo ha impedito. È sempre stato timido, te l’ho detto.
A me non piaceva lui, credo di averti detto anche questo, a me piacevano i soldi di Manuel. Che stupida! A cosa mi servono quei soldi, ora che ho te? Non sono qui per elemosinargli nulla, questo gli deve entrare bene in testa: voglio solo vedere la sua faccia davanti a te, presentartelo, fargli sapere che ora sono tutta tua, farlo crepare d’invidia.
Adesso mi viene da parlarne male, lo so, però allora mi piaceva, non posso farne una colpa né a me né a lui. Gentile, onesto, simpatico… No, nulla di tutto questo. Ma in fondo, a chi piacciono i bravi ragazzi? Di ragazzacci ne era pieno il locale ma lui, oltre alla spacconeria, aveva una Porsche da duecentomila euro: chi li aveva mai visti tanti soldi in così poco spazio? E poi non era né manesco, né violento, né sgarbato, a differenza della stragrande maggioranza degli altri; chi mi palpava, chi cercava di abbracciarmi senza permesso, chi si spingeva oltre in mezzo alla calca, cercando attenuanti nello squallore che ci circondava. Manuel no, era un galantuomo. Un gran mascalzone, un farabutto, un malavitoso forse. Ma un galantuomo, che sa quello che piace alle donne.
Non mi aveva mai costretto a fare nulla, nemmeno forzato, tutt’al più incoraggiato. E poi chi si scorda quelle nottate con il vento tra i capelli ai duecento all’ora sulla sua spider, a deridere operai e travet che all’alba stavano già andando al lavoro, su modeste utilitarie da poveracci? Poveracci come mio padre, che non si è fatto vivo nemmeno quando ha saputo di te, forse per timore, forse per orgoglio.
«Ludmila, sai dov’è Manuel?»
«Isabel, che bella sorpresa… è da tanto che non ti fai più vedere! Sei ancora così…» voleva aggiungere “bella”, ma non ha osato in tua presenza, quasi non voglia farti sapere che prima ero disinibita e discinta peggio di lei. Mi fissa negli occhi, facendo finta che tu non ci sia, ma non è così. Manuel era stato buono anche con lei, l’aveva raccolta dalla strada e portata qui a sue spese. Ora questo posto mi pare un inferno, allora lo consideravo un purgatorio; per Ludmy è ancora il paradiso, dopo quello che ha passato laggiù in Corso Sempione. I suoi occhi non sanno mentire; loro sono onesti e candidi, a differenza della gonnellina leopardata che indossa. Me la ricordo, gliela regalò Manuel il suo ventiquattresimo compleanno. Voleva bene anche a lei, a pensarci, a lei come ad altre mille ragazze in tutti i Club dispersi nel raggio di cento chilometri. Ora, grazie a te, me ne sono accorta pure io.
Gironzolo ancora un po’, non prendo nulla da bere. A te non piace che io beva, lo so bene, mi hai fatto capire subito che non ami gli alcolici, hai protestato come un matto quella volta che mi sono scolata mezza bottiglia di Martini, appena ci siamo conosciuti.
Ormai ho quasi perso la speranza, forse Manuel se n’è andato.
Lo vedo uscire dal bagno, chiudendosi la patta dei calzoni; dietro a lui un’oscena battona sulla quarantina si rassetta la minigonna. Non può essere una coincidenza. Lo ricordavo più appetibile; ora quel volto, sfatto dall’ora, dal whiskey e dalla coca, si riduce alla misera maschera della mezza tacca che non vuole invecchiare. Vorrei indietreggiare, non posso presentartelo in quelle condizioni; ma tant’è, non ci sarà una seconda occasione. Usciva dal bagno, nello stesso identico modo, anche sei mesi fa: allora ero io quella che lo seguiva. Possibile che non mi fossi mai accorta cosa fosse in realtà? Quale orribile fattura me lo faceva apparire il migliore di tutti, migliore anche di Mike?
Resisto al ribrezzo e alla repulsione, provo ad avvicinarmi ancora un po’; lui prende la battona e la bacia appassionatamente, volgarmente, come non aveva mai fatto con me. Forse mi vede, forse no, provo a seguirlo.
Ti sento scalciare, puntare i piedi. Hai ragione piccolo mio, non ti meriti un padre del genere. Quando verrai al mondo ti prometto che saremo sempre e solo tu ed io.