E la chiamano estate...

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Giuseppe Ferraresi
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E la chiamano estate...

Messaggio da leggere da Giuseppe Ferraresi »

leggi documento Spiacente ma, in questo browser, la lettura a voce non funziona.

E la chiamano estate

In quel giorno d’agosto la spiaggia appariva la location di un film. Non un filmetto di quelli con i cantanti e le attricette e le “spalle” comiche, Al Bano e Romina, Gianni Morandi, Little Tony, Franco e Ciccio, Nino Taranto… Non questo, bensì qualcosa con Gassman e Jean-Louis Trintignan. Forse per via del solleone che picchiava imperioso rendendo la sabbia bollente sotto i piedi, se ti azzardavi a traversare la distanza dall’ombrellone alla battigia senza sandali. Sullo chalet del lido, qualcuno al Jukebox aveva messo Gino Paoli, il Paoli di “Sapore di Sale”, un evergreen ormai in quell’agosto del 1965.
La musica arrivava fino agli ombrelloni in fila “privilegiata”, cioè quelli più vicini alla riva. Non dava fastidio a Heiko, pur era abituata ad ascoltare ben altro, soprattutto quegli scandalosi inglesi che minacciavano di scalzare i Beatles dal loro regno fatato, e il menestrello americano, voce della protesta e la contestazione giovanile. Quel giorno particolare poi, sembrava che il suo cervello fosse in pausa. Vedendola, l’avresti detta una studentessa universitaria in relax dopo le fatiche degli esami nella sessione estiva, una delle tante. Spiccavano, forse, i suoi capelli bruni, del colore dell’ala di un corvo, lisci come la seta, portati raccolti in una semplicissima coda di cavallo da ragazzina. Osservandola con attenzione, ti saresti però reso conto che Heiko con era una delle normali ventenni sparpagliate per il lido… E in quel momento non si stava rilassando affatto, bensì cercava di tenere calmo il suo cervello, farne una lavagna sulla quale un bidello avesse passato il cancellino.
Era tutta colpa di quel giorno: il 6 agosto 1965. Cosa avrebbe significato per tutta quella gioventù e anche quelli più grandi, quelli maturi, se lei avesse urlato a pieni polmoni scandendo lo stesso giorno dello stesso mese, ma di una data di venti anni prima? Niente. Per lei invece quel 6 agosto 1945 significava molto. Sua madre del resto era morta intorno a quella data di agosto. No, non a Hiroshima, ma non cambiava tanto: uccisa poco prima della fine della guerra in cui non aveva creduto, e che anzi aveva odiato con tutta sé stessa. Uccisa poco prima di poter avere dalla vita quello a cui aveva diritto. Caduta come un’antieroina sui suoi ultimi metri prima del traguardo.
E la rabbia scrisse ideogrammi di fuoco su quella lavagna che Heiko si sforzava di tenere sgombra, pensando solo pensieri anodini. Digrignò i denti in una smorfia feroce. Si alzò di colpo, progettando di recarsi al bar per una birretta. Ci ponzò un attimo su, perché nonostante tutto le sembrava una mossa audace: una signorina al massimo poteva ordinare una coca cola o un “tropical” un cocktail analcolico di menta e latte di mandorla. Però poi scosse le spalle. “Al diavolo, ho venti anni adesso. Posso fare quel che mi pare!”.
Così si diresse verso il lido. Prese una Peroni e tornò indietro, all’ombrellone. Si sedette sulla sdraio. Accese una sigaretta.
Passò un bagnino. La vide e scosse la testa. – Birra e sigarette: attenta ragazzina…
Il tono condiscendente non contribuì a schiarire l’umore di Heiko. – Sono nata nel ’45: sai contare? – replicò ruvida.
Il bagnino alzò le braccia e andò oltre.
“Ecco, l’ho fatto di nuovo” pensò lei. “Sono stata scortese e acida. Finirò come una vecchia zitella, di quelle che borbottano sempre”. Però poi digrignò di nuovo i denti. Lo fece perché in un guizzo si rese conto di essere osservata. “Di nuovo…” mormorò sotto voce. Non era irritata, ma nemmeno contenta. Sapeva quale fosse il significato di quegli sguardi: lo aveva appreso da quando aveva tredici anni.
A tredici anni infatti, la maledizione delle donne della sua famiglia materna, aveva iniziato il suo lavoro con lei. Fino ad ora, gli sguardi della gente erano stati di discredito, di riprovazione, di ripulsa persino: lei era la pupattola color zafferano, la bambina dagli “occhi storti”, la figlia scandalosa di un padre non meno scandaloso e di una madre che sicuramente sarà stata “una poco di buono di quei paesi là”. Dai tredici anni, quando era diventata donna, precoce tra le altre della sua età, ancora bambine in cui la femminilità iniziava appena appena a delinearsi, aveva cominciato ad attrarre un altro genere di sguardi. Era uno sguardo di quel tipo che adesso si sentiva sulla pelle.
Si voltò rapida come una volpe che pensa al da farsi. Una volpe delle leggende del paese di sua madre. E ti potevi sbagliare? Sempre lui.
Lui, un bel ragazzo moro, che si allenava da play boy. Un play boy di quelli veri, che non fanno nulla per esserlo ma lo sono, con una specie di grazia, se non vocazione, naturale. La fissava da sotto il suo ombrellone. Ma non era questo, bensì il modo come la fissava: in tralice, sottecchi. Sguardi furtivi, come dovessero rimanere segreti; come non stesse bene esplicitarli, cosa avrebbe detto la gente?
Heiko digrignò di nuovo i denti. Poi la sua natura le mandò un input. Stavolta decise di cogliere il suggerimento e di seguirlo. Sciolse la coda di cavallo, e i suoi capelli neri come l’ala di un corvo e lisci come seta, presero a scenderle lungo le spalle. Non solo: cominciò a fissare ostentatamente il giovane. Lui carpì quegli sguardi, ma vi rispose con occhiate sottecchi. Un gioco di sguardi truccato.
Dopo un po' però lei si stancò. Scrollò le spalle. Si stiracchiò sulla sdraio. Raccolse il libro che aveva con sé, e si immerse nella lettura. Quasi subito però si bloccò e alzò la testa, percependo un’ombra accanto a lei.
– Ciao – fece il ragazzo alto e moro. L’accento meridionale ne aumentava il fascino.
Heiko arrossì all’istante. – C… ciao – balbettò.
Lo sapeva, lo sapeva: si metteva sempre nei guai. E adesso in che modo ne veniva fuori? Accidenti ma come le era balzato in testa di mettersi a fare la civetta?
Però poi con la coda dell’occhio notò tre o quattro ragazze: guardavano nella sua direzione. Sferrò un’occhiata al giovane moro che sembrava presa da uno di quei film di Sergio Leone con quell’americano biondo che lei vedeva al cinema d’essai, un localino incassato tra due palazzotti in una strada secondaria della sua città.
Lui scosse la testa. – Non è come pensi – si affrettò a dire.
L’occhiata di lei conservò la stessa intensità. – E secondo te come penso che sia? – disse.
Lui mise le mani in avanti, con i palmi rivolti verso l’esterno. – Non ti stiamo prendendo in giro – fece.
– Ah, no? – replicò lei.
Il ragazzo annuì, forse non sapendo nemmeno bene a cosa annuisse. – Senti, lascia stare quelle: non c’entrano… Invece io… diciamo che vorrei spiegarti…
– Vorresti spiegarmi cosa? Cosa ci sarebbe da spiegare? La sfigata che si fa delle illusioni; o peggio, la sfacciata che ci prova convinta di essere Brigitte Bardot… Ovviamente ti fa piacere, no? Però c’è un però. Un però grosso come un grattacielo… C’è o non c’è questo però?
Colto alla sprovvista lui si trovò sprovvisto di parole.
Heiko annuì. – Oh si che c’è questo però. Mica sta bene far vedere di essere interessato ad una ragazza… Ovviamente non ad una ragazza qualunque, ma a questa ragazza – si indicò con vemenza, si fece anche un po' male piantandosi quasi il pollice nello sterno.
Lui tentò di negare. – Ma no, non è così.
Anche Heiko scosse la testa. – Invece è proprio così – mormorò.
– Ti sei offesa – disse lui. Sembrava davvero rammaricato.
– Il punto non è offendersi – continuò lei. – Bensì constatare la realtà. La mia, la tua realtà. Rispondimi sinceramente: ti faresti vedere in giro con me? Mi porteresti ovunque ci sia gente a guardarci? – e con la testa fece segno di “no”. – Ma se anche ora ti senti a disagio sotto gli occhi di tutti…
– No, non è così, è…
– La colpa è della gente? Di quelli che guardano? Non dico di no: la gente giudica. E allora sentiamo: come affronteresti tu il giudizio della gente? Non l’affronteresti. Non vuoi affrontarlo. Non daresti a loro tutto il torto. Non glielo dai. Ti vergogni di te stesso, invece. Perciò continua a girare dietro le ragazze italiane e lasciami in pace. Non sei quello che cerco, né sono io quella adatta a te.
Avrebbe voluto aggiungere “solo non guardarmi più”, ma le sembrò eccessivo: la sua solita cortesia.
E il ragazzo replicò col silenzio. Un lungo silenzio. I secondi si dilatavano imbarazzanti. Alla fine si allontanò a testa bassa, senza voltarsi dietro. Heiko lo vide rimpicciolire, come un ricordo del passato. Bé, c’era da dire che almeno non le aveva promesso mari e monti sapendo di non poterli mantenere.
Ma lei avvertì la solita cosa strisciarle addosso. Non era proprio terrore, ma di certo nulla di gradevole. Quella cosa che le faceva compagnia da una vita, ormai.
Chiuse gli occhi per un attimo. Quando li riaprì si ritrovò ancora su quella spiaggia, non in un posto che potesse chiamare casa. E la spiaggia era ancora affollata e assolata. Non era cambiato niente; non poteva cambiare niente.
Accese una sigaretta. Fissò quella spiaggia con tutto ciò che conteneva. “Non posso farci niente se non sono come voi” disse a sé stessa. “Io sono Heiko. Heiko e basta”.
Bevve un sorso di birra a canna. Ormai era diventata calda.
Namio Intile
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Messaggio da leggere da Namio Intile »

Non un racconto facile da considerare.
Per la sintassi ti segnalo solo: A tredici anni infatti, la maledizione delle donne della sua famiglia materna, aveva iniziato il suo lavoro con lei. Fino ad ora, gli sguardi della gente erano stati di discredito, di riprovazione, di ripulsa persino.
Separi il soggetto, la maledizione, dal predicato, aveva iniziato, ed è un errore. Dopo quel Fino ad ora lo vedrei più corretto con un Fino ad allora, dato che poi adoperi un trapassato.

Ho notato anche un ponzare adoperato correttamente, predicato certo non frequente, e un anodino riferito ai pensieri. Bello.
Quanto alla forma, alla struttura, il discorso è più complicato, la voce narrante si rivolge al lettore in seconda persona, pensavo di aver solo io la prerogativa, e invece... Il punto di vista è quello della protagonista, mentre la voce narrante rimane nell'ombra, distante, quasi nascosta.
La lunga sequenza iniziale è descrittiva, il ritmo quindi lento, solo con quel 6 agosto 1965 decidi di iniziare a narrare e a farci sapere qualcosa, qualcosa che è avvenuto. Non un'analessi, ma un ricordo. E qui hai forse perso l'occasione per spiegare, per far sapere al lettore in modo meno sibillino. Il titolo è evocativo, e rimanda all'immortale titolo del brano di Bruno Martino, ma rimane sospeso, non si aggancia al racconto, non dice poi nulla al lettore. Evocativi come anche il Gassman e Trintignant del Sorpasso, le spiagge non meglio localizzate del 1965.
Ma il lettore, anzi il lettore che sono io, si domanda della necessità di quel rimando al 6 agosto 1945 e alla madre morta e al suo essere contro la guerra, senza spiegare ulteriormente, dando il là a un'analessi esplicativa. Solo un'evocazione, fine a se stessa? Come l'essere Heiko una mezza orientale, si desume dalla lettura. Qual è il fine? A proposito, ma perché proprio Heiko, che è un prenome maschile tedesco, l'abbreviazione del tedesco Heinrich, un po' come il nostro Francesco e Franco?
Anche il luogo, lo scrivi tu stesso nel tuo incipit, sembra una location, non un luogo vero, e infatti non lo precisi ulteriormente come fosse un'astrazione rammemorante.
Alla fine la sequenza dialogica segna l'incontro scontro tra Heiko e il ragazzo dall'accento meridionale. Ma il contrasto tra i due è poco accentuato, non si capisce in cosa Heiko sia diversa dagli altri, se non, per forza di cose, nelle fattezze fisiche. Quale sia insomma la peculiarità di Heiko tale da farla sentire diversa rispetto agli altri. E dal racconto non si evince alcun altra diversità, se non quella geografica unita a una certa asperità del carattere. Appunto, una contrapposizione debole, a mio avviso, che indebolisce il discorso narrativo.
Un racconto insomma capace di evocare moltissimo, promettere molto, restituire, ahimè, poco.
La scrittura è matura, generosa, a tratti bella, segno che chi scrive non è certo un foglio bianco come pretende l'epigrafe.
Credo che tu abbia molti altri racconti da mostrare, e di sicuro hai iniziato solo a scaldarti o a sondare il terreno.
A rileggerti
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Giuseppe Ferraresi
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Re: E la chiamano estate...

Messaggio da leggere da Giuseppe Ferraresi »

Grazie! Si, due parole di spiegazione credo siano necessarie. Innanzitutto, Heiko come l'ho immaginata io, è nippoitaliana, madre giapponese, padre italiano. Il nome deriva dalla fusione di due nomi femminili giapponesi. Essendo il personaggio di più racconti, finisce per crearsi una situazione di indeterminatezza nella storia presente: qualcosa non viene detto, rimane nell'ombra. Diciamo che la madre di Heiko morì alla fine della 2a guerra mondiale. Madre e padre erano entrambi contro la guerra che pure uno dovette fare e l'altra subire. In quanto alla "diversità" a cui si fa riferimento, c'è ovviamente il peso dell'aspetto fisico: Heiko ha preso moltissimo dalla madre, quindi è come se fosse quasi del tutto asiatica e, negli anni '60, questo comportava degli strascichi. C'è poi tutto il discorso nella non accettazione di lei bambina e adolescente da parte della gente, vi ho accennato con alcune battute " la figlia scandalosa di un padre non meno scandaloso e di una madre..." fanno da rovescio della medaglia al suo aspetto fisico così "diverso". Ciò ha determinato in lei una certa ruvidezza, lo si vede anche come risponde al bagnino che bonariamente la redarguisce: praticamente un modo non certo gentile di dirgli di farsi i fatti propri. Probabilmente la cosa che la ferisce di più nel racconto in questione, è che il modo come lui la guarda risulti circospetto, di sbieco, oppresso dalla preoccupazione di "cosa dirà la gente". Lei sarebbe anche lusingata dal fatto che lui la guardi, probabilmente non le è indifferente, tuttavia c'è quel "però grande come un grattacielo", la consapevolezza che lui non l'accetti, in realtà. In effetti, molto sta nella battuta finale. "io sono Heiko. Heiko e basta" che delinea un personaggio ricco di asperità e contraddizioni.
Per quel che riguarda la descrizione iniziale, devo confessarlo: mi divertito l'idea di un personaggio, non certo di buonumore, perché sinceramente inorridita da ciò che è accaduto venti anni prima, che senta una certa affinità più con "il sorpasso", piuttosto che con i filmetti in voga in quegli anni, sai appunto quelli con i cantanti, li ho visti in tv all'inizio degli anni '80, e , lo confesso di nuovo, in una sorta di immedesimazione, ho dato al personaggio la mia idea: cioè che di buono ci fossero solo le "spalle" comiche, soprattutto Franco e Ciccio e Nino Taranto - Heiko non lo dice apertamente, ma la pensa così, del resto basti pensare a quale sono i suoi gusti musicali, Bob Dylan e i Rolling Stones, e cinematografici, "la trilogia del dollaro" di Sergio Leone, ovviamente non solo quello, ma anche quello.
Riguardo al titolo, certo il riferimento è alla canzone, ma soprattutto in quanto mi sembra evidenzi simbolicamente cosa si rivela quella che dovrebbe essere l'estate della vita del personaggio, i suoi venti anni.
Andr60
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Messaggio da leggere da Andr60 »

Il racconto è scritto benissimo ma lascia oscuri alcuni punti evidenziati da Namio Intile e che l'Autore ha esplicitato oltre. Siccome io sono abbastanza vecchio da ricordare quegli anni, posso testimoniare (almeno, per quanto mi riguarda, dalla realtà che vivevo io in una grande città) che all'epoca un certo razzismo (o, più propriamente, diffidenza) c'era verso i meridionali arrivati al nord, mentre per ne(g)ri o asiatici poteva esserci, al più, curiosità.
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Alberto Marcolli
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commento E la chiamano estate...

Messaggio da leggere da Alberto Marcolli »

Refuso “– Oh si che c’è questo” - - sì
Refuso – “che Heiko con era una delle normali” - - non
“materna, aveva iniziato” - - la virgola non ci vuole
“Quasi subito però si bloccò e alzò” -- non saprei, ma queste tre ò ravvicinate sarebbero da evitare.
“Fino ad ora, gli sguardi della gente” - - preferisco: “Finora gli sguardi della gente”
“ad una ragazza… Ovviamente non ad una ragazza” – meglio: a una ragazza… Ovviamente non a una ragazza”
“i suoi capelli bruni” e più avanti “i suoi capelli neri” - - neri o bruni?
La distribuzione dei “che” a mio parere sarebbe migliorabile. Qualche esempio:
““E adesso in che modo ne veniva fuori?” proposta - E adesso come ne veniva fuori?
“Sferrò un’occhiata al giovane moro che sembrava presa da uno di quei film di Sergio Leone con quell’americano biondo che lei vedeva al cinema d’essai…” -- Proposta - - Sferrò un’occhiata al giovane moro che sembrava rubata da uno di quei film di Sergio Leone con quell’americano biondo, visti al cinema d’essai…
“Si voltò rapida come una volpe che pensa al da farsi.” Proposta - - Si voltò rapida. Come una volpe pensava al da farsi.
Considerazione.
Non vorrei non aver ben capito ma Heiko è nata in Italia? E la mamma è italiana? La mamma è uccisa da chi? Chi era il padre e dov’è? Morto anche lui?

La storia è una di quelle da me preferite. Mi ricorda quel libro di Simona Vinci "Dei bambini non si sa niente", trovato su una bancarella un mese fa.
Roberto Di Lauro
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Messaggio da leggere da Roberto Di Lauro »

Bel racconto. Nello spazio di poco tempo, hai narrato una mattinata sulla spiaggia di una giovane nippo-italiana nei nostri anni '60.
Qualche dettaglio in più sul personaggio e sul luogo, forse, ci stava, ma anche così il racconto è venuto bene comunque.
Voto 4.
Ciao e alla prossima !
Giuseppe Ferraresi
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Re: E la chiamano estate...

Messaggio da leggere da Giuseppe Ferraresi »

Buonasera, grazie per i suggerimenti. In quanto alle sue curiosità, rispondo in breve. Heiko è nata in Giappone, da madre giapponese e padre italiano. La madre è morta negli ultimi giorni della 2a guerra mondiale ( in Giappone terminata nel settembre del '45). Diciamo che per il momento non ho deciso se sia morta a causa della guerra o per altre circostanze tragiche. Il padre invece è ancora vivo e al momento dell'azione ( anni '60) si trova in Italia dove è ritornato a guerra finita, portando con se la figlia.
Giuseppe Ferraresi
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Re: COMMENTO

Messaggio da leggere da Giuseppe Ferraresi »

Roberto Di Lauro ha scritto: 20/05/2023, 17:12 Bel racconto. Nello spazio di poco tempo, hai narrato una mattinata sulla spiaggia di una giovane nippo-italiana nei nostri anni '60.
Qualche dettaglio in più sul personaggio e sul luogo, forse, ci stava, ma anche così il racconto è venuto bene comunque.
Voto 4.
Ciao e alla prossima !
Grazie per il commento! Spero di leggere presto qualcosa di tuo...
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Laura Traverso
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Messaggio da leggere da Laura Traverso »

il tuo è un racconto assai gradevole, spieghi molto bene il senso di discriminazione provato dalla ragazza Heiko, hai anche ben descritto il suo disappunto per questo, ma anche il suo sentirsi, fieramente, diversa. E' una storia non banale sviluppata su di uno scenario, di bei ricordi per tutti, degli anni '60. Voto 4
Giuseppe Ferraresi
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Re: E la chiamano estate...

Messaggio da leggere da Giuseppe Ferraresi »

Grazie per il commento! Hai centrato in pieno quel che volevo esprimere.
Athosg
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Messaggio da leggere da Athosg »

Leggo questo bel racconto come un'istantanea del periodo del boom economico dove la società era ancora in embrione, i più emancipati ascoltavano musica inglese e americana ma tutto sommato le persone erano uniformati a pochi canoni sociali ed estetici. E' un come eravamo, leggermente maliziosi e paurosi del diverso (sentimento ancora presente). Ora Heiko è anziana, ancora in forma, la pelle continua a non abbronzarsi e i capelli sono ingrigiti ma sempre di seta. Si guarda intorno e...chissà...potresti...farcelo sapere nel seguito del racconto.
Giuseppe Ferraresi
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Re: E la chiamano estate...

Messaggio da leggere da Giuseppe Ferraresi »

In effetti il personaggio si porta dietro una certa ruvidità a causa del suo vissuto; ha delle asperità che solo col tempo riuscirà a smussare almeno un pò. La sua scortesia, riferita al dialogo col bagnino, è il frutto del suo sentirsi sempre giudicata, segnata al dito in quanto 'diversa' ( e la sua diversità solo in parte è dovuta al suo aspetto fisico, molto contribuisce la sua situazione familiare: la gente malignava e maligna tutt'ora, si scandalizzava e si scandalizza). Si sente dunque giudicata dal bagnino, perché non sta bene - almeno riferito agli anni '60 - che una ragazza fumi e beva una birra, quindi reagisce. Relativamente al dialogo principale, fondamentalmente Heiko è timida, da qui una certa durezza nei rapporti umani. Ma soprattutto a farla scattare è un particolare: gli sguardi delle ragazze su loro due. Non teme tanto di essere presa in giro, piuttosto che lui, il ragazzo, si sia sentito in dovere di un chiarimento, e non tanto nei confronti di lei, bensì delle sue amiche, e questo la ferisce profondamente. Da qui, la sua reazione.
Giuseppe Ferraresi
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Re: E la chiamano estate...

Messaggio da leggere da Giuseppe Ferraresi »

Grazie! Relativamente ad altri racconti, quelli che ho scritto sono abbastanza lunghetti. Però poltrei ugualmente lavorarci su questa estate...
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What if we were cattles grazing for someone who needs a lot of of food? How would we feel if it had been us to be raised for the whole time waiting for the moment to be slaughtered? This is the spark that gives the authors a chance to talk about the human spirit, which can show at the same time great love and indiscriminate, ruthless selfishness. In this original parody of an alien invasion, we follow the short story of a couple bound by deep love, and of the tragic decision taken by the heads of state to face the invasion. Two apparently unconnected stories that will join in the end for the good of the human race. So, this is a story to be read in one gulp, with many ironic and paradoxical facets, a pinch of sadness and an ending that costed dearly to the two authors. (review by Cosimo Vitiello)
Authors: Massimo Baglione and Alessandro Napolitano.
Cover artist: Roberta Guardascione.
Translation from Italian: Carmelo Massimo Tidona.

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