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Recensione o commento a: Levare l'ancora - (Racconto Altro, Breve) - di Selene Barblan:

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Le altre recensioni o commenti
Di Selene Barblan: Forse è difficile recensirmi, soprattutto quando scivolo nel “criptico”, ma tu ci riesci benissimo. Grazie Namio, tu riesci ad approfondire con molta sensibilità ciò che leggi. Hai colto bene ciò che volevo esprimere e probabilmente sei anche andato oltre, e questo non può che farmi piacere, significa che ho prodotto qualcosa che ha risuonato in qualcun altro.
Riguardo il finale, sì, il mare e ciò che simboleggia ci può ispirare a trovare alternative, una via che non sia il farsi soggiogare né il rinunciare a combattere.
Grazie infinite!
Di Namio Intile: Un racconto improbabile, che inizia come fosse un testo poetico ma poi s'allarga e cresce fino a diventare prosa, che conserva quell'impianto metaforico e simbolico proprio del linguaggio poetico.
La cornice nera di plastica (come fosse un involucro che contiene un viso, ma di plastica e quindi finto o imposto), il viso luminoso che non guarda (è l'inattenzione a cui siamo addestrati sin da piccoli per poter resistere agli sguardi degli estranei), la divisa nera (la cornice che si fa divisa, e quindi ancor più omologante e conformizzante e ancora il nero, il colore che annulla tutti i colori, come se il colore fosse la vita).
Un linguaggio metaforico, simbolico, non so fino a che punto pensato, voluto, dovrei conoscere l'autore meglio di come lo conosco per poterlo dire.
E quel titolo, il salpare l'ancora, come metafora del viaggio, della vita come viaggio per mare; vita come povero guscio che affronta i marosi senza l'aiuto di nessuno, di percorso che comunque ha come meta la morte, il non essere. Anzi, l'esistenza stessa che alla fine non esiste perché inizia con la non vita e deve terminare con la morte, di nuovo con il nulla, il ritornare al nulla come unico viaggio possibile e immaginabile e desiderabile.
La protagonista è una pallida voce narrante che sopporta sulle sue povere e giovani spalle il peso di una costruzione umana durata migliaia di anni che ha generato una società quasi non del tutto comunità che rende l'individuo una singolarità alle cui sole forze si deve il raggiungimento dell'unico obiettivo consentito: il successo. Successo che ha come controparte il fallimento.
Il successo a scuola, il successo nel lavoro, nella famiglia, il successo che offre quel riconoscimento sociale che permette di vivere, di affrontare il mondo senza guardare il mondo, il mare, senza dover salpare l'ancora.
Di contro il mancato raggiungimento degli obiettivi minimi, e quindi la riprovazione e l'isolamento, il senso di inadeguatezza personale, individuale, la perdita di senso della vita e di stima di sé.
Una società che non è comunità non aiuta i suoi membri, ma li giudica soltanto e li isola e marchia col sigillo della riprovazione chi non ce la fa o chi semplicemente si pone delle domande, chi non si conforma al pensiero e al sentire dominante. Chi non la pensa come gli altri, chi non si comporta come gli altri, chi si pone domande e cerca risposte.
Nel conformismo generale si perde l'individualità e arriva quella morte forse solo metaforica che coglie la tua voce narrante/protagonista.
L'unica soluzione al nulla è tornare nel nulla, levare l'ancora.
È questa un po' l'essenza del nichilismo in cui precipitiamo ogni giorno, stretti tra due nulla, tra il conformismo e la fuga verso il buio.
Ma si possono percorrere anche strade alternative, che in questo scritto io non vedo.
Forse la voce narrante/protagonista dovrebbe davvero guardare al mare, quello vero e non metaforico, la sua unità nella multiformità, la necessità di ogni ritorno, e considerare ciò che esiste, il mondo, con occhi nuovi, o forse antichissimi.
Difficile recensire qualcosa di tuo, eh, Selene.
Di Selene Barblan: Grazie Roberto, hai una bella capacità di analisi e riflessione, felice ti sia piaciuto. Sono curiosa di rileggerlo fra un po’ di tempo, quando ormai l’avrò dimenticato, per potermi vedere con uno sguardo, se non esterno, più distaccato. Grazie ancora per la lettura e per le tue parole.
Di Roberto Ballardini: Hai un modo di scrivere non facile, lo dico nel senso che io lo trovo molto distante dagli schemi narrativi più usuali, quelli che puntano in primo luogo a stimolare l'attenzione del lettore. Il punto di vista della tua scrittura non è rivolto all'esterno, ma all'interno, alle sensazioni, alla realtà più intima delle cose, laddove il silenzio, la solitudine, il distacco, non sono visti come sintomo di alienazione ma tutto il contrario, semmai segnali di un movimento più profondo, quello del mare che si muove incessantemente nella nostra testa. Laddove lo scopo è quello di conoscersi, di capire le sfumature dello spirito, ma anche di osservare il mondo che ci circonda senza pregiudizi di sorta, con tutta l'attenzione ai particolari necessaria della quale anche qui dimostri di essere dotata in buona misura. Una scrittura che si prende il tempo che le serve, senza farsi condizionare. Piaciuto molto.
Di Selene Barblan: Smile io devo avere un deficit d’attenzione... grazie per la lettura e per il commento!
Di Andr60: Un racconto molto realistico: anche a me capita spesso di fantasticare, quando assisto a relazioni particolarmente noiose. Il momento più problematico è verso le ore undici e, dopo pranzo, dalle quattordici e trenta fino alle sedici: in quei periodi, potrei abbioccarmi facilmente e, se morissi, non me ne accorgerei neppure.
Pertanto la defunta ha tutta la mia solidarietà.
Di Selene Barblan: Sono molto felice di questo tuo commento, spiega molto bene quelle che erano le mie intenzioni, hai colto alla perfezione il senso di ciò che volevo raccontare!
Di Ida Dainese: Un racconto che mi ha colpito. Viene descritta così bene l'insofferenza della protagonista, costretta ad ascoltare parole che non la interessano, che il nostro sguardo vaga insieme al suo, lungo i ritratti, le pareti, gli oggetti, un'evasione disturbata ogni tanto da qualche frase che non riesce a riportare l'attenzione su quanto viene detto. Sono proprio così i pensieri, vagano liberi, senza sosta, saltando da considerazioni a ricordi, dal presente al passato, allacciando connessioni non sempre comprensibili ma forti. Quel che succede nel finale dà uno scossone al trascinarsi lento della realtà, riporta tutti al presente, anche chi era fuggito in altri luoghi mentali. Questa sì che è una vera fuga, un'evasione capace di cambiare anche la realtà di tutti gli altri. Un insolito, efficace modo di andarsene, di levare quell'ancora.






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che hanno capito che non serve solo a riempire il cranio e che
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A voi, astanti ed esteti dell'arte.

(Sam L. Basie)




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