Descrizione: La storia di una malattia diventa per Salvatore Pioggia l'occasione per porsi delle domande su di sé e sul mondo in cui è fino a quel momento vissuto. Ma senza lieto fine.
Incipit: Mi chiamo Salvatore Pioggia. Ho compiuto da poco cinquantanove anni e vivo a Montefosco, un minuscolo…
Ci sono due livelli di degrado, quello sociale, di un luogo amato dal protagonista, e quello della carne del protagonista stesso.
C’è il dolore di non essere ascoltato, per ignoranza, per ottusità, e c’è dolore ancora più grande quando invece si viene ascoltati ma si scopre che sarebbe stato meglio navigare nell’oblio e godere dell’inconsapevolezza.
C’è poi il racconto di una vita intera, come raccolta in una conchiglia, se vi accosti l’orecchio riesci a sentire ancora il rumore delle onde. E quel rinchiudersi in se stesso, come una perla nascosta.
Quel trovarsi solo, senza voce, impossibilitato a comunicare, a fare ciò per cui si crede di vivere. Vedere negli occhi degli altri la paura di quel cambiamento, come se fosse una propria colpa.
Quel torturarsi per le proprie colpe o presunte tali. Ragionare sulla propria vita e sulle proprie scelte è un processo spontaneo e implacabile.
Quel paragone tra la rossa voragine di sofferenza e le sofferenze nascoste e taciute.
Quegli errori che come un boomerang tornano a colpirci e ferirci in modo impensato.
Quel ritornare a commettere errori, l’incapacità di uscire da uno schema che ci guida da una vita.
La conclusione dopo questo calvario è posarsi su ciò che si è stati e su ciò che si decide di essere per il tempo che rimane. L’impressione di essere solo fumo.
Questo racconto però non è solo fumo, anzi… .
Dalle tue riflessioni nascono immagini incantevoli, e proponi temi che danno da pensare.
Curiosa la scelta tua di leggere e lasciare un'impronta proprio su questo racconto, che rievoca dolorosi ricordi in me, ma a pensarci bene non sono stupito più di tanto.
Nel racconto ho cercato anche di far trasparire l'abbandono in cui versa la Sicilia, come tutte le altre terre dell'antico Regno del Sud. Un abbandono materiale che produce una deriva del senso etico collettivo e un nanismo della morale individuale.
E forse quest'abbandono, da cui nasce anche quella forma di antistato che è la vecchia mafia, non è solo del nostro Sud, ma esiste anche altrove in modi e forme diverse. Forse persino nella tua prospera e pulita Svizzera.
Felice Natale, Selene.
Da questo punto di vista a mio giudizio le aggressioni a medici e insegnanti sono il frutto inevitabile dell'intrecciarsi di questa ni-entizzazione accompagnata dal disinvestimento dello stato in tutti i settori prima di suo appannaggio, a inseguire il mito di quello stato minimo perseguito da gente come Guido Carli Beniamino Andreatta Carlo Azeglio Ciampi.
Quando lo stato disinveste in un settore gli operatori pubblici in prima linea ne subiscono le conseguenze: medici come insegnanti, operatori scolastici come infermieri. Sono loro che rappresentano lo stato e le sue mancanze, volenti o nolenti. E sono loro che testimoniano il fallimento della Medicina e della Scuola a chi vi si reca per ottenere cura e istruzione.
Medicina che serve a curare (se oggi vai dal privato) ma mai a guarire, Scuola che serve ad offrirti competenze e nozioni (se vai dal privato) ma ha dimenticato come si fa a formare uomini e donne consapevoli e dotati di spirito critico. In una parola cittadini.
Questo doppio corto circuito, o questa evoluzione direbbe uno dei nostri magnifici leader (oh, di destra come di sinistra), porta la società ad arrabbiarsi, diventare aggressiva, reattiva, perché inconsciamente intuisce di aver perduto e di star perdendo qualcosa, senza riuscire a materializzarlo data la propaganda continua a cui si è sottoposti, e allo stesso tempo a distaccarsi, col non voto e l'incapacità di qualsiasi partecipazione alla vita di comunità.
I membri della società si monadizzano sempre di più, non in funzione di un recupero di soggettivazione, ma in modo da diventare sempre più oggetto di tutte quelle forze che ci vogliono inconsapevoli, divisi e assoggettati, in competizione l'un contro l'altro per una cura migliore, una paga migliore, un servizio migliore e via discorrendo. La competizione è sempre un meccanismo che deve agire in basso, mai in alto.
Il mio professore è quindi vittima, e carnefice, consapevole ma anche inconsapevole, tenta di resistere, cede, ma ha capito di aver perso la speranza insieme con la vita.
Non c'è redenzione, sono pessimista.
Sul fatto di (ri)costruire una coscienza politica di classe, attualmente lo vedo difficile ma, come è capitato nella Storia, dalle crisi nascono sviluppi imprevedibili, quindi chissà. Dopotutto, forse non sono così pessimista, oppure sarà che ho dormito bene ieri sera
Saluti, a rileggerti
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