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Baracca 12

Francesco Di Ruggiero


«Nonno, perché siamo qui?»

«Per celebrare il giorno della memoria»

«Che cos’è il giorno della memoria?»

«Se ascolti capirai…».

Ero ad Auschwitz, uno fra tanti deportato perché ebreo. I giorni passavano lenti, infiniti, scandivano il ritmo dell’odio e la ferocia degli aguzzini. Nella mia memoria, ormai dolorante, gli ultimi tre giorni sono rimasti impressi come i numeri che mi hanno marchiato la pelle.      

                                                                        

25 gennaio 1945

L’assordante eco delle bombe si faceva sempre più forte, il vento della svolta era nell’aria.

26 gennaio 1945

Nelle baracche zeppe di larve umane ogni fessura era una finestra aperta. Fuori c’era confusione, i tedeschi bruciavano ogni cosa e sembravano essersi dimenticati di noi. Tutto veniva ridotto in cenere in modo meticoloso eppure frettoloso. Tutti loro andavano e venivano nel campo, per loro eravamo un peso, ormai non esistevamo più. Il silenzio cresceva di ora in ora, così come le domande senza risposta.

27 gennaio 1945

Rannicchiato all’angolo della baracca segnata con il numero dodici, avevo le mani intrecciate in una preghiera senza parole, e il cuore era in ascolto quando una voce riempì il silenzio. Quando la porta si aprì ad accogliermi c’erano luce e salvezza: ero libero.

Non capivo le parole che mi venivano detto, e non conoscevo quella divisa di un altro colore, ma intuivo dalla mano tesa verso di me, l’invito a uscire: finalmente ero libero.

Ero libero di piangere, di incontrare uno sguardo, di camminare, di parlare, ero libero di vivere.

Poi venne il tempo dei ricordi: i miei pensieri scivolarono via come fossero biglie, e si fermarono a fare la conta dei vivi e dei morti.

Altri pensieri incontrarono la vita: essa rinasceva a ogni rintocco della lancetta di un orologio, assecondando lo scorrere del tempo.

Non posso e non voglio dimenticare quella notte, con il suo fumo che saliva lento come un presagio, con quelle fiamme che volevano bruciare i miei sogni. Non posso e non voglio dimenticare i loro volti e i volti di chi mi è passato accanto.

Non posso e non voglio dimenticare il dolore, la paura e la fame.

27 gennaio 2016

Fermarsi a ricordare è un dovere, perché ogni generazione sappia che ciò è stato. Fra tanti, in quella realtà disumana, io, in un angolo della baracca numero dodici, c’ero.

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