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Se sei veramente..sarai

Lapienrico


Per chi, come me, ama la sintesi, gli epitaffi  sono una tentazione irresistibile. Ma sono anche un dolore profondo che può stringerti il cuore, quando ti sfilano accanto centinaia di anime inquiete in fila verso l’oblio, centinaia di vite vissute che non si rassegnano a scomparire nel niente e che affidano a te il loro ultimo personalissimo canto.
E questo per quanto riguarda i morti.

Per quanto riguarda i vivi, invece, forse per colpa di una formazione da fisioterapista, mi basterebbe sapere che il lettore, sfogliando le pagine di questo libro, ha cambiato espressione almeno tre volte. Sarebbe già un buon esercizio di mantenimento per le emozioni o, addirittura, una ginnastica di preparazione per la stagione dell’anima che sta per venire.

introduzione al libro C'ero una volta di Enrico Lapi e recensione libro di Elena Spagnoli

Difficile avere l’ultima parola con la Nera Signora,padrona assoluta di quel che segue alla vita.Per questo motivo,al suo cospetto,devi rispettosamente annunciarti e dire chi sei. Lo scrittore Enrico Lapi si addentra nel mondo dell’aldilà con la sagace ironia tipica dei “toscanacci” doc, raccogliendo gli epitaffi ironici e divertenti di 303 anime inquiete in procinto di varcare la soglia dell’ignoto. In questa geniale opera prima l’autore ci farà riflettere e pensare alla morte come ad un sorprendente,piacevole istante prima di…sorridere.

RECENSIONE

L’argomento trattato dallo scrittore Enrico Lapi è curioso ed al tempo stesso misterioso nonché affascinante. Questo perché da sempre La Morte (la Nera Signora come la definisce l’autore) è per noi tutti fonte di paure ataviche ed ansia primordiale.Viviamo in una società la quale si rifiuta ostinatamente di affrontare il tema della morte impostando  la propria organizzazione fingendo che non esista o che, quanto meno, abbia a che fare il meno possibile con la vita.
Perché in tutte le cose c'è un inizio e una fine? E soprattutto perché la fine ha sempre una strana somiglianza con l'inizio?

a morte ha qualcosa di paradossale: pur essendo uno dei momenti più significativi nella vita di una persona, perché la conclude e perché intorno ad essa il pensiero ha elaborato riflessioni e rappresentazioni a non finire, non è traducibile in alcuna esperienza.
Il dolore ci fortifica, la morte ci distrugge o, se vogliamo, ci libera dal peso di un dolore insopportabile, vero o immaginario che sia, sempre che la morte sia per così dire "naturale" e non ci colga di sorpresa.


La vita e la morte sono aspetti naturali che andrebbero vissuti in maniera naturale, secondo le leggi della natura. E nella natura la morte, in realtà, non esiste se non come forma di passaggio. La morte è l'anticamera di una nuova vita. Tutto è trasformazione. Vita e morte fanno parte di un immane processo di trasformazione, di cui noi non vediamo né l'inizio né la fine.

Ciò che conta in realtà non è né la vita né la morte, ma la dignità dell'essere umano, l'essenza della sua umanità. Vita e morte coincidono quando è in gioco la difesa del valore del senso di umanità. Aver paura della morte, quando è in gioco questo valore, significa non saperlo vivere con coerenza, sino in fondo.

L'unica cosa di cui bisogna aver paura è proprio questa incapacità a essere naturali, a vivere con naturalezza e leggera spensieratezza la propria umanità.

po stesso molto profondo. Ogni epitaffio custodisce dentro di se una delle mille sfumature dell’attimo in cui“si passa a miglior vita”. Un testo semplice ma ben scritto ottimo spunto di riflessione per chi ,al costo di un caffè, pensa che si può affrontare con un sorriso anche il più “lugubre”degli argomenti.Geniale!!Da leggere!!!


RECENSIONE

L’argomento trattato dallo scrittore Enrico Lapi è curioso ed al tempo stesso misterioso nonché affascinante. Questo perché da sempre La Morte (la Nera Signora come la definisce l’autore) è per noi tutti fonte di paure ataviche ed ansia primordiale.Viviamo in una società la quale si rifiuta ostinatamente di affrontare il tema della morte impostando  la propria organizzazione fingendo che non esista o che, quanto meno, abbia a che fare il meno possibile con la vita.

Perché in tutte le cose c'è un inizio e una fine? E soprattutto perché la fine ha sempre una strana somiglianza con l'inizio?

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 E TU, MORTE,

COSA FAI

  NELLA VITA ?

La morte ha qualcosa di paradossale: pur essendo uno dei momenti più significativi nella vita di una persona, perché la conclude e perché intorno ad essa il pensiero ha elaborato riflessioni e rappresentazioni a non finire, non è traducibile in alcuna esperienza.

Il dolore ci fortifica, la morte ci distrugge o, se vogliamo, ci libera dal peso di un dolore insopportabile, vero o immaginario che sia, sempre che la morte sia per così dire "naturale" e non ci colga di sorpresa.


La vita e la morte sono aspetti naturali che andrebbero vissuti in maniera naturale, secondo le leggi della natura. E nella natura la morte, in realtà, non esiste se non come forma di passaggio. La morte è l'anticamera di una nuova vita. Tutto è trasformazione. Vita e morte fanno parte di un immane processo di trasformazione, di cui noi non vediamo né l'inizio né la fine.


Ciò che conta in realtà non è né la vita né la morte, ma la dignità dell'essere umano, l'essenza della sua umanità. Vita e morte coincidono quando è in gioco la difesa del valore del senso di umanità. Aver paura della morte, quando è in gioco questo valore, significa non saperlo vivere con coerenza, sino in fondo.


L'unica cosa di cui bisogna aver paura è proprio questa incapacità a essere naturali, a vivere con naturalezza e leggera spensieratezza la propria umanità.

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DEL MIO

LUMINOSO SORRISO

NON

E’ RIMASTA

CHE

UNA PALLIDA IMMAGINE

NELLA FOTO

QUA

SOPRA


Tra vita e morte, dal punto di vista fisico, non c'è alcuna differenza: la morte non è che la modalità del passaggio da una forma di vita a un'altra.


Essere attaccati a una forma di vita in modo da precludersi l'interesse per l'altra forma è segno di follia. Come d'altra parte il contrario. Disprezzare questa forma terrena di vita in nome di una forma che ancora non si può vivere, è segno d'immaturità.


Lo scrittore Enrico Lapi ha condensato questa sua teoria in 303 pensieri di quelle che lui definisce “anime inquiete”regalandoci così un piccolo gioiello capace di regalarci interessanti e profondi spunti di riflessione.


Consigliato a tutti coloro per i quali la morte altri non è che un istante prima di..sorridere


Citazione dell’autore

Per chi, come me, ama la sintesi, gli epitaffi  sono una tentazione irresistibile. Ma sono anche un dolore profondo che può stringerti il cuore, quando ti sfilano accanto centinaia di anime inquiete in fila verso l’oblio, centinaia di vite vissute che non si rassegnano a scomparire nel niente e che affidano a te il loro ultimo personalissimo canto.

E questo per quanto riguarda i morti.

Per quanto riguarda i vivi, invece, forse per colpa di una formazione da fisioterapista, mi basterebbe sapere che il lettore, sfogliando le pagine di questo libro, ha cambiato espressione almeno tre volte. Sarebbe già un buon esercizio di mantenimento per le emozioni o, addirittura, una ginnastica di preparazione per la stagione dell’anima che sta per venire.


EJ LAPI

la sintesi perfetta di un legame stretto con il lettore che si sviluppa nel corso di una storia, ma anche di quanto il finale sia importante, essenziale per trasformare una buona opera in un capolavoro.

Ho letto questo libro e l’ho trovato particolare e molto interessante. Il modo in cui l’autore ha affrontato il delicatissimo tema della morte è leggero ed al tempo stesso molto profondo. Ogni epitaffio custodisce dentro di se una delle mille sfumature dell’attimo in cui“si passa a miglior vita”. Un testo semplice ma ben scritto ottimo spunto di riflessione per chi ,al costo di un caffè, pensa che si può affrontare con un sorriso anche il più “lugubre”degli argomenti.

L’argomento trattato dallo scrittore Enrico Lapi è curioso ed al tempo stesso misterioso nonché affascinante. Questo perché da sempre La Morte (la Nera Signora come la definisce l’autore) è per noi tutti fonte di paure ataviche ed ansia primordiale.Viviamo in una società la quale si rifiuta ostinatamente di affrontare il tema della morte impostando  la propria organizzazione fingendo che non esista o che, quanto meno, abbia a che fare il meno possibile con la vita.
Perché in tutte le cose c'è un inizio e una fine? E soprattutto perché la fine ha sempre una strana somiglianza con l'inizio?

 La morte ha qualcosa di paradossale: pur essendo uno dei momenti più significativi nella vita di una persona, perché la conclude e perché intorno ad essa il pensiero ha elaborato riflessioni e rappresentazioni a non finire, non è traducibile in alcuna esperienza.
Il dolore ci fortifica, la morte ci distrugge o, se vogliamo, ci libera dal peso di un dolore insopportabile, vero o immaginario che sia, sempre che la morte sia per così dire "naturale" e non ci colga di sorpresa.


La vita e la morte sono aspetti normali i quali andrebbero vissuti in maniera naturale, secondo le leggi che da sempre regolano la vita. E nella natura la morte, in realtà, non esiste se non come forma di passaggio. La morte è l'anticamera di una nuova vita. Tutto è in divenire. Vita e morte fanno parte di un immane processo di trasformazione, di cui noi non vediamo né l'inizio né la fine.


Ciò che conta in realtà non è né la vita né la morte, ma la dignità dell'essere umano, l'essenza della sua umanità. Vita e morte coincidono quando è in gioco la difesa del valore del senso dell'esistenza. Aver paura della morte, quando è in gioco questo valore, significa non saperlo vivere con coerenza, sino in fondo.


L'unica cosa di cui bisogna aver paura è proprio questa incapacità a essere naturali, a vivere con naturalezza e leggera spensieratezza la propria umanità.

 Tra vita e morte, dal punto di vista fisico, non c'è alcuna differenza: la morte non è che la modalità del passaggio da una forma di vita a un'altra.

Essere attaccati a una forma di vita in modo da precludersi l'interesse per l'altra forma è segno di follia. Come d'altra parte il contrario. Disprezzare questa forma terrena di vita in nome di una forma che ancora non si può vivere, è segno d'immaturità.


Lo scrittore Enrico Lapi ha condensato questa sua teoria in 303 pensieri di quelle che lui definisce “anime inquiete”regalandoci così un piccolo gioiello capace di regalarci interessanti e profondi spunti di riflessione.


Consigliato a tutti coloro per i quali la morte altri non è che un istante prima di..sorridere

Geniale..da leggere!!!

Enrico J,Lapi..BENEVENUTI NEL MIO MONDO

Nasce a S.Croce sull’Arno, lo stesso paese che diede i natali a Don Backy, tra la campagna pisana e la provincia fiorentina.
Dopo gli studi classici si iscrive alla Facoltà di medicina di Firenze, dove vive per molti anni. Qui frequenta l’ambiente artistico della città e in seguito costituisce uno studio d’arte. L’interesse per la medicina però rimane e, anni dopo, si laurea in Fisioterapia per dedicarsi poi alla progettazione di ausili al cammino e altro.

Foto album
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copertina di C'ero una volta