




Descrizione: Il silenzio, tranquillità, quiete dell'Anima…
Incipit: Un mio amico, intelligente e simpatico, suole dire:"Grazie a Dio, io sono ateo", una frase…
Tu dici:
"Dicono i Taoisti:"il silenzio è la madre e il padre di tutti i rumori, l'immobile lo è di tutti i movimenti, l'invisibile di tutto ciò che si può vedere… "
Questo per me è Dio, questa per me è Grazia di Dio."
Bene. Permettimi nel completo e più totale rispetto su ciò in cui hai scelto di credere, di porti un piccolo quesito su cui riflettere il più logicamente possibile.
Premetto che io stesso fino a poco tempo fa credevo in Dio, diciamo come un seguente Cristiano, ma non sono mai stato né cattolico, né appartenente a nessun movimento di quelli più conosciuti, leggevamo semplicemente la bibbia a casa, pregavamo e poi davamo testimonianza di ciò che sentivamo giusto esprimere e quindi condividere con altri in quello stesso momento. Poi però ultimamente ho realizzato seguendo diversi percorsi logici l'impossibilità stessa di tutto ciò a cui credevo e che mi hanno portato a delle risposte chiare su tutto questo argomento trattato.
Riprendendo anche il discorso taoista da te citato, ti domando:
se tutto ciò che è vita è in stato vitale, quindi in uno stato presente di coscienza, a qualsiasi livello o grado essa poi possa appartenere o possa essere associata, viene però sempre e soltanto posta in uno stato di movimento, e, dove c'è movimento, c'è appunto poi energia, calore, materia, fino ad arrivare ad un possibile stato o condizione vitale e quindi alla forma materiale organica di vita stessa, espressa sempre però, ripeto, in una determinata, anche se del tutto relativa, presenza necessaria, al e per il suo stesso esserci, di spazio/tempo; perché è solo con questi due fattori in gioco presenti
che diventa quindi possibile e realistico poi anche tutto ciò che da questo stato (vitale/cosciente) ne consegue, cioè letteralmente ogni necessario tempo/spazio di pensiero, azione, reazione, volontà, creatività, trasformazione, giudizio, ecc da essa (dalla coscienza e conoscenza) derivati, sotto forma di caratteristiche proprie e/o capacità conseguenti, espresse,
ti domando perciò,
come può allora chiarito questo, ciò che, la mia/tua/nostra, mente, associa poi di diritto e come fattore a Dio, cioè appartenenza fedeistica di espressione ad un concetto che per noi rappresenta uno stato, di eterno e infinito (quindi fermo, invisibile, non comprensibile) essere, a sua volta e al contempo però poi anche in grado di esprimere capacità di coscienza, giudizio, osservazione, creazione, volontà, grazia, misericordia, senza quindi letteralmente, essere presente in nessuno spazio/tempo possibile, e quindi non possedere (se risulta come infinito o eterno) nessuno stato di energia proprio, nessun movimento o quantità di moto posto; cioè tutti gli stati de-finiti in un relativo spazio-tempo presente e assolutamente necessario come visto prima, per essere e quindi poter esprimere sia concettualmente che realisticamente
al fine tutto ciò?
Questo lo si deduce dal fatto che ciò che risulta tendente o associabile ad un infinito diventa man mano che ci si avvicina a questa stessa asserzione terminologica, qualcosa di totalmente incomprensibile, non più coscienziale, non più esperibile, proprio per assenza di possibilità di misurazione, di intervento, di osservazione, e quindi, di pensiero, di coscienza, di conoscenza, di informazione comprensibile.
Eterno e infinito nella loro stessa concezione assoluta non sono associabili perciò ad un concetto di "eterno tempo" e "infinito spazio", quanto più ad una loro totale assenza. Assenza totale di tempo, e assenza totale di spazio, dato che solo nell'assenza totale, cioè senza una qualsiasi possibilità o capacità di misura o misurazione, di osservazione, e quindi di coscienza, di conoscienza, di comprensione posta, possibile, si può dedurre uno stato di infinito o eterno, deducendolo appunto conoscendo ciò che comporta l'esatto contrario, il moto.
Questo sarebbe logicamente e comprensibilmente associabile per deduzione, e non per coscienza, come un fattore sovrapponibile ad un concetto di infinito o eterno, quindi un NON stato in realtà, un NON essere risultante logicamente come, totalmente fermo, immobile, nulla, un vuoto assoluto.
Un Nulla quindi, non un Tutto.
Bisogna comprendere questa "sottile" differenza.
Se riesci a realizzare questo a ruota, a cascata poi decadono tutti i principi o le fondamenta stesse su cui poggia qualsiasi rivelazione divina o divinatoria presente nella Bibbia.
Il concetto stesso, per fare un esempio, di "vita" dopo la morte, possibile e applicabile riposto su un concetto di infinito o eterno, non ha più alcun senso, diventa qualcosa a cui non ci si può più porre nemmeno in termini di fede se lo si comprende realmente, perché sarebbe come illudersi, sapendo, avendo coscienza dell'illusione stessa.
Non voglio pretendere di "smontare" il tuo pensiero a riguardo, né è mia intenzione farlo, su ciò che senti percependo e sentendo appunto te stesso come più vero, ma solo darti un punto di vista differente, non classico, a cominciare proprio dai termini "eterno"/"infinito" che usiamo fin troppo spesso impropriamente e non comprensibilmente su ciò che possiamo poi dedurre essi stessi in realtà comportano, e implicano; null'altro che totale negazione, totale assenza di tutto ciò che è in stato di moto; coscienza, conoscenza, creazione, e volontà, compresi.
Io avevo l'intenzione di pubblicare una poesia conseguente, la propongo adesso:
La notte tace i rumori
e sussurra al vento
Eterne Dolcissime Canzoni!
Io la vedo così, non sono discorsiva se non ogni tanto.
Per quello che dici, non so che dirti.
Ti ringrazio per le recensioni ma, per quello che dici, non so che dirti.
C'è tutto il tempo per discutere no?
proprio adesso qui sul sito un testo dove parlo delle medesime cose in risposta a un teologo ed ex psicologo su Quora. Se vuoi leggerlo ritrovi lì le mie considerazioni sulle quali poi puoi tu porre le domande a te stessa e forse provare a farlo se vuoi in maniera differente, non più giusta, ma differente.
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descrizione: Sono Roberta, mamma di un ragazzino gravemente disabile, protagonista del libro. La storia che lo riguarda tratta della sua malattia sconosciuta e del nostro quotidiano sofferto e tribolato accanto a lui, ma anche di una fede riscoperta e rinnovata.
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incipit: Daniele si accese una sigaretta, riparandosi con la mano per difendersi dal vento che si era levato. Una volta lui e Guglielmo fumavano insieme in continuazione (anche se l'amico prediligeva decisamente i sigari); passati i quaranta, Daniele aveva deciso di smettere, se non altro per non dover più sentire i brontolii di sua moglie. Quello, il ventun ottobre, era l'unico giorno in cui non riusciva a resistere al suo vecchio vizio, e la voglia di fumare si impossessava di lui.
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