Etnogenesi

Spazio dedicato alla Gara stagionale di primavera 2024.

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Giovanni p
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Etnogenesi

Messaggio da leggere da Giovanni p »

leggi documento Spiacente ma, in questo browser, la lettura a voce non funziona.

Etnogenesi



Gerad guardò fuori dalla finestra, faceva un caldo insopportabile e la terra espelleva l’umidità creando nuvole di afa che si incollavano su ogni superficie in vetro della sua magione. La sua fronte si aggrottò, non sarebbe uscito di casa nemmeno quel giorno. Fissò la carta da parati che copriva interamente la parete più grande della stanza, ritraeva il planisfero. Quasi quaranta metri quadri di mondo, un lavoro di finissima fattura dato che non si vedeva un’attaccatura fra un foglio e l’altro neanche a prendere una lente d ingrandimento.
Quando arrivò su quel pezzo di foresta e fece costruire la sua magione Gerad volle quel planisfero sulla parete per ricordargli che esistono mille realtà da depredare, ma ora che vive incollato sulla sua poltrona di pelle gonfio di cortisone e segnato dal diabete quella carta da parati serve solo a ricordargli quanto casa sua sia lontana.
Era chiuso in casa ormai da una settimana, per fortuna l’ambiente era enorme, fresco e soprattutto ben sorvegliato dall’esterno. Incollato alla sua poltrona guardava la brocca di tè verde che sudava gocce simili a rugiada, aveva sete ma la fatica era molta.
Per fortuna in suo soccorso venne Ninive, la ragazza che lo assisteva la quale oltre a versargli il tè in un bicchiere coprì la distanza di bene quattro metri per porgerglielo.
Gerard sorrise tenendo le labbra serrate come un bambino imbarazzato, lei lo illuminò col suo sorriso candido senza però scioglierlo. Prima di andarsene Ninive comunicò a Gerad che il signor Finnik chiedeva di parlare con lui. Lui acconsentì sapendo che Finnik era già dentro la sua magione e che non se ne sarebbe mai andato senza prima aver chiesto il suo dotto parere sui recenti fatti quotidiani. Ninive se ne andò facendo sfoggio della sua bellissima schiena nuda, Gerard non perse nessuno dei suoi movimenti e mentre sorseggiava il tè sorrise di se stesso e di come alcune cose non finiscano mai di riempirgli gli occhi.
Dopo aver finito il bicchiere di tè si prese una manciata di secondi per godersi la tranquillità che regnava sapendo che da lì a poco sarebbe finita.

-Gerad! Gerad!

Finnik stava trottando nel corridoio col suo passo esagitato, Gerad non lo vedeva ma lo sapeva.

-Finnik sono nel mio studio…

La porta di spalancò come se fosse stata colpita da un ariete, nella stanza entrò un omino alto un metro e sessanta, pallido, emaciato e tremebondo.

-Finnik la prengo di non agitarsi, fa già un caldo infernale…
-Un caldo infernale- urlò l’omino sputando piccoli puntini di saliva- Lei pensa al caldo?
-Vede Finnik…

-Qua rischiamo tutti l’osso del collo Gerad, lei compreso!

Incollato sulla sua poltrone Gerad sospirò mentre Finnik si asciugava sudore e saliva.

-Qua c’è poco da stare tranquilli Gerad, stanotte ne hanno ammazzati tre! Una cazzo di famiglia! Queste bestie non hanno riguardi neppure per i bambini!
-Finnik, sapevamo benissimo…
-No, Gerad, no! – lo interruppe Finnik cercando di dominare il tremore – Noi non sapevamo nulla, noi siamo qua per estrarre manganese e coltivare campi. Questi da quando hanno avuto il bell’esempio di quei pecorai a nord hanno deciso di ammazzarci a tutti come bestie!
-Finnik, noi…
-Noi niente! Noi niente, Gerad! – urlò smanacciando Finnik – Noi Gerad rischiamo di morirci come cani qua!
-Finnik mi lasci spiegare….
-Questi sono tanti Gerad, sono tanti e sono incazzati! Come faremo?
-Senti Finnik, se mi lasci spiegare bene…altrimenti levati pure dalle scatole io non ho tempo da perdere.

Finnik si blocco smettendo persino di tremare, poi disse smanacciando:

-Sono curioso!
-Sapevamo benissimo, e lo sapevamo prima di arrivare, che qua saremmo stati una minoranza contro moltissimi indigeni. Avevamo dalla nostra i soldi e per fortuna ce li abbiamo ancora, anzi quelli li abbiamo moltiplicati. Sapevamo anche che nel nord del continente sarebbe saltata in aria la situazione e che ci sarebbero state delle rivolte, come sapevamo che i rivoltosi del nord pregano lo stesso dio di quelli che abbiamo sotto la nostra influenza, quindi era plausibile che i più giovani di questi avrebbero preso spunto da loro per rivoltarsi contro di noi. D’altronde la religione è anche un mezzo di aggregazione.
-Bene Gerad, qual è la soluzione. Domandò Finnik avvicinandosi a Gerad
-La soluzione è la creatività – rispose Gerad con aria bonaria – come sempre. Noi siamo dei creativi Gerad non scordartelo mai.
-Io…Io sono troppo preoccupato per capire simili fantasie.
-Ma non sono fantasie Finnik, questa è realtà e sono alcuni mesi che è in gestazione e io, modestamente, ne detengo la paternità.
-Spiegati Gerad!
-Etnogenesi.
-Etno che?
-Etnogenesi, ovvero creazione di un etnia.
-Eh?!
-Noi sappiamo o almeno abbiamo capito una cosa, questi numerosissimi indigeni arrabbiati e sanguinari non sono uniti fra di loro. Su questo pezzo di terra che occupiamo esistono ben due gruppi, non chiedermi i nomi perché non li so pronunciare. Ad ogni modo ho deciso di puntare sul gruppo che è in minoranza. Da alcuni mesi ho inviato dei missionari allo scopo di convertirli e istruirli ai nostri valori. Le nostre istituzioni faranno il resto dando loro i mezzi per poter sovrastare l’altra etnia. Noi creeremo un etnia che combatterà l’altra credendosi superiore, perché in questo pacchetto c’è anche l’obbiettivo di dare una storia a questa gente, di nobilitarli.
-Nobilitare queste bestie?
-Gli uomini hanno nobilitato bestie per tutto il corso della storia, bestie come cavalli, cani o gatti. Riusciremo a nobilitare pure loro, diremo loro ad esempio che discendono dall’eroe di turno e non glielo diremo e basta, ma gli faremo credere che sia così. Perché loro sono un popolo evoluto, un popolo che merita di governare al nostro fianco su chiunque.
-Quindi – disse Finnik ridendo- faremo credere a questi deficienti trogloditi che noi siamo qua per loro…
-Non proprio Finnik, noi saremo i loro padri, noi li creeremo. Nessuno figlio disubbidisce al padre, neanche se lo sfrutta. Nessun figlio si ribella al padre, neanche se lo picchia. Loro in qualità di nostri figli uccideranno tutti i restanti indigeni e lo faranno credendo di fare la cosa giusta.
Ultima modifica di Giovanni p il 17/04/2024, 10:27, modificato 1 volta in totale.
Giovanni p
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Re: Etnogenesi

Messaggio da leggere da Giovanni p »

Buongiorno a tutti, questa storia è stata ricavata dagli esercizi dell'Officina del racconto.
Andr60
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Messaggio da leggere da Andr60 »

Una storia antica quanto i Romani (e oltre), che ai giorni nostri si chiamerebbe rivoluzione colorata o arcobaleno :)
Ci sono numerosi refusi e consiglio all'Autore una revisione attenta del testo.
Voto 3, saluti
Jacopo Serafinelli
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Messaggio da leggere da Jacopo Serafinelli »

@Giovanni p
Un racconto che racconta una storia raccontata. I colonizzatori ed occupanti di territori altrui sono maestri e non sempre usano mezzi e modi come quelli descritti qui.
Guardandoci intorno… oggi… ne abbiamo esempi in atto… anzi… in atto da quasi 80 anni con mezzi che non si possono proprio definire etnogenesi ma etnoestinzione sì.
Jacopo
Giovanni p
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Messaggio da leggere da Giovanni p »

Jacopo Serafinelli ha scritto: 17/04/2024, 18:46 @Giovanni p
Un racconto che racconta una storia raccontata. I colonizzatori ed occupanti di territori altrui sono maestri e non sempre usano mezzi e modi come quelli descritti qui.
Guardandoci intorno… oggi… ne abbiamo esempi in atto… anzi… in atto da quasi 80 anni con mezzi che non si possono proprio definire etnogenesi ma etnoestinzione sì.
Jacopo
Buongiorno, Jacopo

grazie per avermi letto.
Giovanni p
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Re: Commento

Messaggio da leggere da Giovanni p »

Andr60 ha scritto: 17/04/2024, 16:50 Una storia antica quanto i Romani (e oltre), che ai giorni nostri si chiamerebbe rivoluzione colorata o arcobaleno :)
Ci sono numerosi refusi e consiglio all'Autore una revisione attenta del testo.
Voto 3, saluti
Buongiorno,

grazie per aver letto il racconto, proverò a rileggerlo.
Yakamoz
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Messaggio da leggere da Yakamoz »

Letto! Il racconto non è malaccio come idea. Ma poi nella sua messa su carta/video non è scritto altrettanto bene. Si nota - e come non notarlo? - una notevole (minimo 40) mancanza di punteggiatura e troppe "ripetizione", esempio dal testo:

"(Sapevamo) benissimo, e lo (sapevamo) prima di arrivare, che saremmo stati una minoranza contro moltissimi indigeni. Avevamo dalla nostra i soldi e per fortuna ce li (abbiamo) ancora, anzi quelli li (abbiamo) moltiplicati. (Sapevamo) anche che nel nord del continente sarebbe saltata in aria la situazione e che ci sarebbero state delle rivolte, come (sapevamo) che i rivoltosi del nord pregano lo stesso dio di quelli che (abbiamo) sotto la nostra influenza, quindi era plausibile che i più giovani di questi avrebbero preso spunto da loro per rivoltarsi contro di noi. D'altronde la religione è anche un mezzo di aggregazione."

Quattro "sapevamo", tre volte "abbiamo" (+ altre cosette che non vanno) e tutti molto vicini tra loro (ridondanza) e un incalzare delle frasi poco armonioso: tipico del linguaggio parlato, ma in un racconto va sempre "addolcito" questo aspetto.

Mi permetto, senza presunzione, di riscriverla:

"Sapevamo benissimo, prima ancora di arrivare, che saremmo stati in minoranza rispetto agli indigeni. Avevamo però dalla nostra parte il denaro e per fortuna ce n'è ancora, anzi, lo abbiamo moltiplicato. E ci era altrettanto chiaro che nel nord del continente la situazione sarebbe esplosa con delle rivolte, poiché le persone che ci abitano adorano lo stesso dio di quelli a sud sotto il nostro controllo, quindi era plausibile che i più giovani si sarebbero ispirati a loro per ribellarsi. D'altronde la religione è sempre un pretesto per unire le genti."

Suona meglio, no? Stessi concetti, ma più coincisa e usando meno parole. Poi il testo è tuo, e se lo riscrivi tu, ti riesce ancora meglio. Il mio vuole essere solo un esempio a cosa intendevo.

Non ti conosco molto, Giovanni P, ma rispetto a l’altro racconto “Marchesi etc.”, in cui mi eri sembrato bravo a costruire dialoghi e pure la parte non “dialogica” era molto buona. Qui, invece, c’è molto da rivedere: per via di tante “cose” che sembrano come scritte di fretta, probabilmente. C’è inoltre da rilevare una costante, e qui mi riferisco alla punteggiatura, data la quasi sempre mancanza di virgole sui vocativi, temporali, temporali avverbiali, nell’uso dei tempi verbali indefiniti: perché sarà vero che la punteggiatura è una questione di stile dell’autore, ma è nella stessa misura vero che quando si va a creare una proposizione, dislocata che sia o anche ellittica del soggetto o di altro, regola vuole che le virgole, punti… o altro si usino.


Voto 3 (perché è un testo da editare)

Tante belle cose, Giovanni P

Antonio
Giampiero
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Messaggio da leggere da Giampiero »

Visto che qui si gioca a fare l'editor di turno, gioco anch'io:

In questo punto mi sono bloccato, perché scrivi:
“Quando arrivò su quel pezzo di foresta e fece costruire la sua magione Gerad volle quel planisfero sulla parete per ricordargli che esistono mille realtà da depredare, ma ora che vive incollato sulla sua poltrona di pelle gonfio di cortisone e segnato dal diabete quella carta da parati serve solo a ricordargli quanto casa sua sia lontana.”

Io mi sono domandato a quale foresta si riferisce? Sono tornato indietro a rileggere: nisba, non c’è alcun riferimento oggettivo. Quindi “quel pezzo di foresta” è riferibile senz’altro al planisfero di cui comunque il lettore non sa nulla circa che cosa raffiguri. Planisfero: Rappresentazione cartografica in piano di tutta la superficie terrestre, a piccolissima scala; anal. : p. celeste, quella relativa alla volta celeste.

Quindi “quel pezzo di foresta” non rende l’idea di nulla, quantomeno perché non è pertinente alla scena che hai proposto nel testo. E ti faccio notare che è la scena madre.
Poi continui: “incollato sulla sua poltrona di pelle gonfio di cortisone”;
e poco più sotto: “Incollato alla sua poltrona guardava la brocca”.

Qui, il lettore che è in me ha protestato. Fine della puntata. Testo da rivedere. UN saluto. Però io non regalo i voti, per me è un racconto assolutamente negativo. quindi voto basso: 1.
La paura è un cavallo con le ali: una volta lanciato al galoppo perde il contatto con il suolo e incomincia a volare.
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