Diamanti Grezzi

Spazio dedicato al GrandPrix stagionale di primavera 2023.

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Marco Pozzobon
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Diamanti Grezzi

Messaggio da leggere da Marco Pozzobon »

leggi documento Spiacente ma, in questo browser, la lettura a voce non funziona.

ospizi dove rinchiudere propria madre,
manicomi dove guardare se stessi

questa è la maturità, l'innocenza
si contorce su sé stessa e resta
un cane randagio dall'ano svuotato,
nel ricordo di quello che fu l'amore
lascio le mie vene sanguinare su
quella che fu la nostra prima notte

senza valore, i pensieri di un barbone
senza valore, il corpo di una commessa

la stesura di un contratto, la notte
marchia ogni mia mossa e l'epilessia
mangia la mia anima lasciando
un corpo senza prospettive gelare
sul palco di quella che un tempo fu
l'adolescenza, diamanti solitari
lasciati marcire in catapecchie,
ora mangia la muffa e sputa
il catrame

non ho futuro dentro me stesso
non ho futuro dentro me stesso

i cadaveri dei diciottenni
piovono sul cemento fresco
Gabriele Pecci
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Messaggio da leggere da Gabriele Pecci »

Bentrovato Marco, questo tuo testo penso che rifletta molto lo stato interiore di chi si trova immerso in un mondo che non comprende, e da cui di riflesso non viene compreso a sua volta. Mi spiego, la percezione del mondo deriva soggettivamente dalla comprensione individuale di noi stessi. Ma questa è la nostra concezione del mondo appunto. C'è anche un'altra concezione del mondo però, che è quella che invece comprendendo il mondo individualmente, attribuiamo poi al mondo stesso, dove la somma di molte più altre concezioni individuali che usualmente chiamiamo società, convivono e si mischiano le une sulle altre, ma tendono sempre, come ogni epoca insegna, a uniformarsi in una certa rappresentazione che, in qualche modo guida e indirizza così la percezione più comune o comunitaria del mondo stesso. Ecco che allora per qualcuno, per qualcuno che non si uniforma a questa concezione (altrimenti non avresti nemmeno questi determinati pensieri su di esso) queste due visioni, queste due percezioni non combaciano più. Da qui nasce il disagio della comprensione, del non comprendere, e del non venire a nostra volta compresi. Lo step successivo è comprendere appunto questo stesso fatto, il che porta man mano a mitigare questo disagio esistenziale di vivere in un mondo comunitario che sentiamo non rispecchi minimamente o quasi il nostro sentire. Mitigata la rabbia, si arriva pian piano all'accettazione, si arriva forse ad una sorta di resa interiore, a comprendere che esiste al fine solo una visione in fondo che conta è che và sempre più a fondo portata a maturazione mentre la seconda diventa puramente marginale esistenzialmente, ma non per questo però meno interessante da appurare e decodificare a seconda appunto di ciò che, andando sempre più a fondo del nostro sentire e percepire noi stessi, possiamo poi, relativamente a questa nostra capacità acquisita, identificare, e inquadrare meglio in ciò che con noi, e su di noi, è continuamente e in ogni momento in diretta o indiretta interazione, il tutto con una diversa e più matura consapevolezza.

Leggendo i tuoi versi ho rivissuto la stessa mia rabbia, la stessa mia ansia, lo stesso mio soffocamento interiore, e quindi sociale, in cui mi ritrovavo ad essere alla tua età.

A volte tutto questo è ancora presente, ritorna mascherato in diversa sua maniera, ma almeno ora ne ho come dicevo diversa e più matura consapevolezza, e ancora più importante, comprensione.

Finita la condivisibile o meno "lezione" sociologica scritta in realtà più a mio promemoria, passiamo alla poesia.

Posso personalmente dire che i versi che mi hanno colpito di più in virtù di ciò che ho espresso precedentemente, sono i primi due iniziali.

"ospizi dove rinchiudere propria madre,
manicomi dove guardare se stessi"

Ecco questi delineano bene a mio avviso una prossima mia, quanto comune, futura situazione, ma privi, o in presenza quantomeno minore, di rabbia, di impeto, del soffocamento e logoramento interiore giovanile, ma non per questo però poi così semplici o meno destabilizzanti al fine da dover o volere (entrambi) affrontare.

Una prigione senza gabbia fisica, dove la natura della "gabbia" dipende appunto solo dalla nostra presente o passata capacità di comprensione.

Voto 4.
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Maria Spanu
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Messaggio da leggere da Maria Spanu »

Gabriele non potevo trovare migliori parole di quelle che hai utilizzato.
È vero che la realtà è soggettiva ma è altrettanto vero che, a mio avviso, vi sia una REALTÀ superiore che non siamo in grado di comprendere. A volte ci sentiamo sbagliati perché quel che succede intorno è sbagliato e non capiamo il reale significato e motivo.
Ci si interroga su infiniti "perché" fino ad avere la nausea nel capire che troppe cose non quadrano, troppi tasselli sono mancanti o rotti e che, con il tempo, essi stessi diventano la nostra gabbia. Una gabbia che si restringe a ogni piccola consapevolezza acquisita, costringendoci, a volte, a fermarci per respirare prima della prossima stretta.
Che dire Marco, questa poesia è malinconica, triste, vera, reale e soprattutto tragica.
Voto decisamente 5, anche se per l'importanza e il peso di questo scritto non c'è un voto abbastanza altro da attribuire.
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Piramide
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Messaggio da leggere da Piramide »

Ciao Marco, poesia come sempre bellissima. Mi è piaciuta anche molto la divisione dei versi. I primi due di introduzione e gli ultimi due di chiusura sono veramente fantastici. Il tuo inconfondibile stile in cui “vomiti” tutto quello che hai dentro ha creato di nuovo una poesia dal ritmo freneticamente drammatico, in cui emerge tutta la difficoltà della vita. Fra tutti, il senso di rifiuto, di insensatezza, di nullità emerge moltissimo. Anche il titolo è bellissimo. Voto 5.
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