Un pensiero da incubo

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Laura Traverso
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Un pensiero da incubo

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leggi documento Spiacente ma, in questo browser, la lettura a voce non funziona.

Una paura pazzesca l’aveva accompagnato per tutta la vita, non passava giorno che il pensiero ad essa andasse senza provare un brivido raggelante.
Tanti furono i ragionamenti messi in atto al fine di esorcizzarla ma niente, si chiedeva sempre come mai a lui fosse toccata quella pena mentre per tutti gli altri di sua conoscenza il problema non si poneva, non esisteva proprio, non veniva loro nemmeno in mente se non così, ogni tanto e di sfuggita.
Bene o male però, pur con quella strana presenza nella mente, il tempo e la vita scorrevano, anche veloci, troppo veloci. L’idea lo accompagnò da quando era bambino sino avanti e avanti negli anni, durante tutte le fasi di trasformazione del tempo che inesorabilmente passava e tutto modificava.
Era stato un bimbetto paffutello e biondo con una fila di candidi dentini messi al posto giusto, con ordine e precisione.
Non dico che si trovò da l’oggi al domani quello che diventò infine, no assolutamente, la discesa fu graduale: i capelli cominciarono a diradarsi e a ingrigirsi fino a sparire del tutto e lasciare il posto a una lucida pelata; il giro vita non si vedeva più, sostituito da un adipe diffusa e prominente, gli occhi azzurri e vispi erano diventati, camin facendo, due fessure piantate ai lati e sopra il naso, parevano due piccoli e infossati “laghetti” spenti e lattiginosi.
I bei dentini cambiarono colore, dal bianco volsero adagio adagio al giallo sino a cadere e lasciare un buco al loro posto, certamente furono prontamente sostituiti con una dentatura artificiale e innaturale, troppo bianca e perfetta, faceva da patetico contrasto con la pelle del viso rugosa e raggrinzita.
La bellezza era ormai un lontano ricordo. La postura era diventata incurvata e la camminata lenta e incerta, aveva raggiunto un’età assai avanzata e si riteneva fortunato.
In ciò nulla di strano, è così per tutti, è l’evolversi della vita che si srotola e infine… stop! Finisce.
Dicevo che, durante l’inevitabile e comune percorso, tutto era cambiato ad eccezione di un fatto, del suo pensiero fisso, quello no, procedeva con lui nello scorrere della vita senza mai abbandonarlo neppure per un giorno, anzi si era aggravato.
Negli ultimi anni l’idea si era trasformata in una sorta di incubo che prendeva forma anche durante il sonno per mezzo dei sogni. Lì gli passavano davanti agli occhi tutti i dettagli: dal “vestito” di mogano al suono dell’’organo, ai fiori, sino alla visione dell’ultima dimora dinnanzi alla quale vedeva un via vai di gente nota e distratta.

***

Volava, leggero e felice come una libellula. Non si era mai sentito così bene e in pace con se stesso. Vedeva tutto ciò che era stato il suo mondo.
Sorrideva nel vedere gli affanni dei più, inconsapevoli del premio che infine li attendeva. Si arrabattavano torturandosi con mille preoccupazioni, oh certo, ogni tanto si divertivano anche e ciò era piacevole: il mare, la neve, spettacoli, eventi lieti come nuove nascite, amori che si sostituivano e che inevitabilmente portavano anche a dolorose separazioni. E poi per cosa? Per arrivare, mediamente stremati, alla fine che anche lui aveva affrontato.
La paura, nel momento cruciale, sino a che era stato consapevole e lucido era stata tanta, ma poi la malattia lo aveva così tanto debilitato che non riusciva più a ragionare e a comprendere dove fosse ne che gli stesse accadendo.
E infine, a un certo punto via… Parlano di un cono di luce da attraversare, non saprei dire.
Lui si trovò ben presto in un posto magnifico e inondato di luminosità. Non aveva più affanni ne tristi pensieri, la beatitudine che provava era indescrivibile. Solo per un attimo ebbe coscienza del suo passato e, ricordando le sue paure per ciò che infine aveva affrontato, sorrise benevolo e comprese.
Purtroppo nessuno sa a cosa andremo incontro e ciò, per molti, per chi il problema se lo pone, non è rassicurante, anzi è, come era stato per lui, terrificante.
Ma no, così non è, vorrebbe poterlo gridare per raggiungere il cuore di ogni anima inquieta, non può.
Sa che ognuno deve fare il proprio percorso dall’inizio alla fine, fa parte del pacchetto che si chiama vita. Una vita che non finirà mai, eterna.
Lasceremo la nostra “macchina”, la abbandoneremo dopo averla usata, curata, amata e vista invecchiare. Ognuno, chi prima chi dopo, dovrà depositarla prima di trasferirsi; andremo a vivere tra le stelle che diventeranno nostre sorelle.
Ma non ci estingueremo mai, brilleremo lassù e quando vorremo, e decideremo di ritornare, sceglieremo da chi andare per ricominciare…
Yakamoz
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Siamo tutti di passaggio su questa terra. Hai ragione, Laura. In realtà, non si pensa alla morte quando si è in vita e si sta bene in salute. Per un semplice motivo: se tu (o io, oppure un altro) sei vivo, la morte non c'è. Perché la morte non contempla la vita; o l'una o l'altra. Da come scrivi, mi sembri credente; io, da ragazzo, non lo ero. Se uno mi avesse chiesto, a 15/18 anni, "Ma tu credi in Dio e in quello che dice la religione?", avrei risposto: "Sono tutte belle favolette, ma non esiste nulla oltre quello che vediamo". E la religione è nata per spiegare cose che l'uomo non riesce a comprendere: essendo solo una scimmia che sa un po' elaborare concetti astratti. Cosa che pure un topo sa fare, perché studi scientifici, anche abbastanza vecchi, hanno dimostrato che pure i topi possono imparare a riconoscere schemi astratti e risolvere problemi che richiedono l'uso di concetti non concreti; l'unica differenza "sostanziale" tra uomo e topo risiede nelle capacità cognitive, che nei piccoli e simpatici topolini non raggiungono la nostra complessità. Poi, crescendo, e piano piano, verso i 25 anni, ho incominciato a pensare che forse esiste qualcosa di vero nella religione, ma una parte di me continua a essere laica, atea e spesso anti-Dio. C'è scritto che "Dio ha creato l'uomo a sua immagine", ma in realtà è il contrario: "È l'uomo che ha creato Dio a sua immagine", essendo Dio un'invenzione dell'uomo. In verità, sono ancora in guerra con Dio e, quando stipulerò un trattato di pace con Lui, allora forse ci crederò pienamente. Per ora mi accontento di restare in bilico tra credere e non credere. Ho fatto questa lunga premessa al commento del tuo racconto per far capire che il tuo "racconto" è abbastanza legato ai concetti di fede/religione, soprattutto quando si parla di cosa ci sarà dopo la morte. E quella parte laica di me ti dice che non c'è proprio nulla: che la morte è un morire per sempre. Ma la parte religiosa di me, ancora in lotta con Dio, ti dice che forse esiste qualcosa. Ma la morte appartiene al "trascendente" e nessuno è mai tornato indietro per raccontarci cosa c'è oltre. Perché tutto quello che è "trascendente" non è valicabile ed esiste solo nella sua dimensione a sé stante.

Noto, come sempre, un modo di scrivere un po' "giornalistico" che letterario; ma non è un difetto il tuo, perché l'importante è farsi capire.

Cari saluti, Laura Traverso,

Antonio

P.S. Motivo il voto: un "racconto" semplice, ma non banale, che pur non avendo una vera e propria trama affronta i temi della vita e della morte, sollevando dubbi e domande che rimangono irrisolti o personali nelle loro risposte.

Voto: 5

Aggiungo una cosa:

Per stile "giornalistico" io intendo:

Uno stile diretto, chiaro, senza fronzoli, che va dritto al punto e senza orpelli stilistici.
"Stile semplice e lineare" sarebbe una definizione più precisa, credo.
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Yakamoz ha scritto: 09/02/2025, 8:00 Siamo tutti di passaggio su questa terra. Hai ragione, Laura. In realtà, non si pensa alla morte quando si è in vita e si sta bene in salute. Per un semplice motivo: se tu (o io, oppure un altro) sei vivo, la morte non c'è. Perché la morte non contempla la vita; o l'una o l'altra. Da come scrivi, mi sembri credente; io, da ragazzo, non lo ero. Se uno mi avesse chiesto, a 15/18 anni, "Ma tu credi in Dio e in quello che dice la religione?", avrei risposto: "Sono tutte belle favolette, ma non esiste nulla oltre quello che vediamo". E la religione è nata per spiegare cose che l'uomo non riesce a comprendere: essendo solo una scimmia che sa un po' elaborare concetti astratti. Cosa che pure un topo sa fare, perché studi scientifici, anche abbastanza vecchi, hanno dimostrato che pure i topi possono imparare a riconoscere schemi astratti e risolvere problemi che richiedono l'uso di concetti non concreti; l'unica differenza "sostanziale" tra uomo e topo risiede nelle capacità cognitive, che nei piccoli e simpatici topolini non raggiungono la nostra complessità. Poi, crescendo, e piano piano, verso i 25 anni, ho incominciato a pensare che forse esiste qualcosa di vero nella religione, ma una parte di me continua a essere laica, atea e spesso anti-Dio. C'è scritto che "Dio ha creato l'uomo a sua immagine", ma in realtà è il contrario: "È l'uomo che ha creato Dio a sua immagine", essendo Dio un'invenzione dell'uomo. In verità, sono ancora in guerra con Dio e, quando stipulerò un trattato di pace con Lui, allora forse ci crederò pienamente. Per ora mi accontento di restare in bilico tra credere e non credere. Ho fatto questa lunga premessa al commento del tuo racconto per far capire che il tuo "racconto" è abbastanza legato ai concetti di fede/religione, soprattutto quando si parla di cosa ci sarà dopo la morte. E quella parte laica di me ti dice che non c'è proprio nulla: che la morte è un morire per sempre. Ma la parte religiosa di me, ancora in lotta con Dio, ti dice che forse esiste qualcosa. Ma la morte appartiene al "trascendente" e nessuno è mai tornato indietro per raccontarci cosa c'è oltre. Perché tutto quello che è "trascendente" non è valicabile ed esiste solo nella sua dimensione a sé stante.

Noto, come sempre, un modo di scrivere un po' "giornalistico" che letterario; ma non è un difetto il tuo, perché l'importante è farsi capire.

Cari saluti, Laura Traverso,

Antonio

P.S. Motivo il voto: un "racconto" semplice, ma non banale, che pur non avendo una vera e propria trama affronta i temi della vita e della morte, sollevando dubbi e domande che rimangono irrisolti o personali nelle loro risposte.

Voto: 5

Aggiungo una cosa:

Per stile "giornalistico" io intendo:

Uno stile diretto, chiaro, senza fronzoli, che va dritto al punto e senza orpelli stilistici.
"Stile semplice e lineare" sarebbe una definizione più precisa, credo.
Ciao Antonio,
"siamo figli delle stelle" dichiarò più volte l'astrofisica, pluripremiata, Margherita Hack, donna che ho amato e dalla quale prendo esempio, nei limite del mio possibile, per la vita. Disse che originiamo dalle stelle e a esse ritorneremo. Non sono credente nel senso tradizionale pur essendo cresciuta in una famiglia fortemente cattolica, ma poi, pur con infinito rispetto verso chi crede a questi valori, ho fatto un diverso percorso di vita. Mi definisco cristiana e non cattolica, apprezzo molto la figura di Cristo, personaggio realmente esistito, la cui vita dovrebbe essere, secondo me, un esempio per tutta l'umanità. Sono orientata a credere nella reincarnazione e il finale del mio racconto lo lascia intendere. Credo molto nel Karma, ossia nella legge di causa ed effetto che in parole semplici significa che avremo, ci ritornerà, ciò che abbiamo "seminato" . Per questo sono importanti i nostri pensieri, parole e azioni.
Sei sempre molto attento a ciò che recensisci e ti ringrazio di cuore, anche per l'apprezzamento e l'ottima valutazione al mio racconto. Circa il pensiero della morte lo ho da quando ero bambina, proprio come il personaggio del mio racconto...ma non in maniera angosciante ma consapevole, sinceramente non la temo, mi incuriosisce si, perché come bene hai detto, "nessuno è tornato indietro per raccontarci cosa c'è oltre". Però ho intimamente la certezza che non spariremo nel nulla, continueremo a vivere sotto forma di energia: nel vento e tra le stelle. E stato un piacere "parlare" con te, bello esserci scambiate opinioni su un tema universale come quello della vita e della morte.
Un affettuoso saluto e grazie ancora per la tua gentilezza, ciao Antonio, buona domenica. Laura
Ultima modifica di Laura Traverso il 18/02/2025, 21:41, modificato 1 volta in totale.
Vittorio Felugo
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Ciao Laura. Il racconto passa dalla preoccupazione del protagonista (che angoscia anche il lettore) per quell'idea che ha in testa, e che viene svelata (per tenere alta la suspence) solo nella seconda parte. E ci si può rilassare, perchè c'è un lieto fine: dopo la morte immagini un qualcos'altro, sereno e libero da preoccupazioni. Come sempre, le tue storie toccano il cuore, e sono molto piacevoli, e il voto non può che essere alto. Un unico appunto: quel "Purtroppo nessuno sa ecc. " è un intervento invasivo del narratore che, a mio parere, guasta un tantino il finale. Ma è solo una mia opinione, non cambia il giudizio complessivo.
Brava!
Ultima modifica di Vittorio Felugo il 11/02/2025, 11:09, modificato 1 volta in totale.
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Re: Un pensiero da incubo

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Vittorio Felugo ha scritto: 10/02/2025, 11:11 Ciao Laura. Il racconto passa dalla preoccupazione del protagonista (che angoscia anche il lettore) per quell'idea che ha in testa, e che viene svelata (per tenere alta la suspence) solo nella seconda parte. E ci si può rilassare, perchè c'è un lieto fine: dopo la morte immagini un qualcos'altro, sereno e libero da preoccupazioni. Come sempre, le tue storie toccano il cuore, e sono molto piacevoli, e il voto non può che essere alto. Un unico appunto: quel "Purtroppo nessuno sa ecc. " è un intervento invasivo del narratore che, a mio parere, guasta un tantino il finale. Ma è solo una mia opinione, non cambia il giudizio complessivo.
Brava!
Ciao Vittorio, ti ringrazio tanto per aver letto e apprezzato il mio racconto che, dato l'argomento un po' triste, ha voluto terminare con un lieto fine, come bene hai evidenziato. Ti ringrazio anche tanto per la valutazione, qualsiasi essa sia. Ti faccio notare, però, che non è stato conteggiato il voto (ed è successo anche a me in passato) perché nel Titolo del tuo commento avresti dovuto scrivere "COMMENTO" invece risulta solo la risposta al titolo. Ritornando a quanto hai scritto sul mio brano, mi fa immensamente piacere che tu abbia detto che le mie storie "toccano il cuore e sono molto piacevoli". Cosa può esserci di più gratificante di ciò? Niente davvero! Pertanto grazie, mille grazie. Ciao
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Hai ragione, non ho messo "Commento", una svista di cui mi sono accorto in ritardo. Provvedo!
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Non spesso, ma penso alla morte come a qualcosa che si avvicina, inesorabile e ineluttabile. Più che la morte in sé, mi fa paura la sofferenza che la precede, soprattutto se si è coscienti di ciò. Certo, pensare al cono di luce e "al sentirsi leggeri come una libellula" può essere consolatorio, ma dubito che lo sia stato, ad esempio per mia madre, prima di esalare l'ultimo respiro in una stanza d'ospedale con i polmoni ormai inservibili, grazie a cure sbagliate e protocolli deliranti. Mio padre è stato più "fortunato", almeno è spirato quando era già in coma. Però essi vivono ancora in me, così come (spero) io vivrò in mio figlio, ed è questa, per me, l'unica consolazione.
Ciao, Laura e a rileggerti
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Il titolo potrebbe far immaginare un triller, invece il protagonista patisce qualcosa che ricorda il "male di vivere" di Montale.
Più che un racconto, è una riflessione sull'esistenza, che si conclude con la visione personale dell'autrice sull'immortalità dell'anima.
C'è comunque l'idea che questa sofferenza sia inevitable: "vorrebbe poterlo gridare per raggiungere il cuore di ogni anima inquieta, non può".

Tema importante e riflessioni meritevoli di condivisione.
Anzi, io credo che la condivisione sia un impegno che risolve quel senso di impotenza che il singolo può provare, ed impaurisce in modo irrazionale le persone più sensibili.
Per cui: a rileggerti !

Scorrevole il testo, con quanche pennellata poetica, ma anche quanche parte poco convincente.
Il voto fa parte di questo gioco, ma mi lascia un po' in imbarazzo, perchè in questa gara sono stati elargiti "mi piace tantissimo" a piene mani
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Andr60 ha scritto: 13/02/2025, 16:01 Non spesso, ma penso alla morte come a qualcosa che si avvicina, inesorabile e ineluttabile. Più che la morte in sé, mi fa paura la sofferenza che la precede, soprattutto se si è coscienti di ciò. Certo, pensare al cono di luce e "al sentirsi leggeri come una libellula" può essere consolatorio, ma dubito che lo sia stato, ad esempio per mia madre, prima di esalare l'ultimo respiro in una stanza d'ospedale con i polmoni ormai inservibili, grazie a cure sbagliate e protocolli deliranti. Mio padre è stato più "fortunato", almeno è spirato quando era già in coma. Però essi vivono ancora in me, così come (spero) io vivrò in mio figlio, ed è questa, per me, l'unica consolazione.
Ciao, Laura e a rileggerti
Ciao Andr, ho letto con dispiacere dei tuoi due lutti cosi dolorosi, ancora di più a causa dei protocolli deliranti e cure sbagliate. Sono state tragedie che ognuno, o quasi, ha vissuto nelle proprie famiglie. Circa il cono di luce a cui fai cenno menzionando il mio racconto, si riferisce al DOPO e non al durante, nel durante penso che niente consoli, soprattutto per quello, e per come, ci hanno fatto passare... Dopo mi auguro che tua mamma e tutti coloro che hanno affrontato l'inevitabile passaggio, abbiano potuto vivere, finalmente, la pace e la leggerezza di cui ho scritto. Lessi un libro, tanti anni fa: "Qualcuno è tornato" di Paola Giovetti, l'autrice fece ricerche in tutto il mondo sul dopo vita e ogni persona ha riferito (gente tornata in vita dopo il coma) la stessa sensazione di benessere e pace. Certo sì, i nostri cari continuano a vivere in noi, sarà così anche nel cuore dei nostri figli quando dovremo partire... Grazie molte per il commento e la valutazione.
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Laura Traverso
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Bobinsy ha scritto: 14/02/2025, 16:38 Il titolo potrebbe far immaginare un triller, invece il protagonista patisce qualcosa che ricorda il "male di vivere" di Montale.
Più che un racconto, è una riflessione sull'esistenza, che si conclude con la visione personale dell'autrice sull'immortalità dell'anima.
C'è comunque l'idea che questa sofferenza sia inevitable: "vorrebbe poterlo gridare per raggiungere il cuore di ogni anima inquieta, non può".

Tema importante e riflessioni meritevoli di condivisione.
Anzi, io credo che la condivisione sia un impegno che risolve quel senso di impotenza che il singolo può provare, ed impaurisce in modo irrazionale le persone più sensibili.
Per cui: a rileggerti !

Scorrevole il testo, con quanche pennellata poetica, ma anche quanche parte poco convincente.
Il voto fa parte di questo gioco, ma mi lascia un po' in imbarazzo, perchè in questa gara sono stati elargiti "mi piace tantissimo" a piene mani
Non li imito: 4
Ciao Bobinsy, e grazie per l'analisi completa al mio racconto. Sì, e vero, attraverso il protagonista della storia si mette in atto una riflessione sull'esistenza per mezzo del suo pensiero fisso che, come bene hai detto, impaurisce maggiormente e irrazionalmente le persone più sensibili. Penso anche che la sofferenza al pensiero sia inevitabile, a meno che non essere tra i fortunati non sfiorati da tale "incubo". Circa queste gare e il voto a cui fai cenno, fa parte del gioco, gioco utile, ci si migliora, e divertente, perché è uno scambiarsi comunque delle opinioni. Anche io sovente mi trovo in imbarazzo dinnanzi alle valutazioni da dare, in cui entrano in gioco tanti fattori, fattori che si percepiscono da tanti particolari. Ti ringrazio per il tuo 4 elargito molto generosamente. A rileggerci, ciao
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Ciao, Laura.
Curiosa la forma narrativa. Hai scelto un io narrante onnisciente che discorre, quasi ricorda, in terza persona di un protagonista impersonale di cui non rivela nemmeno il nome. Forse perché non necessario, infatti il tema del racconto è la morte, il passaggio a quell'infinito nulla che tutti temono e di cui molti parlano e che ci attende tutti. Il tema prende il sopravvento sulla narrazione, e questo è un po' un limite del racconto stesso. Sembra quasi che nasca da un desiderio di fare chiarezza dell'autore. Per riuscire a parlare di morte con serenità hai scelto una forma impersonale che distanzia non solo il lettore, ma probabilmente anche l'autore, e che avvicina lentamente ma inesorabilmente all'evento, ma tenendolo sempre a distanza, e in questo caso l'io narrante fa da spettatore. Insolito. Il tema, dicevo, non certo facile.
Gli uomini, soprattutto gli occidentali, sono ossessionati dall'idea di trovare un senso e uno scopo a ogni cosa e a ogni caso. Hanno inventato anche il principio di causa ed effetto per giustificare ogni tipo di indagine che, andando a ritroso, pervenga alla fonte singolare di tutti gli eventi. Hanno cercato i particolari e hanno dimenticato di osservare il quadro nel suo insieme. Ci siamo, viviamo, e lo facciamo tra un esserci potenziale prima della nascita, che è un nulla non potenziale, e un nulla che sopraggiungerà dopo. Che diventiamo polvere di stelle, quindi sempre un qualcosa, per i più è magra consolazione. Ci sono altre vite o la vita eterna. Perché solo la vita fa da argine al nulla. Ma anche la polvere, se può consolare, prima o poi, svanirà a meno di non voler credere a quell'incubo che è il multiverso.
Ti segnalo solo un refuso, un né non accentato: "più a ragionare e a comprendere dove fosse ne che gli stesse accadendo."
Hai citato la Hack in una risposta. La ricordo con piacere, devo avere qualcosa di suo da qualche parte. Era una divulgatrice efficace e molto coinvolgente e uno spirito ottimista, forse in questo figlia del positivismo dell'Ottocento. Era nata nel 1922, quindi la sua formazione era ancora piena del secolo precedente e fu, vado a memoria, direttore dell'Osservatorio di Arcetri, quando si faceva astronomia nel freddo di una cupola aperta accostando l'occhio a un oculare.
Oggi la ricerca scientifica la fanno le macchine controllate a distanze di migliaia o milioni di chilometri. Secondo me un'ulteriore perdita di contatto con la realtà del mondo. A ogni modo, bel racconto, quasi una discussione tra te e noi sull'argomento.
A rileggerti

P.S. Ma sei sicura che la Hack abbia vinto un premio nobel?
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Laura Traverso
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Namio Intile ha scritto: 17/02/2025, 14:59 Ciao, Laura.
Curiosa la forma narrativa. Hai scelto un io narrante onnisciente che discorre, quasi ricorda, in terza persona di un protagonista impersonale di cui non rivela nemmeno il nome. Forse perché non necessario, infatti il tema del racconto è la morte, il passaggio a quell'infinito nulla che tutti temono e di cui molti parlano e che ci attende tutti. Il tema prende il sopravvento sulla narrazione, e questo è un po' un limite del racconto stesso. Sembra quasi che nasca da un desiderio di fare chiarezza dell'autore. Per riuscire a parlare di morte con serenità hai scelto una forma impersonale che distanzia non solo il lettore, ma probabilmente anche l'autore, e che avvicina lentamente ma inesorabilmente all'evento, ma tenendolo sempre a distanza, e in questo caso l'io narrante fa da spettatore. Insolito. Il tema, dicevo, non certo facile.
Gli uomini, soprattutto gli occidentali, sono ossessionati dall'idea di trovare un senso e uno scopo a ogni cosa e a ogni caso. Hanno inventato anche il principio di causa ed effetto per giustificare ogni tipo di indagine che, andando a ritroso, pervenga alla fonte singolare di tutti gli eventi. Hanno cercato i particolari e hanno dimenticato di osservare il quadro nel suo insieme. Ci siamo, viviamo, e lo facciamo tra un esserci potenziale prima della nascita, che è un nulla non potenziale, e un nulla che sopraggiungerà dopo. Che diventiamo polvere di stelle, quindi sempre un qualcosa, per i più è magra consolazione. Ci sono altre vite o la vita eterna. Perché solo la vita fa da argine al nulla. Ma anche la polvere, se può consolare, prima o poi, svanirà a meno di non voler credere a quell'incubo che è il multiverso.
Ti segnalo solo un refuso, un né non accentato: "più a ragionare e a comprendere dove fosse ne che gli stesse accadendo."
Hai citato la Hack in una risposta. La ricordo con piacere, devo avere qualcosa di suo da qualche parte. Era una divulgatrice efficace e molto coinvolgente e uno spirito ottimista, forse in questo figlia del positivismo dell'Ottocento. Era nata nel 1922, quindi la sua formazione era ancora piena del secolo precedente e fu, vado a memoria, direttore dell'Osservatorio di Arcetri, quando si faceva astronomia nel freddo di una cupola aperta accostando l'occhio a un oculare.
Oggi la ricerca scientifica la fanno le macchine controllate a distanze di migliaia o milioni di chilometri. Secondo me un'ulteriore perdita di contatto con la realtà del mondo. A ogni modo, bel racconto, quasi una discussione tra te e noi sull'argomento.
A rileggerti

P.S. Ma sei sicura che la Hack abbia vinto un premio nobel?
Ciao Namio, a seguito della tua domanda sulla Hack mi è venuto il dubbio e ho fatto ricerche consultando, soprattutto, la Treccani, esattamente il suo dizionario biografico che dice "non ha vinto il nobel ma ha raggiunto una fama impareggiabile per l'astrofisica", infatti sono elencati un'infinità incredibile di premi e riconoscimenti che la scienziata ha avuto meritatamente. Si è anche detto che il nobel non le venne consegnato per le sue idee molto emancipate (gay e eutanasia) e non accettate dalla società di allora, era un personaggio un poco scomodo. Ho scoperto anche che la credenza falsa circa il nobel si era diffusa molto tra gli italiani, tra cui io, sbagliando. Ti ringrazio per avermi dato l'opportunità di verificare e, imparare...Toglierò il particolare dal commento dato. Circa l'analisi fatta al mio racconto, come bene hai detto affronta uno dei tabù più ostici per tutti noi, ho voluto proporlo "bene", con ottimismo e speranza. Non sono molto informata sul multiverso, anche su ciò, grazie a te, farò ricerche per saperne di più. Io sono tra quelli umani occidentali che cerca di dare un senso principalmente al tema trattato, e perciò penso che ritorneremo... e ti assicuro che la faccenda non mi entusiasma troppo, della serie "altro giro e altra corsa" (e questa è una credenza orientale che ha, se non sbaglio "creato" anche il Karma: per dare un senso alla qualità dei ritorni). Ma è un discorso tanto complesso, ognuno si è fatto in merito la propria opinione/speranza. E comunque te lo dico io che faccenda che dovremo affrontare... Ti ringrazio Namio per il commento molto bene espresso, come al tuo solito, e per aver letto, apprezzato e valutato benissimo il mio scritto. Grazie infinite. Un caro saluto. (A fine gara metterò l'accento mancante sul ne)
Namio Intile
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Ciao, Laura. Guarda che il nobel è un premio sopravvalutato e totalmente ideologico. Chi lo vince? Al novanta per cento anglosassoni in medicina chimica fisica o comunque gente che ha lavorato o fatto ricerca in America. Vedi Parisi, Giacconi, Dulbecco tra gli ultimi italiani ad arrivarci. Alla Hack, che ha lavorato solo in Italia non l'avrebbero dato né ora né mai. Lo stesso Fermi lo vinse quando andò via dal paese per gli Stati Uniti.
Per la letteratura stendiamo un velo pietoso, soprattutto per la massa abnorme di scandinavi sconosciuti. Con Bob Dylan hanno fatto hara kiri poi. Non l'ha vinto Milan Kundera, non l'ha vinto Calvino, non l'ha vinto Sciascia, non l'ha vinto Umberto Eco o Giorgio Bassani, in compenso l'hanno dato a Dario Fo e a Ishiguro, che non sono tra i peggiori.
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Re: Un pensiero da incubo

Messaggio da leggere da Laura Traverso »

Namio Intile ha scritto: 19/02/2025, 15:27 Ciao, Laura. Guarda che il nobel è un premio sopravvalutato e totalmente ideologico. Chi lo vince? Al novanta per cento anglosassoni in medicina chimica fisica o comunque gente che ha lavorato o fatto ricerca in America. Vedi Parisi, Giacconi, Dulbecco tra gli ultimi italiani ad arrivarci. Alla Hack, che ha lavorato solo in Italia non l'avrebbero dato né ora né mai. Lo stesso Fermi lo vinse quando andò via dal paese per gli Stati Uniti.
Per la letteratura stendiamo un velo pietoso, soprattutto per la massa abnorme di scandinavi sconosciuti. Con Bob Dylan hanno fatto hara kiri poi. Non l'ha vinto Milan Kundera, non l'ha vinto Calvino, non l'ha vinto Sciascia, non l'ha vinto Umberto Eco o Giorgio Bassani, in compenso l'hanno dato a Dario Fo e a Ishiguro, che non sono tra i peggiori.
Ciao Namio, sono d'accordo con te in merito alla sopravvalutazione del nobel. Vero è anche per la letteratura, hanno ignorato dei grandissimi autori, da te citati, per altri dal valore non paragonabile. Ricordo bene quando premiarono Dario Fo e le polemiche che ne seguirono, non sono al corrente, invece, di Ishiguro, che, sinceramente, non conosco o almeno non me ne ricordo. E devo anche ammettere di non essere a conoscenza di tutti i nomi premiati col nobel. Grazie per avermi delucidato, è sempre un piacere "parlare" con te, mi piace imparare e tu sei veramente un ottimo maestro, preparato su tutti gli argomenti. A rileggerci, ciao
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