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Indice:
La gara
Introduzione
C'era una volta...
Cappuccetto Rosso
Il brutto anatroccolo
Pinocchio
Peter Pan
Biancaneve
La cicala e la formica
I tre porcellini
the end 
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Una produzione

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La gara

Gara 3
C'ERA UNA VOLTA...
FEBBRAIO 2009
antologia per BraviAutori.it
a cura di Bonnie, prefazione di Alda Tosco Visconti
illustrazioni di Bonnie
Si ringraziano gli Autori di questa antologia per la partecipazione.
Nota: l'antologia impiega l'editing degli autori.
Trasformazione digitale: MiCla Multimedia

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Introduzione

...e siamo giunti alla terza edizione della Gara! Chi avrebbe mai pensato che da un tema così semplice potessero uscire racconti così intriganti, misteriosi e divertenti?
La scommessa è stata vinta da DaFank, con il suo estroso Pinocchio toscano. Bravissimo!
Mi voglio congratulare con tutti i partecipanti per la fantasia e per qualità espressa nei loro elaborati, mi sono proprio divertita leggendovi!
Un grazie particolare ad Alda, che mi ha regalato una prefazione che racchiude l'essenza di questa iniziativa, lo spirito giocoso e amichevole. Grazie di cuore.
Grazie a Max Baglione, per aver messo a disposizione i mezzi; ad Alessandro, che l'hai ideata; a Pia, che è stata un eccellente contabile.
Ah, dimenticavo... le immagini sono di Ivana (alias Bonnie).
Buona lettura!



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C'era una volta...

...le favole, tramandate nei secoli.
Chi di noi non si è mai immerso nel sogno fiabesco? Forse tutti.
Nasceva e nasce ancora oggi, nei piccoli ascoltatori, la necessità di mettersi alla prova, di confrontare proprie emozioni. La lettura della fiaba potrebbe essere definita sia costruttiva (per la crescita personale, quindi educativa), sia curativa.
Linguaggio inteso come un “buttare fuori” da ognuno doti nascoste, pensieri irrisolti e manifestazioni psicologiche differenti legate anche a vissuti. Oppure grande necessità di vivere leggeri per alcune ore, dimenticando dolori e sognando. Con la fiaba si sogna e si sdrammatizza: uno sfogo, forse di pensieri insoluti, dell'io.
Gli adulti posti a tu per tu con la fiaba, potranno avere una rielaborazione personale dei propri vissuti rendendo forse maggiormente interessanti i racconti di questa raccolta per uno studio a livello psicologico.
Il ”C'era una volta…” non è necessità peculiare dell'infanzia, è desiderio inconscio dell'adulto di rimettere in ordine alcuni particolari circuiti disagevoli in cui a volte il corpo è immerso. Si cerca di smitizzare questo mondo difficile alla ricerca del lieto fine che emerge in ognuno di questi racconti.
Noi qui, invece, siamo semplicemente un solido gruppo di amici che si alterna nel gioco dello scrivere, e si è ”prodotto” in questa gara mostrando abilità differenti di linguaggio scritto e pensiero personale. Non è stato manifestato il desiderio di vagliare la mente di ognuno degli autori, bensì il valutare la fantasia espressiva e il grande desiderio di rimettere sé stessi in gioco.
Si cerca di smitizzare questo mondo difficile alla ricerca del lieto fine che emerge in ognuno di questi racconti, tutti intensamente profondi... se si volesse dare loro un significato. Semplicemente deliziosi nei contenuti, con una ”offerta” al lettore di come le nostre menti siano abili, contestualmente alla traccia di “esprimersi, senza perdere il senso del racconto e scendere nell'ovvietà dello scritto”.
É questo il grande ”gioco” di BraviAutori.it, giocare tutti insieme con le parole, rendendo questo gruppo interessante dal punto di vista di aggregazione socioculturale, e desiderio enorme di confrontare sé stessi con gli altri.
Questo l'intento di Bonnie, che magistralmente ha ”creato” la gara.
Visconti Tosco Alda (alias aldatv)


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Cappuccetto Rosso

C'era una volta… un giovane lupo.
Era gentile, carino ed educato, ma come tutti i cuccioli era irruente, e talvolta sprovveduto.
Un giorno, il lupo chiese a sua madre se poteva andare a giocare nel bosco: ”Va' pure.” gli rispose mamma lupa “Ma mi raccomando, resta nel folto degli alberi e sta' lontano dal sentiero.”
”Certo mamma, farò come dici tu.” rispose lui, sebbene in realtà a malapena l'avesse udita.
Fu così che giocando, correndo e ruzzolando spensierato, il lupo si ritrovò sul sentiero che attraversava il bosco, e lì incontrò una ragazza che indossava una mantellina rossa, col cappuccio tirato sopra la testa, e portava un paniere di vimini coperto da uno strofinaccio. Mai prima di allora aveva incontrato un essere umano in vita sua, così non si spaventò e la salutò cordialmente: ”Buongiorno.”
”Buongiorno a te lupo.” rispose lei ”Cosa ci fai qui nel bosco?”
”Niente, stavo solo giocando. E tu?” le chiese di rimando.
”Sto andando alla casa della nonna, dall'altra parte del bosco. Vive lì tutta sola e ora si è ammalata, perciò sto andando a trovarla.”
”È gentile da parte tua.” disse contento il lupo “E che cosa le porti in quel paniere?”
”Ho marmellata, focacce, biscotti e pane appena sfornato, ma non sono per lei, è il mio pranzo. A lei sto portando questo.” disse la ragazzina togliendo dal paniere un lungo e affilato coltello.
”E perché mai?” si stupì il giovane lupo.
”Perché con questo le taglierò la gola, poi le ruberò i soldi e dirò di averla trovata morta. Lo sanno tutti che vivere ai margini della foresta è pericoloso, nessuno si stupirà.”
Il lupo, a sentire quelle parole, rabbrividì. ”E… e perché me lo dici?” domandò con un filo di voce.
”Perché prima di uccidere lei ucciderò te, per farmi una bella pelliccia di lupo.” rispose la ragazzina avventandosi contro di lui.
Il povero lupo riuscì a sfuggirle per un soffio, e si mise a correre a perdifiato nel folto del bosco, fin quando non si fermò ansimante, poggiando le spalle a una robusta quercia, nella speranza di averla seminata. Mentre riprendeva fiato, pensò all'orribile sorte che attendeva la povera vecchietta che viveva oltre il bosco.
”Devo avvisarla.” decise, e così si rimise in marcia, più veloce che poteva, verso l'abitazione della nonna. Giunse infine in vista della casa e subito bussò alla porta.
”Chi è?” chiese una voce flebile dall'interno.
”Buona nonnina, sono un lupo. Sono venuto a trovarla perché so che è malata, e per dirle una cosa importante. La prego, mi faccia entrare.”
”Caro lupo, sono troppo debole.” rispose ancora la vocina “La porta è aperta, entra pure.”
Il lupo spinse la porta e si fece strada nella casa, fino alla stanza da letto della nonna. Lì la vide raggomitolata sotto le coperte. Solo la testa, coperta da una cuffietta, e le dita di una mano sporgevano fuori dalle coltri.
”Nonnina…” disse, ma lei lo interruppe.
”Vieni più vicino, lupo caro. Da lì non ti vedo e non ti sento, sono vecchia e non ho più i sensi di una volta.”
Così il lupo si avvicinò, e guardò la testolina poggiata sul cuscino, da cui due occhi lo fissavano tra le palpebre semichiuse.
”Che occhi piccoli hai nonnina.” commentò il lupo.
”È perché sono malata. Vieni più vicino, faccio fatica a vederti.”
Lui si avvicinò.
”E che mani piccole hai.” disse quando fu più vicino.
”È perché sono vecchia e avvizzita, lupo caro, ma non ti preoccupare…”
Una fitta improvvisa al petto fece ululare il lupo di dolore. Quando abbassò lo sguardo, vide un manico nero che gli spuntava dallo sterno.
”… il coltello è grande abbastanza.” concluse la ragazzina gettando via le coperte e affondando ancor di più la lama, continuando a tagliare e tagliare finché il povero animale fu letteralmente aperto in due, e le sue viscere sgorgarono sopra il letto.
Toltasi il travestimento, la ragazzina si rimise i propri vestiti, che aveva lasciato da parte perché non si sporcassero troppo. Poi si chinò e tirò fuori da sotto il letto il corpo senza vita di sua nonna, con la gola squarciata da parte a parte, infierendo su di esso con le zanne del lupo morto, per far sembrare che l'avesse morsa e masticata.
Volle il caso che stesse passando da quelle parti un cacciatore, che udì l'ululato del lupo e si preoccupò.
Proprio mentre la ragazzina si alzava, avendo terminato il suo lavoro, l'uomo entrò come una furia nella casa, guardandosi intorno e chiamando a gran voce.
Giunto in camera da letto vide la nonna e il lupo, entrambi morti, e la ragazzina sporca di sangue e in un lago di lacrime.
”Il lupo…” disse lei singhiozzando…” il lupo aveva mangiato la nonna e si era… si era messo i suoi vestiti. Mi ha ingoiata… tutta intera. Per fortuna… avevo questo…” gli mostrò il coltello insanguinato “…e sono… sono riuscita a uscire aprendogli la pancia.”
”Povera bambina.” disse il cacciatore, avvicinandosi per abbracciarla, forse un po' più stretto di quanto fosse lecito “Non ti preoccupare, adesso è tutto finito. Diremo che sono stato io a uccidere il lupo, così nessuno ti chiederà niente e la gente ti lascerà in pace.” aggiunse, pensando alla bella figura che gliene sarebbe derivata.
La bambina singhiozzò e si asciugò le lacrime col dorso di una mano.
”Sì, sì… meglio così.” gli rispose.
E fu così che la storia venne tramandata.
CMT


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Il brutto anatroccolo

"C'era una volta… una mamma anatra che…"
"No, senti papà, adesso basta! Questa favola ce l'hai già raccontata e fa schifo! È triste, è tutto miele e ci siamo stancati di sentirla! Non sai qualche storia più…
"…più FORTE?"
"State scherzando? Non vi piace la storia del brutto anatroccolo?"
"No!" fecero in coro i due gemellini. Stefano li guardò, con lo sguardo indulgente del padre affettuoso. Solo loro riuscivano a dargli conforto, ormai… Sua madre era morta… assassinata da chissà chi, il pomeriggio prima. Leggere delle favole a quei due marmocchi, che erano la sua vita, avrebbe solo potuto fargli del bene. Si sarebbe interposto fra loro e ogni sorta di pericolo, per sempre.
Ricacciò le lacrime indietro. "Io non ne conosco altre, ma… Facciamo così: come fareste diventare questa favola, voi?"
I due bambini si guardarono, complici, e sorrisero in maniera strana. Un piccolo brivido solcò le scapole dell'uomo, che non comprese i loro assensi; li guardò con attenzione: erano uguali alla madre… che Dio l'avesse avuta in gloria! I due bambini lo fissarono, con la luce della soddisfazione negli occhi, e iniziarono a raccontare. Sembrava si fossero già messi d'accordo, prima.
"Beh, intanto facciamo che l'anatroccolo aveva i denti…"
"Sì, sì, lunghi come quelli degli squali!"
"Era nato brutto e grosso, ma era anche cattivo…"
"E tutti quelli che si avvicinavano non potevano picchiarlo perché… perché li mordeva tutti a sangue!"
"Sì, sì… e gli staccava pure la testa, ai fratelli!"
Stefano avvertì, d'improvviso, la poltrona scottare; cambiò posizione, a disagio: "Ragazzi, ma… come vi viene in mente?!"
Ma i gemelli, ormai incuranti delle frasi del padre, continuarono eccitati nella loro interpretazione.
"Poi, visto che aveva ammazzato tutti, pure la mamma, andava via. Intanto era diventato ancora più grosso e gli occhi erano diventati verdi!"
"V… verdi? E perché verdi?"
"Perché il verde è il colore dei morti, papà!" Ovvio, scontato…
Cosa stavano dicendo?
"Insomma, corre via, no?"
"Ma no! Vola via!"
"Ah sì! E poi trovava la casa con la vecchia, il gatto e la gallina… E ammazzava pure loro, perché lo prendevano in giro… Sì, ma come?"
I due bimbi si guardarono, davanti al terrore del padre che non capiva come potessero balenare, in quelle piccole menti, pensieri così macabri…
"Chiedeva aiuto al Diavolo! Ti ricordi nonna, ieri, ci ha detto che i cattivi parlano sempre col Diavolo?" Come due adulti, si scambiavano opinioni, senza senso, gesticolando di continuo…
"Sì! E il Diavolo li bruciava tutti!" Sorrisero, contenti, mentre Stefano si alzava, visibilmente turbato: "D'accordo, ragazzi, adesso a letto a dormire…"
Mattia, il gemello di destra, gli afferrò la mano, con una forza sconosciuta, e lo guardò… in maniera inquietante:
"No, papà! Dobbiamo finire la favola!"
Sì, papà: mettiti seduto!"
Il bimbo lasciò la presa e tornò a sistemarsi sul lettino, contento di vedere il padre tornare sulla poltrona, l'espressione indecifrabile sul volto.
"Sì perché poi l'anatroccolo andava via di nuovo e vedeva i cigni, che erano belli… E allora desiderava diventare un uomo per strappare tutte le loro penne, una per una…"
"Col sangue che usciva fuori!"
"MA COSA STATE DICENDO? CHI VI HA MESSO IN TESTA QUESTE COSE?"
"Papà, l'uomo è più cattivo di tutti, è normale che l'anatroccolo voglia diventare come noi. Nonna ci ha detto che noi siamo due demoni, ieri. Ci ha spiegato che siamo… posseduti…"
"Sì, posseduti!"
"Ma cos…"
"E che il Diavolo ci comanda… "
"Sì!"
"Ecco perché non l'hai sentita oggi… Ha cominciato a strillare, mentre giocavamo con Felix… Ma quel gatto mi aveva graffiato…"
"Sì, mica potevamo fargliela passare liscia… Noi volevamo solo giocare!"
"E invece nonna ha cominciato a gridare e a picchiarci e… Non potevamo continuare a farci menare… Mamma ci ha sempre detto che non dobbiamo farci trattare male da nessuno… E anche tu ce lo hai detto, quando hai letto la favola del brutto anatroccolo! Siamo piccoli, ma… "
"Sì! Mattia ha ragione! E ci siamo fatti valere, noi!"
Sorrisero, soddisfatti. Ora il papà li avrebbe elogiati, sì!
"C… cosa state dicendo? Cosa avete fatto? Non posso…"
"Non sei contento? Siamo stati bravi, no?"
"Ma cosa state dicend…"
I due bambini si alzarono dai loro lettini, mano nella mano, e guardarono l'uomo, seduto e con le lacrime agli occhi per lo stupore.
"Noi pensavamo che saresti stato contento…"
"Ma… ma…"
I gemelli aprirono le bocche, dai denti affilati e bianchi… asserragliati come quelli degli squali…
"CHI SIETE?"
"Il brutto anatroccolo è cresciuto ed è diventato uomo… Noi cresceremo e diventeremo forti!"
Si avventarono sul padre, che non poteva credere, non poteva ribellarsi, non poteva…
Un urlo straziante dilaniò il silenzio e di Stefano rimasero pochi brandelli di carne, sanguinolenti e mezzi masticati dalle fauci dei due piccoli demoni.
Demoni…
No.
Due piccoli anatroccoli che stavano trasformandosi nei cigni del male!
Federica


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Pinocchio

 
pinocchio
 
La vera storia di PINOCCHIO
scemeggiata da Dafank
 
C'era una volta…
- Un re! - diranno subito i miei piccoli lettori.
No, ragazzi, avete sbagliato. C'era una volta un pezzo di legno.
Non era un legno di lusso, ma un semplice pezzo da catasta, di quelli che d'inverno si mettono nelle stufe e nei caminetti per accendere il fuoco e per riscaldare le stanze.
Non so per quale motivo ma questo pezzo di legno capitò nelle mani di Mastro Ciliegia che ne voleva fare una gamba per il suo tavolo, se solo il ceppo non avesse iniziato a parlare.
- Icchè ttu ffai? - disse il ceppo a Mastro Ciliegia vedendolo prendere in mano un martello.
L'arnese gli cadde di mano per lo spavento e Mastro Ciliegia si precipitò da Ingvar Feodor Kamprad detto Geppetto, per donargli il ceppo che tanto lo terrorizzava.
Geppetto cominciò a lavorare il legno per farne un burattino.
- Ohi! Ohi! Ohi! - gemeva il ceppo allo strusciare della pialla.
- Un tu'nnhai ancora assaggiato la sega! - disse Geppetto.
- Unne ho sentito parlare tanto male - disse il ceppetto a Geppetto… a parte degli effetti collaterali alla vista…
 
Geppetto finì il burattino: sembrava proprio un bamboccione di 35 anni, con tanto di moglie a carico, lavoro precario e due mutui da pagare. Era pronto.
- Vediamo… - disse Geppetto… Brocio… no, non mi piace… Fay… no, troppo snob… Bicchione… no. Ho trovato: lo chiamerò Pinocchio!!
L'uomo trattava il burattino come un figlio.
Un giorno, mentre era intento a insegnargli a camminare, lo vide correre via veloce come il vento e gli andò subito appresso. Lo trovò solo un'ora dopo nei pressi di Bologna in compagnia di due carabinieri che l'avevano fermato al casello per sperimentare su di lui il test etilometrico.
- Non ho bevuto! - mentì Pinocchio ai carabinieri e intanto sentiva il suo corpo mutare all'altezza delle mutande.
- Ve lo giuro! - e il corpo mutò ancora, non senza una certa sua soddisfazione.
Continuò così finché i due, sorpresi nel veder cotanta roba, lo lasciarono andare stringendogli la mano per fare i loro complimenti. Pinocchio firmò gli autografi e tornò a casa col babbo.
 
Geppetto, povero in canna (che era l'unico vizio che si poteva permettere avendo una pianta di marijuana in giardino) si mise a spacciare un po' d'erba davanti alla scuola pur di comprare i libri che servivano a Pinocchio per studiare.
Pinocchio, d'altro canto, compreso il dono che portava in sé, si chiudeva spesso in bagno alternando bugie a verità e restandone pure molto soddisfatto. A Geppetto però questo non piaceva:
- Pinocchio! Smettila, tu ffai i trucioli!!! Poi diventi anche cieco!
- Ok, se riesco a vedere dove è la porta magari esco… - rispondeva l'altro.
 
Un giorno, andando a scuola, incontrò un suo amico, Lucignolo, che tra le tante cose era anche conduttore di una trasmissione alla tv.
- Ciao Pinocchio, facciamo sega a scuola oggi?
- No guarda, non ne posso più. - disse l'altro con due occhiaie che arrivavano a terra.
- Ma che hai capito? Andiamo nel Paese dei Balocchi!!
Pinocchio accettò e durante tutto il tragitto fu seguito da un Grillo logorroico di nome Beppe, che non faceva altro che ripetergli che non avrebbe dovuto fare sciocchezze, e altre cose sui termovalorizzatori che Pinocchio non capì bene. Seccato lo mise in una gabbietta per rivenderlo ai bambini della Festa del Grillo alle Cascine di Firenze, continuando per la sua strada.
Dopo mesi di stravizi al Paese dei Balocchi, tra lap dance e club di scambisti, nei quali riscosse molto successo per merito della sua dote, Pinocchio si ritrovò trasformato in un ciuchino, con gli orecchi lunghi, il pelo lungo e… d'improvviso apparve davanti a lui la Fata Turchina (nota passeggiatrice del Brenta) che per ringraziarlo di una indimenticabile notte di menzogne passata con lui, lo trasformò di nuovo in un burattino.
Pinocchio riuscì così a scappare dal mercante che lo voleva vendere per tre talleri a un pastore sardo, ma dopo qualche giorno passato vagando senza meta cominciò a sentire il morso della fame. Si fece assumere con contratto Co Co Co, come freak, al Circo di Mangiafuoco. Guadagnò cinque denari e li investì alla Lehman Brothers (così come gli avevano consigliato i suoi due consulenti finanziari, il Gatto e la Volpe).
Geppetto nel frattempo era partito alla ricerca di Pinocchio, per mari e per monti. Soprattutto per mari dato che lo aveva inghiottito un Pesce Cane.
Sconsolato dopo aver perso tutti gli investimenti, Pinocchio, seduto su uno scoglio sul molo di Torre del Lago (dove lo elessero cittadino onorario) avvistò un Pesce Cane rincorrere un Pesce Gatto. Osservandolo bene a bocca aperta nell'intento di mordere il malcapitato Pesce Gatto che nuotava miagolando qua e là, gli parve di vedere nell'antro buio del suo stomaco la sagoma di Geppetto (quel burlone).
- Babbo, babbo… icchè ttu ffai costì? Aspetta che ti vengo a salvare!! - gridò gettandosi in acqua e nuotando con tutta la forza che aveva nelle braccia.
Il Pesce Cane inghiottì Pinocchio che si ritrovò seduto accanto a Geppetto al lume di una lanterna.
Per fortuna il pescione fu pescato dal peschereccio di Capitan Findus. Pinocchio e Geppetto furono liberati e il Pesce Cane inscatolato e venduto a filetti all'Ipercoop di Viareggio.
Tornati a casa Pinocchio frequentò la scuola regolarmente e si cercò un lavoro. Dopo una lunga carriera da pornostar alla quale era stato introdotto dalla Fata Turchina, decise di abbandonare e darsi alla politica, dove le sue menzogne furono apprezzate moltissimo. Fu eletto Presidente del Consiglio e si divertì un mondo.
Geppetto aprì un mobilificio a Quarrata, che fu costretto a chiudere dopo qualche mese, quando una mandata di Noce logorroico fu trasformata in credenze, tavoli e sedie. I clienti, annoiati dal continuo chiacchiericcio dei propri mobili, li riportavano al vecchio chiedendo indietro i soldi.
Ma Geppetto non si scoraggiò, cambiò strategia commerciale e aprì un centro IKEA all'Osmannoro, tuttora aperto anche la domenica.
E vissero tutti felici e contenti.
 
DaFank

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Peter Pan

C'era una volta… la mia favola di Peter Pan.
Giorno uno
Peter ha gli occhi secchi, è sdraiato sopra un letto, immobile. Sogna immagini in bianco e nero, luoghi sconosciuti si alternano a figure sfocate. Le percezioni sono improvvise, repentine, casuali. Il viaggio onirico si ferma in una camera, ora la scena è nitida. Peter è seduto a terra, ha le gambe incrociate. La finestra della stanza è chiusa, le persiane accostate. Un raggio di sole penetra tra le fessure, rimbalza su una vecchia radio cromata e colpisce un cesto di giocattoli: burattini e marionette, bambole di pezza con teste di ceramica, soldati di ferro e buffi clown.
Giocattoli ovunque.
Peter ha una foto tra le mani. Sobbalza e ride per un urlo soffocato che attraversa il pavimento. È un rumore spento, sale dalla cantina accompagnato da uno strusciare metallico. Si alza, tiene stretta la foto e arriva alla finestra, guarda fuori: un luna park in disuso. Giostre abbandonate, la ruota panoramica mangiata dalla ruggine e un cartello di benvenuto: L'isola che non c'è.
Peter si volta, uno specchio riflette un viso che non è il suo e che non conosce. Torna seduto a terra, ancora un urlo ovattato. Sobbalza e respira, mentre accarezza il volto ritratto nella fotografia.
Giorno due
Michael Aturio ha nove anni, è al parco giochi, al terzo giro di scivolo. Il giardino è un susseguirsi di altalene, bambini e mamme. Si respira l'aria fresca della primavera.
Un uomo è seduto su una panchina, ha in mano una macchina fotografica. Inquadra, mette a fuoco un cavallino di legno, sposta l'obiettivo, centra Michael, due click.
L'uomo si alza, cammina, controlla. La mamma di Michael è distratta, parla con una donna. Lui avvicina il bambino:
- Una caramella? - Sorride.
Michael lo guarda, ricambia il sorriso. Infila la mano nella busta trasparente, tocca la caramella con la carta verde, la evita; prende quella con la carta rossa, la scarta e la mette in bocca.
L'uomo si allontana un metro, lo vede vacillare, portarsi una mano alla fronte. Dopo dieci secondi il bambino ha gli occhi semichiusi, sta per cadere a terra. L'uomo si avvicina e lo sorregge, venti passi e sono fuori dal parco giochi, altri dieci e sono in un furgone.
Michael Aturio riprende conoscenza due ore dopo. Apre gli occhi ma non vede nulla, è buio. Respira a fatica l'aria umida di una cantina. Si alza, ricade; ha i piedi incatenati. Urla a squarciagola.
Giorno tre - mattino
L'ispettore Marie Angel è al distretto di polizia, nel suo ufficio, seduta alla scrivania. Apre e chiude siti internet, passa in rassegna articoli di giornale, cerca l'illuminazione.
La porta si apre e lei non si accorge di nulla, una voce la scuote:
- È arrivata la terza foto, coincide con il bambino scomparso ieri, è Michael Aturio.
Marie si alza di scatto e strappa la fotografia dalle mani dell'agente. È un primo piano.
- Pezzo di merda. Maledetto pezzo di merda. - Esclama.
Tre foto per tre bambini svaniti nel nulla. Il primo è stato John Rabiv, quattro giorni fa, ha sette anni; la seconda, una bambina di dieci anni: Wendy Darling; il terzo è Michael Aturio.
- Non lo troveremo mai. - Sentenzia l'agente.
- Vaffanculo anche a te.
Passano tre minuti, una seconda guardia entra nell'ufficio dell'ispettore. Trova la donna con le spalle alla parete, la sigaretta in bocca e il viso nel fumo.
- Ispettore, di là c'è un tale, afferma di avere notizie sui bambini scomparsi.
- Se è uno scherzo lo sbatto in galera.
- Gliel'ho detto. Ha insistito.
- Vediamo se insiste anche con me. - Marie Angel spegne la sigaretta sulla parete e butta il mozzicone a terra.
La sala d'attesa è sporca e rumorosa. I telefoni del centralino squillano senza sosta; le prostitute parlano tra loro in attesa di essere riconosciute; un tossico piange e vomita; una anziana urla la sua indignazione per essere stata scippata.
- Eccolo, è lui, quello vicino alla colonna. - L'agente indica un uomo di trent'anni, capelli biondi, occhi azzurri, camicia verde.
L'ispettore Angel si avvicina, parla con voce ferma:
- Lei sarebbe?
- Peter.
- Peter? - Infastidita.
- Peter Pan - L'uomo sorride, Marie Angel no.
- Mi perdoni ispettore, mi chiamo Peter Terpe.
- Che notizie ha sui bambini scomparsi?
- Io credo di aver visto strani movimenti…
- Lei crede?
L'uomo sorride per la seconda volta.
- È stato al vecchio luna park L'isola che non c'è. Un uomo con un bambino che urlava e si dimenava. Ho ritenuto opportuno dirvelo. I bambini devono ridere e giocare, sognare e volare. I bambini hanno diritto a restare tali più a lungo possibile. Devono credere alle favole, non alla violenza. - Terzo sorriso.
- Aspetti un attimo, mi deve lasciare una deposizione scritta. - Dice Marie Angel.
L'ispettore cammina verso il bancone, parla con un agente che le passa un foglio prestampato. Quando si volta, Peter non c'è più.
Giorno tre - sera
Alle 16:15 tre volanti della polizia arrivano all'Isola che non c'è. Gli agenti perlustrano il luna park e bussano alla casa del custode. Uno sparo rompe il silenzio. Sfondano la porta, davanti a loro il cadavere di un uomo con la testa spappolata. Ha in mano una pistola. L'altra mano non c'è, al suo posto un uncino.
Michael, John e Wendy urlano e sbattono le mani sulla parete della cantina, sotto la casa.
Sono vivi.
Quattro ore dopo, Marie Angel beve una birra al pub, il suo cellulare squilla.
- Ispettore, ho trovato Peter Terpe.
- Finalmente! Portalo in centrale, io arrivo.
- Impossibile, è morto.
- Cosa? Morto?
Silenzio.
- Ho riconosciuto il corpo, è l'uomo che è venuto oggi da noi.
- Stai dicendo un'assurdità. - La donna urla incredula.
- Ispettore, le dico, Terpe è morto in ospedale. E non è tutto: era in coma profondo da un anno.
Marie Angel spegne il cellulare. Ha il cuore in tumulto. Guarda il cameriere: - Ho bisogno di un whisky.
Alessandro Napolitano


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Biancaneve

 
bianca

 
Biancaneve, ovverosia: l'alchimia non è roba per principianti.
 
C'era una volta… un prestigioso istituto dalla storia antica, luogo di studi particolari e misteriosi. Un giorno di fatiche volgeva al termine: la luce arancione del tramonto entrava dalle finestre. Due degli apprendisti stavano distesi sui letti della loro camera, nel dormitorio dell'ala Est della scuola.
Uno di loro, girandosi verso l'altro, disse:
"Com'era quella storiella che raccontavi ieri?"
"Quale storiella?" chiese l'altro, di rimando.
"Quella della fanciulla bianca, della Regina, del Cacciatore…"
"Ah, quella storiella. É una favoletta che si racconta ai piccoli alchimisti di livello elementare, per fargli imparare qualche nozione di base".
"Io non l'avevo mai sentita. Come faceva?"
"Non vorrai che la racconti adesso… tu non sei un bambino!"
"Smettila di fare storie! Vuoi solo farti pregare."
"Oh, e d'accordo! La storia narra che…
 
Quando la donna entrò nel laboratorio vide che le uova alchemiche si erano schiuse. All'interno delle ampolle stavano ora delle piccole figure antropomorfe, un fanciullo rosso e una ragazza bianca, entrambi perfetti nell'aspetto e bellissimi. Ognuna delle due figure stava appoggiata al vetro della propria prigione con entrambe le mani, fissando l'altra.
La donna afferrò l'ampolla del ragazzo e la trasportò fino all'orlo della vasca contenente il Medicinale, poi la rovesciò al suo interno.
Il ragazzo cominciò ad assumere un bagliore dorato e cadde addormentato.
Ora bisognava occuparsi della ragazza e compiere il rituale per sostituirsi a ella, celebrando così le nozze alchemiche.
Fin'ora l'unico legame della donna con l'Argento era stato il suo Specchio, strumento di cui si era servita per assicurarsi di essere abbastanza bianca e bella da poter incarnare il metallo lunare. Si era solo illusa, questo non era sufficiente. Per assumere le qualità del metallo dal verginale candore occorreva cibarsene: ora aveva trovato il modo.
Il Sublime Cavaliere di Kadash o Gran Cacciatore, ansioso di contribuire all'Opera, si fece avanti entrando nella cavernosa tana dell'alchimista.
"Prendi l'ampolla" disse lei "e portala nel Bosco dei Gran Segreti, lì trafiggile il cuore con il pugnale dorato, strappale il fegato e i polmoni e portameli qui."
Il Cacciatore prese l'ampolla e la portò nel Laboratorio dell'Affinamento o Bosco dei Gran Segreti, lì liberò la fanciulla che assunse una forma umana presentandosi come una bellissima bambina.
La piccola cominciò a supplicare il Cacciatore di interrompere il rito ed egli esitò: in un batter d'occhio la figura scomparve. Aveva cambiato forma.
L'uomo aveva commesso un terribile sbaglio e ne avrebbe dovuto pagare le conseguenze, a meno che non riuscisse a ingannare la maestra con dei surrogati. Prese l'occorrente e realizzò ciò che gli serviva servendosi del contenuto del suo uovo, detto il Cinghiale. Quindi tornò dalla Regina del Fuoco Sacro.
Intanto l'omunculus aveva raggiunto il Forno dei Tre Fuochi o Cappella o Casetta, accolta dagli spiritelli del bianco metallo, sovrintendenti dell'Estrazione, detti Nani Minatori.
La Regina, intanto, caduta nell'inganno, aveva mangiato gli organi portati dal Cacciatore, così volle accertarsi dei risultati del rito attraverso lo Specchio ma esso le mostrò la verità.
Dopo essersi occupata del Cacciatore, la Regina pensò a escogitare un modo per far svanire ciò che lei stessa aveva creato e che ora le stava portando solo problemi.
Allora preparò una miscela che riconducesse la creatura all'immobilità e al sonno, che dell'Argento sono proprie, realizzò un pasto alchemico o Mela che con essa avvelenò e, mutato il suo aspetto, portò il pasto alla casetta mentre gli spiritelli erano impegnati nell'estrazione. La fanciulla lo mangiò e cadde in un sonno profondo, come se fosse morta.
Quando i sette fratelli tornarono trovarono la fanciulla che non respirava: cercarono di combattere il veleno, lavandola con acqua e vino secondo le regole per la purificazione, ma non servì a nulla. Allora la sistemarono in modo da poter continuare a vedere la sua bellezza e la posero nell'Altare Orfico detto Collina.
Nel frattempo la Regina liberò l'omunculus fanciullo con cui voleva celebrare le Nozze e lo lasciò libero di andare, aspettando che assumesse la forma umana.
Il fanciullo dorato viveva dunque nel Laboratorio, ma un giorno decise di andare fino al Bosco e mentre si trovava lì passò per la Collina e vide la sua compagna adagiata in una teca di cristallo, circondata dai sette Nani. Preso dall'angoscia, cercò di convincerli a consegnargli il cadavere della bianca fanciulla. Essi, però, desideravano tenerla con loro e dissero che non l'avrebbero ceduta neanche dietro compenso. Allora l'omunculus d'Oro detto il Principe si avvicinò a lei e sollevò la teca per poterla sfiorare per la prima e ultima volta. Egli non sapeva di aver assunto le virtù curative del Medicinale ma, appena la sfiorò, la fanciulla sputò il boccone avvelenato e si svegliò.
I due omunculi si erano dunque ritrovati e, assunta forma umana, organizzarono e celebrarono le loro Nozze.
Per effetto dell'unione di Oro e Argento una grande energia si sprigionò nel Laboratorio, con molti e imprevedibili effetti.
Uno di questi fu il seguente:
le pantofole d'oro della regina si trasformarono in ferro arroventato e per il dolore la strega si mise a ballare una macabra danza finché non si accasciò stecchita.
La storia ci insegna che l'Opera non può essere realizzata da chi, con cuore impuro, si trascina nelle tenebre e nel fango, ovverosia…
 
l'alchimia non è roba per principianti!"
 
Yle


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La cicala e la formica

C'era una volta… un mondo completamente distrutto dall'Uomo.
Fiori, piante, ogni genere di vegetazione era stato cancellato dai continui esperimenti dell'essere umano, ma la natura fu più forte delle armi e seppe far fronte anche a queste calamità. Così molti insetti e animali erbivori divennero carnivori per sopravvivere, ma invece di mangiarsi fra loro prediligevano la carne umana, come una sorta di vendetta.
Una cicala stava distesa sopra un ramoscello d'erba a godersi i primi raggi di un sole primaverile, dopo un inverno freddo. Notò una formica che trasportava dei pezzi umani nel suo rifugio, prima un occhio, poi delle dita. Incuriosita le chiese:
- Perché ti stai affaticando così formica?
- Devo provvedere alle provviste per la mia famiglia. Nei pressi del fiume un autobus si è rivoltato. Ci sono decine di morti, c'è carne in abbondanza per tutti.
- Ma a che serve? Con tutti gli uomini che ci sono sulla faccia della terra il cibo non ci mancherà mai.
- È sempre meglio essere previdenti. Non si sa mai cosa può accadere.
- Come sei sciocca. Mentre ti uccidi inutilmente di lavoro, io mi godo questo bel sole. Unisciti a me.
Ma la formica declinò l'invito e proseguì la sua opera.
I mesi passarono e l'Uomo continuò la sua opera.
Non pago di aver distrutto la natura, cominciò con l'uccidere i suoi simili. Utilizzò armi nucleari e chimiche, fino all'estinzione della razza. E non solo.
Ovunque si potevano trovare cadaveri umani, ma questi erano contaminati e tutti gli animali e insetti che osavano mangiarli, morivano all'istante.
La cicala osservò impotente la fine dei suoi familiari e amici. Vagò per giorni in cerca di carni sane. Alla fine, in preda alla disperazione, prossima alla morte per i morsi della fame, si ricordò della formica e andò da lei.
- Cara formica. - disse quando la vide sulla soglia del rifugio - Non avresti un po' di carne umana sana da dividere con me? Sto morendo, sono giorni che non mangio.
- Ma come? Tu cerchi del cibo a me?
- Ti prego, aiutami.
- Non eri tu quella che mi derideva quando cercavo di convincerti a mettere da parte del cibo?
Silenzio.
- Allora cicala?
Silenzio.
- Allora cicala?
- S-sì!
- Non eri tu quella che preferiva prendere il sole mentre io mi ammazzavo di fatica?
- Sì!
- E adesso io dovrei dividere del cibo con te? Dovrei privare la mia famiglia di un suo diritto per condividerlo con uno che mi ha sempre preso in giro?
- Ti prego, ho fame.
- Dovevi pensarci prima. Adesso vattene e non farti più vedere.
La cicala si allontanò mestamente. Prima di scomparire all'orizzonte, si voltò e notò la formica e i suoi piccoli che stavano pasteggiando con quello che un tempo era stato un dito di un piede. Con l'acquolina in bocca li osservava mentre avidamente mangiavano, mentre il sangue scorreva dalle loro bocche piene di cibo. Provò rabbia, verso se stessa, per essere stata così stupida, ma ormai era troppo tardi. "Chi è causa del suo mal, pianga se stesso", pensò. Cadde a terra sfinita e dopo pochi minuti morì.
Ranz

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I tre porcellini

C'era una volta… nella casa di pesanti mattoni cotti al sole, i tre porcellini, ormai al sicuro dagli attacchi del lupo cattivo, si guardarono in faccia sorridendo in maniera un po' forzata.
"E adesso" pensavano senza dirlo ad alta voce "il lupo è la fuori ed è affamato, ma anche noi siamo affamati, e non abbiamo pensato a portare dell'acqua". Pensavano di essere al sicuro nella solida casa del fratello, ma forse erano caduti dalla padella nella brace.
Passato lo spavento iniziale che li aveva spinti a sorreggere le pareti per contrastare le furiose spinte del lupo, si accovacciarono a terra, ciascuno facendo finta di non guardare le facce degli altri due.
"Che situazione…" pensò il più piccolo di loro "se usciamo quello ci mangia, ma se non usciamo non mangiamo noi. Ma forse si stancherà di stare là fuori, avrà fame anche lui e non può digiunare in eterno".
Il più grande di loro guardò i due fratelli più piccoli. Avevano la stessa età, ma erano cresciuti in modo diverso. Lui era più grande e forte, non cercava di arrampicarsi sui meli per mangiare i frutti ancora appesi ai rami, mangiava senza sforzo quelli caduti, anche se il sapore non era poi un granché. Era molto più comodo e non doveva sforzarsi per farlo. La sua vita era improntata proprio a quella filosofia, il massimo risultato col minimo sforzo e infatti era più grande e muscoloso degli altri due che, ora se ne rendeva conto, aveva lasciato entrare con troppa leggerezza in casa sua.
"Da sempre i lupi mangiano i porcellini, i più stupidi ovviamente, i più deboli, non quelli come lui grandi forti e furbi". Mentre il più grande pensava così, quello di mezzo fingeva di disegnare sulla polvere che copriva il pavimento, ma nel frattempo ragionava furiosamente: "Quanto sono stato stupido a scappare assieme a lui per rintanarmi in questa prigione, l'ho anche aiutato quando ho visto che correva troppo piano, mi bastava correre un altro po' e il lupo se lo sarebbe preso. Si sarebbe fermato a mangiare e io avrei fatto perdere le mie tracce". "Stupido" si disse di nuovo "adesso sei in gabbia assieme a loro e chissà come va a finire questa storia".
Il lupo intanto, da buon figlio di buona mamma, visto che la violenza fisica non aveva avuto risultati con la robusta struttura della casa di mattoni, si accoccolò davanti all'uscio annusando l'aria.
Dalla piccola porta fatta con assi robuste filtrava l'odore del loro sudore. Doveva far caldo là dentro, e i tre porcellini sudavano copiosamente. Conosceva bene quell'odore, l'aveva sentito tante volte quando inseguiva le sue prede: è l'odore della paura, acido e penetrante, rivelatore, incoraggiante.
Il suo sensibilissimo udito gli rivelava anche i più piccoli movimenti che loro facevano, ma soprattutto gli indicava il loro stato d'animo; non parlavano, quindi pensavano e gli sembrava di poter udire i loro pensieri. Conoscevano la pazienza dei lupi.
Sapeva che la paura che avevano di lui sarebbe stata la sua migliore alleata, gli bastava aspettare ancora un po' prima di usare l'arma dell'inganno. Rimase quasi un'ora steso davanti a quell'uscio prima di agire, aspettando che il calore e l'ansia facessero l'effetto sperato, poi parlò rompendo il teso silenzio che circondava la casa.
- Vi faccio una proposta porcellini, oggi non ho molta fame, mi basta mangiare solo uno di voi per essere sazio.
Dall'interno della casa non arrivò nessuna risposta, segno evidente che la sua proposta aveva lasciato il segno, se fossero stati concordi avrebbero risposto subito e gli avrebbero detto che poteva anche morire di fame assieme a loro se proprio voleva, ma non l'avevano fatto, quindi fra poco si sarebbero messi a litigare fra loro.
I fatti gli diedero ragione. Poco dopo, un rumoroso alterco a base di grugniti e imprecazioni scoppiò all'interno della piccola casa e poco dopo la porta si aprì e ne ruzzolò fuori il più piccolo dei tre che rimase pietrificato davanti all'uscio di casa che gli si chiuse dietro rumorosamente.
Il lupo si avventò subito su di lui addentandolo al collo ma non lo morse.
- Strilla ora! - gli disse incespicando un po' con le parole mentre lo teneva stretto tra le fauci - strilla forte se vuoi salva la vita!
Le sue grida terrorizzate riempirono il cielo e, per colmo di misura, il lupo si mise a ringhiare forte e a calpestare con violenza il terreno.
- Zitto ora! - ordinò a bassa voce girando dietro la casa con quello ancora stretto tra le fauci - Adesso ti lascio andare, ma non fare rumore mentre ti allontani, altrimenti vengo a prenderti.
Il porcellino ancora tremante dalla paura si allontanò, incredulo di tanta fortuna, in perfetto silenzio mentre il lupo si andava a nascondere dietro l'angolo della casa.
Meno di un'ora dopo sentì cigolare l'uscio ma rimase immobile in attesa. Poco dopo uno dei due rimasti uscì guardandosi attorno.
Lo scatto del lupo fu repentino e il respiro del malcapitato si spense in un rantolo di sangue.
La porta si chiuse di scatto ma il porcellino superstite all'interno non ebbe bisogno di immaginare quel che stava succedendo. Quando il lupo ebbe finito di mangiare si accoccolò di nuovo di fronte all'uscio con la pancia piena. Aveva mangiato ed era sazio, ma non seppe risparmiarsi una battuta:
- Hai costruito una bella dispensa, amico mio, si conserva bene il cibo lì dentro. Così non devo corrergli appresso quando ho fame e so sempre dove sta. Adesso schiaccio un pisolino, ci vediamo più tardi.
Carlo Celenza

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the end 


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larga la foglia stretta la via
dite la vostra che io ho detto la mia

spero di avervi rubato un sorriso..
Bonnie


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