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Indice:
La gara
PREFAZIONE
SE IL DIVANO ÄLVROS IN…
DA ADULTO A BAMBINA
PULCINI
IO ED IO
COSE CHE SUCCEDONO
UNO, ALTRO PARI FORSE…
LA PANCHINA
OCCHI SENZA PIU’ LAC…
DIVERBI GENERAZIONALI
DEL PERCHÉ HO CAPITO…
COMPRENSIONI
CHEF
IL PERDONO
L’ULTIMA PROMESSA
LA RIMPATRIATA
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Una produzione

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La gara

Gara 33
DICA 33!
OTTOBRE 2012
antologia per BraviAutori.it
da un'idea di ArditoEufemismo.
Edizione a cura di: Ser Stefano
Copertina: ArditoEufemismo
Foto allegate a ogni racconto di: autori vari.
Si ringraziano gli Autori di questa antologia per la partecipazione.
Nota: l'antologia impiega l'editing degli autori.
Trasformazione digitale: MiCla Multimedia

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PREFAZIONE

Dialoghi…
Io odio i dialoghi!
Odio questo bando, odio questa antologia.
Premesso questo, vi dico che il vincitore di questa Gara è stata Recenso.
Spero la lettura sia più piacevole a voi che a me.
Auguri!
Ser Stefano
Il bando:
“Le gare hanno una valenza oltre che ludica anche formativa. Per questo motivo ho deciso di puntare il faro su un insegnamento che mi è stato impartito: un personaggio deve essere rappresentato al lettore attraverso le azioni che compie e soprattutto attraverso le parole che dice.
E’ sconsigliato che sia il narratore onnisciente a descrivere esplicitamente pregi e difetti dei propri personaggi, ma è di sicuro effetto che il carattere, le pecche e le virtù di questi traspaiano da ciò che (fanno e) dicono.
Quindi vi sfido a raccontarmi una storia attraverso il dialogo tra due o più personaggi, preferibilmente caratterizzando ogni personaggio con peculiarità distintive. Sono ammesse minime e brevissime descrizioni.”
Ardito Eufemismo
E ora i racconti.


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SE IL DIVANO ÄLVROS IN VENDITA ALL’IKEA DI CARUGATE A 1229 EURO POTESSE PARLARE…

di Diego Capani
Alfredo e Giovanna
- Questo mi piace, è elegante e questo color beige chiaro starebbe benissimo nel salotto a pianterreno, che ne dici Alfredo?
- Uff, sì, certo ci starebbe bene.
- Pensavo di spostare il tavolino di cristallo più verso il muro, così c'è più spazio, e questo lo potremmo mettere di fronte alla televisione. Ma provalo, Alfredo, siediti, è comodissimo.
- Dai, adesso basta Giovanna, sono due ore e mezza che giriamo in questo magazzino, adesso sono stufo, ho le braccia a pezzi e non sento più i piedi, compra quello che vuoi ma andiamocene a casa in fretta.
- Su, Alfredo, non manca molto, ancora un giro nel reparto degli accessori cucina e poi...
- E poi basta! Adesso ti alzi da quel divano e ce ne andiamo.
- Alfredo, forse è il caso che ti rammenti che i 1229 euro di questo divano, se non fosse per me, non te li potresti permettere. Anzi, non avresti neppure la casa dove infilarcelo. E non fare finta di esserti dimenticato di avermi sposato anche perché la mia famiglia ha tanti soldi quanti tu non riesci nemmeno a contare.
- Non è vero, Giovanna, io ti...
- Vuoi dire che mi ami? Certo, ami il mio conto corrente, il mio fisico che, nonostante i cinquantacinque anni, regge bene, i viaggi che facciamo durante le vacanze. Ma mi ameresti tanto se vivessimo in un tugurio, con una misera pensione e fossi grassa e trasandata? Ne dubito! Comunque ti accontento, andiamo. Fammi solo fare un ultimo giro tra questi divani e poi andremo alla cassa per pagare.
Marta e Federico
- Ma che amore questo! È bellissimo, adoro i divani in pelle. Secondo te, Fede, ci starebbe bene in salotto nella casa nuova? Ho paura che sia un po' troppo grande e poi è un po' caro, milleduecento euro, accidenti!
- Secondo me ci sta, anche se la casa non la ricordo bene, ma non è un po' troppo chiaro? Si sporcherà facilmente.
- Eh, porcellino, tu stai già pensando a quando questo divano lo useremo per rotolarsi sopra. Ora lo provo. Sì, è comodissimo, siediti qui di fianco, senti com'è morbido.
- Morbido e caldo come te, amore, non vedo l'ora di provarlo nel tuo salotto.
- Se piace anche a te, va bene. Adesso voglio fare un giro nel reparto camere da letto.
- Tesoro, ma sono tre ore che andiamo avanti e indietro qui. Adoro stare con te, ma non ci potevi portare il tuo futuro marito a fare acquisti per la vostra nuova casa?
- No, scherzi? Non ha gusto, non mi sa consigliare bene come fai tu, tesoro. E poi il letto lo userò sicuramente più con te che con lui.
Matteo e Giorgio
- Ora lo provo. È veramente comodo, pare di stare seduti su di una nuvola, e mi sono sempre piaciuti i divani con la penisola.
- Secondo me per la tua casa sarebbe più adatto un divano in tessuto, come quello nero laggiù.
- So che sei animalista e che la pelle non ti va, ma provalo un attimo e vedrai che ti innamorerai anche tu di questo. Dai, Matteo, siediti qui.
- Va bene Giorgio, ma solo un attimo, sai che non mi piace fare effusioni in pubblico.
- Che hai? Ti vergogni di noi due? Siamo nel 2012 ormai, sei rimasto al medioevo.
- Dici bene tu che vivi in città, nel mio paese i gay sono ancora trattati come appestati.
- Qui non ti conosce nessuno, non ti preoccupare... Che fai?
- Quella là...
- Chi?
- Quella là è mia zia, che ci farà qui? Oddio spero che non mi veda. Sbrigati, andiamocene.
Alfredo e Giovanna
- Giovanna, tuo nipote non doveva essere a Roma per lavoro?
- Sì, certo, è partito lunedì mattina. Tornerà alla fine della settimana.
- Allora che ci fa seduto sul divano che abbiamo visto prima con quel tizio biondo?
Marta e Federico
- Vuoi rivedere ancora il divano? Dai, Marta, andiamocene non ne posso più!
- Solo un attimo Federico, e poi devo leggere il codice per la cassa.
- Il tuo futuro marito è via per lavoro, vero?
- Sì, Matteo è a Roma per tutta la settimana.
- Che strano, mi è parso di vedere un uomo che gli somigliava moltissimo in compagnia di un ragazzo biondo...


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DA ADULTO A BAMBINA

di Ser Stefano
- Papà.
- Dimmi Maia.
- Cosa è chesto?
- È un giocattolo. Uhm, un vigile del fuoco con un gatto.
(Attento studio)
- Pecché ha gattino in baccio?
- Perché l’ha salvato da un albero.
(Perplessità)
- Pecché?
- Perché il gatto era salito sull’albero, ma non riusciva più a scendere, così è arrivato il vigile del fuoco, l’ha portato giù e ora lo sta consegnando alla sua padroncina.
(Ulteriore perplessità)
- Pecché?
- La nonna ha visto che il suo caro gattino era salito su un alto ramo dell’albero. Lo ha chiamato per nome, forte. Ma lui non scendeva. Forse aveva paura perché era troppo in alto. Così ha telefonato ai vigili del fuoco, come quello che vedi in televisione, Sam il pompiere, o come mamma coniglio di Peppa pig. Sono arrivati con il camioncino rosso e le sirene che facevano Uhuuu uhuuu. Allora il vigile ha preso una scala e l’ha posata sul ramo dove c’era il gatto impaurito. Gli ha detto di stare calmo, che l’avrebbe aiutato a scendere giù, così il gattino si è tranquillizzato e si è lasciato prendere in braccio. Sono scesi per la scala insieme e, una volta giunti sul marciapiede, è arrivata la nonna che ha potuto riabbracciarlo e gli ha fatto tante tante carezze, e il gatto gli rispondeva con le fusa, ghhhh ghhhh. Poi ha ringraziato tantissimo il vigile del fuoco e gli ha offerto pure una torta al cioccolato. Così sono stati tutti felici e contenti.
(Soddisfazione. Poi ulteriore studio del giocattolo)
- Pecché?
- È il SUO GATTO!
- Ahn. Capito.


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PULCINI

di Monica Porta may bee
— Non insistere, tanto non cambio idea.
— È inutile che sgrani gli occhi d'ambra e dondoli i piedi. Riccioli d'oro? Badi più ai tuoi sogni che a me, finché rimani lassù posso pensarlo. Se tu mi amassi davvero saresti più… più…
— Più soffice con te?
— Ecco. Sì. Lo saresti.
— Fa un favore a entrambi, Andrea, prova ad ascoltarti mentre parli. Se non credessi ai sogni, io non potrei essere me, e se non fossi me tu non saresti lì sotto a fissarmi. Se non accetti come sono fatta, tutto lo strano che c'è in me, non puoi dire ti amo. E poi Plato… Plato di che? Perché tu debba portarlo ora qui, nel nostro spazio, proprio non so, eppure m'infastidisce.
— Forse vorrei una prova certa di noi, non basta andare a letto con l'amore, bisogna farci anche i conti, insieme. Si chiama sesso altrimenti, non te l'ha spiegato tua madre?
— Massì, massì… ci sorrido pure sulla cosa, tu che predichi e lo invochi a tua difesa. Bravo lo è, espositivo, concettuale, ratio linguista? Pure. Credi che non faccia i compiti la sera?
— Ecco, brava… non ti fa paura… allora perché non scendi?
— Per leggere ai suoi piedi le rovine.
— Lara ohhh, che palle!
— A toccare davvero qualcuno si arriva prima in cima, e non fa storia chi sa solo annuirsi.
— Non posso crederci.
— Dovresti invece… noi… credo che quasi ci siamo. E non sbuffarmi contro, Andrea. Se non fossi il mio primo demo sarebbe già diverso.
— Non posso credere che novembre ormai arriva, io devo decidere se studiare fuori Siena e ancora ti rifiuti di parlarne. Ci pensi? Via… da Fontebranda, dal nostro albero, dalla tua vita, via… sembra quasi che non t'importi.
— Sì… sì che m'importa, ma non è un male pensar diverso, a volte.
— A volte giuro che spaventi. Sai ascoltarmi attenta finché qualcosa accade, fosse anche l'aria a distrarti ma a te basta, allora giri, volti le spalle al sole, stringi le labbra fissando un punto dietro di me e non ci sei più. Quando lo fai vorrei lasciarti, l'immobile di te mi terrorizza, è un grumo che preme nella gola a guardarti andare mentre sei già lontana.
— Stai dicendo che dovrei fingermi diversa? Dimenticare i sogni?
— Così la fai sembrare brutta, ti sto solo dicendo che non tutto ciò che accade è un segno prevedibile, di ammettere che i tuoi sogni possono anche sbagliare, che hai una fervida immaginazione, tutti ci possiamo spaventare. Le paure di ogni giorno nei sogni parlano per noi, ma tu non lo accetti. In questo sei asciutta quanto una saggina.
— Pensavo di essere una spugna perché credo a tutto quello che mi sogno... non ti capisco, come puoi amarmi se non fai altro che criticarmi? Sii onesto, allora. Dillo! Dì che ti piacciono i mei seni, il viso, il corpo, ma di più? Niente rimane.
— Ora sei ingiusta. Se non amassi anche ciò che hai dentro credi che starei qui a sopportare il torcicollo? Non passerei le notti nel mio letto preoccupato al pensiero di andarmene da te… guarda… non ti penserei nemmeno. E no… no, Lara, non c'è un disegno del destino che mi dice corri a Milano solo perché nel test d'ingresso ho fatto il botto. Cresci!
— Io te lo dicevo fin da piccola… genio lo sei… ti manca solo d'essere civile, e ora hai l'età per diventarlo. Ah… era un sorriso quello! Sì… sì! Non puoi mentire.
— Sì… vabbè… era un sorriso… e allora? Non cambia niente, tu sei ancora appesa a un ramo. Non ce la faccio. Mi merito di più. O scendi tu dal pino oppure…
— Oppure dai, ti sfido a fare!
— Oppure, dannazione, salirò io.
Passa l'attimo, rimane dietro gli occhi come l'impresso a fuoco di un momento, poi Lara sorride, sotto lo sguardo di Andrea scende dall'albero.
— Occhi blu, e ci voleva tanto? Cercavo solo di capire se per me l'avresti fatto.


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IO ED IO

di Nathan
- Ehi… hai un minuto?
- Ho sempre un minuto per te... dovresti saperlo ormai…
- Vero... ma tu…
- Dimmi tutto.
Cerco di trovare in fretta il modo di porre la domanda senza infilarci dentro troppe parolacce, ma alla fine il risultato non è un gran che.
- Perché è così stronzo?
Non rispose, ma me lo aspettavo.
- E dai! Deve per forza comportarsi così da imbecille? Ci sono tanti modi per dire una cosa!
- Da che pulpito…
Me l’ero cercata.
- Beh, mi conosci, sono fatto come sono fatto…
- Anche lui è fatto come è fatto.
Come replicare?
- È che non lo capisco proprio, tu dici di mettermi nei suoi panni, ma in ogni caso non lo capisco. Per me resta uno stronzo. E non tirar fuori la solita storia. Se sapessi cosa gli frulla per la testa saresti di un altro parere…
- Pensi di saper tutto, vero?”
- Beh… non tutto, ma che è uno stronzo è una cosa risaputa!
- Se tutti la pensano in un modo, deve essere per forza la verità?
- Se non altro mette la pulce nell’orecchio. Se è grande come un cavallo, assomiglia a un cavallo e ha gli zoccoli come un cavallo… non deve essere per forza una zebra no? Forse è proprio un cavallo!
- Forse…
- E lui è uno stronzo!
- Non escluderei la zebra in ogni caso, vedila in un altro modo. Se lui vede che viene considerato uno stronzo da tutti, tanto vale meritarsi il titolo, no?
- Se uno non fa lo stronzo non si prende nessun titolo.
- Bella questa… è nuova? L’hai inventata adesso?
- Vuoi dire che non lo fa apposta?
- Voglio dire che mentre tu sei considerato uno stronzo da pochi, hai sempre qualcuno che ti fa sentire meno stronzo. Lui magari non ha nessuno.
- Perché è STRONZO!
- Punti di vista… Perché pensi ti abbia raccontato che il suo capo non lo ascolta?
- Perché non lo caga manco lui.
- Ok, ma perché lo ha raccontato A TE?
Bella domanda… avercela una risposta…
- Beh, lo ho ascoltato e…
- E te la ridevi di gusto. Come se non bastasse hai subito spifferato a tutti quello che ti ha detto e stanne certo che in un lampo non si parlava d’altro.
- Dopo tutte quelle che ci ha fatto, direi che se lo meritava.
- Sei TU che decidi adesso?
Mi sono fregato da solo… mica facile averla vinta con lui.
- Quindi? Sarebbe cambiato qualcosa se qualcuno avesse fatto meno lo stronzo con lui?
- Fai una buona azione e ne riceverai una in cambio… sarà ma mi pare na…
- Eppure anche oggi ne hai avuto la prova.
- E quando?
- Hai dimenticato le chiavi a casa, ma tua moglie se n’è accorta e ti ha fermato in tempo.
- Quindi?
- Quindi non sei rimasto chiuso fuori.
- Quindi?
- Sei tornato in orario, hai evitato un acquazzone, hai ritirato lo stendino e hai preparato la cena… sempre che si possa chiamare cena quell’intruglio che hai spacciato per minestrone.
- Devo continuare a domandare o arrivi al punto?
- Pensi davvero che se avessi dimenticato le chiavi la serata sarebbe terminata così? Saresti arrivato a casa inzuppato fino alle ossa. Quando sarebbe tornata lei sarebbe stata di ben altro umore per colpa della tua sbadataggine, avrebbe dovuto rifare il bucato e preparati la cena. E questo dopo una giornata di lavoro che, credimi, è stata tutt’altro che piacevole. Invece quel poco che hai fatto l’ha messa di buon umore…
- Quindi mi stai dicendo che il “mio guadagno” è una sera tranquilla? E per un mazzo di chiavi? Quando mi ha ricordato le chiavi non lo ha fatto di sicuro per una buona azione. E’ una cosa normale.
- Poteva non dirti nulla… e poi… da quando le buone azioni sono premeditate? Non si scelgono, si fanno come se fossero normali.
- Io dovrei quindi fare il santerello con tutti? Ad essere troppo buoni, si passa da coglioni.
- Grazie mille.
Eccheccazzo, non ne azzecco una…
- Volevo dire che poi la gente se ne approfitta, guarda quello stronzo che ha usato la mia idea spacciandola per sua. Si è preso un aumento! Quando l’ho proposta io mi ha pure deriso davanti a tutti! Ora va in giro a dire che la GRANDE IDEA è merito del suo cervello da scimmia!
- Fai una azione cattiva e ne riceverai una in cambio.
- Sì, se in cambio mi danno un aumento sai che malumore mi creerà…
- Pensi che quattro soldi in più valgano quello che hai tu stasera? Guardati intorno, hai un tetto sopra la testa, la pancia piena, sei sano come un pesce, hai una donna che ti ama sdraiata accanto a te. Cerca di non dare per scontate troppe cose, credimi non lo sono affatto. Non dannarti per quello che non hai, non porta nulla di buono.
- C’è chi sta peggio e c’è chi sta meglio. Devo per forza vedere chi sta peggio?
- Scegli tu.
- Quindi domani che dovrei fare di preciso? Andare da lui e fare la faccia di merda? Devo diventare suo amicone? Così passo per quel gran leccaculo che è lui.
- Decidi tu. Comportarsi bene non significa essere leccaculo. Poi decidere di fare come al solito, oppure essere meno TU e vedere cosa succede. A te la scelta.
Vero. Lo sapevo, va a finire sempre così. Un bel modo di dire “arrangiati”.
- Ti ho sentito.
Eccheccazzo!
- Anche adesso…
- Va beh, ci penso su. Non ti prometto niente però. Ti devo ringraziare?
- Per cosa?
- Per avermi dato retta.
- E quando mai non l’ho fatto?
- Beh, allora ti ringrazio per la chiavi. Alla fine la giornata è finita meglio del previsto.
- Non ringraziare me. Ringrazia lei…
Mi giro verso la mia compagna. Dorme, ma ha il viso crucciato. Forse sta facendo un brutto sogno. Le faccio una carezza e la stringo la mano, subito dopo i suoi lineamenti si rilassano.
Le sfioro la fronte con un bacio.
- Ehi… ci sei ancora?
Silenzio.
- Grazie. Ci sentiamo domani e poi ti dico come è andata.


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COSE CHE SUCCEDONO

di Skyla74
- Dieci piantine officinali e un ficus. Vuoi trasformare il bar di Katia in una serra? Lo dobbiamo solo gestire, maledizione. Farlo sopravvivere fino al suo ritorno.
Interrompo subito Alice.
- Nota l’alternanza di colori dei ciclamini. Manca solo quello screziato, ma sono in avanzato stato di trattative col fioraio.
- Degno finale, la misteriosa pianta raccolta vicino al cassonetto.
- Devo ancora stabilirne la specie.
- E’ piena di bolle, fa senso. Non è che ha la rogna?
- Naaa, giusto una spruzzata di pipì di cane. Hai notato il teru-bozu che le ho attaccato in cima?
- Quel pupazzetto serve a propiziare il bel tempo, mica a sanare gli appestati. Aspetta, aspetta… cos’hai tra i capelli? - chiede guardandomi bene.
- Una crestina da cameriera con pizzo.
- Dove l’hai trovata?
- Secondo cassetto sotto il registratore di cassa. Sai quella roba hentai che Katia ha comprato al Porno Shop?
- Sexy Shop. E sono affari di Katia e del suo ragazzo.
- Ama pensarla nel ruolo di sexy cameriera, che tipo! Hai presente gli uomini d’affari giapponesi? Vanno matti per i locali dove le ragazze indossano queste strane divise… ha ancora il cartellino, guarda: modello Sweet Lolita.
- Il ragazzo di Katia non è giapponese.
- Ma guardati intorno. L’arredamento del bar è così orientale… devono essersi fatti prendere la mano.
- …
- E dai, non c’è niente di male se la uso in servizio, tanto più che Katia è in vacanza per due settimane. Non lo saprà mai.
- Ti piace giocare alla sexy cameriera?
- Boh, era tanto per vivacizzare l’ambiente. E poi quanti uomini conosci che si eccitano per una cosa simile? Senza contare che privata del grembiulino e giarrettiera in coordinato non sono diversa da una qualunque domestica, giusto un tantino retrò.
- Giarrettiera e grembiulino?
- Secondo cassetto sotto il registratore di cassa.
- Non dar lingua ai tuoi pensieri, e i pensieri aspetta di averli ben ponderati prima di convertirli in azioni» dice un’anziana cliente.
- Mi avete letto nel pensiero - dice Alice.
- Chi sono quelle due vecchiette? - mi chiede a bassa voce.
- Senzatetto.
- Ovviamente pagheranno la consumazione.
- Sei senza cuore. Mi tengono compagnia, con le loro citazioni di Shakespeare. Poverine! Credo siano delle prof in pensione, magari abbandonate dai figli.
- Tu tendi a sognare a occhi aperti, ecco cosa penso.
Suona il telefono. Ne approfitto per prendere il Vetril.
- Sta pulendo i vetri - dice Alice. - Sì abbiamo lavato il frigorifero. No, nessuno ruba le bustine di zucchero. Ma dai, ti ho detto che ha da fare. Accidenti, Katia!
Alice mi porge il telefono.
- Come va? - chiedo.
- Come mezz’ora fa - ribatte Katia dalle Dolomiti. - Tra un po’ parto per l’escursione. Piuttosto volevo assicurarmi... Cristo, ma non puoi entrare? Sento le sirene!
- Ehm, no, stanno mettendo una transenna.
- Di traverso sulla porta d’ingresso?
- …
- Va bene, se cade la linea saprò che ti ho seccato abbastanza.
- È che chiami ogni tre minuti… se non ti fidavi di me facevi prima a dirlo.
- Questa vacanza l’ho vinta, sarebbe stata una follia rinunciare. Ma ogni volta che ti penso dietro al bancone, mi sembra una follia essermene andata. Fortuna che c’è Alice, sennò sarei già morta d’ansia. Comunque, cambiando discorso. Spero ti sia entrato nella zucca quello che ti ho detto ieri sera.
- Mmh.
- Insomma, i senzatetto. Bologna ne ha molti, purtroppo. E’ vergognoso ma è così.
- Già.
- Non è cattiveria, ma se non possono pagare: fuori. Se proprio vuoi fare una buona azione, mandali alla mensa della Caritas, là non rifiutano nessuno… a parte i criminali. Tu sei fin troppo buona e se si sparge la voce che da me, ehm, da voi si mangia gratis…
- Ho capito.
- Non pretendo che paghino fino all’ultimo centesimo, è il principio che conta.
- Sono due brave signore.
- Signore? Che signore? Vedi che avevo ragione a preoccuparmi?
- Due insegnanti in pensione con qualche problema economico.
- E tu che ne sai? Glielo hai chiesto?
- Beh, scusa sai! Non sarò una commerciante smaliziata come te, ma sono sensibile quel tanto che basta per capire chi ho davanti. Ho lavorato nei servizi sociali, ricordi?
- Certo. E mi ricordo anche di quel tossico ci ha dato il tormento per settimane perché gli avevi dato il nostro indirizzo di casa.
- Aveva solo quindici anni. Chi poteva immaginare che si comportasse così male?
- Male? Ha palpeggiato Alice nell’androne! Abbiamo dovuto chiedere un’ordinanza restrittiva per liberarcene, cambiare il numero di telefono!
- Mi sono sbagliata, ok? Un errore di valutazione! Non puoi mettermi continuamente in croce per quella storia!
- E quella lesbica che si era invaghita di te? Quella psicotica col cervello bruciato dalle amfetamine!
- Oddio, Tamara?
- Mi ha scambiato per la tua compagna a fracassato i vetri della Panda ricordi? Cos’abbiamo dovuto fare?
- Ordinanza restrittiva.
- La verità è che per lavorare come assistente sociale ci vuole cuore, ma anche rigore. Tu hai tanto del primo ma difetti di buon senso… infatti ti hanno licenziata.
- Sospesa a tempo indeterminato.
- Quello che è.
- Devo andare, davvero. Grazie di avermi ricordato i miei fallimenti. Buona gita. Ma ti dico una cosa: come sensibilità vinco dieci a zero su tutte voi.
Riaggancio.
- Chi sta in alto è soggetto a molti fulmini e quando infine cade si sfracella.
Le due vecchine si materializzano alle mie spalle.
- Dove hanno preso quel coltello? - chiedo.
- È quello per spalmare il burro. Eva… mi hanno appena rapinata.


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UNO, ALTRO PARI FORSE NON SONO

di Licetti
Sulla panchina di un parco qualunque due uomini siedono estranei l’uno accanto all’altro.
Uno - Governo ladro!
Altro - Lo dicono in tanti, ma poi nessuno trova le prove.
- Onestà e trasparenza non esistono più.
- No, ci è rimasta solo l’opportunità.
- Forse voleva dire: possibilità!
- No, opportunità di appropriarsi di quello che c’è.
- Ma se poi dico che questo è mio, me lo devo anche curare?
- Certo, se è suo.
- E me lo devo pure difendere dagli altri?
- Esatto.
- E gli altri faranno lo stesso nei miei confronti.
- Se si è più forti di loro!
- Anche l’uguaglianza allora non esiste?
- E’ solo un pensiero
- Di conseguenza nemmeno l’anarchia.
- Solo utopia!
- Ma se siamo diversi, perché ci aggreghiamo?
- Per non sentirci soli.
- Non ci aveva pensato Dio?
- Lui non pensa. Lui crea.
- Allora noi qui cosa ci facciamo?
- Viviamo.
- Così è solo questione di biologia.
- Secondo taluni…
- Allora c’è Speranza!
- Si, quella ci seppellisce tutti.
- Cosa ne è dunque di spazio e tempo?
- Servono per de-finire.
- L’azione?
- Solo causa-effetto.
- Il pensiero?
- Una parola dopo l’altra.
- E le emozioni, i sentimenti?
- Gioco chimico di ormoni.
- E il progresso?
- Illusione, mera illusione
(Silenzio per qualche istante)
Altro - Vado che tra poco piove, Governo ladro!
Uno - Forse lo è perché glielo permettiamo.
- No, lo è quando si prende più del necessario.
- Allora non gliene diamo troppo!
- Andrebbe comunque a credito.
- Potrebbe per lo meno gestirlo in altra maniera.
- Non si conosce che quella, da migliaia di anni!
- E se lo facessimo scendere dal piedistallo?
- Cadrebbe nella depressione
- Togliamogli i vestiti!
- Non ha vergogna.
- Via la fede, allora!
- Crede solo a se stesso.
- Prendiamogli la casa, la famiglia…
- Anche da solo combina disastri!
- E la parola?
- Sono i fatti a dire tutto.
- Non ci resta che toglierlo di mezzo.
- E poi chi ci regge?
- Potremmo provare a farne a meno!
- Impossibile.
- Proviamoci noi due!
- Mai e poi mai.
- Ma così non si può andare avanti!
- Non siamo nemmeno gamberi, però.
- Quel che resta mi dà noia e fastidio.
- Il mondo gira lo stesso, intanto.
- Però non mi va di stare fermo.
- Ecco, non doveva andarsene?
(Uno alza lo sguardo.)
Uno - Che bello, è tornato il sereno.
Altro - Allora me ne vado io.
- Vada. Vedrà che tanto da soli non si combina un gran che!
- Non importa. Finora mi è sempre andata benissimo.
- Come ci è riuscito?
- Ho i miei metodi.
- È stato difficile, o doloroso?
- Solo un giochetto.
- Me lo spiegherebbe?
- Non si può: è un segreto… di Pulcinella
- Ci è voluto tanto?
- Solo volontà, mia e di altri.
- Mai pentito?
- Bisogna sempre andare avanti.
- Allora ci ha guadagnato?
- Fama e…
- Denaro?
- È quello che chiedo.
- Allora lei è…
- Esatto, il Governo.


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LA PANCHINA

di Roberta Michelini
Lei gli viene incontro sorridendo e lo bacia sulle guance:
- Ciao. Pensavo non venissi più.
- Ciao. C’è un cambio di programma - dice lui. Ha l'aspetto di uno che ha dormito in macchina: il collo della camicia strapazzato, la kefiah arrotolata intorno al collo, le scarpe da ginnastica slacciate, i capelli biondi e ricci più arruffati del solito, gli occhi pesti.
- Cioè?
- Non ho le chiavi dello studio.
- Non mi rimanderai a casa? Se lo fai, ti ammazzo, pensa lei.
- Ma possiamo rimediare: ti propongo una seduta en plain air.
- Solo perché sei tu - aggiunge. - È stata una giornata terribile: sono partito stamattina alle sette, ho fatto duecento chilometri per arrivare qua e mi sono accorto di aver dimenticato le chiavi.
- Non preoccuparti - fa lei, che per la felicità svolazza a un metro da terra. - Anch'io dimentico continuamente le cose, le chiavi di casa, gli appuntamenti...
Camminandole a fianco la conduce in un parco vicino. È piovuto e l’erba è un po’ bagnata. Su una panchina ci sono dei cartoni fradici. Lei pensa che qualunque posto con lui sarebbe bello, anche il sottopassaggio di una stazione ferroviaria.
- Se proprio si mette a piovere andiamo al bar - dice, togliendosi gli occhiali da sole.
- Era proprio quello che volevo evitare.
Trovano una panchina e si siedono a una distanza di sicurezza.
- Non possiamo parlare di mio marito, oggi.
- E perché?
- La dottoressa me l'ha proibito.
- Aaaah, capisco. Va bene, io voglio solo che tu mi parli di te, come ti avevo proposto. Con la dottoressa parlerai dei tuoi problemi di coppia. Io sarò solo per te, uno spazio per te sola, va bene?
- Perché tu ed io finiamo sempre per parlare di lui?
- Secondo te, perché?
- Non lo so dottore.
- Dai, ci pensiamo insieme.
E si fa sempre più vicino, il tono tenero, sommesso.
Lei, a testa bassa, appoggia i gomiti sulle ginocchia, le dita intrecciate. Le teste quasi si sfiorano.
- Quando sono tornata a casa, dopo aver vissuto da sola per due settimane nel mio appartamento in affitto, mi sembrava di essere felice. Mi era sembrato di non poter vivere senza di loro. Poi ne ho parlato con te, e tu in quattro e quattr'otto hai chiuso l'argomento: ho creduto che volessi liquidarmi. Il mio umore è cambiato completamente: tornando a casa in macchina, quel giorno, ho pianto di rabbia. Mio marito era sconvolto: non si capacitava del fatto che tornassi da una seduta con lo psicologo in uno stato simile. E io mi sentivo morire. Volevo morire, davvero, sai. Perché mi succede questo?
- Ma è fin troppo chiaro, Francesca, l'hai detto tu...
- Ma come...
- Francesca, me l'hai scritto nella mail, ricordi? Ho bisogno di conferme da ALTRI uomini, e se queste non vengono, mi perdo, non valgo nulla.
- Ma perché non hai capito? Perché quando ti ho detto che ero tornata a casa da lui hai risposto che eri contento per me? Come potevi pensare che tutto si fosse risolto così in fretta? Con tutto quello che ci siamo detti, in tutti questi mesi?
- Perché tu non sei tornata a dormire sul divano o nella stanza di sopra, sei tornata a dormire con tuo marito!
- Non capisci nulla! Tu sei un uomo e io sono una donna. Non puoi capire. Che cosa pensi che significhi dormire insieme? Il sesso non significa nulla! Ci conosciamo da vent'anni, credi forse che ci possa essere un ritorno di fiamma? Non capisci nulla, nulla di nulla.
- Oh bene, io non capisco nulla, sono un uomo e tu sei una donna. Va bene così - Comincia ad arrabbiarsi.
- Ti ricordi quando mi hai suggerito di dirgli: - Sei proprio sfortunato ad avere una donna come me?
- Sì.
- Sai che mi ha risposto? Che sono adorabile.
- Hahaha! Sì, tu sei proprio la donna ideale per un uomo: sempre disponibile, e che non rompe mai le palle.
A quel punto lei scoppia a ridere. Poi lui comincia a parlare di autoinganni, equilibri disfunzionali, eccetera eccetera.
- Devi essere più diretto con me. Devi parlare come con i ragazzini delle medie. Fai degli esempi concreti, altrimenti non capisco.
E lo guarda dritto negli occhi, beffarda. Le loro facce sono a pochi centimetri di distanza. All'improvviso, lui si piega leggermente e le mette un braccio dietro la schiena, come se stesse per abbracciarla.
- Avevi una vespa sui capelli. Ora l'ho uccisa.
- Povera vespa!
- Altrimenti ti pungeva... – l’attimo è sospeso.
- Anche tu hai questi occhi tristi all’ingiù, come me – pensa lei. E' così vicina che sta quasi per toccarlo, gli guarda le labbra carnose, ma si trattiene.
Poi lui tira fuori il blocchetto delle fatture. Lei sorride.
- Perché sorridi? Per la situazione?
- No, no.
- A cosa pensi? A tante cose?
- Sì, a tutte le bizze che ho fatto con te.
- C'è di peggio, Francesca, c'è di peggio.
E il tono si fa di nuovo tenero.
- Allora che facciamo?
- Cercami tu. Ma solo se ne hai bisogno, capito?
- Ma... ma come? Vuoi dire che non dobbiamo più vederci?
- Tanto vinci sempre tu, Francesca. Io non ho più segreti per te.
Si salutano con due baci sulle guance. Lui se ne va, con la sua kefiah e la sua borsa a tracolla. Lei si allontana dalla parte opposta.
- Perché mi ha detto questo? Che voleva dire?
Solo a scoppio ritardato, come sempre, lei capisce: il momento è passato, e lei non l’ha colto.
Due settimane dopo, al prossimo e ultimo incontro, lui l'accoglie dicendo:
- Guarda che sei tu che poi ti tiri indietro.
- Lo so.
Ma quale fosse esattamente il momento, quello lei non era mai riuscita ad afferrarlo.


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OCCHI SENZA PIU’ LACRIME

di Cordelia
L’investigatore entrò nella stanza. In un angolo seduta compostamente stava una donna. Il vestito, elegante e costoso, era ancora sporco di sangue, lo sguardo perso in chissà quali pensieri.
L’uomo si mise di fronte all’omicida con una cartella in mano, poi apertola, le mise di fronte una serie di foto.
- Allora, signora Marcelli, lo riconosce? Guardi bene le foto della vittima.
- Le vedo. Lo riconosco.
- Sa quindi come si chiamava? Chi era?
- Si chiamava Antonio Volpi.
- Signora lei è stata trovata con un coltello in mano, nella villa di questo signore, mentre infieriva sul suo corpo dopo averlo colpito con 14 coltellate.
- Si erano 14. Una per ogni anno.
- Una per ogni anno cosa?
- Una per ogni anno.
- Non capisco.
- Non importa. Lei non può capire.
- L'ha ucciso lei, quindi. Confessa.
- Si l'ho ammazzato io.
- Perché? Perché dice che io non posso capire?
- Lei è troppo giovane. Quanti anni ha? Ventisette, ventotto?
- Ne ho trentadue. Ma può parlare, può spiegarmi. Forse posso capire.
- Non credo. Ha figli?
- No, ma spero di averne.
- Glielo auguro. È una bella cosa avere dei figli.
- E lei ne ha mai avuto qualcuno Anna? Posso chiamarla Anna?
- Può chiamarmi come vuole.
- Lei ha appena confessato un omicidio, vuole un avvocato?
- No. Non mi interessa. Ormai non ha più importanza. Nulla ha più importanza.
- Torniamo ai figli. Quanti figli ha avuto, Anna?
- Una.
Sul volto della donna per la prima volta aleggiò un accenno di sorriso, come se stesse ricordando qualcosa di bello.
- Una bambina, quindi. E ha anche un marito? – Il detective Polvani era perplesso. Secondo i dati in suo possesso la donna non aveva figli.
- Non più. È morto.
Un’agente bussò nella saletta. Chiamò l’investigatore da parte, gli disse alcune cose sottovoce all’orecchio e poi andò via. Polvani si rimise seduto con un sospiro. Adesso capiva. Altroché, se capiva!
- Signora mi dicono che i suoi documenti sono falsi. Lei non si chiama Anna Marcelli, il suo vero nome è Lara Leonelli e il vero nome della vittima è invece Mario Corsetti.
- È vero.
- Perché ha cambiato nome?
- Dovevo farlo, altrimenti lui mi avrebbe riconosciuta.
- Già, ha cambiato nome, ha cambiato il colore dei capelli, ha usato lenti colorate. Tutto per avvicinarlo, vero?
- Sì, non mi avrebbe permesso di andare nella sua villa e di restare da sola con lui. Avrebbe capito subito le mie intenzioni.
- Invece lo ha abbordato. Ha premeditato tutto Lara?
- Si.
- Quando?
- Quando l’ho trovato.
- Lei è riuscita dove noi non siamo arrivati.
- Le mie motivazioni erano molto più forti delle vostre. E non avevo le mani legate dal fatto che fosse un uomo ricco con tante conoscenze altolocate. Ho passato ogni minuto della mia vita a cercarlo, dopo che voi l’avete rilasciato perché non avevate prove.
- Già. Ma lei è sicura che sia stato lui?
- Oh, lo ha confessato. Mi ha spiegato tutto. Non voleva dirlo, ma io ho usato la stessa tecnica che ha usato con mia figlia. Dopo averlo drogato e legato, ho atteso che si svegliasse e poi ho acceso una sigaretta e ho minacciato di spegnergliela sul corpo, se non avesse parlato. Era un vero codardo. Dopo le prime due bruciature ha confessato tutto. - Sul volto di pietra della donna, passò un sorriso di soddisfazione. – Io mi sono fermata. Mia figlia non ha avuto questa fortuna, prima di violentarla, lui l’ha seviziata con quindici bruciature. Tre su un seno, quattro sul braccio destro, una nella…
- Basta. Non dica altro. Non si torturi oltre.
- Non posso. Sa, io quelle bruciature le sento ogni giorno sulla mia pelle, una per una, ogni volta che mi sveglio e che ricordo chi sono e che avevo una figlia. Aveva solo 14 anni, era ancora una bambina. Aveva la vita davanti e quell’uomo me la uccisa, in quel modo, per fare i suoi comodi. E continuava ad andare in giro libero, libero di fare ad altre ragazzine quel che ha fatto alla mia. Sa, ha confessato non solo l’omicidio di mia figlia, ma anche quello di quell’altra ragazzina che era scomparsa un anno fa.
- Sara Bernardi, quella ritrovata in quel casolare abbandonato? – chiese Polvani,
- Si, Sara, si chiamava Sara. E ne ha nominata un’altra, una che non avete mai trovato. Chiara, ma non ricordo il cognome. Ha detto di averla seppellita in una bosco a nord della città. Ha riferito che vicino c’è un casolare in rovina, e una grande quercia.
L’investigatore si appuntò tutto, anche se tutto l’interrogatorio veniva registrato.
- E poi, dopo la confessione dei tre omicidi, cosa ha fatto?
- Gli ho fatto credere che lo avrei lasciato libero, che avevo registrato tutto, che avrei chiamato la polizia e che stavolta con la confessione che aveva fatto, non avrebbe avuto scampo. E come avevo immaginato, lui mi ha guardato con uno sguardo spavaldo. Non l’ha detto ma, una confessione estorta con la tortura, con gli avvocati che si poteva permettere lui… L’avrebbero rilasciato nel giro di due ore, e avrebbe potuto sparire di nuovo con una nuova identità. Così l’ho colpito, quando meno se l’aspettava. Ho affondato il coltello nella sua carne, e ho atteso ogni volta per ogni coltellata un po’ di tempo, in modo che si rendesse conto, che soffrisse. Per quattordici volte ho affondato la lama nel suo corpo, facendo uscire il suo sangue lentamente. E sa una cosa?
- Cosa Lara? – chiese l’investigatore guardando in quegli occhi ormai senza più lacrime.
- Non credo che abbia sentito il dolore che ancora sento e sentirò io per tutto il resto della mia vita.


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DIVERBI GENERAZIONALI

di Tuarag
- Non ti sembra di esagerare Nino?
- Cosa vuoi dire papà?
- Non ti trovo mai, stai sempre fuori, notte e giorno.
- Io sono nato libero, mi piace stare all’aria aperta. Non posso mica fare come te, sempre chiuso dentro queste quattro mura. Sempre e solo a casa.
- Ho una certa età io e non ho la carica che hai tu. Piacerebbe anche a me uscire ma non mi porta fuori mai nessuno.
- E per quale motivo dovrebbero portarti in giro. Quando sei fuori di casa, te ne stai muto come un pesce.
- Che c’entra, se non ho possibilità di intervenire è chiaro che sto in silenzio. Del resto anche a te capita di startene zitto zitto quando qualcuno ti mette in ombra.
- Può darsi. Ma io mi do da fare, cambio posto e riprendo a dire la mia. Non ho difficoltà a muovermi, non ho legami e sono snello io.
- Su questo vacci piano. Sarò anche vecchio ma la mia linea, voi giovani, potete solo sognarvela.
- Bella forza! Hai la fortuna di avere un’alimentazione controllata.
- Certo, io non faccio come te che quando hai fame cominci a lamentarti e non la smetti d’ingozzarti finché non sei pieno.
- Con tutte le cose che faccio, devo recuperare la mia energia.
- E perché le fai? Non sei portato per tutte quelle sciocchezze.
- Sciocchezze? Suonare, cantare, scrivere, fotografare, navigare, calcolare… e non vado oltre, secondo te sono sciocchezze?
- Non sono cose che avresti dovuto fare. Non sei nato per quelle. E come arriverà il nuovo tipo alla moda, che saprà fare una cosa in più di quello che fai tu, si stancheranno e ti lasceranno a casa dimenticandosi di te.
- Come te del resto.
- Che insolente che sei. Ricorda che in casa faccio tutto io. Anch’io ho i miei numeri: sono pronto, veloce e imbattibile. Se non lo riconosci, vuol dire che hai proprio una memoria corta.
- Chi, io? Ma se sei uno smemorato che non ricorda più di un paio di cose.
- Ma smettila che persino tuo nonno è più utile di te in casa.
- Mio nonno chi? Quel vecchio grassone che fa girare sempre lo stesso disco?
- Si quello. È da una vita che fa il suo dovere ed è sempre lì, con la sua bella scrivania. Non ha fatto e non farà mai la tua fine. A lui non potranno mai togliere l’anima!
- Forse è vero ma possono ridarmela in qualunque momento. Sono istruito e conosco diverse lingue. Basta poco e sono di nuovo pronto e ricettivo io. E non appena me la ridanno ritorno come prima e potrò ancora dire: cogito ergo sim.


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DEL PERCHÉ HO CAPITO SUBITO DI ESSERE MORTO

di Mastronxo
- Lo sai che cosa ti è successo, ragazzo? Ne hai una minima idea?
- Sì, io… Io sono quasi convinto di essere appena morto. Ho ragione, non è vero?
… Vero? Potrebbe rispondermi, per favore?
- Temo sia proprio come dici, ragazzo. Cristo, di gente ne è Passata con me, ma tu sei solamente il diciassettesimo che se ne rende conto subito e senza alcun aiuto. Non è che sapresti spiegarmi il motivo, ragazzo?
- Sa, non credo di essere nella… Come si dice… Nella condizione mentale adatta, in questo momento. Spero lei possa capirmi… Vecchio.
- Oh, fai anche il simpatico eh? Pure ̔sta roba è bella strana, in un momento come questo. Va be’, me lo dirai più tardi come hai fatto a rendertene conto. Ora, per evitare che la tua confusione rimanga tale troppo a lungo, comincio con l’anticipare la tua prossima richiesta. Io sono…
- Non è che sa suonare? O cantare, per caso?
- Eh? Sei bello strano pure tu, ragazzo mio, altro che se lo sei. Di solito sono due le richieste che mi fanno dopo essersi resi conto della situazione. La prima è se si tratta di uno scherzo. La seconda con chi stanno parlando. In verità, la maggioranza è di gran lunga più precisa. Mi si domanda addirittura se io sia Dio. Evidentemente è un’idea radicata nell’inconscio di chiunque, quella di Dio. Comunque non sono Dio, fugo subito ogni dubbio. Io sono…
- Senta…
- E smettila di interrompermi, razza di maleducato!
- Ma insomma, il maleducato è lei! Continua a parlare solamente di se stesso ed è talmente imbevuto dei suoi pregiudizi da essere convinto di poter prevedere l’andamento di ogni conversazione! Guardi che prima di essere un suo… Animaletto domestico, io sono una persona: se lo ficchi in testa! Ora, ho capito che non è Dio, e anzi non mi era passata per la mente neanche la briciola dell’idea che lei lo fosse. Lei dovrebbe essere la mia guida in questo cavolo di buio. Vede, non è così difficile da indovinare. Ora che ci siamo chiariti sulle nostre rispettive situazioni, può sforzarsi di essere meno egocentrico e di rispondere alle domande che le vengono rivolte, per favore?
- Non ho parole, io…
- Questa è buona! Non ha parole! Avanti, eravamo rimasti alla musica. Le avevo chiesto se sa cantare o suonare.
- No, no… Cioè, una volta forse, ma ormai non suono da così tanto tempo… A chi vuoi che gli freghi della musica quando si ha così tanta altra roba da sapere?»
- E cosa suonava?
- Non è che suonavo… Insomma ero un autodidatta, nessuno mi ha mai insegnato niente. Mi piaceva il violino, ecco.
- Trovo che sia uno strumento meraviglioso. Ricorda la fisionomia di una donna.»
- Oh, ma certo, certo! E anche la musica che ne viene fuori ha la medesima personalità di una donna. Così versatile, così sinuosa e ammaliatrice. Può accarezzarti le orecchie con note simili a timidi baci, o spezzarti il cuore in un vortice tremendo di perdizione. Sai, non ho mai voluto che nessuno mi insegnasse proprio per evitare di farmi inculcare pensieri che in realtà non erano miei. Non volevo cambiare prospettiva. Quello che volevo era continuare a pensare che la musica fosse donna.
- Dove ha lasciato il suo… La sua donna?
- Il violino intendi? Non saprei. Ti ripeto, è da tempo immemore che non suono, e di tempo ne ho avuto così poco per me stesso…
- Da come discute e da quello che dice, a me sembra che di tempo per se stesso ne abbia avuto fin troppo.
- Razza di ragazzaccio, avresti bisogno di una bella strigliata, altro che! Quanti anni hai, eh?
- Ooooh, vedo che sta migliorando! Questa è la prima domanda che mi rivolge senza che ci siano secondi fini per infarcire il suo ego! Ho ventisette anni, mi chiamo Spartaco e sono disoccupato.
- Spartaco! Ma che cappero di nome sarebbe? Non è adatto all’epoca in cui hai vissuto, ricordo che di Spartachi ne passavano parecchi chissà quanti secoli fa, e certo non parlavano la tua lingua. Che dovevano averci in testa i tuoi genitori per affibbiarti un nome come…
- Vecchio?
- Ancora a interrompermi, ‘sto maleducato! Che c’è?
- Stavo scherzando. Scher-zan-do!
- Ah… Eheh, be’ sì, forse mi sono un po’ irrigidito negli ultimi tempi…
- Avrebbe bisogno di suonare ancora per sciogliersi.
- Già, di suonare con una donna. Eheh!
- Forte. Vede che sta migliorando? Comunque, quanto tempo abbiamo?
- Meno è, meglio è. Ti basta come risposta?
- Sì, e mi piace anche. Molto concisa. Crede che mi potrebbe suonare qualcosina, nel tempo che ci resta?
- Suonare!? Ma io ti devo dire ancora un sacco di cose! Devo spiegarti perché non puoi ancora vedere niente e perché per adesso puoi sentire solo la mia voce, tra l'altro ti devo dire cosa succederà quando e se deciderai di gettarti nelle acque verdi del Testore. E poi ti ho detto che il violino non ce l’ho più, l’ho perso da decine e decine di anni!
- Scemenze, sono sicuro che ce l’ha a portata di mano proprio in questo momento, anche se non posso vederlo.
O mi sbaglio?
- Razza di ragazzaccio che non sei altro, te sei un demonio! E va bene, pochi minuti però! E se ti fa schifo la melodia, non ci provare neanche a lamentarti! Chiaro?!
- Chiarissimo, vecchiardo malefico.
- Ma porco di quel…
- Guardi che non so se le conviene bestemmiare, nella situazione in cui si trova.
- Ahhhh! Basta, con te non so che fare. Adesso suono, così puoi chiudere quella boccaccia da carampana che ti ritrovi. Povera quella Santa Maria di tua madre, avere un figlio come te! Fa’ silenzio, devo concentrarmi.
- Aspetta un attimo, vecchiardo. Posso darti del tu, vero? Ecco, ti devo una cosa.»
- Cosa?
- Il motivo.
- Il che?! Che motivo?
- Del perché ho capito subito di essere morto.
- Ah! Andiamo, non mi interessa più. Ognuno ha diritto alla sua… Come la chiamano quelli là, gli americani… Privacy, o qualcosa di simile.
- No, mi farebbe piacere. Prendilo come un piccolo tributo per la tua musica.
- Mmmm… Va bene, va bene. Sputa fuori: come hai fatto?
- Be’, ammetto che non sono abituato a girare attorno alle questioni. Vedi, quando ero vivo ero sordo. E muto anche. Tu sei la prima voce che sento, la prima a cui rispondo. Non è per niente difficile come ho pensato per tutta la vita. E sai una cosa? Sarai anche un vecchiaccio pomposo e perditempo, ma sono contento sia stato tu il primo. Ehi, mica ti starai mettendo a piangere? Un tipo vissuto come te che figura ci fa? Avanti, non vedo l’ora di sentire la tua musica. Ti ascolto.


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COMPRENSIONI

di Paride Bastuello
- Prego si accomodi.
- Grazie, sono venuto per il lavoro...
- Certo, per cos'altro sennò.
- Beh, questo è un bar, potevo essere un cliente.
- No, non ha proprio l'aria di un cliente, ho escluso fin da subito che lei fosse un cliente, con quella faccia, uno che cammina in quel modo.
- Mah...
- E' una vita che gestisco bar, ristoranti, alberghi, ho visto tutti i possibili clienti. Si fidi, non è cosa per lei.
- Faccio colazione tutti i giorni al bar.
- Va bene, certo... capisco che lei voglia fare bella impressione, è comprensibile... vedo da come è vestito che deve passarsela male... magari sono mesi che risponde a tutti gli annunci, non è vero? Vede, ho una certa esperienza, non mi aspetto che lavorare in un bar sia il sogno della sua vita, tuttavia anche per questo ci vuole una certa predisposizione... ma non si preoccupi, le dicevo che come cliente lei non è adatto, anzi smetta del tutto di frequentare i bar... però per lavorare lei mi sembra che possa andare... lasci perdere il curriculum, sono sicuro che sia totalmente inventato. Vedo però del talento, non è ancora espresso ma c'è.
- Allora mi assume?
- Sa già come funziona il lavoro qui?
- Immagino che sia come per gli altri bar, colazioni al mattino... Panini...
- Lei immagina... non sa niente, ho capito. Avrà il suo contratto e la paga naturalmente, la sua divisa per servire al banco, ma non deve venire mai al lavoro. Del resto qui non viene mai nessuno, ha forse visto qualche cliente da quando è arrivato?
- Non capisco... non devo venire?
- D'ora in poi lei lavora per il mio bar, se lo ricordi bene. La paga le verrà accreditata sul suo conto ogni mese. Se poi un giorno dovessi aver bisogno di lei la chiamerò e lei verrà qui a lavorare, puntuale con la sua divisa in ordine.
- Ecco, è un lavoro a chiamata, e all'incirca ogni quanto avete bisogno?
- Per ora non abbiamo ancora chiamato nessuno, ma questo non significa niente, potrebbe succedere domani così come potrebbe non succedere mai. Questo non è importante, l'importante è che lei lavora per me adesso.
- Certo che è uno strano lavoro questo... forse parlo contro il mio interesse.. perché assumete se non viene nessuno?
- Mi ascolti bene, deve capire che la cosa importante è avere il lavoro, sapere che questo bar esiste, e che verrà chiamato. Quando un giorno arriverà un cliente cambierà tutto, lei lavorerà e io potrò ritirarmi, è molto che aspetto.
- Perché fa tutto questo? Chi l'ha assunta?
- Io... ormai sono qui da troppo tempo, non mi ricordo più quando ho iniziato e perché, mi ricordo che c'era un buon motivo... un ottimo motivo.
- Va bene, facciamo così, sono io il cliente, lei mi serve e poi è libero, prendo il suo posto.
- Ma non sa niente di questo lavoro...
- So quello che serve. Si deve aspettare.
- Grazie, grazie, dopo tutto questo tempo è arrivato. Allora, cosa posso servirle?


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CHEF

di Sartisa
- Scusami.
- Ma dove cazzo guardi? La torta di mio padre!!La festa... un disastro!
- Scusami ancora... con questa tormenta, non ti ho vista.
- Guarda là c'è un tettoia.
- E chi se ne frega della tettoia, io non ho più la torta. Guardala; si sta sciogliendo sotto l'acqua!
- Se andiamo là possiamo sistemare questa spiacevole faccenda.
- Va bene.
- Che tempaccio non si riesce neppure a camminare.
- E adesso come faccio senza torta? Oggi mio padre compie gli anni. Porca!
- Visto che lo scontro l'ho provocato io facendo l'angolo della via di corsa, vorrei aiutarti.
- Ma lasciami perdere, andrò di nuovo in pasticceria e ne comprerò una già fatta.
- Sono io il pasticcere del negozio qui dietro. Dai fatti aiutare? Un compleanno senza torta
è come una cucina senza chef.
- Ma no dai.. Ritorno indietro.
- Ora è chiusa. Insisto. Stavo rientrando a casa per riposarmi e riprendere il turno alle 21. La nostra fa sevizio notturno, è solo da due giorni che teniamo aperto anche di notte.
Io abito lì di fronte, vedi quel terrazzo? Ho preso casa vicino al negozio così non perdo tempo. Odio buttarlo, preferisco arrivare subito al sodo. Vedo che sta smettendo di piovere magari siamo fortunati e potremo vedere anche un meraviglioso arcobaleno.
- Non saprei... no grazie.
- Ci sarà una festa tra qualche, e tu non avrai la torta personalizzata? E senza torta sarebbe veramente triste? Quanti anni compie tuo padre, e a che ora è la festa?
- In effetti. È vecchio, ne compirà 50. Gli invitati arriveranno verso le 20.
- Sarà anche un buon motivo per asciugarti. Hai l'impermeabile e le scarpe zuppi d'acqua.
- Va bene giusto il tempo di rifare la torta.
- Abiti proprio tra le nuvole?
- Si, ottavo piano.
- Eccoci entra pure...
- Anna mi chiamo Annalisa, ma va benissimo Anna.
- Ottavio, ma mi chiamano Chef.
- Scusa, ma ti precedo così ti accompagno direttamente in terrazzo a vedere se c'è l'arcobaleno.
- Cazzo che bello, non ho mai visto un panorama così. Roma vista da qui è splendida.
- Certo Anna, se mi dai il soprabito lo asciughiamo in bagno.
- Sì sì grazie!
- Gradisci un buon bicchiere di vino tanto per scaldarci un pochino?
- Non hai un Mojito e una siga?
- Mi spiace non fumo, e non bevo quella roba.
- Allora va bene il vino, ma riempimi il bicchiere. Qui fuori fa freschino.
- Accomodati intanto sul divano, io arrivo con il plaid da terrazzo e con il resto.
- Eccomi. Ti ho portato anche dei dolcetti, dimmi poi cosa ne pensi sono fatti con castagne e miele, è una mia invenzione. Non essere pensierosa, lo vedo nei tuoi occhi.
Non ti mangio, ti sto solo offrendo un bicchiere di vino e dei pasticcini?
- Non sono pensierosa, è che mi sono infilata in una storia imbarazzante, non credi?
Comunque sono abbagliata sia dal panorama che dal tuo fare fuori dal comune, e questi bon bon sono la fine del mondo, per non parlare del vino.
- La situazione non è imbarazzante. Anna, ora se permetti, intanto che tu ammiri la nostra vecchia Roma io vado a creare la tua torta.
- Grazie Chef.
- Ma che ora e’ Chef?
- Sono quasi le 19.
- No!!! È tardissimo, dov’è la gonna, accidenti dai! Trovami le scarpe!
- Anna, ti prego vediamoci ancora! È stato meraviglioso stare con te oggi.
- Chef, non dovevo salire. Aiutami a cercare le scarpe ti prego, devo andare ora. Dimmi
dov'è la torta.
- È in cucina, dritto là in fondo.
- Scusa Chef, non dovevo bere... non dovevo...
- Ci vediamo domani Anna? Ti aspetterò qui… cosi’ proseguiremo
dove oggi abbiamo interrotto. Apparecchierò sul tuo giovane e generoso davanzale, dove appoggerò con delicatezza delle gocce di cioccolato e miele e berremo del sublime Reasling, vedrai Anna, come ci divertiremo...
- Dai Chef , ma per favore! Piantala. Ho 15 anni e tu probabilmente l'età del mio vecchio. Oggi è successo quello che non doveva accadere. E copriti sei patetico! Ho sbagliato, mi sono fatta trasportare dal tuo fascino, dalla tua pelle color del caffè e dai tuoi... dolcetti. Dimenticami!
“Anche oggi non è venuta, ormai ho perso ogni speranza... Pazienza vorrà dire che
inserirò un altro nome nella mia agenda. Domani ne adescherò un altra. Qui a Roma fare il pasticcere è molto redditizio. Il fatto di non rivederla alla fine non mi interessa, la mini videocamera anche in questa occasione ha registrato ogni sua posa.
Metterò il filmato on-line domani, ora devo andare in pasticceria sono le 21"


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IL PERDONO

di Angela Di Salvo
Finalmente Alice apre gli occhi.
- Miriam, sei qui…
- Si, sono qui. Sono appena arrivata. Sono partita subito appena la mamma mia ha detto…
- Che sto per morire?
- Alice, ma cosa dici! Morire! Sei giovane e forte, e ce la farai. Non dire stupidaggini.
- Io non ho paura di morire. Anche perché me lo merito.
- Nessuno lo merita, quindi smettila e stattene zitta. Non ti devi affaticare. Il dottore mi ha raccomandato di farti riposare e lasciarti tranquilla. Quindi me ne starò qui buona accanto a te e aspetterò che arrivi la mamma.
- La mamma… poverina, quanti dispiaceri le ho dato… Io sono stata la pecora nera della famiglia, quella che ha sbagliato tutto, che non ha mai combinato niente di buono nella sua vita…E adesso le sto arrecando anche questo dolore..
- Non è stata colpa tua se un pazzo ubriaco si è buttato sulla tua macchina. Poteva capitare a chiunque.
- Io le cose brutte me le sono sempre andate a cercare. Sono io che attiro i guai…
- Ricominci? Senti, se hai intenzione di fare la vittima, esco fuori dalla stanza.
- No, non ho ancora finito. Non puoi lasciarmi se prima non ti confesso tutto…
- Cosa mi devi confessare?
- Ho tante cose da farmi perdonare, Miriam. Non sono stata una buona sorella per te.
- Siamo due persone diverse e in passato abbiamo avuto i nostri diverbi, è vero, ma questo non vuol dire nulla.
- Non è ai nostri litigi che mi riferisco.
- A cosa ti riferisci, allora?
- Pensavo fosse facile dirtelo…. Ho passato molti mesi a prepararmi questo discorso e rimandavo sempre in tempi migliori. Ma adesso non c’è più tempo. Devo trovare il coraggio…
- Avremo tutto il tempo che ci serve. E poi non mi piace questa scena da film strappalacrime come davanti a un moribondo che si confessa sul letto di morte. Non mi piace affatto. Non mi sono precipitata qui in ospedale per rivangare il passato. Non voglio sapere niente.
- E invece te lo devo dire. Non posso tenermi questo peso ancora. Sento che non ce la farò se non mi strappo dal petto questo bubbone infetto e non libero la mia coscienza sporca davanti a te.
- Perché davanti a me?
- Perché il male peggiore l’ho fatto a te – singhiozza sussultando. Poi prende ad ansimare.
- Tu stai male….vado a chiamare il medico, ti faccio portare un calmante!
- No, non andare via. Devo dirti tutto, devo andare fino in fondo…
- Però ti stai agitando troppo, e non è il caso nelle tue condizioni.
- Anche tu sei stata male in passato. E allora sono stata io a venire al tuo capezzale..
- Ho fatto una sciocchezza. Ma stupidamente credevo che avrei risolto tutto ingoiando tutte quelle pastiche per non pensare più a Claudio…
- Lo so quello che hai passato, Miriam. E mi dispiace, mi dispiace tanto…
- Però allora te ne sei infischiata se mio marito mi aveva lasciata da sola con un bambino piccolo. Ero disperata e avrei avuto tanto bisogno di un po’ di conforto… Ma tu eri troppo presa dalla tua vita spensierata, sempre in giro a divertirti con i tuoi amici…Dovevo tentare il suicidio e finire in ospedale per rivedere la tua bella faccia.
- Ho sbagliato, lo so, sono stata un’egoista. Perdonami.
- Va beh, non è il caso di parlarne adesso. Anche perché ora le cose sono cambiate. Claudio è tornato a casa pentito ed è diventato l’uomo meraviglioso che era prima. Non so cosa gli sia passato per la testa quando mi ha lasciato, ma non m’importa più. Non gli ho mai chiesto niente e non lo farò mai. Sono felice così.
- Davvero? Adesso sei felice?- chiede tremante.
- Sì. I momenti brutti ci piombano addosso all’improvviso, ma non bisogna mai disperare. Per fortuna poi tutto passa. E anche tu ti scorderai presto di questo brutto incidente e guarirai. Tornerai in forma come prima.
- Non mi importa di tornare come prima se non mi perdoni.
- Se ti riferisci alla tua latitanza di allora, ti ho già perdonata. Sei stata sempre un po’pazzerella, sorellina, ma mi andavi bene così. E’ il tuo carattere.
- Non è di questo che mi devi perdonare.
- Ah,no? E di cosa?
- Forse non dovrei dirtelo, considerato come si sono messe le cose. Ma non posso più nascondertelo… Non posso più.
- Cosa non puoi nascondermi?
- Claudio….
- Che c’entra Claudio?
- Tu eri la migliore, quella che tutti ammiravano, quella che si era laureata, che aveva trovato un lavoro importante e un marito bello e ricco come un principe azzurro…Io mi sentivo una nullità di fronte a te. Ed ero pazza di invidia per questo.
- Non riesco a seguirti…
- Sai perché Claudio se n’è andato? – prorompe decisa.
- Ti ho detto che non importa più. Claudio adesso è a casa, con me e con il suo bambino.
- Sono stata io la causa di tutto…
- Tu? Che significa? - domando in preda a un'ansia crescente.
- L’ho circuito, l’ho sedotto senza un briciolo di vergogna. Approfittavo delle tue assenze per il lavoro e lo andavo a trovare con la scusa di dargli una mano con il piccolo Giorgio. E alla fine…
- Che hai fatto? – grido incredula – Tu stai vaneggiando. Di sicuro hai la febbre alta, non sai quello che dici! Vado a chiamare il medico..
- Torna qui! Non andare via, lasciami parlare…
- Per quanto mi riguarda, hai già parlato troppo. Anzi, hai straparlato. Non credo a una sola parola di quello che hai detto. Stai male, è evidente.
- No, Miriam, è la verità. – tossisce, si interrompe e poi riprende a fatica – La relazione è durata segretamente per qualche mese, ma il nostro rapporto era malato, morboso….e Claudio era stressato, non ce la faceva più a fare la doppia vita. Ha dovuto allontanarsi da te per la paura che tu lo venissi a sapere…
- Mi sembra di essere in un incubo... - dichiaro sperando di svegliarmi presto.
- Ma ti giuro che poi è finita anche fra noi. Io…
- Tu adesso te ne stai zitta e non ti azzardare più a fiatare, hai capito? – urlo sconvolta.
- Forse avrei dovuto tenermi tutto dentro e non dirti mai niente. Ma io ho bisogno del tuo perdono per morire in pace…
- Smettila di fare sceneggiate! Tu non morirai, e sai perché? Perché le persone malvagie non muoiono mai! Mai!
- Miriam, ti prego, ti prego….- la sento piangere dal corridoio.
Lì ascolto il medico parlare con tono rassicurante a mia madre.
- La fase critica è passata, signora. Stia tranquilla, adesso è fuori pericolo
- Oh, sia ringraziato Iddio! Miriam, non senti cosa mi sta dicendo il dottore? Tua sorella ce la farà, ce la farà! Ma dove corri?
- Esco a prendere un po’ d’aria, mi sento soffocare!
- Che hai? Che è successo?
- Niente. Di peggio non può più succedere niente.
- Come, niente? Ma se hai la faccia stravolta! Come l’hai trovata Alice? Vieni con me da lei, ha bisogno di noi.
- Ha bisogno di te, mamma. Credo che la mia presenza la faccia stare peggio. Vai tu.
- E tu dove vai?
- Vado a casa mia. Prendo il primo volo. Ci sentiamo per telefono.
- Riparti? Ma cosa devo dire ad Alice se non ti vede tornare?
- Dille che non posso perdonarla.
- Perdonarla? E di cosa?- chiede basita.
- Lasciami andare. Sono cose nostre.
- Non ti capisco, figlia mia. Proprio non capisco – scuote il capo, amareggiata.
- Meglio se non capisci, mamma. Dille che forse un giorno le cose potranno cambiare. Ma adesso no, non è possibile. Il mio perdono dovrà meritarselo – farfuglio sommessa mentre scappo via.


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L’ULTIMA PROMESSA

di Lorella15
— Vieni, vieni a sedere qui vicino a me.
— Come ti senti?
— Continui a chiedermelo sempre. Come mi sento? Cerco di non pensarci. E te, hai pensato a quello che ti ho detto?
— Non ho pensato ad altro in questi giorni. Lo so che ne avevamo parlato, ma un conto è farsi una promessa quando stiamo bene, un conto chiedermi questo ora. Poi ancora c'è tempo, non stai così male.
— Ti racconto una cosa Giulio, una cosa che non ho mai detto a nessuno. Quando stava male mia mamma, io avevo il terrore che lei mi chiedesse quello che io ho chiesto a te. Facevo di tutto per evitare di restare sola con lei. E lei forse è stata più forte di me, ha avuto il coraggio di affrontare tutto, di guardare in faccia la morte per settimane. Tesoro, io ti capisco, so che quello che ti ho chiesto è tanto e so cosa provi in questo momento.
— Ho parlato con il medico, dice che ora la terapia del dolore è molto efficace. Se gli antidolorifici orali non ti faranno più effetto, ti metteranno un dispenser sottocutaneo. Mi ha detto che se il dolore è aumentato possiamo provare già da ora con la cannabis.
— Così mi tolgo la curiosità di non aver mai fumato uno spinello… Non è un problema solo di dolore. Io non voglio perdere la mia lucidità, non voglio essere una larva in questo letto che aspetta di morire. Già non riesco a sopportare di non riuscire a fare tutto da sola. Vedi Giulio, se io fossi consapevole di avere una minima speranza di guarigione sono sicura che affronterei tutto, lotterei con le unghie e con i denti. È una vita che mi conosci, sai che non mi hai mai spaventato niente. Io non ho paura del dolore o della morte… ma non voglio diventare un corpo pieno di tubi, quello per bere e quello per pisciare, quello per gli antidolorifici e quello per gli antitumorali. Io sono una donna, una persona, non un corpo. Voglio solo andarmene con dignità. Voglio che tu, che tutti quelli che mi vogliono bene, si ricordino di me come sono ora. Non ho una bella cera nemmeno ora, ma parlo, ancora cammino, ragiono, ragiono Giulio!
— Come fai a scherzare… lo so che sei forte, sei più forte di me, sono io che non ce la faccio a lasciarti andare…
— Non provare a piangere, se piangi ti lascio, chiedo subito la separazione… dai così mi soffochi, su aiutami che mi alzo un po'.
Ho fatto delle ricerche in questi giorni. Mi rendo conto che non possiamo farlo da soli, anche se lo avrei preferito. Medici che possano aiutarci non ci sono, poi potrebbero esserci delle ripercussioni legali. La Svizzera è la soluzione migliore. Devo mandare la richiesta e la cartella clinica. Non accettano tutti, per dobbiamo muoverci velocemente, finché sono lucida. Mi devi aiutare con la documentazione e vorrei che tu mi accompagnassi.
— Laura prenditi ancora un po' di tempo per pensarci, è successo tutto così in fretta.
— Non ho tempo, lo capisci che il mio tempo è finito? Ogni giorno che passa è come siano trascorsi anni, decenni che si abbattano nella mia testa e nel mio corpo. Non mi è mancato certo il tempo per riflettere,sono chiusa in casa da settimane, mi muovo dal letto al divano, l’unica cosa che riesco ancora a fare è pensare e fra poco neppure quello potrò fare.
— È tutto così difficile per me. Lo sai che ho sempre condiviso questo pensiero con te, ma ora, ora che mi ci trovo di fronte non riesco a essere razionale.
— Non riesco più a leggere, i righi mi si confondono e le parole mi ballano davanti. Presto gli occhi si spegneranno e poi perderò le gambe, le braccia. Non parlerò. Mangerò con un sondino. Dovrai mettermi il pannolone poi anche il mio intestino si fermerà. Ma probabilmente ancora il cuore continuerà a battere e te lo so che mi sarai accanto. Nel bene e nel male. Finché morte non ci separi.
Ma quale è il confine tra la vita e la morte? Cosa mi resta da fare in questa vita?
— Non ti agitare, siediti nel divano. Vado a prendere qualcosa da bere, poi stiamo un po' qui insieme.
Giulio tornò con due bicchieri, si sedette accanto a Laura e le porse il suo bicchiere stringendola tra le braccia. Aveva rispettato la sua promessa.


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LA RIMPATRIATA

di Recenso
– Prego signo', vada pure.
– Ciao, Daniela.
– Uh? Ma chi ca...
– Sono Roberto. Simoncini. Liceo Leopardi, sezione C.
Simoncini... Quel Simoncini?
– Proprio io.
– Aò, mo' mi ricordo. Da quanto tempo...
– Dieci anni.
– Scusa un attimo. Signo', guardi che il carrello lo deve lasciare qui! Qui, ho detto! Eh, appunto! Che gente... E che ci fai da queste parti, Roberto?
– Passavo per caso, ti ho vista dalla vetrina, così ne ho approfittato per fare provviste. Allora, come sta la mia duchessa di Windsor?
– Ahahahahahahaha, “duchessa”, spiritoso. E niente, mi sono sposata. Lui fa il meccanico a Tor Pagnotta.
– Figli?
– Uno, un teppistello, ma è tanto caruccio. Otto anni. Adesso sta a scuola. Pssh. Fammi un piacere: metti tutto sul nastro, che ci guardano.
– Subito.
– E te? Ce l'hai la moglie?
– No. Sono in cerca ma...
– Al solito, sei rimasto a fa' da tappezzeria. – Ride come una foca.
– È libera la cassa?
– No, signora, aspetti il turno suo che prima c'è il signore.
– In compenso il lavoro mi dà tante soddisfazioni.
– Sì? E che fai?
– Scrivo romanzi.
– Davvero? Di che genere?
– Del genere che va a ruba. Best seller. Finora ho venduto cento milioni di copie. Aggiungici i diritti cinematografici...
– Cento milioni de che? 'Sticazzi! Ti sei fatto i soldi, insomma... Mmh. Ah. Eh sì, che tu eri bravo coi temi, a scuola...
– Te lo ricordi...
– Altroché se me lo ricordo! A proposito: non te l'ho mai detto, ma ti ci avevo messo gli occhi sopra. Eri tanto fico – aggiunge con un sorriso caricato.
– Ve la date una mossa, invece di cazzeggiare?
– Signo', lo vede il nastro? La vede la roba? E lo vede il mio ditino sulla cassa? Embè? Se ha fretta, guardi che c'è l'altra fila! E che cazzo! Scusa, Robe', è che queste mi fanno uscire dai gangheri. Come se non bastasse il mio ex...
– Ex?
– Ex marito. Non l'ho detto? Lo stronzo m'ha piantata l'anno scorso, per farsela con una troietta; adesso siamo divorziati e devo arrangiarmi con quei quattro spiccioli che mi dà, 'sto disgraziato...
– Mi spiace. Immagino cosa stai passando...
– Non mi far parlare... E quindi ora stai scrivendo un best sellere?
– Già. Stavolta è una cosa difficilissima. Il mio editore vuole una storia composta unicamente da dialoghi.
– Cioè gente che parla e basta?
– Come voi due che mi fate perde tempo, qua.
– A signo'! Secondo lei sto ballando la samba?
– No, altrimenti me facevo 'na panza de risate, con quella ciccia che ti ritrovi.
– Ma guarda 'sta fia de 'na mignotta...
– Anfatti so' tu' sorella...
– Ma vaffa.... E tu hai già un'idea, Roberto?
– Per adesso è un embrione, una cosuccia, però è geniale. Anzi, vuoi sapere cosa ho escogitato?
– Me lo diresti in anteprima?
– Certo, a una vecchia amica come te...
– Vacci piano a darmi della vecchia, che non ho mezza ruga in faccia. Mica come quella deficiente lì, che c'ha la cellulite pure sur naso!
– Li mortacci...
– Dai, era per dire che mi fido di te e so che manterrai il segreto. Quando finisci il turno?
– Alle due.
– Mancano dieci minuti. Facciamo così: ti aspetto fuori, andiamo a casa mia e ti mostro la bozza. Dopo, magari, potremmo pranzare al ristorante... Se ti fa piacere...
– Scherzi? Hai voglia che mi va! Tanto mio figlio esce alle cinque.
– Benvenuta a casa mia. Ecco il soggiorno.
– Cacchio! Ammazza che reggia! E... ci vivi da solo, qui?
– Solissimo.
Mmh...
– Ti presento la mia collezione: le prime stampe dei miei romanzi.
– Apperò. Fammi vedere. Ma che sono?
– Thriller.
Ah. Boh. Be', io non me ne intendo. E questo?
– Pezzi di carta rosa tenuti insieme con lo scotch. Non lo riconosci? È il bigliettino che ti diedi in prima ginnasio, quello con sopra scritto “Ti amo, Dany”. Quello che riducesti a brandelli davanti a tutta la classe. Mi trovavi tanto fico, vero? Bugiarda. Dicesti che con quei brufoli non mi avresti baciato nemmeno a pagamento, che la mia faccia ti sembrava una “pizza demmerda”. Mi avete deriso per anni.
– Eh? Aehm. No, io, sai... E dai, scherzavo, no? Si scherzava tutti.
– Certo, certo. Eravate ragazzi, ingenui... crudeli. Però, sai, vi ho perdonati. E guardami adesso. Guardami! L'acne è sparita, hai visto?
– Altroché. Sei tanto fico. Scusa, m'è scappato...
Lui sogghigna. – Lieto che apprezzi.
– Mo' però... me ne dovrei proprio andare.
– Di già? Speravo potessimo pranzare assieme.
– Eh, no... vedi... Me so' ricordata che devo ancora cucinare... per la creatura. Mi aspetta.
– Giusto, sennò poi che mangia? D'accordo. Vorrà dire che pranzerò da solo. – Esce dal soggiorno.
– Oddio! Questo è pazzo. – Corre nell'ingresso. Roberto è lì con una sciabola in mano.
– Sai di cosa scrivo? Di assassini: Tizio ammazza Caio, Caio muore. Sai come finisce?
– … No, io...
– Avanti, indovina!
– ... c-che la polizia arresta Tizio?
– Errato. Tizio continua a uccidere felice e contento, ogni volta in un modo nuovo. Sai, i tuoi compagni sono stati una vera fonte d'ispirazione. Mancavi solo tu... all'appello.
– Ti prego, Robe', lasciami andare.
– Tra poco. Ma prima... Oops, hai un brufolo sul viso...
Un grido strozzato. La testa di Daniela rotola sul pavimento.
– … e io ho voglia di pizza.


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