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Le altre recensioni o commenti
Di Arcangelo Galante: Talvolta, è davvero difficile comprendere quale dovrebbe essere la giusta distanza, per apprezzare, da lontano e da vicino, ogni sfumatura della vita e dei sentimenti umani, specie quelli inerenti alla concretezza dei personaggi, descritti nella narrazione. Difatti, per i protagonisti che adempiono a svolgere una rigida religiosità , fatta di regole e di riti, il senso di quanto possa essere altamente utile o meno, è assai diverso da quelli che reputano fondamentale la pittura e la scrittura. Il testo è impostato, quasi tutto, sul dialogo ed è fortemente interessante, per l'argomentazione intavolata. Le cose "non concrete", a cui pensa Giovanni, non sono solo le fervide fantasie, pur se creative dell'artista, ma anche i segni di una spiritualità più vasta, universale, che va oltre i confini di una religione, grande e risonante, come quella che si basa sul Vangelo di Cristo. Ma è la spiritualità senza limiti, che ignora le convenzioni e le ipocrisie conformiste, come quelle del personaggio femminile. Nel dipanarsi delle considerazioni soggettive, la ciliegina sulla torta sta nel lampante ragionamento, che nessuno mette in discussione quello in cui crede, permettendosi, con eccessiva superficialità , di giudicare negativamente chi non rispecchia alla perfezione, il proprio modo di vivere e di essere. Forse, il tempo può aiutare l'uomo, nel trovare una giusta intesa e un autentico equilibrio per stabilire ciò che più conta rispetto alle distanze da mantenersi: ardua, è l'impresa!
Di Marino Maiorino: Contraddistinto da una buona caratterizzazione dei personaggi, quasi cinematografica, il racconto mi ha fatto sperare fino all'ultimo che la figura del prete, in principio più ben disposto ed aperto nei confronti del protagonista, potesse essere la finestra attraverso la quale l'autore ci spiegava Giovanni, il suo tumulto, che rimane un generico impulso creativo.
Al contrario, il sacerdote desiste dall'investigare ulteriormente già alla seconda domanda, conformando il proprio giudizio a quello della massa. Uno dei principi fondamentali del mio sentire l'ho trovato espresso in alcuni versi di Tolkien: L�Uomo, il Subcreatore, questa riflessa Luce, passando per il quale dal Bianco si produce di colori una gamma, senza fine in viventi forme commisti e scambiati tra le menti. Le fessure del mondo noi abbiamo riempito di elfi e folletti ma pure costruito Dèi e templi a partire dall�ombra e dalla luce, sparso dei Draghi il seme: fu un�insolenza truce? Era il nostro diritto, che non è decaduto: creiamo nella legge che tali ci ha voluto Soprattutto il tema di queste due ultime righe speravo di trovare espresso in un dialogo tra Giovanni ed il curato. Invece vedo ergersi il muro dell'alienazione e del pregiudizio, così tipico della nostra triste era. Ma quando leggiamo, lo facciamo soprattutto per ascoltare cosa l'autore ha da dire, non per sentirci ripetere un mantra, appreso o maturato che esso sia. L'autore ha dunque voluto ritrarre il tipico atteggiamento di un sacerdote incapace di intavolare un discorso più profondo, e col fallimento del curato, una figura che più di tante altre dovrebbe aprire il dialogo con infinite varietà di persone, crolla anche la capacità della nostra società di comprendere davvero gli individui che la compongono, e di accettarne le individualità . Di Stefano di Stasio: Ritratto solidale. Con una presa diretta l�autore ci prospetta il dialogo fra un prelato e una donna. Nella conversazione emerge la figura di una terza persona, Giovanni, con la testa fra le nuvole e la casa sempre in disordine. Come si può non condividere la simpatia per chi mantiene la casa sempre in disordine? Qualunque persona creativa certamente si ritrova a litigare, almeno una volta, perché un fanatico/una fanatica dell�ordine gli ha spostato pennelli, quaderni o appunti, lasciati a bella posta sotto una tazzina di caffè o sul tavolo per ricordarsi di un eventuale spunto di scrittura, pittura o altro. O semplicemente perché il disordine è bello e colorato. Dal racconto viene fuori un invito alla riflessione sul concetto di concretezza che, paradossalmente, meglio dovrebbe descrivere proprio quella capacità di incidere sulla realtà , per esempio per cercare di migliorarla, che è lo scopo di Giovanni, piuttosto che quella di accontentarsi distrattamente di essa, che, al contrario, è l�atteggiamento di chi lo critica.
Di Angela Di Salvo: Difficile stabilire in che cosa consista, in fin dei conti, la differenza fra le "le cose concrete" e le cose "poco concrete" (che sarebbero tutto ciò che non ha nessuna utilità pratica e fa perdere solo tempo). Questo breve raccontino si propone di rappresentare i diversi punti di vista fra un paio di personaggi legati a una rigida religiosità fatta di regole e di riti (qui un altro paradosso: è una cosa "concreta" aver fede in un Dio che non si vede e che si suppone che esista?) e uno stile di vita bizzarro in cui la pittura e la scrittura sono, secondo il punto di vista del terzo personaggio (Giovanni), delle attività utili e necessarie per dare piacevolezza e significato alla sua vita. Il testo segue l'impianto dialogico attraverso delle battute che risultano molto dirette ed essenziali. Il tutto è narrato con estrema semplicità e, all'apparenza, sembra una piccola storia senza troppe pretese. Ma, ad una lettura più attenta, è possibile ricavare degli spunti di riflessione molto profondi, in particolare la discrasia che esiste fra i diversi punti di vista delle persone nel dare valore alle cose, ai comportamenti e alle azioni che compiono per dare un senso alle loro esistenze. E la cosa più inquietante è che nessuno mette in discussione quello in cui crede, permettendosi con eccessiva superficialità (in cui cade persino un uomo di chiesa) di giudicare negativamente chi non rispecchia esattamente il proprio modo di vivere e di essere.
Benvenuto fra noi! Di Giuseppe Novellino: E' interessante il tema di questo raccontino quasi tutto impostato sul dialogo. Le cose "non concrete", a cui pensa Giovanni, non sono solo le fantasie fervide e creative dell'artista, ma anche i segni di una spiritualità più vasta, universale, che va oltre i confini di una religione, anche di una religione grande e sconvolgente come quella che si basa sul Vangelo di Cristo. E' la spiritiualità senza confini che se ne sbatte delle convenzioni e delle meschinità conformiste come quelle del personaggio femminile. E' scritto bene, si legge con facilità e piacere.
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Dedicato a tutti coloro che hanno scoperto di avere un cervello,
che hanno capito che non serve solo a riempire il cranio e che
patiscono quell'arrogante formicolio che dalle loro budella
striscia implacabile fino a detonare dalle loro mani.
A voi, astanti ed esteti dell'arte.
(Sam L. Basie)
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