Il cavaliere del cielo
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Il cavaliere del cielo
Mi trovo ora in una sala dove ci sono delle tavole apparecchiate: su ognuna di esse, sopra una tovaglia a quadretti, sempre la stessa, sono disposte con meticolosa precisione piatti, posate e un immancabile fiasco di vino rosso. Sembra di essere in una bettola dei primi del Novecento. Ma di avventori nessuna traccia. Mi guardo intorno. Appeso alla parete c'è un quadro con l'effigie di un pilota francese: è in piedi davanti al suo aereo, un Newport 11, la mano appoggiata sull'elica. Anche i nostri aviatori, soprattutto durante i primi mesi della Grande Guerra, hanno volato con questo splendido caccia: Francesco Baracca, Pier Ruggero Piccio, Fulco Ruffo e tanti altri… Mi gratto la testa. Da una stanza alla mia sinistra sento provenire dei rumori, simili a schiamazzi di bambini che giocano. Appoggio l'orecchio alla parete: sì, sembra proprio che ci siano dei ragazzini che si stanno trastullando. Cammino lungo il muro, apro con cautela la porta che ancora mi separa da quel trambusto. Mentre lo spazio visivo aumenta gradualmente, le immagini si fanno sempre più nitide e chiare. Un uomo, con la divisa militare degli Ulani, sta giocando a fare la carriola con un cane di notevoli dimensioni, verosimilmente un danese. Poi entrambi, animale e padrone, perdono l'equilibrio e cadono a terra. L'uomo ride a crepapelle, quasi gli lacrimano gli occhi. Si accorge della mia presenza e, visibilmente imbarazzato, si alza in piedi e si aggiusta la divisa. In silenzio raccoglie il cappello da cui, con gesti energici della mano, toglie via la polvere. Se lo mette in testa. Poi non lo guardo più. La mia attenzione viene infatti catturata dal suo compagno di giochi. Paradossalmente, il cane sembra vergognarsi ancor più del suo padrone e, per qualche istante, ho persino la sensazione di percepirne i foschi pensieri. A testa e orecchie basse si muove verso il fondo della stanza, sale sul tetto della sua cuccia e si mette comodo, con l'espressione imbronciata di chi è stato colto in fallo.
"Buongiorno, piacere di conoscerla, io sono l'Oberleutnant Manfred Von Richthofen, caposquadriglia della Jasta 11. "
Giro la testa, rimango senza parole. Sì, davanti a me c'è proprio lui, il leggendario Barone Rosso. L'ufficiale tedesco si è completamente ricomposto e non mostra più alcun segno di imbarazzo. O forse è semplicemente più bravo del suo cane a mascherarlo. Non posso credere ai miei occhi. Lui, un giovane Sigfrido, l'incarnazione di un eroe medioevale. Sulla sua giacca fa bella mostra la Pour le Merite, croce smaltata di blu e d'oro, la più alta onorificenza prussiana, che gli fu concessa alla fine del 1916, dopo che gli venne riconosciuta la sedicesima vittoria in aria. Durante la Grande Guerra le nazioni coinvolte nel conflitto iniziarono a usare il termine "asso" per indicare i piloti che avessero abbattuto almeno cinque aerei nemici. E lui, con le sue 81 vittorie accertate, fu il miglior pilota di caccia che la storia ricordi. Nel corso della guerra si guadagnò la stima dei superiori e il rispetto e l'ammirazione dei camerati. Capace di trasmettere fiducia e coraggio ai commilitoni, divenne un modello da emulare per tutti coloro che aspiravano a guadagnarsi la gloria in sella a un destriero fatto di metallo.
"Guardi che si sbaglia, finora sono accreditato di sole 60 vittorie, non certo 81, anche se confido di raggiungere presto il numero di abbattimenti che generosamente mi ha attribuito, piuttosto e anzichenò!"
Sono sconcertato, il mio interlocutore ha indovinato esattamente il senso dei miei ragionamenti. Ride.
"Sì, certo che sono in grado di capire quello che le passa per la testa. Perché è così stupito? Ah, si chiede come ciò sia possibile. Ma è ovvio, no? Io e lei percepiamo i pensieri del mio cane, io i suoi, ma non succede il contrario. Davvero non riesce a comprenderne il motivo? Signor mio, mi sembra che lei sia un po' ignorante in tema di leggi della fisica, scusi se glielo dico. E le assicuro che non c'è sarcasmo nelle mie parole. Le faccio una domanda: in che direzione si muovono i pensieri? Non lo sa? Non ci credo… Ma insomma, i pensieri, essendo più leggeri dell'aria, salgono verso l'alto. Beh, ecco che, essendo lei, senza offesa, un po' bassino, io riesco a captare i suoi. Lei invece non è in grado di intercettare i miei. Come? Crede che, grazie a questo, io sia in posizione di vantaggio rispetto a lei? Non è proprio così, sa? Percepire i pensieri degli altri significa anche comprenderne il travaglio interiore e fare nostre sofferenze che nostre non sono. E io, che volo alto nel cielo, dove si raccolgono gli afflati umani che salgono dai campi di battaglia, ne so qualcosa. Ma ora bando a queste inutili tristezze. Io mi sono presentato, i principi della buona educazione esigono che lei faccia lo stesso. Di sicuro non è un pilota tedesco. È forse un asso francese? Come? Lei non è un aviatore? E tantomeno un asso? Ciò non va bene, sa? In questo posto sono ammessi solo coloro che si possono fregiare del titolo di asso. Dovrei chiederle di andarsene, ma oggi mi sento particolarmente di buonumore, e per lei farò un'eccezione. Mi palesi almeno il motivo per cui è giunto qui… Non lo sa? Com'è possibile? Le capita forse di girovagare come un sonnambulo, per poi risvegliarsi all' improvviso in un posto sconosciuto? E va bene, le parlerò un po' di me, visto che lei ha così poco da raccontare… Ogni tanto vengo in questa osteria, al confine tra Francia e Germania, per incontrarmi con gli assi inglesi e francesi. Ci unisce una profonda stima reciproca, anche se in aria ci affrontiamo in duelli all'ultimo sangue. Mangiamo e beviamo insieme e, naturalmente, ogni volta commemoriamo i caduti, brindando al loro coraggio e al loro valore. Come può vedere, le pareti sono tappezzate di ritratti di piloti tedeschi, francesi e inglesi che hanno sacrificato la vita per la patria. Si guardi intorno, è circondato da assi!"
Addita le immagini di decine di giovani eroi mentre, con la voce rotta dalla commozione, cita i nomi di commilitoni e di piloti nemici: "Georges Guynemer, Albert Ball, Max Immelman, Hans Berr, Sebastian Festner, Lanoe Hawker. A voi la gloria eterna! E poi lui, il più grande di tutti, Oswald Boelcke!" Mi mette una mano sulla spalla.
"Venga, sediamoci a tavola, oggi è un giorno speciale". Appena seduti prende un fiasco e riempie due bicchieri di vino rosso. "Esattamente un anno fa moriva il mio maestro, l'asso degli assi, Oswald Boelcke."
Che affermazione insensata, devo dare fiato ai miei pensieri, seppur consapevole che il Barone Rosso sarebbe in grado di percepirli anche se inespressi. "Ehm, il valore dell'asso Boelke è fuori discussione ma è lei, Oberleutnant Von Richthofen, il miglior pilota di caccia di sempre! Se ricordo bene Oswald Boelke ha ottenuto solo 40 successi, lei ha già da tempo superato tale traguardo."
"Ah, allora anche a lei è stato concesso il dono della favella… Comunque, non è questo il punto. Non sono i numeri che fanno grandi gli uomini. E ad ogni modo, sappia che se Boelcke fosse sopravvissuto a quell'incidente, a quest'ora ne avrebbe abbattuto almeno cento, di aerei nemici. Non ci sono dubbi. La sua tecnica era ineguagliabile. Quando gli ho chiesto qual era il suo segreto, sa cosa mi ha risposto? 'Mio Dio, è piuttosto semplice, punto direttamente il mio nemico, prendo la mira, faccio fuoco e lui va giù.' Per essere un grande pilota da combattimento non devi essere un acrobata o un tiratore provetto. Devi avere il coraggio di volare diritto contro il tuo avversario. Io sono un anonimo manovratore di aeromobili, lui è una leggenda."
Il tono della sua voce si fa sempre più cupo, in un misto di sconforto e disillusione. Guardandolo attentamente, mi accorgo che il suo volto è solcato da profonde rughe. Nonostante abbia poco più di vent'anni. È stata la guerra a scavare quelle voragini di solitudine e tristezza? Dopo aver tracannato in un unico sorso l'intero bicchiere di vino, probabilmente l'ultimo di una lunga serie, lo sbatte sul tavolo con un gesto energico.
"Lo confesso, dopo la morte del mio maestro ho pensato di mollare tutto, mi sentivo completamente svuotato. Dalle alte sfere arrivarono persino a propormi di smettere con le missioni e di svolgere incarichi amministrativi, lontano dal fronte. A detta dei superiori ormai ero diventato un simbolo per la Germania, e come tale non potevo rischiare di morire, l'effetto sul morale dei miei compatrioti sarebbe stato devastante. Sì, avevo quasi preso una decisione in questo senso… Ma quando ne ho parlato con mio fratello Lothar, lui mi ha dato un sonoro ceffone e mi ha detto: 'Manfred, non ti riconosco più! Davanti a me ora vedo solo un vigliacco, succube delle sue paure, incapace di trovare il coraggio di assumersi le proprie responsabilità!' Aveva pienamente ragione. Mi sarei sentito un verme se, col peso delle decorazioni e della gloria, avessi salvato la mia vita, mentre tutti i poveracci in trincea sopportavano sofferenze inaudite. E così ho continuato a volare. Perché un Richthofen non si tira mai indietro di fronte alle difficoltà che il destino gli riserva."
Il Barone si alza in piedi, inizia a girovagare inquieto per la stanza, si risiede.
"Alcune settimane fa sono tornato a casa, a Schweidnizt, nella bassa Slesia, per una breve licenza. Speravo di trascorrere qualche giorno di serenità con mia madre. Ricordo che un pomeriggio stavo guardando delle vecchie fotografie, mentre il cuore mi si gonfiava di gioia e nostalgia. Mi scorrevano sotto gli occhi le immagini dei miei vecchi compagni della 69a unità in Russia. Mia madre si alzò improvvisamente dalla poltrona dove era seduta, mi si avvicinò, indicando un pilota e chiedendomi cosa ne fosse stato di lui. 'Caduto in battaglia', risposi. Indicò poi un altro giovane. 'Anche lui morto', mormorai con un filo di voce. 'Non farmi più domande, le dissi, 'sono tutti morti'. Mi comprenda, già dopo i primi combattimenti aerei avevo capito che la guerra non consiste solo nella gloria e nel perverso compiacimento di avere ingannato la morte una volta di più, ma ne maturai la piena consapevolezza allorché il colonnello Von Riezenstein, comandante dell'87° reggimento della fanteria di riserva, mi inviò la fotografia del cadavere del pilota nemico da me abbattuto quando conseguii la mia 27a vittoria. In quell'occasione compresi che le mie vittime non erano macchine fatte di metallo, ma persone in carne e ossa. Da allora mi sono sempre portato dentro questo segreto, mascherando la sofferenza interiore con l'ardore giovanile e la posizione di comandante di squadriglia. Io sono il Barone Rosso e come tale mi sento carico di pesanti responsabilità. Il mio dovere è proteggere gli uomini della mia squadriglia, prepararli alle asperità del combattimento, mantenere alto il loro morale anche quando tutto sembra andare a rotoli. Per questo non potevo e non posso tuttora mostrare all'esterno quello che provo veramente."
L'espressione del viso e la postura, con la schiena ricurva e il capo leggermente piegato in avanti, le braccia allungate sul tavolo, quasi non avesse la forza di sollevarle, mostrano in modo esplicito il vuoto interiore che ha dentro. Repentinamente il Barone Rosso si gira verso l'entrata, dando l'impressione di essere in attesa di qualcuno. Ma non si fa vivo nessuno. A causa di quel movimento, scorgo un bendaggio voluminoso sulla sua testa, all'altezza dell'occipite.
"Vedo che ha notato la ferita… Circa due mesi fa stavo combattendo contro un velivolo biposto. A un certo punto l'osservatore ha cominciato a mitragliarmi da una posizione impossibile. Pensavo, che pivello, non riuscirà mai a colpirmi. Eppure, all'improvviso ho provato un forte dolore alla nuca e tutto è diventato nero. Ho perso il controllo del mio Fokker e ho iniziato a precipitare. Ero praticamente spacciato. Poi, di colpo, ho riacquistato la vista. L'altimetro segnalava 800 metri d'altezza. Riavviai il motore e ripresi quota. Guardi, la ferita non si è ancora rimarginata, in questo punto è larga all'incirca come un Taler." Mi soffermo a guardare quel profondo taglio da rispettosa distanza, mentre si toglie e si rimette la benda.
"Da allora, sono perseguitato da terribili emicranie. A volte mi sento quasi svenire dal dolore. Ma per quanto fastidiosa, non è questa la conseguenza più nefasta dell'incidente". Io lo guardo incuriosito.
"Da allora, soffro di allucinazioni… Ho avuto la prima circa tre settimane più tardi, dopo che il medico mi diede finalmente il permesso di tornare a volare. Stavo guidando la mia squadriglia, la Jasta 11, quando, tutto ad un tratto, il mio Albatros si imbizzarrì e puntò in alto, verso il sole. Naturalmente ne rimasi accecato. Quando riuscii a riprendere il controllo del velivolo, dovevo trovarmi a un'altezza inusitata, forse oltre i 10000 metri. Consideri che di solito non voliamo mai oltre i 5000 metri. Beh, appena mi tornò la vista guardai in giù, dove stava infuriando la terza battaglia di Ypres. Con immenso stupore mi resi conto che, da lassù, potevo distinguere nitidamente i volti dei soldati che combattevano sotto di me. Come se al posto degli occhi avessi avuto dei cannocchiali, capisce? Fui preso da sgomento. Nel giro di qualche istante quelle visioni scomparvero e mi convinsi che fosse stato tutto frutto della mia immaginazione. Mi lanciai allora in picchiata, per correre in soccorso dei miei commilitoni. Tuttavia, subito dopo aver sparato una prima raffica di mitra contro i fanti nemici, l'orrore si impossessò di me. Pensai di essere prossimo a impazzire…"
Di colpo si interrompe, assalito da ricordi così drammatici, Io pendo dalle sue labbra: "Perché, perché ha pensato di impazzire? Mi risponda."
Il Barone è visibilmente scosso, grosse gocce di sudore gli rigano il viso:" ebbene, la mia intenzione era quella di continuare a mitragliare la fanteria britannica ma…"
"Continui il suo racconto, la prego, mi dica cosa è successo!"
L'ufficiale tedesco respira affannosamente, lo sguardo perso nel vuoto. "Il mio Albatros, grondava sangue… In quantità tale da sommergere tutti i soldati che si fronteggiavano sul campo di battaglia, tanto che non ero più in grado di distinguere i nostri uomini dai nemici. Quel fiume di sangue aveva ricoperto completamente le uniformi dei fanti di entrambi gli schieramenti. Sì, era come se tutti i soldati indossassero delle divise rosso sangue… Preso dallo sconforto, decisi di tornare alla base. Ma il mio biplano non rispondeva ai comandi, e cominciò a spostarsi avanti e indietro lungo il fronte. Ero impotente, fui costretto ad assistere al massacro che si stava compiendo sotto di me. I soldati combattevano con una violenza inaudita. Tutti avevano un unico obiettivo: sterminare i nemici, non importa in che modo. Ho visto persino uomini disarmati affrontarsi a mani nude. Lottavano per interminabili minuti a calci e pugni, fino a quando uno dei due stramazzava a terra, esausto. E allora l'altro, con ferocia animale, si lanciava sul caduto per finirlo, strangolandolo con le mani o con una cintura. In qualche caso il colpo di grazia veniva dato con un morso alla giugulare… Dopo un tempo che mi era sembrato non finire mai, l'aereo ebbe pietà di me, e mi ricondusse al campo base. Mentre ero sulla via del ritorno, un turbinio di pensieri si affollava nella mia mente. Uno, in particolare, mi divorava l'anima: il colore del mio Albatros, di cui tanto andavo fiero, non era rosso fuoco, ma rosso sangue… Per la prima volta in vita mia non sono più stato sicuro dei valori in cui ho sempre creduto. Da generazioni noi Richthofen abbiamo raggiunto posizioni di prestigio nell'esercito tedesco, convinti che fosse nostro imprescindibile dovere obbedire ai dettami della madrepatria, anche a costo della vita. Per noi l'onore è una virtù irrinunciabile e la certezza di essere dalla parte del giusto ci ha sempre consentito di affrontare e superare difficoltà altrimenti insuperabili. Ma da allora tutto è cambiato. Quando, alla guida del mio velivolo, volgo lo sguardo in giù, vedo cose inenarrabili: uomini che si affrontano e si uccidono come bestie, ufficiali che sparano alla schiena dei commilitoni che esitano nell'andare all'assalto delle fortificazioni nemiche, gas che s'infilano negli stretti corridoi delle trincee compiendo silenziose stragi…". Scuote mestamente la testa.
"Non è così che deve morire un soldato. Quaggiù non c'è più onore, non c'è più dignità. No, non mi sento più di appartenere a questa razza terrestre. Ogni volta che rimetto piede nel campo d'aviazione, dopo una missione, mi rinchiudo nei miei alloggi, non voglio vedere nessuno, né fare nulla. Bastano tuttavia poche ore trascorse a terra che già mi sento soffocare, mentre un disperato bisogno di tornare a volare mi lacera dentro…" Il Barone Rosso sembra ridestarsi, batte un pugno sul tavolo.
"Si, perché in alta quota tutto è diverso, solo nell'immensità della volta celeste riesco a respirare liberamente. Lassù noi ci sfidiamo a singolar tenzone. Ogni battaglia aerea, non importa quanti velivoli siano coinvolti nel combattimento, si risolve sempre in duelli singoli. Lassù i valori dei nostri avi regnano incontrastati!"
All'improvviso un orologio a pendolo appeso al muro batte due rintocchi. Il Barone Rosso si alza in piedi, il mento in su, il portamento nuovamente fiero e marziale. "Mi scusi, ma ora devo proprio andare, un asso francese mi attende in alto tra le nubi." Batte i tacchi e fa una piroetta su se stesso. Dopo qualche passo si ferma e si volta verso di me, gli occhi gli brillano di vivida luce: "Sa, noi siamo i cavalieri del cielo…"
- Alberto Marcolli
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commento :Il cavaliere del cielo
Qui su "Bravi autori" vanno alla grande e forse ti classifichi addirittura nei primi dieci.
Onestamente te lo auguro. È ben scritto. È scorrevole. La narrazione funziona e penso segua le regole di questo genere letterario che non necessita di molta fantasia, né ragionamenti complicati o sforzi per lanciare messaggi impegnati. Basta un libro di storia dove apprendere quanto ci interessa, un pizzico di inventiva per divagare un po' sul tema e il gioco è fatto.
Come scrittore noto con piacere una notevole capacità di scrittura che vorrei veder impegnata, più proficuamente, su altre sponde.
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Scrivere un racconto con ambientazione storica non è facile come a primo acchitto potrebbe sembrare. Anzi è piuttosto complicato proprio perché la fantasia deve viaggiare lungo una strada già tracciata. Il passato è struttura e dentro questa struttura bisogna sapere muoversi.
Detto questo il tuo più che un racconto con ambientazione storica mi è sembrato un tentativo di racconto biografico, attraverso un artificio che è quello del vedersi catapultati, come per magia, ai primi del Novecento a dialogare, si scoprirà solo nel finale, con un morto, e dove il tuo obiettivo non è di raccontare una storia dentro la Storia, ma di farci scoprire un personaggio storico attraverso gli occhi di un novello Dante.
Tentativo che ritengo in parte riuscito.
A mio avviso questo è il lungo periodo meno riuscito cheaffatica la lettura dell'intero testo: " Durante la Grande Guerra le nazioni coinvolte nel conflitto iniziarono a usare il termine "asso" per indicare i piloti che avessero abbattuto almeno cinque aerei nemici. Ogni aviazione applicava regole specifiche per la conferma o il rigetto di una vittoria. In media i criteri erano piuttosto rigidi e il successo veniva riconosciuto unicamente nel caso in cui l'abbattimento fosse stato confermato da fonti indipendenti, quali altri aviatori o testimoni da terra. A volte la conferma poteva arrivare da fonti d'intelligence o a seguito di interrogatori di prigionieri e disertori. E lui, il Barone Rosso, con le sue 81 vittorie accertate, fu il miglior pilota di caccia che la storia ricordi. Nel corso della guerra si guadagnò la stima dei superiori e il rispetto e l'ammirazione dei camerati. Capace di trasmettere fiducia e coraggio ai commilitoni, divenne un modello da emulare per tutti coloro che aspiravano a guadagnarsi la gloria in sella a un destriero fatto di metallo."
Qui provi a dare spiegazioni, ma anziché lasciarlo fare ai due protagonisti attraverso i dialoghi, come poi in realtà riesci, o far intervenire la voce narrante, ti intrometti nella qualità di autore e dunque a gamba tesa. Cosa che a mio avviso è quasi sempre errata. E per di più cambi il tempo verbale virando al passato così da sottolineare ancor più il distacco con il resto del testo.
Nel finale provi poi una spiegazione razionale di quanto accaduto al Barone Rosso, del suo essere morto ma vivo (ma la presenza dell'altro protagonista?), ma data la situzione volutamente surreale io lo avrei evitato.
Dal punto di vista formale ti segnalo solo un aviere al posto di aviatore, e forse l'uso insistente del verbo essere (lo fanno in molti in realtà) quando potrebbero adoperarsi dei verbi più precisi atti a descrivere la situazione in svolgimento, ad esempio: "dovevo essere a un'altezza inusitata" dovevo trovarmi... dovevo volare... ecc.
A ogni modo, un buon racconto, a rileggerti
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Re: commento :Il cavaliere del cielo
Buongiorno Alberto, grazie per il tuo giudizio, lo apprezzo molto. Per una serie di circostanze, in primis una passione per la storia che coltivo praticamente da sempre, attualmente sono focalizzato su questo genere di racconti, finalizzati a dare una chiave di lettura personale e alternativa agli eventi bellici e non del passato. Intanto grazie mille!Alberto Marcolli ha scritto: ↑17/10/2021, 20:48 Daje con i racconti storici immaginari.
Qui su "Bravi autori" vanno alla grande e forse ti classifichi addirittura nei primi dieci.
Onestamente te lo auguro. È ben scritto. È scorrevole. La narrazione funziona e penso segua le regole di questo genere letterario che non necessita di molta fantasia, né ragionamenti complicati o sforzi per lanciare messaggi impegnati. Basta un libro di storia dove apprendere quanto ci interessa, un pizzico di inventiva per divagare un po' sul tema e il gioco è fatto.
Come scrittore noto con piacere una notevole capacità di scrittura che vorrei veder impegnata, più proficuamente, su altre sponde.
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Re: Commento
Grazie Egidio per il tuo commento!
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Re: Commento
Grazie Namio per il benvenuto e per l'accurata e approfondita analisi del mio racconto.Namio Intile ha scritto: ↑18/10/2021, 17:00 Innanzitutto, benvenuto.
Scrivere un racconto con ambientazione storica non è facile come a primo acchitto potrebbe sembrare. Anzi è piuttosto complicato proprio perché la fantasia deve viaggiare lungo una strada già tracciata. Il passato è struttura e dentro questa struttura bisogna sapere muoversi.
Detto questo il tuo più che un racconto con ambientazione storica mi è sembrato un tentativo di racconto biografico, attraverso un artificio che è quello del vedersi catapultati, come per magia, ai primi del Novecento a dialogare, si scoprirà solo nel finale, con un morto, e dove il tuo obiettivo non è di raccontare una storia dentro la Storia, ma di farci scoprire un personaggio storico attraverso gli occhi di un novello Dante.
Tentativo che ritengo in parte riuscito.
A mio avviso questo è il lungo periodo meno riuscito cheaffatica la lettura dell'intero testo: " Durante la Grande Guerra le nazioni coinvolte nel conflitto iniziarono a usare il termine "asso" per indicare i piloti che avessero abbattuto almeno cinque aerei nemici. Ogni aviazione applicava regole specifiche per la conferma o il rigetto di una vittoria. In media i criteri erano piuttosto rigidi e il successo veniva riconosciuto unicamente nel caso in cui l'abbattimento fosse stato confermato da fonti indipendenti, quali altri aviatori o testimoni da terra. A volte la conferma poteva arrivare da fonti d'intelligence o a seguito di interrogatori di prigionieri e disertori. E lui, il Barone Rosso, con le sue 81 vittorie accertate, fu il miglior pilota di caccia che la storia ricordi. Nel corso della guerra si guadagnò la stima dei superiori e il rispetto e l'ammirazione dei camerati. Capace di trasmettere fiducia e coraggio ai commilitoni, divenne un modello da emulare per tutti coloro che aspiravano a guadagnarsi la gloria in sella a un destriero fatto di metallo."
Qui provi a dare spiegazioni, ma anziché lasciarlo fare ai due protagonisti attraverso i dialoghi, come poi in realtà riesci, o far intervenire la voce narrante, ti intrometti nella qualità di autore e dunque a gamba tesa. Cosa che a mio avviso è quasi sempre errata. E per di più cambi il tempo verbale virando al passato così da sottolineare ancor più il distacco con il resto del testo.
Nel finale provi poi una spiegazione razionale di quanto accaduto al Barone Rosso, del suo essere morto ma vivo (ma la presenza dell'altro protagonista?), ma data la situzione volutamente surreale io lo avrei evitato.
Dal punto di vista formale ti segnalo solo un aviere al posto di aviatore, e forse l'uso insistente del verbo essere (lo fanno in molti in realtà) quando potrebbero adoperarsi dei verbi più precisi atti a descrivere la situazione in svolgimento, ad esempio: "dovevo essere a un'altezza inusitata" dovevo trovarmi… dovevo volare… ecc.
A ogni modo, un buon racconto, a rileggerti
La parte, che ritieni essere la meno riuscita, nasce da un mio eccesso di zelo: in questi racconti, tra le altre cose, mi propongo di divulgare qualche dettaglio storico che, pur non essendo di per sé particolarmente significativo (e che per questo magari sfugge alle fonti più generaliste), ha attratto per qualsivoglia motivo la mia curiosità, come appunto quello relativo ai criteri utilizzati nella prima guerra mondiale per attribuire ai piloti il titolo di asso. Il rischio, così come è successo, è quello di appesantire la narrazione. In futuro cercherò di tenere a freno, o almeno di rendere meno invasiva, la mia vena storiografica.
Sulla morte del Barone Rosso c'è un fraintendimento. Nel racconto, fatta eccezione per le infarciture di fantasia, ho riportato eventi realmente accaduti o presunti tali (la morte di Boelke in seguito a un incidente aereo, la devozione del Barone nei confronti di quest'ultimo, l'iniziale proponimento di non partecipare più ai combattimenti aerei, il soggiorno a casa per ritrovare almeno un po' di serenità etc…) Tra questi c'è anche il ferimento alla testa causato dal mitragliere di un velivolo biposto, a cui lui miracolosamente sopravvisse. Questo incidente gli causò in seguito delle forti emicranie, io ho aggiunto il particolare, ovviamente inventato, delle allucinazioni ricorrenti di cui ipoteticamente soffriva ogni volta che, a bordo del suo aereo, volgeva lo sguardo verso il basso. Ma nel racconto l'ufficiale tedesco non muore. Perirà, ironia della sorte, pochi mesi dopo i fatti raccontati, a causa di un proiettile vagante sparato da terra. Tra l'altro avevo pensato di inserire questo dettaglio nel racconto, presentando la sua morte come strettamente collegata al fatto che, incautamente, si era avvicinato troppo al suolo, simbolo della guerra nella sua accezione più bestiale. Ma poi non ho trovato un modo decente di mettere insieme i pezzi e ho desistito. Ma ora che ci penso, considerando il tuo commento, un finale alternativo potrebbe essere il seguente: il Barone Rosso, colpito a morte dalla contraerea nemica, non accetta di essere stato ucciso dalla vile e odiata terra e per questo continua imperterrito a battersi in duelli all'ultimo sangue nell'alto dei cieli.
Ti ringrazio infine per avermi segnalato alcuni errori e imprecisioni formali, se ho capito bene è possibile apportare delle piccole modifiche ai racconti pubblicati, provvederò a sistemarli.
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Re: Il cavaliere del cielo
Il racconto e' molto buono, si legge con facilita' ed è piacevole scoprire i personaggi tratteggiati con cura. Curiosamente, m sono cimentato pure io in questo genere, con una serie di racconti ambientati nella prima guerra mondiale, dove non manca un accenno al nostro asso Baracca, ma non cercarli qui, in futuro puo' darsi che li sottoponga a questi lettori esigenti e competenti,
Complimenti e voto alto
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Re: Il cavaliere del cielo
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Re: Commento
Grazie in particolare per avermi segnalato la parola aviere, l'errore era davvero grossolanoNamio Intile ha scritto: ↑18/10/2021, 17:00 Innanzitutto, benvenuto.
Scrivere un racconto con ambientazione storica non è facile come a primo acchitto potrebbe sembrare. Anzi è piuttosto complicato proprio perché la fantasia deve viaggiare lungo una strada già tracciata. Il passato è struttura e dentro questa struttura bisogna sapere muoversi.
Detto questo il tuo più che un racconto con ambientazione storica mi è sembrato un tentativo di racconto biografico, attraverso un artificio che è quello del vedersi catapultati, come per magia, ai primi del Novecento a dialogare, si scoprirà solo nel finale, con un morto, e dove il tuo obiettivo non è di raccontare una storia dentro la Storia, ma di farci scoprire un personaggio storico attraverso gli occhi di un novello Dante.
Tentativo che ritengo in parte riuscito.
A mio avviso questo è il lungo periodo meno riuscito cheaffatica la lettura dell'intero testo: " Durante la Grande Guerra le nazioni coinvolte nel conflitto iniziarono a usare il termine "asso" per indicare i piloti che avessero abbattuto almeno cinque aerei nemici. Ogni aviazione applicava regole specifiche per la conferma o il rigetto di una vittoria. In media i criteri erano piuttosto rigidi e il successo veniva riconosciuto unicamente nel caso in cui l'abbattimento fosse stato confermato da fonti indipendenti, quali altri aviatori o testimoni da terra. A volte la conferma poteva arrivare da fonti d'intelligence o a seguito di interrogatori di prigionieri e disertori. E lui, il Barone Rosso, con le sue 81 vittorie accertate, fu il miglior pilota di caccia che la storia ricordi. Nel corso della guerra si guadagnò la stima dei superiori e il rispetto e l'ammirazione dei camerati. Capace di trasmettere fiducia e coraggio ai commilitoni, divenne un modello da emulare per tutti coloro che aspiravano a guadagnarsi la gloria in sella a un destriero fatto di metallo."
Qui provi a dare spiegazioni, ma anziché lasciarlo fare ai due protagonisti attraverso i dialoghi, come poi in realtà riesci, o far intervenire la voce narrante, ti intrometti nella qualità di autore e dunque a gamba tesa. Cosa che a mio avviso è quasi sempre errata. E per di più cambi il tempo verbale virando al passato così da sottolineare ancor più il distacco con il resto del testo.
Nel finale provi poi una spiegazione razionale di quanto accaduto al Barone Rosso, del suo essere morto ma vivo (ma la presenza dell'altro protagonista?), ma data la situzione volutamente surreale io lo avrei evitato.
Dal punto di vista formale ti segnalo solo un aviere al posto di aviatore, e forse l'uso insistente del verbo essere (lo fanno in molti in realtà) quando potrebbero adoperarsi dei verbi più precisi atti a descrivere la situazione in svolgimento, ad esempio: "dovevo essere a un'altezza inusitata" dovevo trovarmi... dovevo volare... ecc.
A ogni modo, un buon racconto, a rileggerti
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Re: Il cavaliere del cielo
Visto che ci sono, preciso anche che il racconto è ambientato nella bettola francese dove ogni tanto andava l'asso francese impersonato da Snoopy, il cane di Charlie Brown, acerrimo nemico del Barone Rosso. Ma come i duelli descritti da Schulz non erano che un gioco, non erano che una fantasticheria del "bambino" Snoopy, così il Barone Rosso si ritrova a giocare con il suo cane, un alano, emulo del più famoso beagle del mondo. Non ho inserito questo particolare a caso: il Barone Rosso, quando è scoppiata la prima guerra mondiale, aveva 22 anni, era cioè poco più di un ragazzo. Ragazzo che doveva affrontare l'orrore della guerra a testa alta, da uomo fatto e vissuto. Così la parte iniziale del racconto fa da contraltare a quella finale: da una parte il Barone Rosso bambino, che giocava con il suo cane nel segreto di una stanza dalla porta chiusa, e dall'altra l'asso degli assi, il più grande pilota che sia rimasto impresso nell'immaginario collettivo. Ho appena accennato alcuni di questi dettagli per non appesantire il racconto, ma il bello di questo forum penso sia la possibilità per l'autore di descrivere fatti ed emozioni che hanno portato alla stesura di una certa storia.
Grazie infine per i tuoi suggerimenti, che ricalcano quelli di Namio Intile, e di cui farò tesoro.
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Ero convinto inoltre che il Barone avesse sempre pilotato un triplano, invece no.
A rileggere altri tuoi lavori, e voto alto
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Re: Il cavaliere del cielo
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Re: Il cavaliere del cielo
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Se devo fare una critica trovo che alcune parti, come già segnalato, sfiorino la forma dello “spiegone”, (ma in generale è una sensazione che mi ha accompagnato nella lettura di tutto il racconto). Nonostante l’escamotage dichiarato all’inizio della lettura dei pensieri, trovo un po’ forzato il monologo del Barone Rosso che si fa domande e si dà le risposte; una partecipazione più attiva dell’interlocutore forse avrebbe alleggerito, messa così sembra quasi che la sua presenza serva solo a introdurre il personaggio, a elencarne i dati salienti, come se fosse un suo biografo.
Ci sono narrazioni contrastanti sulla vera natura dell’asso tedesco, secondo alcune non sarebbe stato così nobile e cavalleresco come la leggenda ce l’ha tramandato, ma questo ha poco a vedere con il racconto.
Refusi, quasi niente, solo questa frase: 'Non farmi più domandè, le dissi, 'sono tutti morti'.
Ripeto: buonissima prova.
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Re: Il cavaliere del cielo
Ciao Marcello,Marcello Rizza ha scritto: ↑24/10/2021, 13:29 Ciao Messedaglia. Non ho ancora letto il tuo racconto. Sono sorpreso dal voto quasi unanime che ti è stato dato. Pensare che il tuo racconto sia superiore a quello di Namio mi intimidisce. Non vedo l'ora di leggerlo. Sono a rincorrere un altro concorso, dove mi mancano due giorni per assolvere ai commenti obbligatori per essere ammessi alla votazione, e per quel tempo sarò ancora un poco assente qui. Dopodiché tornerò per il tuo racconto è per i commenti che sono stati dati al mio, e che non trascuro. Ma arrivo...
grazie per il tuo intervento, leggerò e commenterò presto il tuo racconto, ciao!
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Re: Commento
Ciao Roberto,Roberto Bonfanti ha scritto: ↑24/10/2021, 16:03 Racconto di alto livello, scritto molto bene, miscela contesto storico con ambientazione fantastica. La citazione di Snoopy non l'avevo colta alla prima, dopo il tuo commento ho riletto con un sorriso quel salire sulla cuccia.
Se devo fare una critica trovo che alcune parti, come già segnalato, sfiorino la forma dello "spiegone", (ma in generale è una sensazione che mi ha accompagnato nella lettura di tutto il racconto). Nonostante l'escamotage dichiarato all'inizio della lettura dei pensieri, trovo un po' forzato il monologo del Barone Rosso che si fa domande e si dà le risposte; una partecipazione più attiva dell'interlocutore forse avrebbe alleggerito, messa così sembra quasi che la sua presenza serva solo a introdurre il personaggio, a elencarne i dati salienti, come se fosse un suo biografo.
Ci sono narrazioni contrastanti sulla vera natura dell'asso tedesco, secondo alcune non sarebbe stato così nobile e cavalleresco come la leggenda ce l'ha tramandato, ma questo ha poco a vedere con il racconto.
Refusi, quasi niente, solo questa frase: 'Non farmi più domandè, le dissi, 'sono tutti morti'.
Ripeto: buonissima prova.
innanzitutto, grazie per il tuo commento e per l'attenta revisione del racconto.
Mi fa piacere che ti abbia fatto sorridere il cane imbronciato che sale sul tetto della cuccia. Tra l'altro, anche l'idea del monologo scaturisce dal mondo dei Peanuts, dove Charlie Brown percepisce i pensieri di Snoopy. Il monologo si è poi dilungato un po' oltre quelle che erano le mie intenzioni iniziali, e per questo ho fatto poi intervenire nel dialogo l'interlocutore, ma ero ormai arrivato al punto in cui il Barone Rosso esternava tutto il suo travaglio interiore, e in questa situazione il monologo mi è sembrato funzionare meglio del dialogo (eventuali interventi dell'interlocutore, almeno per come me li ero immaginati, mi apparivano banali se non patetici). Ad ogni modo sì, nelle mie intenzioni l'interlocutore funge da spalla e ha di base la funzione di introdurre il Barone Rosso. Un ruolo effettivamente un po' ristretto viste le premesse del racconto, che fanno pensare che ne sia il protagonista.
Per quanto riguarda l'altro tuo dubbio, ho cercato di mantenere un equilibrio tra l'aspetto divulgativo e quello narrativo, cosa davvero non semplice da realizzare, e il risultato può essere stato quello, almeno a tratti, di risultare un po' leziosi, specie nella prima parte del racconto.
Sì, ci sono interpretazioni contrastanti sulla vera natura del Barone Rosso. Da un lato ho preso quella più funzionale alla mia storia, dall'altro ho tenuto conto in piccola parte anche di quella che lo dipinge in termini meno cavallereschi. Per questo il suo aereo gronda sangue solo quando si ritrova a mitragliare vigliaccamente la fanteria nemica. Quindi, nella finzione del racconto, c'è una sorta di redenzione di questo personaggio storico. In ogni caso, ai posteri l'ardua sentenza…
Grazie infine per aver individuato un refuso, provvedo a correggerlo.
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Re: Il cavaliere del cielo
grazie mille per il tuo commento e il tuo voto!
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Una buona descrizione della mostruosità e dell'inutilità della guerra (la prima mondiale, poi...).
Purtroppo, simili lezioni vanno apprese sulla propria pelle: l'umanità dimentica troppo presto, e viene distratta troppo facilmente con "ideali" abilmente manipolati.
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alla fine mi era diventato pesante, devo ammettere.
la prova è più che buona, nulla da eccepire, qualche refuso di punteggiatura e niente altro da segnalare per quanto riguarda la stesura.
buone le descrizioni, anche se non mi arrivano le emozioni e le sensazioni dei protagonisti.
racconto storico portato al fantastico, genere non semplice ma qui ben espresso
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Il racconto è scritto bene, i dialoghi sono convincenti e non mi sembra ci siano refusi o altro di sorta da segnalare.
Come dicevo la storia non mi avvince, ma non è colpa tua: ognuno ha le sue preferenze. Per questo motivo la lettura mi è sembrata un po' statica, non ha… decollato (scusa il bisticcio di parole con l'argomento!).
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Ciao Marino,Marino Maiorino ha scritto: ↑14/11/2021, 10:49 Comincia un po' come un gioco d'avventura: descrizioni scarne, essenziali, che costringono il lettore all'incontro col protagonista, il quale si rivela più interessante e profondo dell'auspicabile. A tratti inutilmente altezzoso, ma profondo.
Una buona descrizione della mostruosità e dell'inutilità della guerra (la prima mondiale, poi...).
Purtroppo, simili lezioni vanno apprese sulla propria pelle: l'umanità dimentica troppo presto, e viene distratta troppo facilmente con "ideali" abilmente manipolati.
sì, concordo pienamente con quanto scrivi, sembra proprio che gli esseri umani capiscano la realtà delle cose solo quando la provano sulla propria pelle, e periodicamente vengono ripetuti sempre gli stessi errori, mah…
Grazie per avermi letto e commentato.
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Ciao Fausto,Fausto Scatoli ha scritto: ↑16/11/2021, 20:08 ho fatto un po' fatica a finirlo, sebbene sia scritto molto bene.
alla fine mi era diventato pesante, devo ammettere.
la prova è più che buona, nulla da eccepire, qualche refuso di punteggiatura e niente altro da segnalare per quanto riguarda la stesura.
buone le descrizioni, anche se non mi arrivano le emozioni e le sensazioni dei protagonisti.
racconto storico portato al fantastico, genere non semplice ma qui ben espresso
grazie per aver letto e commentato il mio racconto.
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Ciao Temistocle,Temistocle ha scritto: ↑18/11/2021, 8:30 Confesso che questo non è il mio genere preferito, quindi il mio giudizio sarà sicuramente influenzato da questo fatto.
Il racconto è scritto bene, i dialoghi sono convincenti e non mi sembra ci siano refusi o altro di sorta da segnalare.
Come dicevo la storia non mi avvince, ma non è colpa tua: ognuno ha le sue preferenze. Per questo motivo la lettura mi è sembrata un po' statica, non ha… decollato (scusa il bisticcio di parole con l'argomento!).
divertente il tuo gioco di parole , mi fa venire in mente un finale alternativo :
Dopo qualche minuto, il Barone Rosso rientra con l’espressione scornata, la proverbiale flemma prussiana sembra essere evaporata del tutto: “Stramaledetto ferrovecchio colorato di rosso! Non sono riuscito a decollare, i meccanici dicono che si tratta di un’avaria al motore… Facciamoci pure un altro giro di vino, ho chiamato l’asso francese, il duello è rimandato a domani.”
E ovviamente grazie per aver letto e commentato il mio racconto.
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"Buongiorno, piacere di conoscerla, io sono il l'Oberleutnant Qui l’articolo il non andrebbe tolto?
Concludendo è scritto bene, voto 4.
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Re: Commento
Grazie per il bel commento! Per quanto riguarda la frase citata, sì, l'articolo è un refuso, provvedo a toglierlo. Ancora grazie e ciaoSelene Barblan ha scritto: ↑29/11/2021, 7:45 Ciao, il racconto è ben riuscito, soprattutto per l’aria di sogno che hai saputo rendere e per come hai saputo descrivere anche gli aspetti emotivi e il personaggio del Barone Rosso. Le informazioni storiche sono anche interessanti e in linea generale ben inserite nel testo; solo nel primo paragrafo descrittivo trovo sia un po’ meno legato alla storia e diventa un po’ troppo un pezzetto di Storia. Trovo che l’incipit sia la parte meglio riuscita perché cattura subito l’attenzione e invoglia a leggere.
"Buongiorno, piacere di conoscerla, io sono il l'Oberleutnant Qui l’articolo il non andrebbe tolto?
Concludendo è scritto bene, voto 4.
Il Bene o il Male
Trenta modi di intendere il Bene, il Male e l'interazione tra essi.
Dodici donne e diciotto uomini hanno tentato di far prevalere la propria posizione, tuttavia la Vita ci insegna che il vincitore non è mai scontato. La Natura ci dimostra infatti che dopo un temporale spunta il sole, ma ci insegna altresì che non sempre un temporale è il Male, e che non sempre il sole è il Bene.
A cura di Massimo Baglione
Copertine di Giuliana Ricci.
Contiene opere di: Antonella Cavallo, Michele Scuotto, Nunzio Campanelli, Rosanna Fontana, Giorgio Leone, Ida Dainese, Angelo Manarola, Anna Rita Foschini, Angela Aniello, Maria Rosaria Del Ciello, Fausto Scatoli, Marcello Nucciarelli, Silvia Torre, Alessandro Borghesi, Umberto Pasqui, Lucia Amorosi, Eliseo Palumbo, Riccardo Carli Ballola, Maria Rosaria Spirito, Andrea Calcagnile, Greta Fantini, Pasquale Aversano, Fabiola Vicari, Antonio Mattera, Andrea Spoto, Gianluigi Redaelli, Luca Volpi, Pietro Rainero, Marcello Colombo, Cristina Giuntini.
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Dentro la birra
antologia di racconti luppolati
Complice di serate e di risate, veicolo per vecchie e nuove amicizie, la birra ci accompagna e ha accompagnato la nostra storia. "Dentro la birra", abbiamo scelto questo titolo perché crediamo sia interessante sapere che cosa ci sia di così attraente nella bevanda gialla, gasata e amarognola. Perchè piace così tanto? Che emozioni fa provare? Abbiamo affidato questa "indagine" a Braviautori, affinché trovasse, tramite l'associazione e il portale internet, scrittori capaci di esprimere tali sensazioni. E infatti sono arrivati numerosi racconti: la commissione ne ha scelti 33. Nemmeno a farlo apposta, 33 è la quantità di centilitri di un gran numero di bottiglie (e lattine) di birra; una misura nota a chi se n'intende.
A cura di Umberto Pasqui e Massimo Baglione.
Contiene opere di: Andrea Andreoni, Tullio Aragona, Enrico Arlandini, Beril, Enrico Billi, Luigi Bonaro, Vittorio Cotronei, Emanuele Crocetti, Bruno Elpis, Daniela Esposito, Lorella Fanotti, Lodovico Ferrari, Livio Fortis, Valerio Franchina, Luisa Gasbarri, Oliviero Giberti, Elena Girotti, Concita Imperatrice, Carlotta Invrea, Fabrizio Leo, Sandra Ludovici, Micaela Ivana Maccan, Cristina Marziali, Stefano Masetti, Maurizio Mequio, Simone Pelatti, Antonella Provenzano, Maria Stella Rossi, Giuseppe Sciara, Salvatore Stefanelli, Ser Stefano, SunThatSpeed, Marco Vignali.
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Luna 69-19
antologia di opere ispirate al concetto di "Luna" e dedicata al 50° anniversario della storica missione dell'Apollo 11
Il 20 luglio 1969 è la data che segna per sempre il momento in cui il primo essere umano ha posato per la prima volta i piedi sul suolo lunare. Quel giorno una parte di voi era d'avanti ai televisori in trepidante attesa del touch-down del lander, altri erano troppo piccoli per ricordarselo e altri ancora non erano neppure nati, tuttavia ne siamo stati tutti coinvolti in molteplici maniere.
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Calendario BraviAutori.it "Year-end writer" 2019 - (a colori)
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Gara d'autunno 2022 - La Méduse - e gli altri racconti
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