Attraverso i vuoti della memoria
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Attraverso i vuoti della memoria
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Inappuntabile il racconto e ricco di spunti riflessivi.
Trovo magnifico quell'aggettivo dato al vizio… vizio "carbonaro" della lettura
Jacopo
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"La sua non era una domanda banale. La bruttezza ha dei confini? Esiste un limite al di là del quale sarebbe impossibile a chiunque sopportare oltre quel terribile assalto?"
Qua la risposta, e non se ne voglia a male l'autore, potrebbe essere anche semplice: la bellezza, seppure minuta che quasi esiste in ogni cosa, si annulla con la distruzione/deturpamento completi della cosa stessa. Prendi un'opera d'arte, tipo una scultura, un quadro, ma per essere più moderni anche una bella automobile, e martella fino all'inverosimile: che resterà poi di quello che era all'inizio?
"Per me i libri sono memoria, e vivono nella mia memoria, così che non ha senso incasellarli, catalogarli, registrarli, ridurli a numeri, a quantità, a cose. In fondo perché considero la memoria ciò che siamo, la nostra vera essenza."
Tutte le cose raccontate per iscritto e di un certo valore sono "testimonianza, cultura e sapere". E la considerazione che fa il tuo personaggio senza nome è una consapevolezza acquisita da tempi remotissimi, già dai babilonesi con la loro scrittura cuneiforme: che senso ha questa riflessione in un contesto di libri da biblioteca e non di liste della spesa o istruzioni su come montare un mobile dell'Ikea?
"La felicità non esiste, o se esiste è solo un momento, e noi invece viviamo tutta una vita. La felicità di oggi è l'illusione di domani. Perché ieri non tornerà mai più e il domani non esiste, seppure ne abbiamo già una indefinita nostalgia."
Echi di Sant'Agostino e un po' di Leopardi in questo passaggio; ma va merito all'autore l'originalità di specificare il ruolo della memoria nel determinare la nostra percezione della felicità. Ed è cosa condivisibile: che io condivido. Anche se la memoria, essendo una realtà/verità costruita a posteriori, potrebbe falsare la nostra idea di felicità.
"La felicità, ti ripeto, è il sentimento di un tempo immobile che in realtà non esiste, senza la risacca dei nostri ieri a sommergerci, i boschi oscuri dei nostri domani a minacciarci: solo il presente senza ieri e senza domani. No, non è una condizione umana."
Questo concetto non è risolvibile. Dire che non esiste la felicità perché legata a qualcosa che non esiste: il tempo immobile. Bel paradosso sì. Ma se esiste il termine "felicità", qualcosa esisterà pure di essa, no? Forse il "voler essere felici" più che la felicità, credo che l'autore intenda questo.
"Il punto di rugiada è, a parità di pressione atmosferica, la temperatura in cui si deve trovare l'aria per far condensare il vapor d'acqua in essa presente… Ma nel momento in cui l'eccessiva consapevolezza eclissa la maschera costruita con fatica, ecco la rapida caduta di ciò che prima riusciva a star sospeso: ecco il suo punto di rugiada, e il vapore diventa acqua e precipita in terra."
Uno/nessuno/centomila: finzione di noi stessi o di come ci vedono gli altri, ma espressi con intelligenza e animo poetico.
"Forse perché la linearità non esiste e tutti i modi possibili finiscono nel Nulla, in memoriae inanibus", chiosa al tuo racconto.
Quod nullum est, nullum producit effectum, direbbe un giurista.
Ma Antonio Giordano dice che nulla finisce per sempre… esiste una speranza!
Ci sarebbe ancora da dire su questo tuo scritto, ma mi fermo qui.
Sì, linguaggio ricco, forbito, eloquente. Moraleggiante però nel suo voler spiegare cose che non sempre si possono spiegare. Resta un po' di tristezza e malinconia dopo averlo letto. Come guardare un enorme platano con le foglie ingiallite sotto un sole opaco di un cielo grigio d'autunno.
Voto 4/5
Perché non è un racconto con una trama narrativa definita, ma un'analisi "filosofica su molti temi", scritta mirabilmente, da apprezzare per la profondità, emozione, di molte riflessioni (a volte un po' troppo spiegate) e altrettanti spunti che offre. Ma io come lettore voglio spazio per immaginare, mistero, crearmi delle aspettative, avere qualcosa di mio nel testo, e questo spazio è abbastanza precluso qui.
Non posso incensare un racconto solo perché è scritto bene, ma valutarlo anche per quello che mi suscita dentro.
Tante belle cose, Namio Intile
Antonio
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Non so se la risposta sia semplice alla domanda perché alcune persone si rifugino nella bruttezza e la preferiscano alla bellezza. Credo, temo, vi siano indotte, un modo per tenerle ai margini e dentro il gregge al tempo stesso, che risponde forse all'esigenza di creare un mondo altro, basso, inferiore, che non possa unirsi all'altro e confondersi con esso. Da una parte ciò che è buono e bello, e dall'altra ciò che è brutto, e quindi cattivo, malvagio, nell'apparenza prima che nei fatti.
Nella dichiarazione d'indipendenza americana si trova quell'accenno alla felicità, alla sua ricerca, equiparata a libertà e uguaglianza " che tutti gli uomini sono creati liberi e uguali..." È quella la fonte della felicità moderna, tutta anglosassone, non certo europea, in cui la felicità è stata sempre altra cosa. Ma è la visione anglosassone oggi quella prevalente, quella che cattura la fantasia e indirizza le energie. È una ricerca, il voler essere felici, come dici tu, la conquista della felicità: un percorso più che un fine. L'etimo ha a che fare con la fecondità, la fruttuosità, la ricchezza, anche se nel mondo classico equivaleva a un sentimento ancora diverso e forse più duraturo. La citazione nella dichiarazione d'indipendenza aveva una ragione: un effetto di stimolo sulla maggioranza di indecisi a prendere parte attiva al grande progetto nazionale americano che prevedeva lo sganciamento dall'impero britannico. Tuttavia, nella Costituzione uscita dal Congresso Continentale alla felicità, accanto a libertà e uguaglianza venne sostituita la parola proprietà. E quindi la felicità non è in costituzione, come molti ritengono, ma al suo posto, non a caso, è stata messa la proprietà, la felicità duratura delle élite.
Lo sguardo dei protagonisti del racconto è distaccato, disilluso, malinconico. Aleggia una sorta di nostalgia per un mondo che non c'è più e forse non c'è mai stato né mai ci sarà. Immagino che l'impressione a pelle possa essere quella dell'intento moraleggiante, se non fosse che ai miei protagonisti l'umanità non interessa. Anzi, fa loro un po' ribrezzo, la tengono a distanza, la considerano con disprezzo. Forse non sono moralisti, ma il loro esatto contrario: nichilisti.
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Re: Commento
Ciao, Andr. Grazie per l'intervento. Con gli spunti ci provo sempre, come te del resto. Il potere è ormai così pervasivo da essere evidente ovunque e in qualunque momento, almeno a me, anche quando si nasconde e non mi pare neanche che ci provi più di tanto. Sulla Terra siamo sempre di più, una vera ordalia di cavallette, e mi chiedo se non sia inevitabile che i molti siano governati dai pochissimi, e che pochissimi abbiano sempre di più a scapito dei moltissimi. Alle volte mi vorrei arrendere, vorrei solo alzare bandiera bianca, caro il mio Andr, e accettare la sconfitta. Avete vinto voi, fate di me quel che volete. Credo che, prima o poi, berrò la mia cicuta.Andr60 ha scritto: ↑19/04/2024, 9:35 Un racconto ricco di spunti, come sempre. Il tema principale però è quello delle maschere, indossate a seconda delle convenienze, delle norme sociali. La differenza tra l'epoca di Pirandello e la nostra è che le maschere si sono moltiplicate, sono diventate anche virtuali (basti pensare ai social, nei quali ogni partecipante si mette in vetrina). Ma l'aspetto più nuovo delle maschere del XXI secolo è che il Potere stesso si nasconde e si attaglia perfettamente alle proprie vittime, tramite la profilazione dei messaggi. Tutto questo per far sparire il punto di rugiada, ovvero il momento (come superbamente esemplificato dall'Autore) nel quale il soggetto acquisisce consapevolezza, di sé e del mondo che lo circonda.
Voto 5
Re: Attraverso i vuoti della memoria
sei letterario pure quando non sarebbe necessario. Da ammirare!
"Come guardare un maestoso platano con le foglie ingiallite sotto un sole opaco di un cielo grigio d'autunno."
Voleva essere un'allegoria/metafora, spero che si sia capito, di una visione moralistica (o nichilista come sottolinei meglio tu) di un declino inesorabile di un ordine di valori diretto verso la propria rovina. E credo, a mio parere, che questa immagine sia la più giusta che si possa associare al tuo racconto. Ma resta la speranza, dopo l'inverno, di una nuova primavera: che io, e noi tutti, possiamo solo sperare che ci sia, ma anche no.
Sempre un grande piacere leggerti, Namio
Cari saluti,
Antonio
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Re: commento
Tu hai dato della pesantezza al mio testo, vabbè ci sta, sarai a tuo modo un valido lettore e magari hai il naso fino superiore a quello mio. Cosa che dubito fermammente.
Ora ti trascrivo un paragrafo del tuo racconto, dove secondo me un lettore senza tendenze suicide non andrebbe oltre alla lettura:
“Quando mi capitava d’incrociare la linea dei suoi occhi, retta come una mensola, lo sguardo mi s’allungava, dal basso verso l’alto, a sostenere quelle imponderabili vastità o, come in quel momento, mentre s’accostava a una delle ante, a indugiare sulle luci del tramonto novembrino, lente a sfumare lungo i crinali a occidente dal vermiglio al viola al vermiglione, pronte ad avvolgere Montefosco in un tegumento purpureo, io non riuscivo a inseguirne lo sguardo, incline a inseguire le mie notturne rimuginazioni. E mi scappò di dire millecentosessantasei, e lui mi rispose un che distratto. Precisai che erano i metri cubi del Salone delle Feste in cui ci trovavamo.“
La linea retta dei suoi occhi, retta come una mensola… Dio mio, davvero nel 2024 gli scrittori si esprimono in questo modo? Io, caro Namio, ci ho capito semplicemente una mazza. Dico, la traiettoria di questa chiamiamola visuale per stabilire il nulla mi sfugge, lo dico da ingegnere. il vermiglio, il tegumento purpureo, il viola vermiglione... ma dài dài. Sarà un mio limite di lettore di almeno un romanzo alla settimana, ma a me non è arrivato nulla, non mi hai smosso alcun sentimento. La cosa buffa è che hai messo il becco sul mio passato remoto e non vedi il prolisso sulla tua scrittura che spande da tutte le parti. Parli di pesantezza proprio tu, la cui semplicità non ti appartiene. Vedi, questo paragrafo è il punto centrale del tuo racconto: ed è qui che il lettore si blocca. Perché capisce dove l’autore va a parare: punta tutto su questo linguaggio aulico e non funzionale alla storia.
Il punto è, per finire, che non accetto lezioni di scrittura da chi non può insegnarmi un bel niente. Se tu fossi stato davvero oggettivo, come lo è la scrittura, avrei preso per oro colato il tuo suggerimento. Mentre, invece, dovresti accettare tu il mio: scrivi avendo di fronte il lettore (quello vero evidentemente) e cambia registro, evita queste metafore datate 1800. Io magari sono della tua stessa generazione, ma la mia scrittura è totalmente diversa, in linea quantomeno con i tempi attuali. Poi, vabbè, hai lettori che ti stimano. Salutameli.
Re: Attraverso i vuoti della memoria
Ecco altri dettagli sempre del paragrafo del tuo racconto che t'ho evidenziato prima.
"Quando mi capitava d’incrociare la linea dei suoi occhi, retta come una mensola, lo sguardo mi s’allungava, dal basso verso l’alto, a sostenere quelle imponderabili vastità o, come in quel momento, mentre s’accostava a una delle ante, a indugiare sulle luci del tramonto novembrino, lente a sfumare lungo i crinali a occidente dal vermiglio al viola al vermiglione, pronte ad avvolgere Montefosco in un tegumento purpureo, io non riuscivo a inseguirne lo sguardo, incline a inseguire le mie notturne rimuginazioni. E mi scappò di dire millecentosessantasei, e lui mi rispose un che distratto. Precisai che erano i metri cubi del Salone delle Feste in cui ci trovavamo."
1. Dici: “a sostenere quelle imponderabili vastità” dando per scontato che il lettore capisca quali sono queste benedette “vastità”. Rileggendo, con una buona dose di pazienza, forse ho capito che dai per implicito che il lettore capisca che le imponderabili vastità sono riferibili all’amico del personaggio io narrante. Ma il problema è che in narrativa un autore non deve dare nulla per scontato: nella frase infatti si inciampa.
2. Poi dici: “mentre s’accostava a una delle ante” ma da dove spuntano fuori queste ante? Ante di che? Io sto ancora cercandole.
3. Poi passi dal punto di vista del personaggio io narrante per indugiare sullo sguardo dell’amico del personaggio, per poi passare nuovamente sull’io narrante, che ammira il panorama: il tutto con l’utilizzo di una punteggiatura asfissiante, separate da virgole, che fa andare letteralmente in apnea.
4. Poi dici: “io non riuscivo a inseguirne lo sguardo, incline a inseguire le mie notturne rimuginazioni” come se il lettore conosce le notturne rimuginazioni del personaggio io narrante. Boh.
5. Infine, la ciliegina sulla torta: “E mi scappò di dire millecentosessantasei, e lui mi rispose un che distratto. Precisai che erano i metri cubi del Salone delle Feste in cui ci trovavamo.”
Qui il lettore, secondo l’intenzione dell’autore, dovrebbe aver capito tutto, dato che si chiude il paragrafo.
E invece sappi che io, caro Namio, non c’ho capito un emerito fico secco.
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Re: Attraverso i vuoti della memoria
Se poi ritieni che il livello qui sia basso, ma che ci stai a fare?
- Marino Maiorino
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"Attraverso i vuoti della memoria", dici, ma dove sono, questi vuoti?
Mi sembra non si perda un'unghia di te, in queste righe così piene ed esuberanti, di un rococò o di un gotico fiammeggiante letterario da leggere e ritirarsi a considerare di dover comprare l'ultimo Devoto/Oli. E così stupendamente smaltate...
Non ti rimprovero nulla, al contrario: mettersi a nudo così... "Se sia più nobile affrontare impavidi i dardi dell'avversa fortuna E soccombere a essa". Perché Carlo è l'alter ego col quale avresti sempre desiderato dialogare, pur avendolo dentro te.
Quando potrò rispondere a tono ai tuoi racconti? Le tue sono parole da rileggere tra 20, 30 anni per me (non perché tu sia tanto più in là con gli anni, ma perché io tengo 'a capa 'e chella manera...)
Hai toccato due figure che non smetteranno mai di sollecitare, arrovellare le persone: la felicità e la maschera. Sì, hai toccato anche la malinconia (la fai diventare nostalgia, ma la tua è malinconia), che è essa il contrario della felicità: non è la tristezza che ammazza la felicità, ma la malinconia, che ci urge a vivere perennemente in un tempo diverso dal presente (e infatti, li declini tutti, i tempi). Non è per questo che la felicità è così sfuggente? Perché non sappiamo godere il presente ("il passato è stato, il futuro non è ancora, il presente, come elemento di separazione di due cose che non esistono, come fa a esistere?").
Bisogna accettare di cambiare i propri paradigmi, per poter aprire gli occhi sul presente e goderne, e temo che né il tuo protagonista (Carlo ne è solo la "spalla"), né Carlo (troppo cerebrale) potrebbero farlo.
Il tuo protagonista CREDE di essere uno spirito artistico, analogico, ma Carlo è l'evidente dimostrazione del contrario: apparentemente il suo miglior amico, nonostante la diametralmente opposta diversità, eppure il perfetto comune intendimento.
E maschere. La maschera del tuo nobile, e quella del suo amico, apparentemente impassibile e corretto, salvo poi desiderare come un cane da compagnia la fugace ricompensa di un sigaro blasonato (oggi, certamente più di un titolo).
Dunque, con tutta questa materia, con tutte le apparenti pause che il protagonista si prende "ad arte", dove sono questi famigerati "vuoti di memoria"? Io vedo una persona che ha avuto molto, TROPPO tempo per riflettere in solitudine.
S'è capito che m'è piaciuto?
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Re: Attraverso i vuoti della memoria
Grazie per l'intervento, ti assicuro che sei riuscito a rispondere in modo non banale. La scrittura qui è barocca, è vero, ed è voluto. Ed è voluta anche la densità di senso, pure se in un racconto così breve affatica la lettura. Il tema portante è la memoria, anzi i suoi vuoti. Vuoti perché se la memoria ci definisce, noi non siamo padroni della sua formazione, come tento maldestramente di dimostrare nel raconto. Ma parlo anche di felicità, è vero, e di tempo. Dici che l'infelicità dipende dall'incapacità di godere il presente. Ma, obiettivamente, per la maggior parte delle persone è difficile anche solo vivere il presente. Siamo schiacciati dal presente, dalle sue urgenze, dalla sua arroganza, dalle sue irrisolvibili ingiustizie, e suppongo che non sia casuale. Come scrivevo ad Antonio/Yakamoz (anche il turco è lingua che riesce a esprimere concetti con una parola) la felicità come la intendiamo noi oggi ha un sapore anglosassone. Da una parte la ricerca della felicità, dall'altra l'impossibilità di raggiungerla. La ricerca della felicità ci costringe a vivere in una eterna tensione a un obiettivo che non sarà mai raggiunto. Timeo Danaos et dona ferentis, mi viene da citare Virgilio per analogia. I padri costituenti americani la sapevano lunga e forse sarebbe ora, in Europa, di leggere la storia americana più attentamente e con occhi meno innamorati. E forse per seguire questo ragionamento la mia malinconia non è una condanna all'infelicità, ma ci salva proprio da questa felicità.
Un caro saluto, e grazie.
Re: Attraverso i vuoti della memoria
Aperti al dialogo e mai usare le "parole" per cercare di ferire, questo è il consiglio che posso dare/dire, consiglio che vale anche per me. Non è che se vai in un ristorante e ti servono un piatto che a te non piace, poi picchi il cameriere/cuoco/titolare o chi per lui. Se sei "signore" non mangi nulla, paghi lo stesso e te ne vai. Ma puoi chiamare qualche responsabile e far presente la cosa: e lui "quasi sicuro che lo faccia" si scuserà in qualche modo, liberandoti dal conto da pagare. Divago, ironizzo e sdrammatizzo, chiedo scusa. Ritorniamo ai "Attraverso i vuoti della memoria", ossia a ciò che ci definisce "la memoria" come persone/esseri, ma di cui non abbiamo pieno controllo e "i vuoti" che appunto possono esserci e creare quindi una frammentazione del senso di sé, penso che questo sia il significato del titolo del racconto. Bella pure la citazione di Virgilio: Timeo Danaos et dona ferentis, per sottolineare la diffidenza verso i doni (nemici) che apparentemente portano felicità. Anche se Marino non è in errore quando dice che bisogna ricercare la felicità in una realtà il più fattuale e prossima, imminente, cioè senza pensarci troppo: entro in un bar, prendo un caffè e per un attimo, mentre sollevo la tazzina e lo degusto, sono "felice", una felicità orgasmica! Namio, invece, parla di una felicità come prospettiva/percorso e cita questo: "Riteniamo che queste verità siano evidenti di per sé, che tutti gli uomini sono creati uguali, che sono dotati dal loro Creatore di certi diritti inalienabili, che tra questi diritti vi sono la Vita, la Libertà e la ricerca della Felicità", di Thomas Jefferson. Parole sacrosante! Sì, vere. Ma che, soprattutto nel passo: "la ricerca della Felicità", danno l'idea di uno "slogan idealista". Giusto per aggiungere qualcosa al più famoso: Liberté, Égalité, Fraternité (e Félicité). La felicità è un sentimento individuale, difficilmente spiegabile anche a parole ed è più facile pensare che T. Jefferson, con felicità, volesse più intendere "appagamento dei diritti/bisogni minimi che uno Stato deve garantire al cittadino", parlo dei bisogni collettivi che un singolo individuo non può soddisfare da solo. E mi sembra più vicino alla felicità, almeno per come la intendo io, un concetto molto più semplice: come porsi dei limiti in quello che già si ha o si desidera, ma sempre cercando di migliorarsi, e considerare quel che si ottiene in più, sempre se viene, un bene. Ma può darsi che anche io sbagli.
Cari saluti, Namio
Sottolineo che a me piace la scrittura "ricercata" se nel giusto contesto. E La tua lo è. Abbiamo tante parole, perché non usarle?
- Marino Maiorino
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Re: Attraverso i vuoti della memoria
quando ho usato "rococò", ho aggiunto "smaltata", perché l'intenzionalità dello stile mi è parsa brillantemente, immediatamente evidente: bisogna saper godere del Sole più ossessivo per lasciarsi andare alle pause studiate del tuo racconto.
E il Sole è a un tempo vita, gioia, benessere. Chi non si lascia andare a quelle pause, che introduci "facendo finta" di dipingere gli ambienti del racconto, per far "perdere la memoria" al tuo protagonista, non sta afferrando che la felicità è proprio in esse, nella libertà che ne deriva.
Non so se siamo schiacciati dal presente. Io ho vissuto gran parte della mia vita tra un futuro che non raggiungerò mai e un passato che non ho mai saputo godere. Mia moglie, santa donna, la cito tanto quanto il tenente Colombo la sua, s'è sempre lamentata che sono sempre stato assente. Scoprire perché è stato devastante persino per me. Quindi, magari fossi schiacciato dal presente! Persino ora che sto attraversando un periodo non proprio dei migliori, il presente mi scivola addosso come un che di momentaneo: per il passato so cosa ho fatto di male o bene, per il futuro so quali fossero le mie intenzioni, il presente è il risultato momentaneo di una ricetta che cucino ogni giorno insieme a quell'incompetente del destino: nonostante tutta la sua innegabile esperienza, alle volte è lui che combina i macelli più indicibili.
E così, nonostante il momento, il presente continua a lasciarmi indifferente: passerà, farò di meglio, non volevo certo sbagliare, jamm' annanz'.
Sono proprio questi momenti che mi fanno essere cosciente del presente come momento di felicità: si è felici (o meglio: IO sarei felice) solo nel presente.
Anche quando parli della felicità dal sapore anglosassone, credo di capire che ti riferisci ad altro, che con la felicità ha ben poco a che vedere. Spensieratezza? Affermazione/riconoscimento sociale? Ogni anno pubblicano il "ranking" ("classifica" è desueto) delle nazioni più felici del mondo. Paesi scandinavi in testa, anche in quella dei Paesi occidentali a più alto tasso di suicidi...
Ho visto la povertà per le strade dei centri storici pedonali delle capitali europee, barboni approntare materassi di spugna sotto la pioggia fina davanti a vetrine di Chanel che terminavano la giornata... Altro concetto che il mondo anglo e sassone ha stravolto: la "libertà". Che, come la felicità, probabilmente noi mediterranei intendiamo diversamente, in maniera sociale: come può essere "libero", un uomo che vive da clochard mentre intorno a lui milionari indifferenti danno dimostrazione di quanto tengono all'aristocratica compagna regalandole unguenti milionari? (Francamente, chi è più libero, in questo siparietto: il clochard o il milionario? )
Allo stesso modo, come posso essere felice se non lo condivido? La felicità individuale, personale, è semplice soddisfazione, "avere abbastanza", che, per carità, ci sta tutta, ma vuoi mettere col leggere un sentimento ricambiato negli occhi di chi ti sta di fronte? Persino il protagonista del tuo racconto, nel prendersi quelle pause, riesce a essere momentaneamente felice, perché quel momento di oblio lo sta condividendo col suo Carlo. Come i sigari: quanto è appagante vedere la trepidazione in un amico col quale condividere un piacere? La felicità è sociale.
Il che ci porta alla tua valutazione sull'anglosassone, portatore di un modello sociale individualista e primatista. In un mio racconto passato mi hai attribuito questo spirito di sacrificio che vede nel futuro il proprio appagamento. Ho appena ammesso che, sì, ho vissuto gran parte della mia vita così, ma non perché non sapessi cosa volessi raggiungere o quando: i miei personali momenti di soddisfazione li ho raggiunti quando ho fatto qualcosa di buono e/o bello, e ho potuto condividerli, con la famiglia, con gli amici, coi colleghi (no, non sono il tipo di doppia faccia, sul lavoro). Io ANELO al presente, sebbene sia un presente che vedo a sprazzi (qui, purtroppo, tanto gioca quel modello anglosassone che dici tu).
La mia felicità non ha nessuna legge morale dentro di me (non mi piace imporre alcunché a nessuno), ma il cielo stellato sopra di me, quello sì, condiviso con chi amo.
A presto, Namio.
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Re: Attraverso i vuoti della memoria
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Quello che colpisce oltre il racconto in se è lo stile. Sto leggendo Mann, e devo dire che ci trovo delle somiglianze impressionanti.
Per quanto riguarda la storia per ora ti dico solo che mi piace solo perché sono in viaggio di nozze e non ho il pc, quindi è faticoso scrivere un commento accurato.
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Calendario BraviAutori.it "Year-end writer" 2019 - (a colori)
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Gara d'autunno 2022 - La Méduse - e gli altri racconti
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La Gara 10 - Dreaming of a Weird Christmas
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Il Bene o il Male
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Copertine di Giuliana Ricci.
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Dentro la birra
antologia di racconti luppolati
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Vedi ANTEPRIMA (276,03 KB scaricato 300 volte).
Luna 69-19
antologia di opere ispirate al concetto di "Luna" e dedicata al 50° anniversario della storica missione dell'Apollo 11
Il 20 luglio 1969 è la data che segna per sempre il momento in cui il primo essere umano ha posato per la prima volta i piedi sul suolo lunare. Quel giorno una parte di voi era d'avanti ai televisori in trepidante attesa del touch-down del lander, altri erano troppo piccoli per ricordarselo e altri ancora non erano neppure nati, tuttavia ne siamo stati tutti coinvolti in molteplici maniere.
A cura di Massimo Baglione.
Contiene opere di: Alessandro Mazzi, Andrea Coco, Andrea Messina, Angelo Ciola, Cristina Giuntini, Daniele Missiroli, Enrico Teodorani, Francesca Paolucci, Franco Argento, F. T. Leo, Gabriele Laghi, Gabriele Ludovici, Gabriella Pison, Iunio Marcello Clementi, Laura Traverso, Marco Bertoli, Marco Daniele, Maria Emma Allamandri, Massimo Tessitori, Namio Intile, Pasquale Aversano, Pasquale Buonarotti, Pietro Rainero, Roberta Venturini, Roberto Paradiso, Saji Connor, Selene Barblan, Umberto Pasqui, Valentino Poppi, Vittorio Serra, Furio Bomben.
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