Quello di Porlamar
Inviato: 14/07/2020, 15:34
5 Luglio 1998, isola di Margarita, Venezuela.
– Quando vai a comprare droga, devi andarci in taxi. – consigliai a un connazionale che avevo conosciuto giorni prima e che era lì per acquisti – Questo per evitare di essere fermato. – continuai – E poi le tariffe sono molto meno onerose delle nostre.
– Ti racconto una storia che mi è successa proprio qui un paio di anni fa, questo per evitarti eventuali guai.
Comprai un biglietto d'aereo andata e ritorno e una volta arrivato qui mi organizzavo vivendo la vita della gente del luogo, dal bus al mercato, metrò, ecc. Lingue improvvisate. Compravo solo la guida della Lonely Planet e con quella impostavo la vacanza. Ero venuto prevalentemente perché mi avevano descritto quest'isola come un paradiso. Io volevo fare snorkeling e surf. Ma mi avevano anche detto che qui si vendeva roba buona.
– Una sera conobbi un pusher della zona, era conosciuto come Quello di Porlamar ma non era del posto. Il suo vero nome era Giuliano Borlotti, cugino di un ex calciatore del Bologna.
Mi diede l'appuntamento per il giorno dopo, nella pensioncina dove viveva da anni.
Eravamo molto vicini, io stavo in un albergo a un centinaio di metri, tanto che decisi di andarci a piedi. Chi mi vede? Mi dissi. La strada era buia e senza illuminazione. In fondo si trattava di cento miseri metri.
Dopo aver comprato la roba iniziai a incamminarmi verso il mio hotel, che poi era una pensione scadentissima.
A un tratto iniziai a sentire qualcuno che intimava di fermarmi, io però non capivo bene cosa urlasse, e speravo che non fossero rivolte a me quelle grida. Non mi girai e mantenni la calma, continuando a camminare senza aumentare il passo.
Ad un tratto iniziai a sentire quella voce che ripeteva sempre la stessa frase e poi quello si mise a correre per raggiungermi. Il rumore dei suoi anfibi mi fece percepire il pericolo, ma nemmeno in quel momento mi girai. Avevo ancora la cocaina nelle mani, non sapevo neanche quante bustine fossero e nemmeno se fossero sigillate, ma sapevo che dovevo mettermele in bocca e non gettarle per terra. Mi accesi una sigaretta cercando di essere il più disinvolto possibile. Così mi venne detto di fare giorni prima, in caso che qualche sbirro mi fermasse.
In quel momento spuntarono mezzi della polizia per bloccare la strada, che venne illuminata a giorno dai fari posti sopra l'abitacolo delle camionette.
Il buio scivolò via e dai lati della strada iniziarono a spuntare poliziotti dappertutto, li vedevi saltare le recinzioni, siepi, muretti… Erano tutti lì proprio per me. Una retata!
Non mi ero ancora girato, che lo sbirro che mi correva dietro mi raggiunse, mi prese una spalla per farmi girare, e allo stesso tempo, con l'altra mano mi sferrò un pugno in pancia tanto da farmi piegare in due per il dolore. In una frazione di secondo, mi infilò una mano in bocca e con le unghie mi tagliò la parte posteriore della gola. Così facendo mi fece inghiottire le bustine di coca, invece di prenderle.
Venni circondato dai poliziotti, e tutti iniziarono a cercare per terra, mentre io venivo perquisito dallo sbirro picchiatore. Non capivo nulla di spagnolo, ma in quel momento riuscii a percepire ogni singola parola.
Ogni involucro che trovavano per terra me li portavano, dicendo che erano miei. Volevano che li toccassi. Io indietreggiavo negando tutto, con quelle maledette luci che mi accecavano.
Se lo vuoi sapere, quando mi portò verso la camionetta – e io ero senza documenti – rimasi solo con lui, e iniziai a fissare la sua pistola. Ero intenzionato a prenderla! Questo mi balenò nel cervello. Non avevo via d' uscita. Poi aprì lo sportello e mi fece salire. Dentro c'era Borlotti.
Aprì la mano e poggiò la sua cocaina sul sedile e mi disse: – Questi vogliono soldi ora ci penso io!
Disse loro che era una giornata di festa ed era giusto che anche loro si sarebbero dovuti divertire, e gli diede il denaro del mio acquisto. Ci lasciarono andare.
Dissi a Borlotti che avevo ingoiato la fecola, ma lui mi tranquillizzò dicendomi che era ben sigillata, ma che avrei dovuto vomitarla a breve.
Corsi in camera, era già passata un' ora, mi misi due dita in bocca ed iniziai a vomitare in preda all'ansia.
Telefonai a Borlotti per avere la certezza di quanti ne avessi ingoiati.
Il cameriere del mio albergo mi raccontò poi, che vide la scena delle camionette mentre stava rincasando con la sua ragazza.
Rimasi per tre giorni chiuso in camera dalla paura. Per mangiare scendevo nel pub ristorante dell' hotel.
Una sera nella sala da pranzo, c'era lo sbirro che mi sferrò il pugno, era assieme a sua moglie. Dopo una cena di sguardi, si avvicinò al tavolo e mi disse che sua moglie voleva fare sesso con me. Una donna grassa, sudata e nemmeno piacente. Avrà avuto trent'anni più di me.
Non sapevo che fare. Gli dissi che ci avrei pensato e scappai in bagno. Raccontai tutto al cameriere, mio amico, avevo paura di essere in trappola.
Mi disse che se i poliziotti non ti trovavano addosso la roba te la mettevano loro, per essere poi corrotti.
Così il cameriere mi fece salire su una jeep passando proprio davanti allo sbirro, per farmi vedere da lui, e mi portò ad una festa nella zona povera di Porlamar.
Sulla jeep c'era un bambino di nove anni che mi rompeva col suo nuovo gioco. Voleva farmi vedere a tutti i costi la pistola che aveva e si vantava. Per farlo contento, così avrebbe smesso, gli presi la pistola per guardarla. Era vera, non un giocattolo. Era stato appena promosso di livello.
Quando terminai il mio racconto, arrivò il taxi che avevo chiamato per andare all'aeroporto e tornare in Italia.
– E quel Borlotti? – mi chiese, forse per saggiare il terreno.
Tirai su le spalle. – Boh? Non l'ho più sentito.
Caricai le valigie nel baule e salutai il mio conoscente.
Quando il taxi si fermò a un semaforo, dopo un paio di auto, ci passò di fronte una camionetta della polizia. Mi sembrò di riconoscere il poliziotto che mi picchiò anni prima. Questo aveva dei folti baffi neri, ma giurerei che era lui.
– Quando vai a comprare droga, devi andarci in taxi. – consigliai a un connazionale che avevo conosciuto giorni prima e che era lì per acquisti – Questo per evitare di essere fermato. – continuai – E poi le tariffe sono molto meno onerose delle nostre.
– Ti racconto una storia che mi è successa proprio qui un paio di anni fa, questo per evitarti eventuali guai.
Comprai un biglietto d'aereo andata e ritorno e una volta arrivato qui mi organizzavo vivendo la vita della gente del luogo, dal bus al mercato, metrò, ecc. Lingue improvvisate. Compravo solo la guida della Lonely Planet e con quella impostavo la vacanza. Ero venuto prevalentemente perché mi avevano descritto quest'isola come un paradiso. Io volevo fare snorkeling e surf. Ma mi avevano anche detto che qui si vendeva roba buona.
– Una sera conobbi un pusher della zona, era conosciuto come Quello di Porlamar ma non era del posto. Il suo vero nome era Giuliano Borlotti, cugino di un ex calciatore del Bologna.
Mi diede l'appuntamento per il giorno dopo, nella pensioncina dove viveva da anni.
Eravamo molto vicini, io stavo in un albergo a un centinaio di metri, tanto che decisi di andarci a piedi. Chi mi vede? Mi dissi. La strada era buia e senza illuminazione. In fondo si trattava di cento miseri metri.
Dopo aver comprato la roba iniziai a incamminarmi verso il mio hotel, che poi era una pensione scadentissima.
A un tratto iniziai a sentire qualcuno che intimava di fermarmi, io però non capivo bene cosa urlasse, e speravo che non fossero rivolte a me quelle grida. Non mi girai e mantenni la calma, continuando a camminare senza aumentare il passo.
Ad un tratto iniziai a sentire quella voce che ripeteva sempre la stessa frase e poi quello si mise a correre per raggiungermi. Il rumore dei suoi anfibi mi fece percepire il pericolo, ma nemmeno in quel momento mi girai. Avevo ancora la cocaina nelle mani, non sapevo neanche quante bustine fossero e nemmeno se fossero sigillate, ma sapevo che dovevo mettermele in bocca e non gettarle per terra. Mi accesi una sigaretta cercando di essere il più disinvolto possibile. Così mi venne detto di fare giorni prima, in caso che qualche sbirro mi fermasse.
In quel momento spuntarono mezzi della polizia per bloccare la strada, che venne illuminata a giorno dai fari posti sopra l'abitacolo delle camionette.
Il buio scivolò via e dai lati della strada iniziarono a spuntare poliziotti dappertutto, li vedevi saltare le recinzioni, siepi, muretti… Erano tutti lì proprio per me. Una retata!
Non mi ero ancora girato, che lo sbirro che mi correva dietro mi raggiunse, mi prese una spalla per farmi girare, e allo stesso tempo, con l'altra mano mi sferrò un pugno in pancia tanto da farmi piegare in due per il dolore. In una frazione di secondo, mi infilò una mano in bocca e con le unghie mi tagliò la parte posteriore della gola. Così facendo mi fece inghiottire le bustine di coca, invece di prenderle.
Venni circondato dai poliziotti, e tutti iniziarono a cercare per terra, mentre io venivo perquisito dallo sbirro picchiatore. Non capivo nulla di spagnolo, ma in quel momento riuscii a percepire ogni singola parola.
Ogni involucro che trovavano per terra me li portavano, dicendo che erano miei. Volevano che li toccassi. Io indietreggiavo negando tutto, con quelle maledette luci che mi accecavano.
Se lo vuoi sapere, quando mi portò verso la camionetta – e io ero senza documenti – rimasi solo con lui, e iniziai a fissare la sua pistola. Ero intenzionato a prenderla! Questo mi balenò nel cervello. Non avevo via d' uscita. Poi aprì lo sportello e mi fece salire. Dentro c'era Borlotti.
Aprì la mano e poggiò la sua cocaina sul sedile e mi disse: – Questi vogliono soldi ora ci penso io!
Disse loro che era una giornata di festa ed era giusto che anche loro si sarebbero dovuti divertire, e gli diede il denaro del mio acquisto. Ci lasciarono andare.
Dissi a Borlotti che avevo ingoiato la fecola, ma lui mi tranquillizzò dicendomi che era ben sigillata, ma che avrei dovuto vomitarla a breve.
Corsi in camera, era già passata un' ora, mi misi due dita in bocca ed iniziai a vomitare in preda all'ansia.
Telefonai a Borlotti per avere la certezza di quanti ne avessi ingoiati.
Il cameriere del mio albergo mi raccontò poi, che vide la scena delle camionette mentre stava rincasando con la sua ragazza.
Rimasi per tre giorni chiuso in camera dalla paura. Per mangiare scendevo nel pub ristorante dell' hotel.
Una sera nella sala da pranzo, c'era lo sbirro che mi sferrò il pugno, era assieme a sua moglie. Dopo una cena di sguardi, si avvicinò al tavolo e mi disse che sua moglie voleva fare sesso con me. Una donna grassa, sudata e nemmeno piacente. Avrà avuto trent'anni più di me.
Non sapevo che fare. Gli dissi che ci avrei pensato e scappai in bagno. Raccontai tutto al cameriere, mio amico, avevo paura di essere in trappola.
Mi disse che se i poliziotti non ti trovavano addosso la roba te la mettevano loro, per essere poi corrotti.
Così il cameriere mi fece salire su una jeep passando proprio davanti allo sbirro, per farmi vedere da lui, e mi portò ad una festa nella zona povera di Porlamar.
Sulla jeep c'era un bambino di nove anni che mi rompeva col suo nuovo gioco. Voleva farmi vedere a tutti i costi la pistola che aveva e si vantava. Per farlo contento, così avrebbe smesso, gli presi la pistola per guardarla. Era vera, non un giocattolo. Era stato appena promosso di livello.
Quando terminai il mio racconto, arrivò il taxi che avevo chiamato per andare all'aeroporto e tornare in Italia.
– E quel Borlotti? – mi chiese, forse per saggiare il terreno.
Tirai su le spalle. – Boh? Non l'ho più sentito.
Caricai le valigie nel baule e salutai il mio conoscente.
Quando il taxi si fermò a un semaforo, dopo un paio di auto, ci passò di fronte una camionetta della polizia. Mi sembrò di riconoscere il poliziotto che mi picchiò anni prima. Questo aveva dei folti baffi neri, ma giurerei che era lui.