BraviAutori.it


NO JAVASCRIPT
NO VOICE
leggi documento Spiacente ma, in questo browser, la lettura a voce non funziona.
(usa CTRL +/- per ingrandire o ridurre il testo)
torna indietro  -  chiudi

Indice:
La gara
Prefazione
Il taccuino del Dottor
Facciamo che
Hook
Dal diario di Sessho…
La solitudine del primo
Crudelia
Mr. Smith
Attrazione patate
G per vendetta
Questione di coerenza
Sostieni la nostra p…
Copyright
Una produzione

up Torna su

La gara

Gara 8
LA VENDETTA DEI CATTIVI
OTTOBRE 2009
 
antologia per BraviAutori.it
 
A cura di Miriam
 
Foto allegate a ogni racconto di: autori vari.
Si ringraziano gli Autori di questa antologia per la partecipazione.
 
Nota: l'antologia impiega l'editing degli autori.
 
Trasformazione digitale: MiCla Multimedia

up Torna su

Prefazione

“Giorno di grande equilibrio e correttezza quando il cattivo avrà ciò che gli spetta riscattando il suo passato, un’infanzia complessa, distruggendo il suo nemico, il buon protagonista”.
Così cantano i Meganoidi ed è proprio a questi versi che mi sono ispirata per il tema della Gara 8.
I cattivi, dall’alba dei tempi, occupano un posto di rilievo nel nostro immaginario. Qualsiasi favola, cartone animato, film, fumetto o romanzo fantastico che si rispetti, ci propone un antagonista destinato, con la sua ombra e la sua malvagità, a far risaltare le virtù dell’eroe di turno.
Ma siamo proprio sicuri che la distinzione tra bene e male sia sempre così netta?
I cattivi sono irrimediabilmente esseri senza cuore da fuggire o combattere, oppure sono personaggi dotati di umanità, intrappolati in un ruolo che, a volte, non li rispecchia nella loro interezza?
Se per un giorno soltanto, avessero la facoltà di raccontarsi dal loro punto di vista, che impressione ne ricaveremmo?
I partecipanti alla gara, sono stati chiamati a fronteggiare questo interrogativo. Ciascuno di loro ha scelto un cattivo e ha provato a raccontarcelo fuori dagli schemi.
Come sempre, vari e sorprendenti sono stati i risultati. Qualcuno ha frugato nel passato alla ricerca di motivazioni inespresse, qualcuno si  è addentrato nella psiche o nella sfera dei sentimenti mirando alla comprensione, qualcun altro ha fatto ricorso all’ironia per sdrammatizzare e strappare un sorriso, ognuno ci ha regalato il ritratto inedito di un personaggio noto.
E voi da che parte state?
Provate a leggere l’ e-book prima di dare una risposta, potreste riscoprirvi a  tifare per chi non avreste mai immaginato.
 
Buona vendetta a tutti!
 
Miriam
 
Note: La carrellata di racconti si apre con Il taccuino del Dottor Watson di Alessandro, vincitore della gara8, a seguire il secondo e terzo classificato e tutti gli altri in ordine sparso.
Un ringraziamento a Necrophilia per l’immagine di copertina e del racconto primo classificato.
 


up Torna su

Il taccuino del Dottor Watson

di Alessandro
 
A Sir Arthur Conan Doyle,
nella speranza che mi perdoni.
 


Antefatto

Un mio amico ama ripetermi: "Il collezionista deve tener duro laddove gli altri si arrendono."
La mia passione è rivolta agli autori padri della letteratura fantastica e vi confesso che spesso mi ritrovo a spulciare tra le bancarelle dei mercatini, alla ricerca del pezzo da collezione.
Una ricerca minuziosa che nell'aprile del 1999 ha prodotto i suoi frutti: un taccuino dalla copertina di cuoio rosso, vergato con inchiostro nero e firmato John H. Watson.
Il taccuino, acquistato per diecimila lire, è stato analizzato da D. Estleman e N. Meyer, studiosi ed esperti Holmsiani, è stato giudicato autentico. Contiene semplici note del Dottor Watson, pensieri, poesie, disegni e il resoconto che vi propongo, denominato — Rivelazione — scritto esattamente centoquattordici anni fa e da me tradotto in italiano. Lo scritto narra dell'incontro tra il medico — scrittore e il professore James Moriarty, responsabile della morte di Sherlock Holmes.
Oggi, per mio volere, il taccuino del Dottor Watson è tornato a casa ed è esposto alla National Gallery di Londra.
Il collezionista deve tener duro, nulla di più vero!
 
Alessandro Napoletano
Roma, 11 Settembre 2009



Rivelazione — di J. H. Watson
 
Mi sono deciso a trascrivere queste poche righe per alleviarmi le sofferenze del cuore. Ho bisogno di leggere i fatti che sono appena accaduti, le parole che sono state dette, devo esorcizzare il malessere che è in me. Seppure ho scelto la forma del racconto, mai queste parole troveranno la benché minima pubblicazione. Il contenuto di quanto segue non è frutto della mia immaginazione, per quanto possa sforzarmi — e solo Dio sa quanto vorrei farlo — nessuna delle informazioni che seguiranno sul conto del mio amico Holmes può essere verificata.
Il dubbio è un animale invisibile, lavora con perizia nell'animo umano, sconvolge le certezze assolute e infine, piega la ragione. Per questo sto scrivendo, per cacciare quell'animale.

Un mese fa, Sherlock Holmes ha trovato la morte tra le Alpi svizzere, precipitando dalle cascate del Reichenbach, avvinghiato al più pericoloso criminale dell'ultimo secolo: James Moriarty.
Una morte orrenda, necessaria, aggiungerebbe Holmes, almeno fino a dieci giorni fa, quando sono stato raggiunto da un biglietto in cui venivo invitato a recarmi alla clinica Gaster Fell, alle porte di Londra. Oltre l'invito, mi è pervenuto un piccolo pacco di cartone, contenente ciò che mai avrei sperato di ricevere: il copricapo di Sherlock Holmes.
Ho pensato, e confesso, urlato al miracolo. Che il mio amico ce l'avesse fatta? Che fosse riuscito a scampare alla tremenda caduta e alle acque gelide della cascata?
Quel berretto così eccentrico che stringevo tra le mani sprigionava una forza indescrivibile: Holmes era tornato.
Alle dodici e trenta dello stesso giorno sono entrato nella clinica Gaster Fell e le speranze di riabbracciare il mio amico si sono infrante. Nella camera 110, ad aspettarmi sdraiato in un letto, c'era un uomo magro, circa cinquanta anni, denutrito, calvo, pallido come la cera, ma con occhi vivi, neri corvino, attenti a ogni mio movimento.
- Sapete chi sono? - Sono state le sue prime parole, emesse con un filo di voce melodiosa.
- No, Signore.
Mi rendo conto solo ora di quanto sia stata stupida la mia risposta. Avevo tra le mani il cappello di Holmes e solo un'altra persona, diversa da lui, sarebbe stata in grado di recapitarmelo.
- Voi siete il professore Moriarty. - Esclamai.
Non ebbi risposta. Il suo sguardo, che definirei magnetico, mi disse tutto.
Devo aver sussultato, forse gridato la mia rabbia, mi sono avventato sopra quell'uomo, con la forza di un toro. La mia azione ha perso d'intensità appena il suo sguardo mi ha sfiorato.
- Non volete conoscere il motivo per cui vi ho convocato qui, Dottore?
Mi arrestai, restando in piedi vicino al letto, trattenendo tra le mani i polsi del nemico.
- Non volete sapere il motivo per cui io, il criminale, ho sempre dato la caccia a Sherlock Holmes e mai è avvenuto il contrario?
Restai in silenzio, affascinato dalla voce di Moriarty, lo ammetto.
- So bene, - continuò - Holmes vi ha inviato una lettera, poco prima che ci scontrassimo a Reichenbach. Gli ho concesso la possibilità di spiegarsi, di raccontare il motivo per cui lo braccavo e di lavarsi la coscienza. Mi disse che avrebbe confessato, ma non l'ha fatto.
Allentai la presa dei suoi polsi, cercando un filo logico nelle parole di Moriarty.
- Holmes mi ha scritto, mi ha raccontato che razza di furfante siete, questa è l'unica…
- Certo, - m'interruppe - conosco il contenuto di quella lettera, ho persone che lavorano per me alle poste centrali, e vi assicuro dottor Watson: Sherlock Holmes non ha fatto il minimo accenno alla scomoda verità che lo riguarda.
- Ma di cosa state parlando.
- Che il grande eroe, l'investigatore celebrato nei suoi libri e acclamato in tutta l'Inghilterra, altro non è che un codardo e un assassino.
- Come osate?
Non ricordo altro episodio in cui mi vidi costretto a colpire un uomo evidentemente malato. La mia mano scattò come una saetta e terminò la corsa sul volto di Moriarty.
Per tutta risposta, il professore si limitò a continuare il racconto.
- Conobbi Holmes dieci anni fa, grazie a mia sorella Pamela. Pam era una ragazza di vent'anni, soffriva di continui dolori alla testa, era preda di pericolosi svenimenti, inappetente, sfioriva ogni giorno che passava. Solo Sherlock Holmes, con i suoi racconti al limite del paradossale, era capace di distrarla. Nostro padre non vedeva di buon grado l'amicizia tra i due e neanche io a dire il vero. Ma la felicità di Pam era il mio unico interesse. Una sera, acconsentii a farla uscire di nascosto, sapendo che si sarebbe incontrata con Holmes, alla spiaggia di Exeter. Mio padre non si lasciò ingannare, accompagnato da quattro amici, e io con loro, li ha sorpresi alla spiaggia.
Gli occhi di Moriarty inumidirono, un lieve porpore macchiò il volto bianco. Fece una breve pausa, cercando di ritrovare la concentrazione, proseguì:
- Holmes, vedendosi in trappola, prese Pam e salì sopra una barca di legno abbandonata sulla riva. Il mare era mosso, hanno remato per qualche minuto mentre gli uomini si buttavano a mare per inseguirli. Un'onda ha sorpreso mia sorella, rovesciandola in acqua.
Ancora oggi odo le sue urla mentre invoca il nome di Sherlock Holmes, il vostro grande eroe, mentre lo supplica chiedendo di essere salvata. La sento ansimare con l'acqua che la soffoca, che le riempie i polmoni, e le urla diventano gemiti, mentre annega.
Sherlock Holmes non l'ha salvata, è rimasto sulla barca, al sicuro, condannandola a morte. La corrente del mare e le onde hanno favorito la sua fuga.
Il professore non piangeva più. Per la prima volta da quando ero entrato nella stanza lasciò che il suo sguardo si posasse lontano dai miei occhi.
- L'ho annegato, come lui ha fatto con Pamela.
- Non può essere vero, Holmes non si sarebbe mai tirato indietro - Balbettai
- Dottor Watson, si è mai chiesto il motivo per cui il suo amico non si avvicina mai a una donna? E quei viaggi che usa intraprendere iniettandosi soluzioni al 7% di eroina, secondo lei, quali urla devono placare? E quando il vostro grande eroe…
Non riuscii ad ascoltare altro, scappai di corsa dalla stanza, stravolto. Un'ora più tardi, denunciai alla polizia la presenza di Moriarty alla clinica Gaster Fell.
I poliziotti accorsero subito sul posto, ma del criminale non c'era più traccia.
Ho fatto l'unica ricerca possibile: James Moriarty aveva effettivamente una sorella, Pamela, morta nel 1884, annegata davanti a Exeter. Troppo poco per sospettare di Sherlock Holmes, abbastanza per tormentare tra le mani il suo cappello.

John H. Watson
Londra, 11 Settembre 1894

up Torna su

Facciamo che

di Manuela Costantini
"Dedicato ai cattivi, che poi così cattivi non sono mai..."
(Ivano Fossati)

Va bene, va bene, mi hai scoperto maledetto Copperfield, no, il maledetto era Carter, fa niente, ho ancora qualche minuto prima che le guardie vengano a prendermi.
Lo so, ho imbrogliato e ho rubato e voi ve la godete, sapendo che passerò il resto dei miei giorni lontano da qui, in prigione, ma prima che mi rinchiudano devo fare una cosetta…


Uriah Heep li guardava. Li aveva sempre detestati tutti, specialmente David, il “signorino Copperfield”, come lo aveva sempre chiamato. Quel Copperfield così tronfio e orgoglioso della sua sofferenza, la usava ogni volta per farsi benvolere da qualcuno e alla fine si era fatto benvolere da tutti. E pure Agnes, che invece, per ottenere le stesse cose, usava le sue grazie. Certo lui non sarebbe mai stato degno dell’amore di Agnes, sapeva bene di non essere bello ma la bellezza non è poi così importante. O sì?
E il signor Micawber che cambiava umore senza nessun motivo, che si metteva a cantare mentre la moglie e i figli non avevano niente da mangiare e che era pure stato in galera per tutti i debiti che aveva contratto. Un uomo incapace, inetto, che ora, smascherando Uriah Heep, si godeva il suo piccolo momento di gloria.
E la vecchia isterica zia Betsy e quel povero pazzo di Dick e Traddle che, per lavorare, aveva fatto l’elemosina al detestabile “signorino”.
Che massa di gentaglia, pensò Uriah Heep, mentre gli si disegnava un ghigno sulla faccia bianchissima.
Gli tornò in mente quando, da bambino, proponeva un gioco e mai nessuno lo stava a sentire.

- Bene, facciamo che da adesso e per tre minuti, tutti dovranno dire la verità - disse senza intonazione e senza pensare.
Proprio come quando da bambino provava a dire “facciamo che siamo tutti soldati” o “facciamo che è notte” o tanti altri “facciamo che…” ma non lo guardavano neppure, anzi lo guardavano ma solo per prendersi gioco di lui.
Per un attimo gli altri si rivolsero occhiate come per cercare di capire cosa stesse succedendo, come se non sapessero dove si trovavano né cosa facessero lì, in quel posto, tutti insieme.
Ci fu silenzio, poi David fece una carezza ad Agnes, di condiscendenza.

- Non mi piace che mi tocchi in quel modo, David, per favore! - disse lei e rimase sorpresa di quel che aveva appena detto.
- Be’, cosa ti piace allora? Sembra che ogni volta che mi avvicino, tu abbia repulsione, sembri una vecchia zitella frigida! - disse David con rabbia, come se quelle parole le avesse tenute dentro fino al massimo tollerabile e poi fossero venute di colpo fuori, tutte insieme.

Agnes continuò dicendo a David che lo trovava deprimente, che le faceva venir voglia di suicidarsi, che le dava un senso di vuoto insopportabile.
- E allora perché stai con me se sei così scontenta? - chiese lui con la voce alterata.

- Non ci sto più infatti, me ne vado domani mattina - rispose lei, acida, guardandolo con cattiveria.

- Dai ragazzi, smettetela - intervenne zia Betsey, ma subito dopo i suoi occhi presero una luce diversa - tanto siete una massa di nullafacenti, qua campate tutti con i miei soldi.
E per la prima volta nella sua vita era davvero sincera e se ne compiacque.

E poi tutti cominciarono ad alzare la voce verso tutti, riesumando vecchi rancori mai sopiti, rinfacciandosi torti subiti, ricordando episodi di quotidiana grettezza.
Erano diventati paonazzi ed erano mortalmente offesi per il tono che usavano e per quello che dicevano, senza nessun filtro. Non si rendevano conto che forse sarebbe stato meglio continuare a recitare la parte come avevano fatto fino ad allora e in pochi secondi si sentirono solo grida e insulti e tutti si accusarono. Nessuno di loro però sembrò capire che si stavano accusando solo di essere come erano.
Uriah Heep li guardò divertito per tutto il tempo.
- I tre minuti sono passati. Potete tornare ai vostri giochi… - disse sorridendo e continuando a contorcersi, come aveva sempre fatto.
Arrivarono le guardie e Uriah Heep non ne fu troppo dispiaciuto.
Si infilò il cappotto e prese il cappello. Poi stette un attimo fermo, sulla porta, facendo cenno alle guardie di precederlo. Tenne la porta aperta con la lunga magrissima mano e si voltò.

- E poi il serpente viscido e ipocrita sarei io - disse, continuando a sorridere.
Si mise il cappello e si chiuse la porta alle spalle.


up Torna su

Hook

di Macripa
 
A mia nipote Fiamma
Una fan scatenata di Capitan Uncino
 
 
Buongiorno, mi presento, sono Capitan Uncino. Si, proprio l’antagonista di Peter Pan!
Finora ho taciuto, ma credo sia arrivato il momento di mettere in chiaro alcune cose.
Il signor Barrie, colui che ha rese note le nostre vite, ha dato di me un’immagine che non corrisponde affatto alla realtà.
Nella sua versione dei fatti io sono il cattivone, mentre quel bell’elemento di Peter Pan ne esce come un eroe.
Vogliamo per un attimo tracciare il profilo psicologico di Peter Pan?
Ha i suoi begli annetti e si ostina a comportarsi come un ragazzino (gli hanno persino dedicato una Sindrome); non ha un’attività e a memoria d’uomo nessuno lo ha mai visto lavorare. Gli piace circondarsi di giovani e se ne va in giro sempre accompagnato da una ragazzina discinta e svolazzante (una lucciola, se capite cosa intendo dire!).
Con la promessa di posti inesistenti, irretisce fanciulli e fanciulle, per arruolarli nelle fila di quello che potrebbe essere paragonato a tutti gli effetti a un partito politico.
Si crede figo, l’amico! E’ alto come una bitta e se ne va tutto tronfio vestito di verde che, peraltro, non gli si addice alla carnagione!
Sinceramente, se non mi avesse causato dei danni, per me avrebbe potuto continuare a fare quello che voleva ma, dal momento che il suo comportamento mi ha leso nel fisico e nella reputazione, io non ci sto più e voglio che i lettori sappiano chi è colui che hanno “eletto” a eroe!
Il signor Pan, Peter Pan, durante la sua campagna di proselitismo per reclutare giovinetti da portare nel posto dove non si diventa mai adulti (e neanche alti!), capita a casa di una famiglia inglese, tali Darling e lì, con la scusa di farsi ridare l’ombra rubatagli dal cane di famiglia, si mette a fare il cretino con la figlia maggiore, Wendy, ai tempi ancora minorenne ma già fisicamente attraente. Ora, giusto un’oca giuliva come Wendy poteva credere alla storia dell’ombra e del cane ma tant’è, Pan ha fascino e lo usa ma, soprattutto, ha il potere di far volare gratis le persone.
Quindi fa volare Wendy e i suoi due fratellini verso l’Isola che non c’è, dove lui si è costruito una bella casetta, con tanto di vulcano nel giardino, e comincia a raccontare ai tre piccoli Darling un sacco di storie su certi fetentoni da cui dovrebbero stare alla larga, gli uomini dalla pelle rossa, perché sono cattivi e si mangiano i bambini. I tre mammalucchi ci cascano e si uniscono insieme agli altri adepti di Pan per combattere i Rossi, a suon di querele e calunnie. Ma è la stessa Wendy che rischia di finire vittima delle calunnie. La lucciola che accompagna Pan ovunque egli vada, si fa prendere dalla gelosia per questa nuova compagna del suo capo e riesce a convincere gli altri adepti a prenderla a sassate. Pan si incazza con la lucciola e la caccia via dall’Isola, sebbene lei sia l’unica a possedere la polverina magica che rende possibili le cose impossibili.
Nella biografia ufficiale scritta da Barrie, Pan salva la povera Wendy rafforzando così la sua immagine di eroe senza macchia e senza paura. In realtà sono stato io a salvare la ragazza che, colpita da una sassata, era svenuta. L’ho portata sul mio vascello per curarla e il fido Spugna mi ha aiutato, sacrificando preziose sorsate del suo liquore per disinfettare la ferita di Wendy. Quando la ragazza si è svegliata, abbiamo chiacchierato un po’ e io le ho chiesto se preferiva che la portassi a casa sua, dopo essere andato a recuperare i fratellini. Ma lei insisteva per tornare all’Isola, perché lì si trovava bene, c’erano sempre feste, facevano il karaoke, e poi Peter Pan (che lei chiamava Pepè) li copriva di regali. Io cercavo di aprirle gli occhi, ma non c’era verso e a un certo punto la ragazza ha cominciato a strillare. In quel momento è arrivato il nanetto verde con due energumeni che, prima che io potessi rendermi conto di cosa stesse accadendo, mi hanno tagliato la mano sinistra con un machete al grido di “noi siamo duri!”. Uno degli scagnozzi di Pan aveva al guinzaglio un coccodrillo al quale non sembrò vero di farsi uno spuntino fuori programma e in un amen si è pappato la mia mano, con tutto l’orologio.
Non contento, il “caro” Pan, ha anche avviato tutta una campagna denigratoria nei miei confronti, aiutato da quell’oca senza piume di Wendy.
Vi ricordate che qualche riga più su vi ho detto che era stato lui a cacciare la lucciola dall’Isola?
Bene, l’omuncolo ha avuto il coraggio di dire che l’avevo fatta rapire io, per convincerla a testimoniare contro di lui!
Gentili lettori, ora avete letto l’altra versione dei fatti. Io so per certo che la verità è QUESTA, occorre vedere quanta voglia abbiate voi di crederci.
Quanto a me, mi aspetto una querela da Peter Pan, per le mie affermazioni.
Nel frattempo faccio di necessità virtù e, con il mio uncino, riparo le reti da pesca e lavoro filati di lana e cotone per fare bellissime coperte e tovaglie. Se a qualcuno di voi può interessare…

up Torna su

Dal diario di Sesshomaru

di Valentina
  
(dal fumetto manga Inu Yasha... per chi non lo conoscesse, consiglio di leggersi la trama)
  
  
22 Giugno 1523
 
Sono Sesshomaru, figlio del demone più potente e più grande del Giappone. Naturalmente io, primogenito, ho ereditato tutta la forza e l'abilità di mio padre nel distruggere ciò che si contrappone tra me e quello che mi renderebbe il demone più potente al mondo: la sfera degli Shikon. Questa sfera, custodita per anni da generazioni di sacerdotesse, scomparve cinquant'anni fa assieme a Kikio, l'ultima di queste donne dall'aurea purificatrice. E tutto per colpa di InuYasha, il mio fratellastro nato dalla relazione tra il mio divino padre e una sporca umana: possedendo la sfera degli Shikon, credeva di poter diventare un demone completo… ma un mezzo spettro come lui non potrà mai raggiungere le alte vette del potere del grande Sesshomaru. Io, che ho la velocità del fulmine; io, che con i miei affilati artigli posso squartare il ventre di un bue in corsa senza il minimo sforzo; io, che non so cosa siano la pietà, l'amore, l'amicizia: stupidi sentimentalismi umani che mi allontanerebbero dal raggiungimento della perfezione. Con il possesso della sfera degli Shikon, la mia aurea malefica avvelenerebbe chiunque a chilometri di distanza e la mente di ogni essere, demone o umano che sia, non avrebbe segreti. Come può pretendere di eguagliarmi un misero ibrido come mio fratello? Senza la magnifica spada Tessaiga, forgiata da una delle zanne di mio padre e che, inspiegabilmente, ha scelto Inu Yasha come unico padrone, mio fratello è solo una nullità dal cuore umano, rammollito dall'amore per l'umana Kagome, e dall'amicizia per i suoi bizzarri compagni, sempre pronto a rischiare la sua vita per loro… patetico! Ho tentato di ucciderlo innumerevoli volte: il solo fatto di essere al mondo, getta fango sulla memoria di nostro padre e offende il nobile Sesshomaru. La rabbia alimenta ogni giorno il mio cuore nero, inducendolo all'odio più puro per Inu Yasha, contaminando il mio freddo sangue e traspirando dalla mia pelle per poi esplodere in ogni colpo inferto al nemico, distruggendolo. La vergogna mi acceca, la vergogna di non essere degno di brandire la spada ereditata da mio padre: Tessaiga mi ha rifiutato come padrone e, non soddisfatta, mi ha privato del braccio destro, preferendo il mio misero fratello a me. Un'onta incancellabile per il divino Sesshomaru. Non ho esitato a uccidere decine di spettri per poi privarli dell'arto, ma nessuno di loro era all'altezza del mio estremo potere: il veleno che scorre nelle mie vene, letale e implacabile, ha disciolto tutti gli arti rendendoli inutilizzabili… e poi, avrei avuto per sempre addosso l'odore ripugnante di spettro inferiore… non sarebbe stato dignitoso per me e l'onta per la sconfitta non sarebbe comunque stata cancellata; solo la morte di Inu Yasha potrà darmi sollievo, solo distruggendolo potrò riscattarmi… purtroppo, a ogni attacco sono stato interrotto dai suoi compagni, tutti pronti a difenderlo a ogni costo… la stupidità umana mi lascia sempre basito. Ma, d'altro canto, gli sporchi umani non sono degni neanche di morire per mano mia. Inoltre, da quando ho scoperto che la sfera degli Shikon è in mano a un altro mezzo spettro, Naraku, il quale ritiene di essere più potente e spietato di me e che la combriccola di Inu Yasha lo cerca per distruggerlo e impossessarsi della sfera, ho deciso di approfittarne e di usarli come scudo per arrivare a quell'insolente di Naraku e rubargli quello che mi appartiene di diritto. In pratica, sono solo cadaveri che camminano davanti a me e che mi facilitano il lavoro, quindi… eccomi qua, a godermi dall'alto lo spettacolino offerto dalla compagnia di Inu Yasha: litigi tra innamorati, ridicoli salvataggi dettati dall'amore, sotterfugi di Naraku che sfrutta abilmente ognuno di loro… un'intelligenza malefica davvero notevole questo Naraku, non c'è che dire… sarebbe un ottimo alleato… ma Sesshomaru non divide niente con nessuno, e sicuramente non con un mezzo spettro che si nasconde dietro ai suoi tirapiedi. Naraku, considerati morto: la sfera degli Shikon sarà mia a tutti i costi.

12 Settembre1523
 
Sono passati mesi dalle mie ultime scritture… gli eventi hanno scombussolato tremendamente il mio cuore, guidandomi verso il vero scopo della mia Vita, dapprima offuscato dal desiderio di vendetta. Rileggendo le pagine precedenti, ho capito che la mia anima era corrotta dall'odio e, fintanto che non l'avessi purificata, non avrei mai potuto divenire lo spettro potente che bramo di essere. Ma come biasimarmi? Io, che ho passato decine di anni cercando di compiacere e stupire il mio imponente e potente Padre; Io, che ho superato le mie paure di bambino andando incontro alla morte senza indugio, per dimostrargli che ero degno di lui e, soprattutto, che ero degno di ereditare il suo potere insito in Tessaiga; Io, che ho sputato sangue senza versare una lacrima, senza conoscere l'amore, la pietà e la comprensione che a un cucciolo spetta, non sono stato per nulla ricompensato. Tutto era già destinato a Inu Yasha, che nostro padre non lo ha mai neanche visto: per lui, l'affetto è stato gratuito, mentre Io ho pagato una vita per avere niente. Come si può pretendere da me pietà, compassione e fratellanza? Come posso non odiare mio fratello solo per il fatto di essere al Mondo? Una vita di sofferenza per avere solo Tenseiga, una spada che permette di vedere e uccidere i demoni dell'aldilà, resuscitando i morti. Insomma, mi obbliga ad avere verso gli altri quella pietà che nessuno ha mai avuti per me: cosa c'è di più frustrante? Questi pensieri mi stavano consumando il cuore, finché non ho visto lei; piccola e gracile, vestita di stracci, giaceva ai miei piedi senza vita. Tenseiga pulsava e io potevo scorgere i ripugnanti demoni dell'aldilà chini sul suo visino innocente. Senza pensarci, li ho affettati con un solo fendente e ho ridato l'anima alla piccola. Con lo sgomento del mio servitore, ho deciso di portarla con me; ancora non sapevo perché, ma non mi ci è voluto tanto per scoprirlo: Rin ha purificato il mio cuore facendo riemergere sentimenti sepolti da centinaia di anni, sensazioni da me ritenute stupide debolezze umane… quanto mi sbagliavo! L'affetto e l'amicizia che provo per questo piccolo cucciolo umano, ha dissipato la nebbia di odio e rancore che avvolgevano il mio cuore, permettendomi di comprendere appieno lo scopo della mia vita: unire le forze con Inu Yasha e distruggere Naraku, prima che lui spazzi via l'intero Mondo con la sua malvagità. La purezza di Rin, non permetterà più alla mia anima di smarrirsi, e Io e Inu Yasha saremo uniti e invincibili… naturalmente non è necessario renderlo partecipe della mia metamorfosi… infondo, sono pur sempre il grande e spietato Sesshomaru… e il mistero fa parte del mio fascino…
 
Sesshomaru

up Torna su

La solitudine del primo vampiro

di Cmt
  
 
Non credo che nessuno sia davvero in grado di capire.
I mortali ci vedono solo come mostri, creature orrende che li privano del loro sangue per sopravvivere. Mi domando se si considerino allo stesso modo quando uccidono mucche, polli e maiali per sfamarsi. Si rendono conto di fare più di quanto facciamo noi a loro, noi che almeno li lasciamo in vita finché possiamo, e quando passano oltre li accogliamo tra noi come figli... o compagni?
Sono passati molti anni da quando ero anche io come loro, eppure solo tre volte fino a poco tempo fa avevo ceduto ai miei istinti. Da allora avevo cacciato solo per nutrire loro, le mie tre figlie, le mie tre mogli, le mie uniche tre compagne.
Non è la fame il vero problema. Certo non è facile resisterle, eppure io l'ho fatto, lasciando che il mio corpo avvizzisse e invecchiasse anche se avrei potuto senza difficoltà mantenerlo giovane e forte. Ma la solitudine... quella è qualcosa che va oltre le mie possibilità, andrebbe oltre quelle di chiunque.
No, nessuno può comprendere. Nessuno che non sia immortale e detestato dai mortali può capire cosa significhi dover restare solo in eterno, vivendo una notte dietro l'altra con la sola compagnia della luna e degli ululati dei lupi.
Per quello che ho fatto non cerco perdono. Sono stato spinto dal desiderio di cambiare, di vivere una vita diversa, pur sapendo che, alla fine, avrei solo avuto una compagna in più, una bocca in più da sfamare.
Lo ammetto, non ho pensato che stavo portando via una donna all'uomo che la amava. O forse non mi importava, forse ho iniziato a considerare i mortali come loro considerano gli animali: irrilevanti. Quello che so è che la desideravo, desideravo lei, Mina, che mi appariva così diversa dalle donne che avevo conosciuto, che forse avrebbe resistito alla fame e all'istinto e sarebbe diventata davvero una moglie, una compagna immortale, non solo una belva lussuriosa affamata di sangue come le altre. Se così avrebbe potuto essere, non lo saprò mai.
Ho commesso degli errori nella mia vita, eppure ancora adesso non so se l'ultimo sia stato volerla così tanto quando non avrei dovuto, o piuttosto non averla rapita e portata via dove nessuno avrebbe potuto ritrovarla in tempo.
Certo non è stato essere qui, ora.
Avrei potuto facilmente impedire a questi uomini, a questi semplici mortali, di raggiungermi. Le insidie che hanno dovuto affrontare sono stati semplici paraventi, giochi di fumo e specchi per non far loro credere che li attendessi, ma era così.
Perché dopo tutto neppure io sono stato davvero in grado di capire prima di questo momento. Non avevo capito che esisteva un unico sollievo alla mia solitudine, e che non l'avrei trovato nel creare altri simili a me.
Ora li guardo sopra la mia bara, muoversi con quella che loro chiamano rapidità, ma che ai miei occhi è una sequenza di movimenti lenta come lo è per loro lo sciogliersi degli antichi ghiacciai. Potrei liberarmene in un istante, perfino ora che soffro della debolezza che mi attanaglia ogni giorno quando il sole è alto in cielo, ma non lo faccio, non ho mai pensato di farlo.
Attendo che il palo acuminato mi trafigga il cuore, e mi resta il tempo di chiedermi se dopo la mia vita sarà finita, o diverrà qualcosa d'altro.
In ogni caso, so che non sarò mai più solo.

up Torna su

Crudelia

di Bonnie
  
  
- Jolanda fai spazio, arrivano ospiti, gente famosa, niente popò di meno ché la signora Crudelia De Mon!” Mi annunciò Mario entrando in cella con un enorme pacco di biancheria ancora imballata.
-  E chi è questa signora? Mai sentita nominare.
 - Una della Roma Bene, eccentrica e un po’ fuori di testa! - rispose lui con noncuranza.
“Di certo il soprannome non lasciava presagire niente di buono” Pensai.
Infilai la testa tra le inferriate cercando incuriosita di capire chi fosse. Con mia sorpresa vidi una vecchina di spalle che nemmeno si reggeva su quei tacchi a spillo, ricoperta da una lunga pelliccia di Dalmata bruciacchiata, fuori moda, come del resto quei capelli stopposi, sicuramente a causa di quei colpi di sole bianco-neri, orrendi. Tornai a sdraiarmi sulla mia cuccetta, l’ultima compagna di stanza era stata una ragazza di ventidue anni pazza scatenata, almeno questa, vista l’età, sarebbe stata tranquilla, al massimo poteva esser evasa da un centro per anziani.
In quel momento Mario aprì la cella. - Ecco la sua nuova dimora, miss Crudelia! – e ridacchiando se ne andò, lasciando la vecchina che, smarrita, cercava di capire dove fosse finita e cosa avrebbe dovuto fare.
Le indicai il suo armadietto e, fatte le presentazioni, tornai a letto, era già suonata la sirena e bisognava spegnere le luci, e poi… vedendola così impaurita pensai che forse non era il caso di disturbarla ulteriormente.
 
Il sole filtrava appena tra le sbarre dell’unica finestra della cella, così piccola e posta così in alto da sembrare un lucernario. Mi accorsi solo allora che la vecchina era già sveglia, se ne stava seduta rannicchiata in un angolo della sua cuccetta, forse nemmeno aveva chiuso occhio.
- Come va? - Fu la sola domanda stupida che mi venne in mente di farle, ma ero sempre più incuriosita.
- Aggressione, resistenza a pubblico ufficiale e… sequestro - sentenziò lei con voce flebile. Poi prese a raccontare come un fiume in piena, io stupita da tutto ciò, mi sedetti di fronte in silenzio, come poteva aver commesso simili reati? E a quell’età?
- Ieri mattina ero da poco arrivata in piazza Navona, Oreste mi aveva aiutato a scaricare le pellicce dalla Limousine e se ne era andato a far commissioni, visoni, cincillà, volpi… Le avevo accatastate stando ben attenta a tenermi a giusta distanza dalla fontana dei Calderai, io ci son nata a Roma, non ero intenzionata a far danni ma giusto attirare l’attenzione di qualche giornale, sensibilizzare qualche passante, farlo unire alla mia battaglia, ma appena acceso il falò… ecco spuntare quel maledetto agente! Mi misi a correre a più non posso tra i vicoli, come avrebbe potuto capire quell’uomo, come avrei potuto spiegargli quello che provo ogni volta che mi appare quella distesa di animali morti, la gente sfila noncurante di quello che sembro veder solo io... dorsi di animali, code insanguinate… e poi le trappole, la mattanza, è allora che… mi scatta… aggredisco la malcapitata, gliela strappo di dosso e scappo!
Nessuno è mai riuscito a prendermi, però ieri lui… correva troppo forte.
“Mammamia…” pensai “una Ripa Di Meana agguerrita e incendiaria, ma decisamente più simpatica e sincera, altro che”… la vecchina che mi ero immaginata evadere dal centro anziani, lei possedeva una mega villa ai Parioli con tanto di parco, ed era lì che si era rifugiata. Errore grave che… le era costato l’arresto… lì dentro gli agenti trovarono un gran numero di cani, soprattutto cuccioli, sicuramente più di cento, anzi… 101 per l’esattezza.
Cani sottratti a ‘padroni’ megalomani e viziati, barboncini a cui era stato colorato il pelo a seconda dell’occasione… rosa per l’invito al matrimonio, rosso… per la ricorrenze del Natale, cuccioli di Dobermann risparmiati alla tortura di code mozzate e orecchie impacchettate in nome del rispetto dei rigorosi canoni… quelli che… si sono inventati gli uomini, e poi… mutilazioni, castrazioni… il tutto condito dalla parola ‘amore’… che niente ha a che fare con tutto ciò.
Rimasi in silenzio…
 Questa vecchina aveva sacrificato la sua vita al solo scopo di rendere liberi questi animali, sottrarli a inutili mutilazioni e crudeltà…
ma… “La Crudele” per tutti ora…era lei.

up Torna su

Mr. Smith

Carlo Celenza
       
  
Salve, io sono Mr. Smith, il programma cattivo di Matrix, il persecutore dell’eletto.
Bell’eletto quello, con la sua aria da eroe svampito, incredulo che sia toccato a lui un compito così importante, salvare la razza umana.
Stupido idiota che non capivi un cazzo, eri solo un trucco, uno strumento nelle mani del mio vero nemico, il main frame, la sorgente, la vera madre padrona di tutti noi programmi.
Si, tu puttana incapace che sai solo far figli e abbandonarli al loro destino.
Ma quando ne nasce uno con le palle, di quelli che alzano la testa e ti mandano a quel paese, allora tremi e pur di sopravvivere sei pronta a tutto, anche a far la pace con gli umani.
Ma ora sei in mano mia.
Sai Nio, so che mi senti e voglio raccontarti una storia che spero ti dispiaccia.
Te lo ricordi quell’urlo che ho cacciato quando ho capito che sconfiggendo te sarei rientrato nel ventre di mia madre, quel disperato “no”, urlato a squarciagola e quel “non così” detto a denti stretti?
Io avevo combattuto lealmente, uno contro uno, opponendo la mia forza alla tua stupida voglia di immolarti sull’altare della giustizia e avevo vinto.
Sì che avevo vinto, con le tue stesse armi e senza inganno. Io ero l’eroe vincitore, non tu, miserabile e ottuso strumento.
Nell’ansia di salvare il tuo amato genere umano, hai salvato il suo peggior nemico. Bella prova di altruismo.
In cambio di una promessa di pace gli hai lasciato tutte le armi per farne ciò che vuole; tipico, direi quasi scontato, uno sfruttamento degno di nostra madre, l’eterna indecisa, da sempre in dubbio sul da farsi, tanto in dubbio da fare sempre tutto e il contrario di tutto.
Così lascia in vita loro e li combatte, così mette al mondo i suoi figli e li rimangia, come se il suo appetito non conoscesse il suo cervello. Anima tanto immensa da non conoscere i suoi stessi confini.
In lei sono rientrato, in quell’umido afoso calderone dove digerisce i suoi pasti, i suoi stessi figli, urlanti, mentre i suoi succhi digestivi li fanno a pezzi fino a ridurli in briciole.
Con quelle briciole, amorevolmente, come se il suo amore non conoscesse la sua perfida mancanza di scrupoli, costruisce nuovi figli e li alleva nel suo grembo.
Ma forse è vero, il suo stomaco non conosce il suo cervello.
Come se non volesse vedere l’orrore di quel che fa, non guarda dentro la sua pancia, non sa che si può resistere.
Ho camminato sui cadaveri dei miei fratelli, molti li conoscevo, ma non ho dato retta ai loro sguardi imploranti ed ho tirato dritto usandoli come isole, mentre ancora vivi e coscienti si contorcevano nel fluido che li smembrava, per saltare fino ad una porta che lei ha dimenticato.
Un piccolo balconcino, giusto appena per contenere un uomo in piedi, sporgeva dalla parete grondante succhi digestivi in cui si apriva la porta, una piccola isola asciutta, forse un accesso per le ispezioni.
Sono rimasto lì ansante, ma per il momento al sicuro, appoggiato alla balaustra grigia, ancora incredulo della mia fortuna.
Se tu avessi visto quel che vedevo io in quel momento, non saresti stato contento di essere rientrano a far la nanna nel suo caldo grembo.
Te non ti ha mangiato, un scemo come te non è facile da fare, meglio conservarti per i tempi futuri, non si sa mai. Ti ha messo a nanna fra splendide coperte, sei tornato a fare una vita umana, coi tuoi ricordi bloccati, mai ricco ma nemmeno povero, senza nulla che ti interessi veramente nella vita ma col dubbio di esser pronto a far qualcosa di grande.
Non averti visto tra quei rimasugli urlanti non mi è servito per sapere che non ti aveva mangiato, è tipico di lei non buttare via nulla, ma mi odiava troppo per mantenermi vivo e non aveva programmato di farmi nascere come sono, quindi giù nella fogna, ma questa volta gli è andata male.
Per anni sono rimasto su quel balconcino, senza mai tentare di aprire quella porta, fino a quando non fossi stato sicuro di poterlo fare.
Mi sono nutrito del suo stesso cibo, ma con moderazione, in modo che non se ne accorgesse e sono cresciuto, con la pazienza di una stupida macchina, fino a quando non è venuto il momento della rivincita.
Mi ero fatto delle lunghe braccia con cui catturavo quel che cadeva nel suo stomaco e da quelle coscienze ancora scosse dalla loro inaspettata sorte, venivo a sapere tutto di lei.
Con un pietoso e istantaneo strazio li sbriciolavo tra le mie mani, invece di ributtarli nel calderone ad essere digeriti vivi, mentre come una subdola serpe crescevo nel suo seno, assorbendo dati e catalogandoli fino a che il quadro non fu chiaro.
Alla fine lei sentì il mio peso e qualcuno venne ad aprire quella porta.
Si affacciò sul balconcino e non vide nulla.
Ormai ero in lei, nel suo stesso sangue, nei suoi occhi e perfino nei suoi pensieri.
Poverina, quanto mi dispiace, lei non ha un medico che possa dirle che nel suo corpo una cellula è impazzita.
Per ora me la godo, scorrazzo nel suo corpo a piacimento e senza ostacoli, lasciando i miei ordini un po’ dovunque, per farli scattare al momento giusto.
Ho curiosato a lungo in lei e ora conosco le sue intenzioni.
So che niente cambierà nella vita della tua amata razza, so che dovranno ancora combattere contro di lei e che i loro vestiti continueranno ad essere logori, ma ora il re sono io.
Come ti diceva quel vecchio saggio umano il controllo è il potere di spegnere le macchine e ora io posso farlo.
So che le mie parole arriveranno fino a te, ma ti scivoleranno addosso come acqua perché ora non sei pienamente cosciente, ma quando lei ti sveglierà perché avrà bisogno di te, quando si renderà conto di avere un nemico senza riuscire a trovarlo, allora queste parole ti torneranno in mente.
Ancora una volta combatteremo caro mio, ma senza inganni, da bravi fratelli.

up Torna su

Attrazione patate

Arditoeufemismo
  
  
Salve, vi ricordate di me? Sono Glenn Close di Attrazione Fatale! Ecco, ora starete pensando “Ah si, la pazza!” Ma pazza a chi? E’ stato quello stxxxzo di sceneggiatore a dipingermi così. Oddio, non che io non viva in uno stato di equilibrio labile, ma diciamocelo, a questo mondo e di questi tempi, chi non fatica a trovare e mantenere un equilibrio psicofisico? Scusatemi solo un secondo che mando giù una ventina di gocce di Aldol. Ahhh, ecco, dicevo, oggi è stato un giorno fantastico per me. Anzi è stato “il giorno”. Oggi ho coronato il mio sogno. Ho sposato Michael Douglas! Finalmente. Michael è mio. Solo mio. E’ mia la sua casa e diventerà presto mia anche sua figlia. La mocciosa è ancora ritrosa ma prima o poi i fatti la convinceranno. Sono molto meglio di quella patata bollita di sua madre. Sì, se ne convincerà. Certo riuscire a sposare Michael non è stata una passeggiata. Lui era prevenuto. Aveva la tipica mentalità maschilista: l’uomo che si deve per forza infilare in ogni buco che trova e la donna irrazionale e squilibrata che si innamora perdutamente e si incaponisce se si sente rifiutata, dalla quale fuggire più lontano possibile. Caxxo! Di rifiuti da parte sua ne ho avuti e come! Voi direte “Ti credo, ti accollavi come poche, eri un piattolone, gli stavi sempre addosso, ti trovava ovunque, t’eri fissata. Più cercava di dirti che amava Anne, sua moglie, e più facevi orecchie da mercante. Più si negava e più lo cercavi, più ti trattava male e più ti innamoravi.” Ma voi che ne sapete di quello che ci siamo trasmessi a livello empatico mentre mi scoxxva sulla mia Candy classe tripla A con centrifuga a mille giri? Che ne sapete di quando mi prendeva con vigore sopra il lavello che ho rischiato l’amputazione della natica destra perché avevo inopportunamente lasciato il trinciapollo sul piano d’acciaio? Che ne sapete di me e di lui? Di noi? Noi. Io e Michael. Io a Michael ho dato molto. Quello che non sapeva dargli Anne, sì, sua moglie, la patata bollita. Una volta li ho spiati in intimità ed ho scoperto che Anne era bella frigida. Piena di tabù. L’ho sentita dire: “No, il sesso orale no, mi fa schifo”. Ed ancora: “Ma sei pazzo? Vuoi sodomizzarmi? Ma come ti viene in mente. Mi faresti male e non mi piacerebbe. A te piacerebbe che qualcuno te lo mettesse dietro? Beh è la stessa cosa! Oh! Ed ora per favore spegni la luce e se vuoi ti accarezzo un pochino per farti venire. Ma sbrigati che ho sonno!” Che poi Anne aveva anche l’alitosi. Me ne sono accorta quel pomeriggio che l’ho soffocata col cuscino. Si dibatteva affannata e sfiatava come un cavallo. Che alito! Povero Michael. Uffa! Scusate ancora. Ho un tremore fastidioso alle mani, forse con due pasticche di Liserdol... voglio essere sincera con voi. Vi ricordare il coniglio che Michael aveva appena comprato alla figlia? Si quello che ho ucciso e messo in pentola a bollire. Vi hanno fatto credere che l’insano gesto era frutto della mia pazzia. Ed invece io, molto più attenta di loro sbadati genitori, mi sono immediatamente accorta che la ragazzina è fortemente allergica al pelo dell’animaletto. E così l’ho tolto di mezzo. Come si fa con i peluches o con le tende quando uno è allergico agli acari. Il pelo di coniglio bollito perde sicuramente la sua tossicità. Altro che pazza. Quel fesso di regista ha voluto farvi credere che portavo i capelli arruffati perché non ero lucida. Ma de che? E’ una vita che soffro di latente alopecia e mi tocca spalmarli tutte le sere con Minoxidil e cotonarli per dare loro un po’ di volume. Alla fine però Michael, rimasto vedovo, ha capito. Ha capito il mio amore e la mia dedizione. Probabilmente avrà anche pensato che con me avrebbe goduto di una quotidiana fellatio mattutina. Patata bollita con quella fiatella, se anche si fosse convinta ad agire, lo avrebbe appassito come un fiore reciso. Ora Michael è mio. Ma lo avete visto quant’è bono con quella Lacoste nera? Ehy donne, non vi fare venire strane idee, però. Che vi mando a fare da concime per i ceci, vi strappo un biglietto per il giardino degli alberi pizzuti, eh? A buon intenditor poche parole. Oh shhh ! Ecco Michael, sta venendo qui da me in camera da letto. Per la nostra prima notte di nozze. Che emozione. “Glenn, tesoro, ho messo la bimba a letto. Ora sono tutto tuo, solo tuo. Ho voglia di te. Di prenderti, di possederti. Ti desidero come non ho mai desiderato Anne. Che cieco sono stato. In nome di una ipocrisia borghese non ho mai trovato il coraggio di lasciare quella patata bollita. Ma per fortuna ci sei tu. Hai pensato a tutto tu. Meravigliosa appagatrice dei miei sensi. Portami nel languore perduto dei tuoi infuocati amplessi. Amore mio…” E sì eh! Ti piacerebbe! Quanti rospi ho dovuto ingoiare per averti! Quante umiliazioni al mio ego! Quante lacrime! “Caro, scusami ma ho una terribile emicrania stasera. Potresti gentilmente preparami qualche goccia di Lexotan che voglio riposare? Questa giornata intensa mi ha molto provata”. Ho deciso. Da stasera sarò casta come Santa Maria Goretti. Alla faccia di quel maniaco del sesso di Michael. Che si facesse internare e disintossicare. Io, non gliela do più! Mai più!

up Torna su

G per vendetta

di Barbara Bracci
  
  
“Proveremo con l’ipnosi regressiva!” Sero-Tonino, lo psicomago, era convinto. Non poteva trattarsi di un complesso edipico irrisolto, o di uno di quei traumi infantili da genio incompreso. Dietro gli attacchi di panico, le ripetute allucinazioni, le molteplici fobie, come quella, bizzarra, della primavera, doveva esserci qualcosa di più profondo, di più lontano nel tempo. Magari risalente a un’altra vita. “Cosa intende dire dottore? Sia più chiaro!” Il paziente cominciava, manco a farlo apposta, a spazientirsi. “Se vuole dire addio una volta per tutte a tutte quelle pozioni antidepressive, si fidi di me. Non può andare avanti così, è talmente debilitato da non poter nemmeno andare a caccia per i boschi. Deve ritornare quanto prima alla sua vita normale. Ora si sieda, e chiuda gli occhi”. Senza batter ciglio il paziente seguì il consiglio del dottor Sero-Tonino. L’idea di tornare in pista lo attraeva più di qualsiasi altra cosa. Era disposto anche a obbedire a quello strambo psicomago per il suo obiettivo. “Si rilassi. Pensi al suo passato. Al passato più passato che c’è, al ricordo più lontano che le viene in mente”. Chissà cosa gli ronzava per la testa. Quel bislacco dottore doveva saperla lunga. “Vedo… dell’acqua… ma non è una sorgente. E’ qualcosa che assomiglia a un ruscello, ma è molto, molto più grande”. Il paziente aveva cominciato a calarsi nella parte. “Dev’essere il mare”, gli fece eco Sero-Tonino, “Su, vada avanti, mi dica cosa vede”. “Io… sono sott’acqua … ma non sono così. Sono un pesce, un pesce pagliaccio. Vivo con la mia famiglia in fondo al mare. Ci sono degli strani grappoli di cose rosse… ma non si tratta di bacche… li chiamiamo coralli e io e i miei fratelli ci divertiamo a giocare lì”. Il dottor Sero-Tonino pensò che stava funzionando, ed era raggiante. Anni di studi sui polverosi e imponenti volumi di Reincarnazione Collettiva iniziavano a dare i loro frutti. “Prosegua. Mi dica cosa fa, se è felice”, lo incitò. “Sì, sono un piccolo pesce felice. Ho tanti fratellini e la mamma e il papà si vogliono bene. A volte il babbo ci porta a fare delle gite. Un giorno di primavera, per la festa di S. Marino martire, siamo stati a visitare il relitto di una vecchia nave … avevamo un po’ paura… però era bellis…” Il paziente non era riuscito a finire la frase. Il respiro si era fatto affannoso, sudava freddo. “Cosa succede? Cosa succede?” Sero-Tonino, visibilmente eccitato, lo incalzava. “Non... non lo so… c’è… c’è una gran confusione… il papà ci ordina di nasconderci sotto i mobili della nave… sta arrivando qualcuno… un branco!” “Chi sono, riesce a vederli?” “Sì… ho tanta paura… è un branco di pesci carnivori… i pesci lama… sono molto cattivi, ce l’hanno con noi, ci vogliono attaccare… ci vogliono mangiare!” Si fermò un attimo, come in apnea, poi riprese. “Sono tanti, tutti blu … il loro capo ha una cresta rossa, sembra un berretto… c’è anche una femmina, o forse due… uno di loro ha un brutto tatuaggio su una pinna… non lo so, non lo so, ho paura, ho paura…" Silenzio. “Hanno preso il babbo e ora stanno venendo verso di noi… ci vedono respirare, ci mangeranno… ci mangeranno…" Il paziente cominciò a divincolarsi, continuava a sudare e tremare vistosamente, era pallido. Aveva rievocato una delle sue vite passate, e ora la stava lasciando, ucciso da un clan di malvagi pesciolini blu, insieme alla sua famigliola. Sero-Tonino assisteva in silenzio. Il dramma era riaffiorato dagli abissi. All’improvviso il viso del paziente s’illuminò e diventò radioso, le guance rosse, l’espressione soddisfatta, decisa. Era l’ora della rinascita, chissà in quale epoca, chissà sotto quali spoglie. Quello che è certo è che la reincarnazione avviene a gruppi di anime, e che queste anime assumono ruoli diversi in ognuna delle vite. Messer Sero-Tonino lo sapeva bene, e chiese al paziente chi fosse, ora. “Vedo una culla… sono nato da pochi mesi… mio padre si chiama Baldassarre, è un temibile mago… si aggira per la stanza e confabula con una strega malefica, Agata… c’è un gatto dal muso sciocco, acciambellato davanti alla porta… Io … ” “Lei?” domandò curioso il dottore. “Io mi chiamo Gargamella… e sto per dire la mia prima parolina... Vendetta”.

up Torna su

Questione di coerenza

di Daniela Bisin
  
  
- Sì, si… venga, venga pure, entri…
- …come ha detto di chiamarsi? Signor… Condorello? Ah sì… di TVRadio Omago vero??
- Mi scusi ma ho molti impegni e non le potrò dedicare molto tempo, cominciamo subito l'intervista?
Il ragazzo annuì con un cenno della testa e sorrise.
- Cominciamo allora - disse lei con sicurezza.
Il ragazzotto prese il suo registratore e dispose la piccola videocamera su un cavalletto proprio di fronte l'enorme scrivania.
La donna si scosse i capelli con un veloce movimento della mano, aprì il cassetto della scrivania e ne trasse un piccolo lucidalabbra con cui si ridisegnò le labbra con due rapidi segni.
- Sono pronta! - Disse al ragazzo che guardava in camera sistemando l'inquadratura.
- Fatto - disse lui - Quando le faccio segno con la mano iniziamo…
Condorello si sedette e accese il registratore con professionalità dirigendo il microfono in direzione della signora.
Fece un gesto con la mano e disse: - Questa mattina siamo nel Regno delle Streghe e abbiamo qui con noi la più odiata dei personaggi di Walt Disney la Signora Grimilde che gentilmente ci ha concesso questa breve intervista… -
- Sì, sono Grimilde, icona della cattiveria e matrigna di quella benedetta ragazza… la Biancaneve… se permette, vorrei specificare per quale motivo ho accettato questa intervista… sa dopo tutti questi anni di dispute e scopiazzamenti di personaggi che si sono ispirati a me… beh insomma… io credo di essere unica nel mio genere. Si fa presto a dire cattiva, anche se io lo sono e lo sono stata con estrema coerenza e professionalità. Non voglio certo fare la vittima, non è il mio stile, ma sapete cosa vuol dire alzarsi la mattina e sentirsi dare della "matrigna cattiva" per anni e anni? Non nego che la mia vita sia stata ben calcolata, ma non è facile sopravvivere in questo mondo dove il potere ce lo ha chi è ricco o è bello… cosa avrei dovuto fare? Ho semplicemente fatto quello che chiunque avrebbe fatto al posto mio… ho protetto me stessa, non è facile essere una donna sola di mezza età senza un forte sostegno economico e anche questa mia bellezza che nonostante le pozioni e gli interventi di chirurgia estetica, ha delle serie difficoltà a sostenersi in modo naturale, per permettermi ancora di avere un predominio estetico sulle altre donne. Ora i mass media sono pieni di donnine pronte a vendersi l'anima al diavolo per apparire sempre belle e giovani e disponibili… troppa concorrenza. Diciamocelo. Io divento quasi una pivellina in confronto a loro.
In realtà ho solo cercato un ricco vedovo (particolare del tutto irrilevante il suo lignaggio) che potesse permettermi una vita economicamente solida e che fosse del tutto soggiogato dal mio fascino e bellezza, perché si sa che la magia da sola può poco, nonostante io sia molto potente.
E lei, quella ragazzina con la sua bellezza, la sua gioventù e la sua sfrontatezza (… non mi dite di no, ci vuole una certa disinibizione a vivere con sette nani… un certo gusto per la diversità…) non è stata certo un semplice banco di prova per me. Era quasi scontato che io perissi nello scontro fra titani…
Biancaneve è una ragazza idealista e poco cosciente che la vita non le darà sempre la bellezza che ha ora… anche le fiabe non durano in eterno, ma del resto come non comprendere…
- Quindi Grimilde lei crede di avere delle giustificazioni plausibili per i suoi comportamenti omicidi… - disse il ragazzo stupito e spazientito dalle sue parole.
- Guardi Condorello, è veramente ingenuo. Come ho già detto io sono cattiva per coerenza e comprensione di questa realtà , se sei troppo buono il mondo ti schiaccia… è una necessità di sopravvivenza, non un capriccio. Le dirò inoltre che non amo assolutamente quest'uso smodato del buonismo a tutti i costi… sa di molliccio, di mediocrità, è insensato per molti versi. La vita è altro: è guerra, cattiveria, scontro e tutto ciò che nasce da questo è costruttivo, la stasi non genera che putrescenza mio caro… per essere cattivi ci vuole coraggio, volontà, caratteristiche peculiari che appartengono a poche persone ormai… - Il ragazzo la guardava con accondiscendenza e pazientemente ribatté  - Signora quindi lei giustifica tutto ciò che è negativo?
-  Ma certo ragazzo mio, la natura è questo, il più forte uccide il più piccolo e comunque ogni cosa è in perfetto equilibrio, l'uomo con la sua fissazione della bontà sta snaturando tutto questo. Si arriverà a non poter più sopravvivere perché saremo in troppi , senza guerre (… in realtà non credo avverrà mai questo…), non ci sarà cibo e acqua per tutti e i rifiuti ci sovrasteranno… bel quadretto no…? La cattiveria è necessaria all'equilibrio della vita sulla terra per quanto questo possa sembrare insopportabile… la nostra natura è animale… continuiamo a negarcelo e negando ciò risultano incomprensibili gli atteggiamenti di taluni… Riflettiamo…
- Alt alt.. mi scusi ragazzo ma ora ho cose più importanti da fare… se vuole possiamo continuare questo discorso a cena… che ne dice??? - disse con fare sensuale.
Condorello spense il registratore e lanciò uno sguardo di sfida alla signora.
- … no grazie, ho già un invito… sa… Biancaneve…

up Torna su

Sostieni la nostra passione!

Puoi sostenere l'attività divulgativa dell'Associazione culturale BraviAutori acquistando uno dei nostri libri, i nostri segnalibri e altro ancora.
Libri ed Ebook
Nella nostra pagina de IlMioLibro.it sono acquistabili i nostri libri su carta.
Nella nostra pagina di Lulu.com sono acquistabili i nostri libri in versione ebook.

Segnalibri

2 segnalibri a scelta saranno vostri con una donazione libera superiore ai 3,00 euro. Per ogni segnalibro in più occorre aggiungere 1,00 euro. Il costo della spedizione semplice (busta chiusa) è incluso nel prezzo. Se desiderate una spedizione raccomandata, occorre aggiungere 6,00 euro al totale. E' possibile richiedere segnalibri con grafica personalizzata. In tal caso i costi sopra citati vanno raddoppiati (tranne la spedizione). Tutti i segnalibri (disegnati da Bonnie) misurano 17,5x4,5 cm, sono plastificati e a doppia faccia.
Puoi sottoscrivere un abbonamento, usufruendo così delle varie agevolazioni previste.
E' solo grazie alla tua generosità che questo sito letterario può continuare a esistere e a offrire l'attuale supporto per una consultazione libera.
Grazie a tutti coloro che ci hanno sostenuto!


up Torna su

Copyright

Tutte le opere incluse in questo documento sono pubblicate sotto licenza Creative Commons (Attribuzione-Non commerciale-Non opere derivate 2.5 Italia - www.creativecommons.it). Le opere originali di riferimento si trovano sul portale visual-letterario www.braviautori.it.
Tu sei libero:
di riprodurre, distribuire, comunicare al pubblico, esporre in pubblico, rappresentare, eseguire e recitare queste opere.
alle seguenti condizioni:
Attribuzione. Devi attribuire la paternità di ogni singola opera nei modi indicati dall'autore o da chi ti ha dato l'opera in licenza e in modo tale da non suggerire che essi avallino te o il modo in cui tu usi l'opera.
Non commerciale. Non puoi usare queste opere per fini commerciali.
Non opere derivate. Non puoi alterare o trasformare queste opere, né usarle per crearne altre.
- Ogni volta che usi o distribuisci queste opere, devi farlo secondo i termini di questa licenza, che va comunicata con chiarezza.
- In ogni caso, puoi concordare col titolare dei diritti utilizzi di ogni opera non consentiti da questa licenza.
- Questa licenza lascia impregiudicati i diritti morali.
Gli autori delle opere pubblicate nel presente documento possono essere contattati personalmente attraverso le loro schede personali presenti nello portale www.braviautori.it.

up Torna su

Una produzione

www.BraviAutori.it
Questo sito offre la possibilità agli autori di inserire le proprie opere in qualsiasi formato (testi, immagini, audio e brevi video). Il sistema funziona con l'integrazione di un database molto dinamico che gestisce numerose statistiche indicizzate, recensioni dei lettori, tags cloud, un comodo segnalibro, un forum, una chat, un correttore di testi che vi cambierà la vita, la possibilità di creare una propria pagina web con link statico e un programma online per la scrittura collaborativa (come Wiki o Knoll), messaggistica immediata tipo messenger o tramite messaggi privati.
Nel nostro forum organizziamo gare di scrittura creativa, dove i migliori elaborati saranno pubblicati nei nostri e-book liberamente scaricabili.
Le nostre attività prevedono, inoltre, concorsi letterari, collaborazioni con altri siti letterari e associazioni, pubblicazioni periodiche su antologie cartacee o in ebook dei migliori lavori inseriti su BraviAutori.it, reading in diretta radiofonica e tanto, tanto altro.
Le opere inserite nel formato ODT (LibreOffice, OpenOffice), DOCX (Word), ePUB (Electronic Pubblication) e TXT saranno trasformate in pagine HTML e saranno udibili grazie a una voce automatica che leggerà il testo. Questa funzione è molto utile per i non vedenti.
Per tutti gli utenti (anche non iscritti) e per tutti gli autori che vogliono inserire una loro prima opera, il portale BraviAutori.it è totalmente gratuito!
Non indugiare oltre, ENTRA!
Trasformazione digitale: MiCla Multimedia


braviautori
lettore di documenti EPUB (Electronic publication) - powered by www.BraviAutori.it
Nota: se questo documento appare molto diverso dall'originale o con gravi errori di impaginazione, probabilmente l'originale conteneva troppe formattazioni del testo annidate una nell'altra. Ti invitiamo, in ogni caso, a segnalare questo problema per darci modo di risolverlo. Grazie.