Yoko - Tratto dalla raccolta "Monogatari" contro le discriminazioni
Inviato: 06/08/2020, 12:08
Quel pomeriggio mi trovai ad attraversare un viale invaso da una delicata pioggia di petali rosa.
Alzai lo sguardo verso le fronde degli alberi e per alcuni istanti non mi sentii poi così lontana da casa, sebbene fossi in realtà a migliaia di chilometri di distanza.
Dopo un attimo di malinconico smarrimento, riposi nuovamente quelle emozioni in un angolo recondito del mio cuore e finalmente raggiunsi la bottega di Giorgio.
Appena varcai la soglia, l’imponente uomo mi accolse con il più radioso dei suoi sorrisi.
«Ciao Yoko! Credevo fossi in Giappone a trovare i tuoi!»
«Sfortunatamente, quest’anno sono rimasta bloccata dagli esami universitari.»
«Capisco…» rispose lui distrattamente, mentre si apprestava a servire la clientela.
Io intanto mi posizionai in coda alla fila e attesi pazientemente il mio turno. Fu solo allora che venni praticamente scavalcata da un distinto signore in giacca e cravatta.
Costui sembrava piuttosto attempato, eppure si portava dietro un laptop di ultima generazione. Lo piazzò quindi sul bancone e, senza nemmeno scusarsi per essermi passato avanti, prese a lamentarsi con il titolare.
«Giorgio, devi assolutamente aiutarmi. Il mio pc non fa nulla di ciò che gli chiedo.»
«Dipende da cosa chiedi. Se pretendi ti faccia un caffè, difficilmente potrà accontentarti!» rispose l’altro divertito, forse già aspettandosi le imminenti richieste del cliente.
«Ho solo installato questo software per il mio nuovo lavoro, lo vedi? É tutto programmato, eppure più tento di utilizzarlo e più ne resto deluso.»
Mentre l’uomo spiegava il problema, al contempo sventolava freneticamente la licenza. Il tecnico fu quindi costretto a sfilargliela dalle mani per leggere le specifiche, poi gli rivolse un'unica domanda: «Hai verificato la compatibilità?»
«Certo che il mio laptop è compatibile!» rispose il cliente stizzito, «Il modello è nuovo di zecca, eppure si perde in capricci.»
Giorgio lo squadrò palesando un’espressione a metà tra divertimento e rassegnazione, poi annuì.
«Tranquillo, ti aiuterò. Però sai, prima dovresti cortesemente attendere il tuo turno.»
Entrambi si voltarono verso di me, provocandomi un lieve imbarazzo.
«Oh, non importa, posso aspettare! Penso che il signore abbia più urgenza.»
Per qualche motivo, ero piuttosto incuriosita dalla situazione e desideravo sapere come sarebbe andata a finire.
Senza farselo ripetere, il cliente tornò così ad esporre le proprie perplessità alla paziente attenzione di Giorgio, che nel frattempo avviò il laptop in cerca di risposte.
«Nel caso tu abbia scadenze a breve termine, io prenderei in considerazione la sostituzione del dispositivo. Potrei valutartelo e.…»
«Eh no! Ormai ho questo e me lo tengo. Dovrà adattarsi alle mie esigenze.»
Fermo sulle sue posizioni, l'uomo eseguì il software e attese tre minuti buoni, poi cercò di svolgere qualche semplice operazione.
Giorgio lo osservava in silenzio e a braccia conserte, mentre il volto del cliente si faceva gradualmente paonazzo. Sembrava stesse per uscirgli un treno dalle orecchie!
«E muoviti! Perché sei così lento?» infierì l'uomo sbattendo nervosamente il mouse sul bancone, come se tale gesto potesse arrecare dolore al dispositivo e indurlo di conseguenza a rispondere più in fretta.
«Devi avere pazienza!» lo rimproverò finalmente Giorgio, «Il tuo computer ha bisogno di tempo per elaborare questo software.»
«Ma io non ho tempo!»
“Tutto e subito”, ecco il motto della società odierna, a prescindere dalle possibilità di ciascuno.
La tecnologia ci sta abituando alla rapidità, eppure spesso tendiamo a dimenticare che essa è ispirata al corpo umano. Infatti, se io avessi parlato in giapponese a quell'uomo senza munirlo neanche di vocabolario, difficilmente sarebbe riuscito a capirmi. Punendolo avrei solo ottenuto di danneggiargli l’autostima e quindi provocargli un sovraccarico, proprio come è accaduto al suo laptop.
Giorgio tentò di spiegare il medesimo concetto al testardo cliente.
«Il processore, ovvero Il “cervello” del tuo pc, è destinato all’utilizzo di altri tipi di software. Se cercherai di mettergli pressione si bloccherà.»
«Sciocchezze!» replicò con arroganza, «Un computer è un computer. Saranno tutti uguali, no? Basta programmarli ed eseguono ogni comando! Anche il mio collega Mario ha un laptop, eppure riesce a lavorare benissimo.»
Dopo questa affermazione, il negoziante sbottò.
«Invece non puoi metterli tutti sullo stesso piano!»
Seguì un attimo di imbarazzante silenzio, poi l’uomo ritirò il suo pc e fece per allontanarsi.
«Meglio rivolgersi ad un tecnico più competente. Quando non sapete che pesci prendere, iniziate a screditare i nostri dispositivi e indurci ad acquistarne di nuovi. Tanto sono sempre gli altri ad avere i migliori, vero?»
«Mai detto nulla di simile.» si affrettò a chiarire Giorgio, arrestando il furioso passo dell’uomo. «Guarda che il tuo pc è l'eccellenza nelle funzioni per cui è programmato.»
«E allora spiegami qual è il suo problema.»
«Nessuno! Magari non sarà il migliore a svolgere certi compiti, mentre in altri è perfetto.»
Giorgio abbandonò il linguaggio tecnico in favore di termini più semplici e diretti. Così facendo, il botta e risposta portò entrambe le parti ad un punto di incontro.
«D’accordo, ma è comunque necessario che questo laptop svolga le funzioni di lavoro.» concluse il cliente in tono rassegnato.
Finalmente anche il volto del mio amico si distese.
«Non preoccuparti, adesso faccio qualche scansione e intanto ti suggerisco altri software equivalenti. Oppure alcuni tool utili a migliorare la stabilità del sistema. Ti avverto, però: dovrai avere pazienza e rispettare i suoi tempi.»
Il cliente ringraziò, seppur con velata riluttanza, poi si accomodò su uno sgabello e tornò a lamentarsi.
«Mi ci mancava solo un pc scadente! I colleghi dotati di computer migliori mi faranno sempre pesare la differenza!»
Giorgio tentò nuovamente di rassicurarlo.
«Loro saranno anche più veloci, eppure se tu mi darai ascolto potrai riuscire ad ottenere risultati addirittura inaspettati.»
Aver bisogno del vocabolario per capire il giapponese non significa essere inferiore a chi lo conosce già. Semplicemente tu parli una lingua differente, che altri invece neanche comprendono.
All’improvviso realizzai cosa mi incuriosiva tanto nella discussione tra Giorgio e il cliente.
A quei tempi, la mia coinquilina era insegnante di sostegno presso la scuola elementare di zona. Spesso la vedevo preoccupata nei confronti di alcuni studenti con disturbi dell’apprendimento, le cui difficoltà venivano addirittura rinnegate dagli stessi genitori.
«Mio figlio deve imparare a cavarsela da solo! Non voglio che si senta inferiore ai compagni!»
È la tipica affermazione di chi, credendo di agire nell'interesse del proprio ragazzo, rifiuta categoricamente le indispensabili modalità di supporto a cui invece ha diritto. Come se si cercasse di far girare a forza uno specifico software in un computer incompatibile.
Inevitabilmente, lo studente finisce comunque per sentirsi inadeguato. Sono i suoi stessi genitori, seppur in buona fede, a trasmettergli un insegnamento tanto latente quanto subdolo: "Chi ha bisogno di aiuto è inferiore”.
Di fatto, nessun bambino nasce carico d'odio: la discriminazione è qualcosa che si impara, e spesso proprio dagli adulti. Io stessa realizzai di non aver mai compreso fino in fondo cosa significa vivere con un disturbo dell’apprendimento.
In Giappone esistono disposizioni diverse rispetto all’Italia, ad esempio nella mia scuola i ragazzi certificati si recavano alcune ore a settimana in un’aula a parte, assieme ad un insegnante di supporto. Ciò li metteva inevitabilmente a disagio di fronte a noi compagni, perché vedevamo in loro soltanto dei portatori di handicap.
Quando giunsi in Italia, la mia coinquilina mi raccontò di aver avuto molte difficoltà a causa della dislessia, ma da grande è comunque riuscita a diventare una bravissima insegnante. Come ciò sia avvenuto lo capii solo grazie a Giorgio e i suoi computer, talvolta danneggiati da pressioni e aspettative degli stessi proprietari.
Se un dispositivo finisce per bloccarsi o spegnersi possiamo trovare il modo di aggiustarlo, ma tra uomo e macchina c'è una significativa differenza: la percezione di sé.
Alzai lo sguardo verso le fronde degli alberi e per alcuni istanti non mi sentii poi così lontana da casa, sebbene fossi in realtà a migliaia di chilometri di distanza.
Dopo un attimo di malinconico smarrimento, riposi nuovamente quelle emozioni in un angolo recondito del mio cuore e finalmente raggiunsi la bottega di Giorgio.
Appena varcai la soglia, l’imponente uomo mi accolse con il più radioso dei suoi sorrisi.
«Ciao Yoko! Credevo fossi in Giappone a trovare i tuoi!»
«Sfortunatamente, quest’anno sono rimasta bloccata dagli esami universitari.»
«Capisco…» rispose lui distrattamente, mentre si apprestava a servire la clientela.
Io intanto mi posizionai in coda alla fila e attesi pazientemente il mio turno. Fu solo allora che venni praticamente scavalcata da un distinto signore in giacca e cravatta.
Costui sembrava piuttosto attempato, eppure si portava dietro un laptop di ultima generazione. Lo piazzò quindi sul bancone e, senza nemmeno scusarsi per essermi passato avanti, prese a lamentarsi con il titolare.
«Giorgio, devi assolutamente aiutarmi. Il mio pc non fa nulla di ciò che gli chiedo.»
«Dipende da cosa chiedi. Se pretendi ti faccia un caffè, difficilmente potrà accontentarti!» rispose l’altro divertito, forse già aspettandosi le imminenti richieste del cliente.
«Ho solo installato questo software per il mio nuovo lavoro, lo vedi? É tutto programmato, eppure più tento di utilizzarlo e più ne resto deluso.»
Mentre l’uomo spiegava il problema, al contempo sventolava freneticamente la licenza. Il tecnico fu quindi costretto a sfilargliela dalle mani per leggere le specifiche, poi gli rivolse un'unica domanda: «Hai verificato la compatibilità?»
«Certo che il mio laptop è compatibile!» rispose il cliente stizzito, «Il modello è nuovo di zecca, eppure si perde in capricci.»
Giorgio lo squadrò palesando un’espressione a metà tra divertimento e rassegnazione, poi annuì.
«Tranquillo, ti aiuterò. Però sai, prima dovresti cortesemente attendere il tuo turno.»
Entrambi si voltarono verso di me, provocandomi un lieve imbarazzo.
«Oh, non importa, posso aspettare! Penso che il signore abbia più urgenza.»
Per qualche motivo, ero piuttosto incuriosita dalla situazione e desideravo sapere come sarebbe andata a finire.
Senza farselo ripetere, il cliente tornò così ad esporre le proprie perplessità alla paziente attenzione di Giorgio, che nel frattempo avviò il laptop in cerca di risposte.
«Nel caso tu abbia scadenze a breve termine, io prenderei in considerazione la sostituzione del dispositivo. Potrei valutartelo e.…»
«Eh no! Ormai ho questo e me lo tengo. Dovrà adattarsi alle mie esigenze.»
Fermo sulle sue posizioni, l'uomo eseguì il software e attese tre minuti buoni, poi cercò di svolgere qualche semplice operazione.
Giorgio lo osservava in silenzio e a braccia conserte, mentre il volto del cliente si faceva gradualmente paonazzo. Sembrava stesse per uscirgli un treno dalle orecchie!
«E muoviti! Perché sei così lento?» infierì l'uomo sbattendo nervosamente il mouse sul bancone, come se tale gesto potesse arrecare dolore al dispositivo e indurlo di conseguenza a rispondere più in fretta.
«Devi avere pazienza!» lo rimproverò finalmente Giorgio, «Il tuo computer ha bisogno di tempo per elaborare questo software.»
«Ma io non ho tempo!»
“Tutto e subito”, ecco il motto della società odierna, a prescindere dalle possibilità di ciascuno.
La tecnologia ci sta abituando alla rapidità, eppure spesso tendiamo a dimenticare che essa è ispirata al corpo umano. Infatti, se io avessi parlato in giapponese a quell'uomo senza munirlo neanche di vocabolario, difficilmente sarebbe riuscito a capirmi. Punendolo avrei solo ottenuto di danneggiargli l’autostima e quindi provocargli un sovraccarico, proprio come è accaduto al suo laptop.
Giorgio tentò di spiegare il medesimo concetto al testardo cliente.
«Il processore, ovvero Il “cervello” del tuo pc, è destinato all’utilizzo di altri tipi di software. Se cercherai di mettergli pressione si bloccherà.»
«Sciocchezze!» replicò con arroganza, «Un computer è un computer. Saranno tutti uguali, no? Basta programmarli ed eseguono ogni comando! Anche il mio collega Mario ha un laptop, eppure riesce a lavorare benissimo.»
Dopo questa affermazione, il negoziante sbottò.
«Invece non puoi metterli tutti sullo stesso piano!»
Seguì un attimo di imbarazzante silenzio, poi l’uomo ritirò il suo pc e fece per allontanarsi.
«Meglio rivolgersi ad un tecnico più competente. Quando non sapete che pesci prendere, iniziate a screditare i nostri dispositivi e indurci ad acquistarne di nuovi. Tanto sono sempre gli altri ad avere i migliori, vero?»
«Mai detto nulla di simile.» si affrettò a chiarire Giorgio, arrestando il furioso passo dell’uomo. «Guarda che il tuo pc è l'eccellenza nelle funzioni per cui è programmato.»
«E allora spiegami qual è il suo problema.»
«Nessuno! Magari non sarà il migliore a svolgere certi compiti, mentre in altri è perfetto.»
Giorgio abbandonò il linguaggio tecnico in favore di termini più semplici e diretti. Così facendo, il botta e risposta portò entrambe le parti ad un punto di incontro.
«D’accordo, ma è comunque necessario che questo laptop svolga le funzioni di lavoro.» concluse il cliente in tono rassegnato.
Finalmente anche il volto del mio amico si distese.
«Non preoccuparti, adesso faccio qualche scansione e intanto ti suggerisco altri software equivalenti. Oppure alcuni tool utili a migliorare la stabilità del sistema. Ti avverto, però: dovrai avere pazienza e rispettare i suoi tempi.»
Il cliente ringraziò, seppur con velata riluttanza, poi si accomodò su uno sgabello e tornò a lamentarsi.
«Mi ci mancava solo un pc scadente! I colleghi dotati di computer migliori mi faranno sempre pesare la differenza!»
Giorgio tentò nuovamente di rassicurarlo.
«Loro saranno anche più veloci, eppure se tu mi darai ascolto potrai riuscire ad ottenere risultati addirittura inaspettati.»
Aver bisogno del vocabolario per capire il giapponese non significa essere inferiore a chi lo conosce già. Semplicemente tu parli una lingua differente, che altri invece neanche comprendono.
All’improvviso realizzai cosa mi incuriosiva tanto nella discussione tra Giorgio e il cliente.
A quei tempi, la mia coinquilina era insegnante di sostegno presso la scuola elementare di zona. Spesso la vedevo preoccupata nei confronti di alcuni studenti con disturbi dell’apprendimento, le cui difficoltà venivano addirittura rinnegate dagli stessi genitori.
«Mio figlio deve imparare a cavarsela da solo! Non voglio che si senta inferiore ai compagni!»
È la tipica affermazione di chi, credendo di agire nell'interesse del proprio ragazzo, rifiuta categoricamente le indispensabili modalità di supporto a cui invece ha diritto. Come se si cercasse di far girare a forza uno specifico software in un computer incompatibile.
Inevitabilmente, lo studente finisce comunque per sentirsi inadeguato. Sono i suoi stessi genitori, seppur in buona fede, a trasmettergli un insegnamento tanto latente quanto subdolo: "Chi ha bisogno di aiuto è inferiore”.
Di fatto, nessun bambino nasce carico d'odio: la discriminazione è qualcosa che si impara, e spesso proprio dagli adulti. Io stessa realizzai di non aver mai compreso fino in fondo cosa significa vivere con un disturbo dell’apprendimento.
In Giappone esistono disposizioni diverse rispetto all’Italia, ad esempio nella mia scuola i ragazzi certificati si recavano alcune ore a settimana in un’aula a parte, assieme ad un insegnante di supporto. Ciò li metteva inevitabilmente a disagio di fronte a noi compagni, perché vedevamo in loro soltanto dei portatori di handicap.
Quando giunsi in Italia, la mia coinquilina mi raccontò di aver avuto molte difficoltà a causa della dislessia, ma da grande è comunque riuscita a diventare una bravissima insegnante. Come ciò sia avvenuto lo capii solo grazie a Giorgio e i suoi computer, talvolta danneggiati da pressioni e aspettative degli stessi proprietari.
Se un dispositivo finisce per bloccarsi o spegnersi possiamo trovare il modo di aggiustarlo, ma tra uomo e macchina c'è una significativa differenza: la percezione di sé.