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La gara

Gara 36
DE RERUM SCIENTIA
MARZO 2013
antologia per BraviAutori.it
da un'idea di Monica Porta - may bee
Foto allegate a ogni racconto di: autori vari.
Si ringraziano gli Autori di questa antologia per la partecipazione.
Nota: l'antologia impiega l'editing degli autori.
Trasformazione digitale: MiCla Multimedia
Prefazione
«La natura e le sue leggi erano sepolte nella notte;
Dio disse: che Newton sia! E fu luce ovunque»
Alexander Pope
«La misura delle cose contiene entrambe: scienza e fiducia in qualcosa di più grande» anticipavo nel bando.
Mi aspettavo reazioni diverse da parte vostra e non mi avete deluso.
Avete sbuffato alla proposta, riso, ringraziato, strabuzzato gli occhi, storto il naso, posto domande tutte a ragione. L'ampiezza del tema dava mille possibilità di scelta correndo il rischio di non ispirarvene nessuna, (ne ero consapevole) ma non volevo perdermi le vostre emozioni in tema.
E qui siete arrivati tutti. Nessun racconto ha escluso l'uomo, proprio nessuno!
Eppure potevate. Parlare di robot a dominio della scienza, spingervi nel fantasy a trovare cure, alambicchi o fatture la cui composizione chimica parlava di scienza, oppure lanciarvi in descrizioni meticolose di un fatto scientifico. Ero curiosa di scoprire se DRS poteva farcela a distruggermi l'idea che coltivavo in 'bozzolo'. Per fortuna non è successo.
Oggi, con voi autori, posso dire di aver dimostrato il mio piccolo costrutto: non ci è possibile parlare di scienza, grande o piccola che sia, senza dar risalto alla umanità che sperimenta.
Dire che mi avete emozionato è poco, ma ora basta chiacchiere… spazio ai racconti.
Indecidibilità

- Mi scusi, ma lei è quel matematico che si diverte a prendere in giro la chiesa e la religione, vero?- disse il taxista in tono rabbioso – Ringrazi il cielo che ho tre figli e devo lavorare, se no col cavolo che l’avrei portata all’arcivescovado.
Ormai ci era abituato, le sue posizioni atee militanti gli avevano causato spesso una scarsa simpatia da parte dei credenti. Ma quella sera quelle parole lo colpirono molto più del solito. Decise di non rispondere. Il ticchettio del rosario di vetro, appeso allo specchietto, contro il parabrezza gli fece compagnia durante il viaggio.
L’alto prelato, nella sua veste rossa, seduto sulla scomoda sedia di fronte alla scrivania, vide il pesante portone muoversi. L’uomo riccio e scarsamente sbarbato, con una giacca in velluto da insegnante delle medie, entrò nella sala riccamente affrescata.
- Buona sera, Eminenza – iniziò il professore.
Il cardinale notò, non senza stupore, che, per la prima volta, si era rivolto a lui con l’appellativo che gli spettava. Non si attendeva niente di buono da quell’incontro. Si erano trovati sei mesi prima, durante un dibattito pubblico su fede e scienza e quel matematico spettinato gli aveva dato parecchio filo da torcere.
- Perché ha voluto incontrarmi, professore?
- Conosce Kurt Gödel?
La domanda a bruciapelo stupì il cardinale.
- Ne ho sentito parlare, mi pare sia un matematico.
- Faccio una premessa, Eminenza. Lei saprà certamente che quelli che noi chiamiamo teoremi sono affermazioni che vengono dimostrate in modo certo e irreversibile. Prenda ad esempio il teorema di Pitagora. Non è possibile trovare un triangolo rettangolo per cui tale teorema non valga. E’ stata scoperta una dimostrazione che ci assicura che qualunque triangolo del genere avrà sempre la somma dei quadrati sui cateti uguale a quello sull’ipotenusa.
Il porporato si rivide sui banchi del seminario a lottare contro logaritmi e coseni. Non fu una sensazione piacevole.
- E questo cos’ha a che fare con la sua gradita visita?
- Le spiego subito. All’inizio del secolo i matematici come Hilbert pensavano che la matematica sarebbe stata la scienza senza contraddizioni e completa in sé stessa. Bastava dimostrare un teorema e questo sarebbe stato valido per sempre e per tutto l’universo. E, soprattutto, si supponeva che qualunque affermazione potesse essere dimostrata come vera o falsa. Queste certezze crollarono quando Gödel dimostrò che alcune affermazioni erano indecidibili, cioè non si sarebbe mai potuta trovare una dimostrazione in grado di farle diventare teoremi.
Il cervello del cardinale cominciò a rifiutarsi di seguire questi ragionamenti per lui così astratti. Ma il matematico continuò.
- Pochi mesi fa io e alcuni miei colleghi abbiamo scoperto delle tecniche per ovviare a questo problema. Partendo da opportune premesse siamo riusciti a dimostrare teoremi che, fino a oggi, erano rimasti insoluti, soprattutto per quanto riguarda serie infinite ed equazioni della fisica delle particelle…
- Mi fa molto piacere, professore, buon lavoro. E ora, se non le spiace, avrei da fare…
-Insomma, abbiamo dimostrato matematicamente l’esistenza di Dio.
Non credette alle proprie orecchie, ma soprattutto ai propri occhi. Il professore sembrava assolutamente sincero. Non aveva quello sguardo furbetto che lo aveva accompagnato nel teatro dove si erano incontrati mesi prima, ma gli occhi di chi dice la verità. Una verità per lui scomoda.
- Sta scherzando, vero professore?
- Assolutamente no. Lei sa che io sono sempre stato ateo, e ora le ribadisco che Dio esiste.
- Ma come si può dire matematicamente che Dio c’è?
- Alcuni dei teoremi che erano stati accantonati perché ritenuti indecidibili, una volta dimostrati, hanno aperto nuove strade. La conclusione è stata che l’universo, senza la presenza di un creatore e di un motore che permetta il divenire, non potrebbe esistere. Ne abbiamo trovata una dimostrazione inconfutabile, come quella del teorema di Pitagora.
Le tempie del cardinale cominciarono a pulsare, ci sarebbe voluta una doppia dose di camomilla, quella notte, per prendere sonno.
La lampada che illuminava la scrivania scura si spense, anzi, scomparve insieme alla scrivania stessa, ai muri affrescati e a Milano.
Vladimir Fëdorovič Skvorcov si accinse a svuotare la vescica. Era sempre complicato fare pipì nella stazione spaziale internazionale ISS in assenza di gravità. Decise di ispirarsi guardando la “mezza terra” illuminata dal sole. Aveva sempre pensato che, se avesse avuto un telescopio abbastanza potente, qualche bella ragazza in topless che prendeva il sole sul terrazzo di casa l’avrebbe potuta vedere. Ma al posto della terra vide il nulla. Vuoto. E la luna che si stava dirigendo verso gli spazi siderali. Vladimir si sentì improvvisamente molto solo.
Non sorrise. Per il semplice motivo che non aveva né bocca né denti per farlo. Ma se avesse voluto li avrebbe creati, era o non era l’onnipotente? E bravi. L’umanità gli aveva dato soddisfazione. Con un cervello così piccolo e un corpo così fragile, in soli pochi milioni di anni, avevano scoperto che Lui esisteva. Aveva dovuto persino inventarsi quello stupido teorema, altrimenti ci sarebbero arrivati anche prima. In altri pianeti ci avevano messo molto di più. Benissimo, il divertimento sulla terra era finito, quindi gli umani non gli servivano più, meglio eliminarli per non lasciare indizi in giro. I prossimi parevano essere i giganti di Cygnus OB2-12.
Nota conclusiva: Sembra paradossale, ma il teorema di incompletezza di Gödel esiste davvero. In modo molto semplificato afferma che: "Per ogni sistema formale di regole e assiomi è possibile arrivare a proposizioni indecidibili, usando gli assiomi dello stesso sistema formale" quindi affermazioni sulla cui verità o falsità non è possibile decidere. Questo teorema, insieme al principio di indeterminazione di Heisenberg sembrano postulare la inconoscibilità dell’universo mediante ragionamenti razionali. Insomma, sembrano messi lì apposta per limitare la conoscenza.
Newton, libero arbitrio e l’Italia di oggi

Le vicende umane seguono, in certi momenti della storia, seppur involontariamente e in maniera a volte approssimativa, le leggi della fisica. Per esempio ciò che impedisce a quel masso di rotolare lungo il precipizio e di conseguenza innescare una frana di gigantesche proporzioni è un complesso meccanismo costituito da forze contrapposte in equilibrio tra di loro. Allo stesso tempo le dinamiche che regolano il quieto vivere, la pace sociale, la convivenza civile hanno bisogno dello stesso equilibrio.
- Basta poco, però, a volte per rompere questo stato di quiete apparente. –
Vero in parte. Volendo trasferire l’esempio a una barretta di metallo sottoposta a piegatura, il momento in cui avviene l’azione di rottura corrisponde all’effetto finale di una lunga e ripetuta fase di sollecitazioni indotte sistematicamente in un singolo punto. Se focalizziamo l’attenzione sull’ultima fase delle stesse, sull’ultima piegatura della barra metallica prima che questa si spezzi, possiamo allora assumere come veritiero il principio enunciato nella tesi. Noi però sappiamo che non corrisponde a verità, meglio, che è solo una parte della verità.
- Quindi non succede niente perché l’azione di stress cui siamo
sottoposti non è ancora arrivata alla sua fase finale, al punto di rottura. Riusciremo ad accorgerci prima? –
No. Perché nel momento in cui saremo in grado di farlo, sarà già avvenuta. Ritornando però alla fisica, noi sappiamo che nel punto in cui viene esercitata l’azione si delineano delle forze, delle tensioni la cui lettura potrebbe consentire d’individuare con buona approssimazione quel momento.
- Pertanto? –
A ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria. Ovvero il terzo principio della dinamica, che Newton enunciò più di tre secoli fa, ispirandosi all’antico principio filosofico del rapporto causa effetto.
Perché non succede niente? Perché la causa non ha ancora prodotto l’effetto, o per meglio dire, perché nella società si stanno ancora formando quelle tensioni prodotte dalla ripetuta azione dei governanti che, se reiterate, porteranno al manifestarsi della reazione del popolo che, giova ricordare, sarà uguale e contraria.
Almeno. Perché poi entrerà in ballo il libero arbitrio. E allora…
L’ultima illusione

Notte di Halloween.
Il disco della luna illumina la terrazza sul tetto dell’hotel Knickerbocker. Fotografi, giornalisti, fumo di sigarette. Si direbbe siano tutti in attesa di una diva, ma la star della serata è un’anziana donna dai capelli color argento col viso segnato dalla stanchezza. Siede composta a un tavolo rotondo, le mani in grembo, circondata dai microfoni. Davanti a lei arde un cero.
A un cenno dell’officiante tutti i presenti siedono e mettono i palmi sul tavolo. Le luci si spengono. Resta solo la fiamma a illuminare i visi degli uomini.
«Raccogliamoci tutti in meditazione» ordina il medium.
«O Dio Signore dell’Universo, ti preghiamo di far scendere lo spirito della comprensione su di noi. Stanotte siamo qui riuniti in cerchio in quando avidi cercatori della verità. Porta la luce della comprensione su di noi, riuniti in questo cerchio psichico. Rispondi alla più importante domanda del genere umano: se gli spiriti sopravvivono alla morte e possono parlare a noi dall’oltretomba.»
Una pausa ad effetto a beneficio dei radioascoltatori, poi il medium riprende.
«Noi ti preghiamo! Lascia che lo spirito del grande Houdini venga a noi, per intercessione di sua moglie qui presente.»
La donna, Bess, sospira.
«Houdini, sei qui?» chiama il medium. «Houdini ci sei? Ti prego, rivelati! Sono anni che aspettiamo di sentire la tua voce. Ci manchi così tanto! Avevi promesso che entro dieci anni ti saresti rivelato e questa è l’ultima notte, la notte delle notti. Manifestati! Parla, parla… parla!»
I giornalisti fremono. Chiuse nelle loro case, centinaia di famiglie attendono di sentire la voce di un fantasma. Il grande illusionista lo aveva annunciato al momento di morire, per irridere i seguaci dello spiritismo: se è veramente possibile a qualcuno tornare dall'aldilà, Harry Houdini lo farà! Aveva pattuito un codice segreto con la moglie, di modo che nessun ciarlatano potesse imbrogliarla.
“Rosabelle, rispondi, parla, prega, rispondi, guarda, parla, rispondi, rispondi, parla”.
Una frase assurda che Bess non ha mai rivelato ad alcuno. Che nessuno ha mai azzeccato.
«Muovi il tavolo, spegni la candela, fai suonare la campanella!» grida il medium con voce invasata. «Fallo Harry, per favore! In nome dell’Onnipotente.»
I giornalisti guardano la donna. Bess sorride stancamente e la tensione scema. Il medium suda. Lo spiritismo è un’illusione. Pietosa illusione per i vivi che fa arricchire un sacco di ciarlatani. Houdini lo sapeva. Perfino da morto la sua fede nella scienza brilla più fervida che mai.
«Noi voliamo in alto sulle nuvole e corriamo da te!» grida il medium. «Vogliamo la prova, la verità, in nome dell’umanità! Harry!»
Bess fa segno di resa con le mani.
Il medium si alza e fa cadere indietro la sedia. Se ne va. E’ finita.
Lo speaker radiofonico riprende il controllo.
«Signora Houdini, l’ora zero è passata» dice con voce compassata, mentre si tampona la fronte. Una fortuna che la gente da casa non possa vedere quanto è sconvolto. Se c’era qualcuno in grado di tornare dalla tomba quello era proprio il grande Houdini e tutti speravano che riuscisse ad officiare la sua più grande illusione. La scienza è il trionfo della ragione e dell’uomo, ma sapere di essere soli, alla deriva
nell’universo, fa paura. Più dei fantasmi, più degli spiriti. Sapere che al di là della morte non c’è nulla.
«Dieci anni sono passati» continua lo speaker. «Signora Houdini, ha raggiunto una decisione?»
«Sì» risponde Bess. Ha una vocina da ragazzina che stona coi suoi capelli argento.
I reporter le si fanno accanto coi block notes e cominciano a scrivere.
«Houdini non verrà» dice Bess. «La mia speranza muore qui. Non credo che Houdini possa tornare da me o altri. Dopo aver tenuto fede al patto che avevamo fatto al momento della sua morte, aver tentato qualunque tipo di medium e situazione, è mia ferma convinzione che comunicare con gli spiriti, in ogni forma, è impossibile. Non credo che i fantasmi o gli spiriti esistano. Per dieci anni ho fatto ardere questa fiamma accanto alla tua immagine… buona notte Harry.»
La voce della donna si incrina, ma solo per un istante.
Soffia sulla candela che muore.
Harry Houdinì, il grande illusionista, fu membro del comitato di Scientific American che offriva un premio in denaro a chiunque avesse saputo dimostrare di possedere capacità soprannaturali. Grazie a lui il premio non fu mai ritirato. A mano a mano che la sua fama cresceva, Houdini iniziò a frequentare sedute spiritiche in incognito, accompagnato da un reporter e da un ufficiale di polizia. Houdini lasciò un'ultima lancia nelle mani degli oppositori dello spiritismo: poco prima di morire fece un patto con la moglie Bess dicendole che se fosse stato possibile l'avrebbe contattata entro dieci anni tramite un messaggio in codice convenuto tra loro due. L'illusionista prima di morire disse: "Se è veramente possibile a qualcuno tornare dall'aldilà, Harry Houdini lo farà". L’ultima seduta fu ufficiata a Hollywood, sul tetto dell’hotel Knickerbocker, LA.
Era solo un cane
Nel plastinato riconosciamo noi stessi, la nostra vulnerabilità e il miracolo della nostra esistenza. Questa autoconsapevolezza del proprio corpo ispira il risveglio alla vita e a tutte le possibilità che essa ci offre.
Dr. Gunther von Hagens.

La gente guardava. Guardava il cane morire.
C’erano quelli con i volantini stretti nella mano. Tenevano le braccia conserte, fingendo di mostrarsi poco interessati allo spettacolo. Le ragazze di questi uomini, le loro mogli, le loro amanti, eccedevano invece nell’empatia. Un’espressione di retorica compassione e struggente dolore faceva da cornice a penosi mugolii, che fuoriuscivano dalle loro gole falsamente annodate.
La gente guardava il cane morire, ma a nessuno importava che il cane morisse.
Il cane si chiamava Tobia. Che nome insulso… Chiunque si sarebbe aspettato che il nome di quel cane fosse Tobia.
“Razza: Schnauzer”, era quanto recitava la targhetta esplicativa inchiodata sul piedistallo accanto alla teca. “Tobia è stato soccorso in seguito a un incidente automobilistico. Gli sono stati diagnosticati peritonite biliare, lacerazione del fegato, rottura di nove coste, trauma cranico, frattura scomposta del femore destro, paralisi irreversibile agli arti posteriori.”
La spiegazione continuava. Due anziani leggevano avidi, coi nasi puntati, gli occhi sottili. Tutti gli altri ammiravano Tobia.
Un’improvvisa espressione di dolore guizzò negli occhi del cane, che aprì la bocca sdentata. La platea trattenne il respiro. L’attesa strangolava il fiato, stillava sudore freddo dalle membra. I due anziani continuavano a leggere, nulla li distraeva. La morte degli altri non era di loro interesse.
“Tobia, al momento del ritrovamento, era sprovvisto di tatuaggio e di microchip. È stato medicato e accudito per due giorni. Il terzo giorno, i veterinari hanno confermato il prossimo decesso, e lo hanno ascritto ufficialmente al registro dei donatori del corpo per la successiva esposizione all’interno della mostra Corpi Vivi.”
I due anziani sollevarono lo sguardo. Tobia, terrorizzato e tremante, deglutiva di continuo, sussultando come in preda a una tosse silenziosa.
«Ma… Soffre?» chiese un giovanotto, attirando immediatamente una selva di occhi fiammeggianti.
«Sssst!»
«Ci rovini il momento!»
«Sssst!»
«Ci rovini il momento!»
«Sarà imbottito di morfina, non vedi?»
«Certa gente proprio…»
Il liquido azzurrognolo in cui fluttuava il corpo di Tobia mutò colore, in prossimità del muso. Un vomito sanguinolento gli sgorgava violentemente dalla bocca spalancata.
«Che roba!»
«Wow, hai filmato?»
«Ma sei fuori? Ci sono i controlli, non…»
«Guardate!»
Guardarono.
Tobia aveva cominciato ad agitare le zampe anteriori, come per scappare. La sua muscolatura, in perfetta evidenza a seguito del trattamento di asportazione dei tessuti superficiali, si contorceva in preda alle convulsioni. I tendini, bianchissimi, guizzavano come fruste.
«Il cuore, guardategli il cuore!» urlò una matrona vestita di giallo, simile a un’enorme gallina.
Anche il cuore di Tobia era perfettamente in vista. Batteva in un galoppo forsennato, delirante, un brandello di carne viva strizzato da una mano invisibile e crudele. Il liquido azzurrognolo, che permetteva alla vita di scorrere ancora dentro al corpo di Tobia nonostante le mutilazioni subite, era divenuto di una rivoltante tonalità giallastra.
Ma ecco che finalmente, in un istante meraviglioso, tutto si fermò.
Le zampe dell’animale si fecero di legno. Il cuore, un sassolino senza vita. Una nuvola di bolle rossastre si levò dalla gola di Tobia, il cui cadavere prese a galleggiare, inerme. La folla assiepata emise un lungo, incerto sospiro.
La matrona applaudì. Fu la sola.
«Visto che roba?»
«Già. Però venti euro secondo me non li valeva.»
«Ehi, che dici, ci facciamo un aperitivo sui Navigli?»
La gente cominciò a disperdersi. I volantini della mostra caddero dalle mani sudaticce.
Lo slogan decretava: “Mostra Corpi Vivi, 8 settembre – 21 dicembre 2029. Ammira i corpi degli animali che sono stati donati alla scienza al fine di contribuire all’educazione e alla cultura delle generazioni future.”
Una scarpa da ginnastica calpestò il volantino. Ci lasciò sopra piccoli mucchietti di terriccio, e proseguì piano verso l’uscita.
«Però non era così male, no?»
«Verrà il giorno che nel liquido ci metteranno gli umani, ti dico… Allora sì ci sarà qualcosa da vedere.»
«Per ora è troppo presto.»
«Presto? E per cosa?»
«Perché la gente capisca. Questo tizio è un genio, ti dico, un artista. Ma è troppo presto. Troppo.»
«Oh insomma, di qualcosa dobbiamo pur morire no?»
«Già. E comunque quello, alla fine, era solo un cane.»
Già.
Alla fine, era solo un cane.
Un'esperienza da cardiopalma

Com'è conciata male questa poveretta. Il marito l'ha picchiata a morte. Che mostro! La donna è piena di lividi, tagli, ed escoriazioni in tutto il corpo. L'hanno definito delitto passionale. No! Questo è femminicidio! Doveva essere così bella, lo si vede, nonostante tutto. Che capelli neri e setosi. Vedrò di fare un buon lavoro, devo assolutamente renderla presentabile per la veglia funebre. I parenti la reclamano per un ultimo, penoso saluto.
Userò tutte le mie arti di truccatrice. Sono molto brava nel mio lavoro.
Per quanto riguarda la cosmesi funeraria non occorre alcun tipo di formazione particolare. Truccare un vivo o un defunto è più o meno la stessa cosa. Certo, nel secondo caso bisogna utilizzare qualche accorgimento in più. Prima lavoravo nel salone di bellezza più "in" della città. A quante vecchie impellicciate ho applicato il cerone e le ciglia finte. Quante manicure ho fatto alle loro grinzose mani ingioiellate. L'impiego mi piaceva e guadagnavo bene ma non ho retto quell'ambiente snob, l'arroganza delle clienti e i ricatti del datore di lavoro che mi imponeva orari impossibili. Così ho mollato tutto e mi sono trasferita in questa camera mortuaria. I miei nuovi clienti sono così "pazienti".
E' impietosa la morte, col suo macabro ghigno, eppure pian piano ci si abitua. In questo bianco, asettico laboratorio il silenzio e l'orrore sono la normalità. Io mi prendo cura dei defunti donando loro un aspetto "accettabile". Qualche magico ingrediente: cipria, creme ammorbidenti e cicatrizzanti, lacca e poi l'abito buono, una candida camicia e il gioco è fatto.
E' questa la mia tranquilla routine quotidiana.
Però c'è un caso specifico, un evento eccezionale che mi ha stupita e che non scoderò mai.
Era una fredda mattina di gennaio. Il vento gelido mi sferzava il volto ancora assonnato procurandomi un gran fastidio. Mi strinsi nel cappotto, salii frettolosamente in macchina e mi recai al lavoro. Ero intirizzita e mi sentivo stranamente elettrica, inquieta. La mia faccia doveva essere tutto un programma perché Sonia, l'infermiera di turno, mi apostrofò dicendo: "Terra chiama Luna. Ci sei, Laura?".
Io feci per rispondere ma lei mi prese sottobraccio e mi condusse verso la tanto agognata macchina del caffè. Che sollievo! Pian piano cominciavo a carburare. Tornai in laboratorio e Sonia mi raggiunse spingendo un lettino. Quindi tolse il lenzuolo che lo copriva e mi ritrovai davanti un ragazzo di una quindicina d'anni. Era così bello, pareva che dormisse. Aveva i capelli biondi e i lineamenti delicati. Provai una stretta al cuore.
"Che gli è successo?", chiesi impulsivamente.
"Stava giovando a pallone con gli amici quando, all'improvviso si è accasciato al suolo", replicò lei amareggiata. Poi infilò le mani nelle tasche della divisa e se ne andò.
Quell'algida giornata era cominciata male e sembrava proseguire in tal senso. Una giovane vita stroncata fa sempre impressione, non si può rimanere indifferenti.
Però accantonai i pensieri e mi misi a lavorare. Presi il carrello con i trucchi e lo portai accanto al mio paziente. Cominciai a stendergli un velo di crema sulle mani. Dopo mi dedicai a quel bel volto immerso in un pallore innaturale. La sua pelle screpolata e rigida si ammorbidiva e io continuavo a fargli lunghi, profondi massaggi. Ad un tratto mi parve di avere un'allucinazione perché udii una specie di sospiro provenire dalle sue labbra. I nervi mi stavano forse giocando un brutto scherzo?
Mi misi seduta e osservai stupita i repentini cambiamenti che avvenivano nel giovane. Il cuore riprese miracolosamente a battere, il sangue ricominciò a defluire nelle vene e il calore si diffuse nel suo corpo. Un tenue colorito gli tinse le guance. Il ragazzo stava riacquistando coscienza, stava tornando in sé. Era vivo!
Socchiuse le palpebre e mosse le labbra. Sì, era vivo! Urlai per la felicità e telefonai immediatamente al pronto soccorso. Non si trattò di un miracolo ma di un fenomeno che la scienza chiama morte apparente.
Sono trascorsi quattro anni ormai da quel giorno eccezionale.
Il biondino si è ripreso completamente e conduce un'esistenza normale. Si chiama Giovanni e il giorno di Natale mi telefona ancora per farmi gli auguri.
"Auguri a te, ragazzo. La vita è bella. Vivila ogni minuto, intensamente".
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Tema: quanto è utile lo studio?

Ci ha spiegato che basta un ambiente fertile per loro, per svilupparsi, crescere e riprodursi. Ci ha anche invogliati a fare degli esperimenti a casa. Piccole cose semplici, infatti non servono neanche gli strumenti del laboratorio, giusto qualche ingrediente del frigo a casa e piatti e pentole o bicchieri. Io ne ho fatto più di uno e mi sono anche divertito. Molti non sembrano neanche attività di studio ma trucchi da prestigiatore.
I miei amici non capiscono perché mi piace studiare, mi trattano sempre come un secchione. Mi sfottono come fanno con Arturo, quasi fossi un disadattato mentale.
Allora mi è venuta un’idea per fagli uno scherzo.
Forse dopo avrebbero capito che sono in gamba. Più di loro.
Ho preso due fette di pane bianco sottile, di quello che mamma usa per fare i toast, le ho lasciate qualche giorno fuori la busta, per farle seccare. Su una poi ho scritto PAURA con l’acqua torbida. Sì quella marroncina dello stagno. Le ho chiuse in un cassetto e le ho lasciate lì qualche giorno.
Quando quella asciutta è diventata dura e senza macchie, le ho messe nel vecchio portagioielli di mamma. E’ di quelli particolari, che si aprono in tutti i versi ma facendo apparire cassetti diversi. Una specie di rompicapo cinese. Nello scomparto con apertura a destra ho messo la fetta pulita, in quello con apertura frontale, quella speciale.
Poi li ho invitati a casa per merenda, dicendo loro che ci sono i fantasmi che mi lasciano messaggi strani.
Ovviamente sono venuti tutti e tre. Erano convinti che fosse un’ottima occasione per assoggettarmi ancora di più.
Sono arrivati già ridendo e facendo battute sceme sugli ectoplasmi. Uno aveva portato anche il mitragliatore ad acqua e lo sbandierava come fosse un ghostbuster.
Mentre erano tutti presi dalle patatine e dalle bibite ho iniziato il mio spettacolo. Presti la scatola e tutto tremante l’aprii, senza farmene accorgere, da destra. Quando hanno visto la fetta di pane bianco, dura e rattrappita, le risate sono arrivate alle stelle. Quasi se la facevano addosso dal troppo ridere, accavallandosi nelle battute, incespicando nelle parole, senza riuscire a prendere fiato.
Fingendo timore e vergogna, ho chiuso la scatola e ho chiesto loro scusa.
Tommy me l’ha presa di mano e l’ha riaperta, cercando di fare altri sfottò a mie spese. Ma … ha avuto una brutta sorpresa. Lui e pure Giò e Luca. La loro faccia alla vista del contenuto del portagioie era pazzesca.
Sto ancora godendo ricordando la fretta con cui hanno nascosto le lacrime e sono andati via. Stavolta sembrava davvero avessero fretta di andare in bagno e non per il troppo ridere. Quella scritta nero-muffa resterà nei loro incubi per molto molto tempo. Tanto in classe non stanno mai attenti, figuriamoci se ascoltano la proff parlare di un esperimento, facoltativo, da fare a casa. Non sapranno mai del mio scherzo, però hanno imparato che non hanno nulla da prendermi in giro. Che ne sanno loro di humus e muffa, dopotutto?
Ecco quindi che debbo per forza confermare che lo studio è molto utile. Per questo sono sempre attento, voglio saperne di più di tutte queste cose un po’ particolari. Non si sa mai a cosa porteranno certe scoperte.
Enne E

Mino guardò il cielo limpido e inspirò profondamente. Sembrava uno specchio d’acqua, uno di quei laghi d’alta quota che ammirava stupito da bambino.
Dietro di lui, Sergio sorrise – Ancora immerso in dubbi morali?
- Sì, – rispose sommesso – sempre.
- E ti porta conforto guardare il cielo?
Mino spaziò l’infinito azzurro che sovrastava la fabbrica. Da sopra il tetto si godeva una vista mozzafiato.
- Pochi anni fa era grigio, pesante, triste, – disse - guardalo adesso. Sembra così… puro.
Si sporse dal parapetto e ammirò la città sottostante. Blocchi di cemento, ferro e vetro, che tentavano di innalzarsi tra le nuvole – E, senti i rumori?
Sergio ascoltò: un vociare lontano, qualche cinguettio.
- Nuova Energia ha azzerato il traffico, se è quello vuoi dire.
Mino annuì – Niente più scarichi industriali, niente residui tossici, aria pulita, rumori quasi azzerati.
Sergio rise – Allora ti sei rasserenato adesso? Sei pronto a ricominciare il giro? – e si avviò per le scale che sprofondavano nell’edificio, senza aspettarlo.
Mino guardò nuovamente il cielo. Sospirò. Poi seguì il collega.
La grande fabbrica si inerpicava pesante su nove piani. A loro era stato assegnato l’ultimo, il che favoriva le numerose uscite sul tetto di Mino.
Partirono dal lato sud, numero di lettino E6142. Mino distese le canalette endovenose e controllò gli elettrodi mentre Sergio controllava quelli del E6143, poi passò al successivo.
Un elettrodo si era staccato dal petto della donna. Lo inserì un po’ più in profondità. Penetrò facilmente nella molle carne del seno. Emise un sibilo.
Fissò il viso della donna. Doveva essere stata carina, prima di entrare nella Camera di Produzione Energia. Era quasi senza capelli, rimanevano soltanto poche ciocche grigie tra la moltitudine di spilloni conficcati. Gli occhi affossati, la pelle tirata attorno agli zigomi, in procinto di sfibrarsi, sfaldarsi. Doveva essere lì da molto visto il degradamento generale del corpo. Giovane per la vita, vecchia per quel posto.
L'espressione del viso era corrucciata. No, a Mino sembrava sofferente.
- Non guardarli mai, – lo redarguì Sergio dal lettino più avanti – ti fai solo del male.
Mino continuò a fissare gli occhi della donna, persi nel vuoto – Dicono che non sentono niente.
Secondo me è una balla mostruosa.
Sergio alzò le spalle e passò a un altro lettino – Se è qui, ci sarà un perché. Era un criminale, e questa è
la sua condanna, fine.
Mino pensò che nessun crimine potesse comportare una punizione tale, ma tenne la considerazione per se. Espresse un altro dubbio che gli ronzava nella testa da un po’ – Hai notato che non ci sono più barboni in giro? Nessuno che chiede la carità o mendica o fa i lavori più umili in cambio di qualche spicciolo?
Sergio alzò nuovamente le spalle – Li ignoravo anche prima, figurati se ci faccio caso adesso. E poi, guarda che da quando la Nuova Energia è arrivata, il tenore di vita è migliorato per tutti.
Questo era vero, pensò Mino, ma in conseguenza del benessere erano diminuiti anche l’80% dei crimini. Eppure centinaia di fabbriche come questa erano piene. Possibile che i detenuti fossero ancora così tanti?
- E quando i detenuti finiranno? – chiese.
- Si inventeranno qualcos’altro. Lo fanno sempre.
Mino ebbe il timore che lo avessero già fatto.
Il ragazzo sul lettino seguente doveva essersi mosso. Aveva diversi elettrodi che facevano poco contatto.
Lì fissò bene tra le carni. Per sicurezza affondò meglio gli altri su tutto il corpo. Una gamba ebbe uno spasmo involontario, poi tutto il corpo fu scosso da sussulti.
Ogni tanto capitava, aveva sentito Mino, ma a lui non era mai successo.
Si mosse in ritardo verso la consolle di controllo più vicina. Il ragazzo iniziò a urlare, un grido senza fine, roco, alto, spaventoso, metallico. Il suono della più alta corda di violino, violentata da una lametta da barba.
Mino girò al massimo la manopola del Propofol. Inutile.
Il ragazzo faceva balzi inconsulti di quasi un metro sul lettino, non riuscendo a coordinare il proprio corpo. Urlava ancora il suo stridulo verso il soffitto.
Le vene sul collo erano sul punto di scoppiare. Sembrava in procinto di esplodergli tutta la testa.
- Bastaaa – gridò riuscendo a modulare finalmente qualcosa di sensato, poi sembrò rilassarsi. Cadde steso di traverso e ricominciò a sprofondare nel normale stato comatoso.
Gli occhi del ragazzo incontrarono per un istante quelli di Mino, prima di perdersi nel vuoto. La bocca modulò una parola, ma non riuscì a produrre nessun suono.
Mino era sicuro che avesse detto “uccidimi”.
I tre principi base di Enne E (Estratto del trattato di commercializzazione di Nuova Energia).
1) Energia chimica. Possiamo riconvertire in energia qualsiasi sostanza presente all’interno dell’individuo e non essenziale al mantenimento vitale. In primis urina, succhi gastrici e ghiandole sudoripari.
2) Energia termica. Sovralimentando un corpo umano possiamo trasformare il calore in eccesso.
3) Energia elettrica. Un corpo a riposo produce più di 100W. Utilizzando gli impulsi celebrali e sovralimentando, è possibile centuplicare tale produzione.
Solo un problema numerico

«L’opzione inglese è la più solida e comprovata. La vera differenza sarà nello strato anti-riflesso, che ci permetterà o meno di raggiungere determinate lunghezze d’onda nel blu.» Ho considerato le caratteristiche di questi rivelatori decine di volte, e dal punto di vista delle prestazioni non riesco davvero a stabilire qual è nettamente migliore.
«Ma la polarità del dispositivo inglese è positiva, – commenta Sonia, l’ingegnere capo. Ha lavorato alcuni anni presso il CERN di Ginevra, e ciò le ha fatto meritare una posizione di rilievo nell’istituto presso il quale lavoro – quello giapponese lavora in polarità negativa, proprio come i rivelatori del Fermilab.»
Non è un’osservazione di poco conto, la sua: dobbiamo realizzare la rétina di un telescopio da quattro metri di diametro, e siccome abbiamo già partecipato ad un progetto americano in Cile, possediamo le conoscenze per costruire l’elettronica necessaria. Se impiegassimo i rivelatori giapponesi, potremmo adattare il sistema esistente col minimo sforzo.
Non siamo un gruppo di quattrocento persone come si usa in America: il nostro progetto coinvolge in tutto una ventina di noi (inclusi i capi, i docenti, gli studenti, insomma, la zavorra necessaria), e abbiamo la presunzione di voler gettare luce sulla distribuzione di materia oscura nell’Universo prima di chiunque altro. Il bello è che si può fare!
«Inoltre, -prosegue Sonia – anche il numero di linee di alimentazione, e le tensioni, sono compatibili con la piattaforma che abbiamo a disposizione.»
«Ho ricevuto ieri sera un’e-mail dai Giapponesi, - questo è Enrique, docente presso l’università, anche lui un pezzo grosso nell’ambito della cosmologia - sono disposti a ridurre il prezzo a 35'000 euro per dispositivo!»
La notizia appena comunicata è come musica per le orecchie degli altri capi: la crisi comincia a farsi sentire, e il rischio di un taglio di fondi è reale.
«Mi sembra inoltre che vogliano entrare in questo mercato, il che significa che potremo contare sulla loro assistenza.»
Beh, vorrei vedere! Con 20 rivelatori da acquistare, mi chiedo se non potrebbero venderci anche il sistema di lettura incluso nel prezzo!
Ora guardano tutti me, vogliono una conferma che la scelta mi convince, ma la scelta NON mi convince.
«Chi altro ha usato i rivelatori giapponesi? Perché tutti usano quelli Inglesi?» Posto di fronte alla scelta, so bene che l’una vale l’altra, ma non voglio trovarmi a risolvere più problemi di quanti non siano strettamente necessari. Il nostro obiettivo è realizzare la camera per un telescopio, non fare ricerca e sviluppo per conto di una compagnia.
«Si sono affacciati ora sul mercato, - risponde Miquel, ripetendo quanto appena affermato – vogliono stabilirvisi. - suona incoraggiante. - Inoltre, anche il Telescopio Nazionale Giapponese usa i loro rivelatori!»
Di quella camera si raccontano mirabilie, ma per raggiungere le specifiche di progetto i nipponici hanno trovato soluzioni mooolto particolari. Soluzioni particolari a problemi particolari, dico io. E poi per il Paese del Sol Levante sarebbe stato uno smacco dover installare rivelatori stranieri invece di dimostrare al mondo la qualità dei loro prodotti. Da buon italiano, per me questo è solo un altro modo di gestire una commessa pubblica, non molto diverso dal sistema di appalti di casa nostra.
«Per me va bene, - annuncio, tanto sembrano tutti decisi, e non ho argomenti tangibili da opporre, - ma voglio che nel contratto siano specificate clausole per l’assistenza.» Sembra un’osservazione petulante, ma ho imparato che tutto quello che non dirò ora mi sarà rinfacciato poi, in caso di problemi.
«Allora va bene!» annuncia Miquel.
«Va bene!» esclama Sonia con soddisfazione, pensando al lavoro in meno che l’attende.
Sono trascorsi diversi mesi da quella riunione, mesi di lavoro duro, indefesso. Abbiamo pubblicato diversi articoli scientifici, abbiamo realizzato strumenti da fantascienza, contiamo gli elettroni contenuti in ciascun pixel della camera con la precisione di soli 5 elettroni, io stesso ho scritto il software per la caratterizzazione dei rivelatori: una chicca!
Sono trascorsi diversi mesi da quella riunione, mesi di lavoro duro, indefesso. Abbiamo pubblicato diversi articoli scientifici, abbiamo realizzato strumenti da fantascienza, contiamo gli elettroni contenuti in ciascun pixel della camera con la precisione di soli 5 elettroni, io stesso ho scritto il software per la caratterizzazione dei rivelatori: una chicca!
Abbiamo scoperto mediante l’esperienza tutti i problemi dei dispositivi scelti, alcuni più gravi di quanto auspicabile, ma questo fa parte del lavoro. Non abbiamo ricevuto tutta l’assistenza che ci aspettavamo e alcuni problemi li abbiamo risolti con arguzia ed inventiva, altri non sono superabili.
Ora la camera è installata nel telescopio e attendiamo la “prima luce”, la prima immagine che ci permetterà di verificare il corretto funzionamento di tutta la catena di controllo. L’eccitazione è palpabile.
«Miquel, hai finito quei calcoli?» Chiedo al capo-progetto mentre la cupola dell’osservatorio si apre.
«Sì.» Mi risponde inespressivo. So che è deluso dai risultati, ma l’emozione del momento getta in secondo piano ogni problema.
«E quanto ci vorrà?» Siamo in corsa contro il tempo. La peggiore qualità dei rivelatori rende necessarie esposizioni più lunghe. Invece del preventivato anno e mezzo ci vorrà di più, ma non so quanto, di preciso. Le variabili d’osservazione sono tante, ed io posso valutare solo quelle relative ai sensori. A spanne, mi aspetto due anni, due anni e mezzo.
«Cinque anni!» Le parole mi gelano. In un tempo così lungo alcuni di noi saranno andati via, io stesso non desideravo restare tanto.
CLANG! Il rumore della cupola che si apre sul cielo ancora azzurro mi richiama alla realtà: l’occhio è nudo.
Secondo alcuni il lavoro dello scienziato è estremamente difficile: numeri, matematica... e molto freddo.
Ma stasera quest’occhio scruterà una piccola porzione di cielo con una capacità impareggiabile, comincerà un’esplorazione mai tentata prima, comincerà a raccogliere informazioni sulla natura del nostro Universo, un po’ anche grazie al mio modesto contributo.
Quell’occhio è così anche il mio occhio, e tramite esso sveleremo un po’ l’intimità della Natura.
L’Anima della Scienza

Era certa di trovarsi in posizione eretta ma la mente era annebbiata, come se i postumi di un vino speziato avessero voluto indugiare oltremodo con la sua coscienza.
Provò a parlare ed ebbe la sensazione che un suono inarticolato le strappasse le corde vocali, quasi che fossero ricoperte da cocci di vetro.
Più che osservare, percepiva ciò che la circondava. I sensi erano amplificati e tutto le giungeva senza filtro alcuno.
Una sottile nausea la stava invadendo. Il disorientamento le annichiliva il respiro. Non riusciva neppure ad avvertire i polmoni.
“All’inizio temevo un possibile fallimento, mia cara, ma non ho rinunciato…” disse una voce suadente alle sue spalle. Era una voce che conosceva. Doveva solo abbinare il volto. Niente di più.
Continuò: “Non è esattamente ciò che avevo in mente, ma comunque ci sono riuscito…”.
Un piccolo sforzo di memoria. Chi era lì con lei? Il tono era affettuoso e al tempo stesso familiare. Un timbro maschile deciso ma affabile…
Un piccolo sforzo di memoria. Chi era lì con lei? Il tono era affettuoso e al tempo stesso familiare. Un timbro maschile deciso ma affabile…
“Devo raccontarvi cosa ho fatto, mia diletta… E poi converrete con me che era l’unico modo per farvi restare…” la flessione nelle ultime parole le suggerivano una struggente malinconia.
Le vibrazioni che la attraversavano facevano dolere il cranio, come se le avessero fissato un copricapo con chiodi arrugginiti.
“Come sapete, i miei interessi scientifici furono sempre alquanto sviluppati e sono note le mie ultime frequentazioni col Dottor Salerno. – continuò soppesando le parole - E’ un anatomista eccelso… L’unico che abbia potuto aiutarmi in questa impresa incredibile”.
“Feci già un primo tentativo… Provai con Urghio… Quel povero infelice…” le parole si rincorrevano e lei cercava di seguirle. In questo modo, si rendeva conto che tutto scivolava via… Concentrandosi su quei suoni aveva la sensazione di essere meno vulnerabile.
Si accorse con sorpresa che riusciva a muovere lievemente le braccia… Non più di qualche centimetro.
L’uomo trasecolò dalla gioia: “Vi muovete! Ora ho l’assoluta certezza che siete qui con me”.
La narrazione fluiva mentre quel velo che le ottundeva la ragione si stava dissolvendo.
“Già nei vicoli sussurrano di miei esperimenti aberranti… Hanno inventato storie davvero macabre… L’ultima che mi è stata riferita sostiene che io abbia iniettato ad Urghio, ancora vivo, un liquido metallizzante -riferì l’uomo – ma sapete, oh divina, che non sono uno scellerato… Quel triste mentecatto ci aveva lasciato già da tempo quando io realizzai la prima parte dell’Opera Sublime…”.
“Già nei vicoli sussurrano di miei esperimenti aberranti… Hanno inventato storie davvero macabre… L’ultima che mi è stata riferita sostiene che io abbia iniettato ad Urghio, ancora vivo, un liquido metallizzante -riferì l’uomo – ma sapete, oh divina, che non sono uno scellerato… Quel triste mentecatto ci aveva lasciato già da tempo quando io realizzai la prima parte dell’Opera Sublime…”.
La voce dell’uomo proseguiva, raccontandole nei dettagli che genere di esperimento avesse condotto, utilizzando tutta la conoscenza trasmessagli dai suoi studi. Con rapidità quasi febbricitante snocciolò i componenti chimici che avevano permesso la meraviglia. Scienza e non Magia, Scienza e non Fede.
Brandelli di ricordi si ripresentavano, come i detriti trascinati da un fiume in piena. Emergendo e poi scomparendo subitanei alla vista.
E poi, lei rammentò tutto.
Una cristallina lucidità ritornò e si rivide, ebbra di vino e dopo aver danzato tutta la sera con lui, scivolare dall’immensa scalinata del palazzo e arrestare la caduta contro l’ultima colonna del corrimano. Il rumore di un arbusto spezzato le invadeva la mente.
E un’unica consapevolezza… Di essere gravida…
Certo, la relazione era clandestina ma in ogni caso il piccolo non sarebbe cresciuto come un bastardo qualunque. Era il figlio di lei… e di Raimondo di Sangro, principe di Sansevero.
L’uomo stava contemplando il suo successo scientifico anche se i popolani lo avrebbero giudicato un grottesco orrore.
Era riuscito a cristallizzare il sistema arterioso della donna ed imbrigliare l’anima in quel corpo.
Purtroppo non aveva potuto bloccare il decadimento di tutto il materiale organico ed il Verme Conquistatore aveva ribadito il suo dominio sugli eventi mortali.
Purtroppo non aveva potuto bloccare il decadimento di tutto il materiale organico ed il Verme Conquistatore aveva ribadito il suo dominio sugli eventi mortali.
Aveva provato sia con la mummificazione che con la saponificazione ma i risultati non avevano confermato le aspettative, accelerando al contrario il processo di distruzione del corpo.
Era però riuscito ad imprigionare e trattenere la cosa più importante… L’Anima! Aveva creato una gabbia ideale per la fanciulla che amava.
Era però riuscito ad imprigionare e trattenere la cosa più importante… L’Anima! Aveva creato una gabbia ideale per la fanciulla che amava.
Intanto, voleva parlare al suo principe, ma non poteva… Non era nient’altro che uno scheletro ricoperto dalla fitta rete costituita da arterie e vene. Eppure sentiva una Forza misteriosa che la attraversava e che le permetteva anche di compiere piccoli movimenti.
Sapeva che ciò che rivestiva le sue spoglie mortali era solo fil di ferro e cera colorata ma la sua Essenza era ancora lì. L’esperimento più azzardato che Raimondo di Sangro avesse mai compiuto.
Ma forse era la sua volontà trattenerla.
Così vicina al coronamento di un sogno perfetto… E poi la Sorte aveva fatto un vero e proprio sgambetto, facendola precipitare ed arrestare la caduta contro un gelido marmo.
Ancora quel suono secco che le attraversava la mente.
L’ultimo frammento della vita passata era Raimondo che la sorreggeva mentre lei sibilava le ultime parole: “Fatemi restare”.
Se solo avesse voluto, se ne sarebbe potuta andare. Avrebbe lasciato quel bizzarro simulacro… Sarebbe volata aldilà di quell’intellegibile barriera che separa i vivi dai morti.
Ma decise che non era ancora il momento. Lo sguardo del Principe era tutto per sé e in quel preciso istante la sua anima si beava e ringraziava gli studi accurati fatti dall’uomo.
Infine, l’attenzione fu attanagliata da ciò che lui stava dicendo in quel momento: “Ora siete qui, nell’appartamento della Fenice… E mai nome fu più azzeccato perché la vostra, mia adorata, è una vera e propria rinascita…”.
La scoperta

Alambicchi fumanti creavano cascate di fiumi color rosa pallido tra gli innumerevoli strumenti di lucido ottone che costellavano i banconi di candida ceramica e lo sguardo della signorina si perse tra quelle mille meraviglie.
- Oh mio dio dottor Kranz – esclamò in un gridolino deliziato – com'è scientifico tutto questo! -
- Qui tutto è scientifico signorina. - rispose lui drizzandosi in tutta la sua segaligna statura e lisciandosi i baffi ricurvi in un gesto orgoglioso, che però la signorina Mohana neanche notò, china com'era ad ammirare i reperti conservati in formalina.
Il dottore invece notò il tondo cuscino di carne che gonfiava la liquida seta che le fasciava i fianchi e molto scientificamente cominciò ad analizzarne dimensione rapporti e proporzioni.
La conclusione lo lasciò sgomento, erano le proporzioni della nostra madre terra.
Non è possibile, si disse, sicuramente ho fatto qualche errore, devo verificare.
- Signorina Mohana mi scusi, le dispiacerebbe alzarsi in piedi. -
- Oh ma certo dottor Kranz – rispose lei alzandosi per rinnovare i suoi entusiasti complimenti ma la faccia del suo ospite le bloccò le parole in bocca – è successo qualcosa dottore? - proseguì mettendo la bocca a cuore.
- No, no signorina non si preoccupi, non è nulla. -
- Ma la vedo così contrariato che sono sicura del contrario. - disse lei avvicinandosi tanto da sfiorarlo.
- No, cioè si, ma è un po' imbarazzante da dire. -
- Ma è scientifico? -
- Oh si certo. -
- E allora lo dica senza timore. – rispose lei dolcemente – Farei di tutto dottore per aiutarla nei suoi esperimenti. - incalzò avvicinandosi ancora fino a toccare il suo petto col seno prosperoso.
- Non vorrei si offendesse. -
- Ma su dottore, così mi mette in ansia. -
- Bhe sa, quando si è chinata non ho potuto fare a meno di notare... -
- Il mio fondoschiena? Ha qualcosa che non va? Non mi tenga in ansia, per favore mi dica tutto. -
- No, no stia tranquilla il suo fondoschiena è bellissimo, cioè, volevo dire che non ha nulla di sbagliato, non vorrei si offendesse. - ma mentre parlava inspiegabilmente nella sua testa le misure che aveva stimato rimbalzavano tra possibilità di errore e variabili di proporzioni, quel culo stava diventando un incubo. Alla fine prese una decisione e schiarendosi la voce si pose di fronte a lei e disse la verità.
- Signorina purtroppo devo ammettere che il suo fondoschiena ha stranamente una estrema somiglianza col pianeta che ci ospita. -
- Vuol dire che è troppo grande! - esclamò lei risentita.
- No al contrario è perfetto come il nostro pianeta, cioè come metà del nostro pianeta, ma ho il dubbio di aver sbagliato qualche misura. -
- Forse i vestiti possono influire? -
- Eh certo che si! - esclamò lui – per prendere delle misure accurate avrei bisogno che lei li togliesse. -
- Tutti dottore? -
- No basterebbe che alzasse la gonna. -
- Ma porto anche i mutandoni di pizzo. Quelli dovrei toglierli. -
- Eh si certo e poi avrei bisogno che si sdraiasse su quel lettino e anche di un goniometro e di un prisma e di un calibro e di... - ma mentre pensava a tutto il necessario la signorina alzata la gonna e sfilati i mutandoni, si era già sdraiata sul lettino e lo guardava con aria ansiosa – Oh si, così è perfetto, non si muova mi dia solo un attimo. - e si precipitò a fare incetta di strumenti di misurazione, tornando poco dopo da lei con le braccia cariche di instabili strumenti.
Poggiò tutto su un bancone e sotto lo sguardo sorpreso della signorina incominciò a fare accuratamente le sue misurazioni, ma lei non riusciva a stare ferma abbastanza e quel culo gli ondeggiava davanti facendolo sbagliare ogni volta.
- Cerchi di stare ferma signorina mi fa sbagliare le misure. - disse alla fine con disappunto.
- Ma questo lettino è freddo e anche il mio fondoschiena si sta gelando e quegli strumenti di metallo peggiorano le cose, non potrebbe fare qualcosa per riscaldarmi quella parte. -
- Potrei massaggiarla per comunicarle il calore con le mie mani. -
- Sarebbe molto bello se lei si sacrificasse a tal punto. -
- Ma dopo mi promette che cercherà di stare ferma. -
- Farò tutto quello che vorrà dottore. -
- Va bene allora adesso le massaggio la parte. - e iniziò a far scivolare le sue mani su e giù per quella tondeggiante collina, ma intanto pensava tra se, ma guarda che mi tocca fare, speriamo che dopo se ne sta bella tranquilla.
L'altezza dal lettino l'ho misurata, ma forse dovrei misurarla dall'intersezione della spina iliaca col ginocchio, si creerebbe una linea che , no, dal piano va bene ma devo essere sicuro che non ruoti il bacino sennò la misura viene sbagliata.
La larghezza devo prenderla al suo equatore, cioè alla prima vertebra coccigea, quindi... .
- Dottore com'è bravo, sento proprio il calore venire dalle sue mani. E come si mi entrasse dentro e da li si diffondesse verso l'esterno, mi dica la verità ha studiato molto per essere così bravo? -
- Si certo io ho studiato tutto molto, ma ora visto che si è scaldata mi lasci prendere le mie misure. -
- Ma non voleva prendere le mie? -
- Si certo, le sue, ma volevo dire mi lasci riprendere le mie misurazioni. -
- Oh , mi scusi, avevo fatto confusione. Faccia pure dottore sono a sua completa disposizione. -
Il dottore afferrò un calibro tanto grande da poter sovrastare quel mappamondo e si apprestava a misurare la sua ampiezza guardando fisso i punti di repere che si era fissato in mente quando la porta del suo laboratorio si spalancò di colpo.
La signora Kranz vedendo la faccia di suo marito a stretto contatto col sedere di una bella e giovane donna gettò un urlo, la signorina Mohana voltando la testa verso di lei urlò a sua volta e il dottore anche lui urlò voltandosi verso la moglie:
- Amore mio che scoperta ho fatto! - ma non fece a tempo a comunicare la felice notizia.
Per l'entusiasmo mise un piede in fallo e scivolò dal lettino battendo la testa.
Di lui si racconta che mentre lo portavano semincosciente in ospedale, con gli occhi stralunati continuava a mormorare:
- Il culo del mondo, il mondo è un culo. -
Un infermiere commentò:
- Sai che scoperta.
Tra scienza e Dio
di Scrittore97
(fuori gara)

Secondo alcuni la scienza risponde a tutte le domande in sospeso, essa è in grado di creare molte cose e distruggerle allo stesso tempo, proprio come potrebbe fare Dio, quindi potrebbe essere che le due cose coesistano.
Da sempre scienza e Dio sono stati nemici, perché il primo distruggeva le credenze del secondo, e viceversa.
Un mistero è la creazione dell’uomo, la scienza dice che siamo nati da minuscoli corpicini e in anni e anni ci siamo evoluti, fino ad arrivare all’uomo moderno.
La fede ci dice invece che il signore creò Adamo ed Eva, dando vita alla stirpe degli uomini che ancora oggi esiste e domina il mondo.
Nessuna delle due parti sa mettersi d’accordo, è una guerra muta, che per fortuna non miete vittime.
Noi in questo millennio riusciamo a convivere con scienza e fede, perché questa battaglia non può avere un vincitore, e se si avrebbe il modo di pensare cambierebbe drasticamente, o che vinca la scienza o la fede.
C’è chi dice che noi esseri viventi rigettiamo le nostre speranze in Dio, che esso serva solo come punto di riferimento nei momenti di crisi, che lui sia una guida forte e incrollabile.
Ma se veramente è come dicono, quella forza che cerchiamo in Dio è vanificata, e ogni nostra speranza andrebbe persa.
Ma se veramente Dio non esiste, perché nell’intero mondo migliaia di miracoli avvengono?, perché allora la scienza che tanto esclude l’esistenza del signore, non riesce a dare una spiegazione a questi fenomeni?
La scienza non sempre riesce a chiarire gli aspetti poco pragmatici della nostra società.
Anche se ho parlato male della scienza non bisogna dimenticare altri aspetti della fede:
La scienza deve avere il suo dovuto merito è innegabile, senza gli studi da essa condotti ancora molte malattie colpirebbero noi uomini, solo grazie a essa riusciamo a usare le macchine, solo grazie a essa, ci sono i vaccini, e altre cure.
Negli anni la religione ha avuto momenti difficili, e tetri, che non vogliono ricordare, infatti in un certo periodo della nostra storia, il potere dato al cardinale di Roma era più grande di quello del re.
Questa situazione di potere diede alla testa al sommo pontefice, e iniziò per loro un periodo buio che non vogliono ricordare, che è indice di vergogna.
Prendiamo per esempio un fatto che punì la chiesa, là dove invece di essere punito, doveva essere premiato: Giordano Bruno, che sostenne che le stelle fossero degli altri soli, una concezione rivoluzionaria allora, ma la chiesa punì quel tentativo di cambiare tutto, mandando al rogo Giordano.
Non vorrei dilungarmi, quindi cerchiamo di abbreviare, insomma, si può dire tutto di questi due poli ma non che loro non abbiano fatto la storia, e che la scrivono ancora adesso.
Le due teorie della creazione della terra sono in netto contrasto, la scienza dichiara che si è formata con vari processi che ha visto asteroidi e detriti spaziali fondersi insieme in una lenta ebollizione, la religione dichiara che è stato Dio a creare tutto.
Ma la bibbia dice una cosa: “la terra produsse germogli, erbe che producono seme, ciascuna secondo la propria specie e alberi che fanno ciascuno frutto con il seme, secondo la propria specie“.
Io ho studiato queste cose nella mia scuola, e so per certo che la creazione delle piante è stata lenta e laboriosa, non furono create in un giorno, si è iniziato da semplici alghe, per poi a organismi sempre più complessi, quest’operazione è costata millenni.
Io credo nel signore, e queste mie parole non vogliono sminuirlo, ma credo anche nella scienza, penso che tra questi due mondi opposti si possa arrivare ad un punto di incontro, e fare si che loro due collaborino, che non si sfidino.
C’è ne sarebbero cose da dire, ma questo è il frutto dei miei pensieri, è inutile che la faccio più lunga di quanto non sia, l’ultima cosa è un’ipotesi che ho sviluppato, ovvero che Dio abbia creato i fenomeni che ci circondano, per poter metterci alla prova, per vedere se noi siamo in grado di credere in lui anche davanti a fatti che smentiscono il suo potere.
Dissociazione
di Roberta Michelini
(fuori gara)

Si chiuse in camera e si stese sul letto, a pancia in giù, la faccia tra le braccia incrociate. Sua madre e la zia Giuditta parlavano in cucina, mentre il caffè borbottava sul fuoco. Si addormentò di botto. La luce filtrava dietro le tende bianche. Il poster della sequoia che allungava i rami al crepuscolo, appiccicato con lo scotch sulle pareti color fiordaliso, vegliava sul suo sonno. Dietro il letto, la piccola libreria laccata in rosso, piena di ninnoli, scatolette colme di anelli e collane di perline, il manichino in legno con le braccia scomposte, il medaglione che sua zia le aveva portato dall'India, i quaderni con la copertina arabescata cui affidava i suoi pensieri.
Aveva 17 anni. Era una ragazza solitaria, riservata, timida eppure curiosa. Poche amiche, tanti fratelli, una mamma giovane ma troppo occupata per accorgersi dei suoi sbalzi d'umore e della sua tristezza cronica. Così, spesso, si chiudeva in quel piccolo mondo che era la sua cameretta a leggere, ad ascoltare musica e a scrivere.
L'estate era una stagione difficile: la fine della scuola, dopo un primo momento di sollievo, la lasciava smarrita nella sua solitudine e nel vuoto dei giorni. Il paese era deserto, assolato e metafisico come un quadro di De Chirico.
Da bambina trascorreva l'estate in montagna e giocava nei prati e nei boschi. Un giorno si era fermata in mezzo al prato, tra l'erba alta, sotto il sole che splendeva nel cielo limpido e immobile, e si era messa a mormorare il suo nome, finché era caduta in una specie di trance, come se fosse uscita da se stessa. A volte si fermava a guardare le cose, i portoni, i muri scrostati e fissava lo sguardo fino a perderlo. Allora i luoghi non le sembravano più gli stessi, ma quelli di una favola antica, uguali a mille e mille anni prima.
Aveva sognato, una notte, di andare a casa della nonna e di non trovarvi nessuno. La casa era deserta: gli oggetti, il divano, le poltrone, immobili e sospesi nella luce accecante, e una maschera bianca con gli occhi vuoti pendeva sulla parete sopra la poltrona dove di solito sedeva sua nonna. D'improvviso capì che erano tutti morti. O forse era morta lei.
Quel pomeriggio d'estate, tornata in treno dalla città, cadde dunque in un sonno profondo e senza sogni.
Poi accadde quel fenomeno inspiegabile. La sua mente si svegliò: sentiva i rumori dalla cucina e le voci della madre e della zia. Ma quando tentò di muoversi, il corpo non rispose.
Le sue membra pesanti sembravano incollate al letto: rifiutavano di obbedire ai comandi del cervello. Si sforzò, ma nulla. Non un muscolo che si muovesse. Le sembrò che il suo spirito fosse sospeso in aria, a mezzo metro dal suo corpo, e la guardasse dormire. Come se l'anima avesse lasciato il corpo: "Sono morta", pensò. "Mia madre sta parlando in cucina, il mondo si muove come sempre, ma il mio corpo non vive più."
Avrebbe voluto chiamare sua madre, pregarla di scuoterla, di scrollarla, sollevandola a sedere. Ma nulla. Il suo spirito, vivo e vigile sopra il letto, sentiva tutto, vedeva la stanza, le pareti, il letto. L'incubo non finiva. Eppure l'anima vedeva la luce, era lucida e forte, tutt'altra cosa dai sogni. Era serena e determinata. Quel corpo morto le doveva obbedire.
I minuti passavano. Lo sfasamento tra mente e corpo era palpabile, e così la lotta che si stava combattendo tra loro. Si sforzò ancora, ma le gambe restavano immobili, pesanti come il marmo.
Doveva assolutamente svegliarsi.
Concentrò allora tutte le sue forze nelle gambe e nel busto. "Ora" si disse, come parlando al corpo paralizzato di qualcuno che si sta per sollevare prendendolo sotto le braccia per issarlo sulla sedia a rotelle. E fu il miracolo. Il busto si torse, girandosi su un fianco, e le gambe obbedirono; cadde quasi dal letto, e poi si ritrovò seduta, e aprì gli occhi. Vide finalmente di fronte a sè il letto di sua sorella, il comodino, il poster di Charlot e il Monello, il mangiacassette, la bambola di pezza con le trecce bionde.
"Sono viva." Respirò a fondo con sollievo. Raccolte le forze, si alzò dal letto, e andò in cucina, dove sua madre continuava a parlare, come se nulla fosse successo.
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