Ben tornato a casa, Mr. Jones

Spazio dedicato alla Gara stagionale di primavera 2024.

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Yakamoz
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Ben tornato a casa, Mr. Jones

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Ben tornato a casa, Mr. Jones

"Avrai sorrisi sul tuo viso come ad agosto grilli e stelle. Storie fotografate dentro un album rilegato in pelle. Tuoni di aerei supersonici che fanno alzar la testa…"
(C. Baglioni, da Avrai)


«Miao!» Un gatto. Sì, era un gatto! Mi guardai attorno, ma non riuscivo a localizzare dove esattamente fosse. «Miao! Miao! Miao!» Eppure miagolava con insistenza e doveva essere abbastanza vicino. «Ah, sei quassù? Furbone!» Stava appollaiato sopra i rami di un albero a circa due metri d'altezza. Probabilmente si era arrampicato prima, incuriosito dal rumore o dal luccichio di qualcosa, e poi, come di solito capita ai gatti, ora si trovava in difficoltà e non sapeva più come fare per scendere. Per questo miagolava? Voleva solo un mezzo di trasporto per raggiungere i piani bassi? Rischiando i suoi graffi, stesi le braccia, lui restò immobile, docilmente lo afferrai da sotto le zampe anteriori e come una morbida calda palla di pelo lo posai sul marciapiedi.

Credevo scappasse una volta a terra. Ma il gatto sollevò il musetto, tutto interessato a me, iniziò a guardarmi, annusarmi, e girando e rigirando a strusciarsi sulle falde dei miei pantaloni. Immaginai che questo fosse il suo modo di esprimermi la sua riconoscenza. Quando ritenne di avermi ispezionato e sniffato per benino, si sdraiò sul marciapiedi, con la pancia all'insù, le zampe tese in avanti e gli occhi socchiusi.
«Vuoi essere strapazzato un pochino, micio?»

Mi abbassai sopra di lui e cominciai a carezzarlo e a fargli coi polpastrelli dei grattini sotto il collo; e lui, sereno e beato, prese a fare ronfi e piccoli miagolii. «Ti piace, eh? Giocherellone!» E gli sfregai anche la testolina. Serrò così ancora di più gli occhi e si stiracchiò come una molla. Scoprii a quel punto un collare e una piastrina con scritto il suo nome: Mr. Jones.

Insolito come gatto. In vita mia non mi era mai capitato, se non in qualche manifesto o pubblicità della TV, di averne mai visto uno tanto bello dal vivo prima d'allora. Mezzo persiano, con occhi grandi e di un celeste chiaro, il pelo lungo color crema, tranne le estremità, cioè zampe, coda, orecchie, muso e genitali di tono più intenso, tipo color cioccolato. In apparenza grassoccio, la testa tonda e il naso appena schiacciato. La mia buona azione per quel giorno l'avevo fatta. Perciò mi rimisi in piedi e ripresi ad andare per la mia strada, ma subito lui scattò sulle quattro zampe e iniziò a seguirmi.

Dondolandosi leggero sulle dita delle zampe e con l'ampia e vaporosa coda tesa come un pennacchio, era costantemente al mio lato con la testolina e gli occhi vispi rivolti nei miei, accorto a ogni mio movimento. Percorremmo un bel pezzo di strada assieme, ma non ricordo esattamente quanta. Attraversando anche diversi incroci, in cui il piccolo felino, completamente rapito dalla mia presenza, non prestava attenzione neppure alle auto, alle persone o ai rumori circostanti. Stressato dal suo comportamento, finsi di ignorarlo e lui riprese a miagolare più forte per richiamare la mia attenzione. Poi, d'improvviso, fece una rapida corsa, andò un poco più avanti, si voltò e fermò per mettersi seduto sulle zampe posteriori e rimase, sempre coi suoi occhi puntati nei miei, ad aspettarmi.
«Che vuoi, Mr. Jones?» chiesi appena lo raggiunsi.
E lui rispose coi suoi soliti: «Miao! Miao! Miao
«Hai forse fame?»
Due potevano essere le cose: o aveva fame o mi aveva confuso con un altro.
«Miao! Miao! Miao!» fece ancora, e diede inizio al suo consueto balletto di morbidi sfregamenti della coda e sinuose giravolte attorno alle falde dei miei pantaloni.

A un certo punto mi stava talmente appiccicato alle scarpe che rischiavo quasi d'inciampargli addosso mentre cercavo di avanzare. Così, mi fermai. Fui costretto a farlo.
«Si può sapere cosa vuoi da me? E smamma, gattaccio!» e cercai di scacciarlo con la punta di una scarpa, e lui solita risposta: «Miao! Miao! Miao

Ma proprio in quel tratto di strada, dove il piccolo animale mi impediva di proseguire, sentii il cigolio d'un battente aprirsi sul mio lato destro e vidi uscire dal cancello di una modesta casa a schiera una ragazza con due sacchi della spazzatura. Era una ragazza acqua e sapone, con sneakers, jeans e una maglietta bianca, e i suoi capelli quasi biondi, legati in una treccia, scivolavano morbidi lungo le spalle.

«È suo il micio?» sussurrai tra me. E senza neppure sapere chi fosse e se il mio intuito ci avesse indovinato o meno, le dissi: «Maria, è tuo il gatto?» Ovviamente l'avevo chiamata con un nome a caso, essendo lei per me una perfetta sconosciuta.
«Sì, è il mio! – trasalì, e i due sacchi di spazzatura le scivolarono dalle mani con un tonfo a terra – È sparito da dieci giorni. Mamma e io abbiamo anche appeso in giro dei volantini con la sua foto e una ricompensa di cinquanta euro per chi lo avesse ritrovato. Ce n'è proprio uno attaccato sul muretto a lato del cancello di casa nostra. Signore, non l'ha visto?» Pronunciò quelle parole tutto d'un fiato rimanendo alla fine con la voce strozzata, poi deglutì la saliva e tirò bene su col naso l'aria nei polmoni.
«No!» risposi e specificai: «Perché di solito non leggo cose scritte per strada. Sono poco affidabili oggigiorno. Come tutto del resto!»
«È un colourpoint. Ha quattordici anni ed è cieco» continuò lei.
«Cieco?» feci, titubante. Perché solo poco fa sembrava vedermi fin troppo bene.
«Il glaucoma, purtroppo, lo ha reso cieco, come ha detto il veterinario, e questa malattia colpisce spesso i gatti anziani. Di solito non si allontana mai oltre il cancello del giardino. In questo periodo però era irrequieto. Non so perché sia scappato, ma ho paura sia successo qualcosa di brutto. – Era rossa sulle guance e parlava sempre quasi in modo un po' concitato ed evitando, al contrario del suo cucciolo, di guardarmi negli occhi: timidezza, ovvio! – Grazie, allora, per averlo trovato e avercelo riportato» concluse.
«In realtà, io non ho trovato niente. Diciamo che è stato più il gatto a trovare me e portarmi qui, e non viceversa. Ehi! Ben tornato a casa, Mr. Jones! Visto? Siamo ritornati dalla tua padroncina!»
«Miao! Miao! Miao!» fece sempre il gatto.
«Vieni, Mr. Jones, su! Vieni, bello! Vieni, micio!» fece la ragazza.

E il gatto, a quei richiami, distolse – e finalmente! – la sua attenzione da me, girò il muso verso lei, e solo in quel momento notai, mentre con aria assorta, muovendosi a tentoni, con orecchie e coda dritte come un radar, che sembrava per davvero disorientato e non riuscisse bene a capire in quale posto esattamente fosse e in che direzione stesse andando. Quando, un po' a fatica, giunse davanti alla sua giovane padrona, si fermò, aspettando. E nel momento in cui lei lo raccolse tra le sue braccia, cominciò a miagolare forte.

«Con chi stai parlando? Lo sai bene che non devi dare confidenza agli estranei!» strepitò una voce di donna dal piano superiore della casa, come a voler squarciare quel poco di conversazione creatasi tra me e quella ragazzina dai modi garbati e fin eccessivamente schivi, e un attimo dopo la intravidi scostare l'anta della finestra e fare capolino.
«Mamma, c'è davanti casa un signore, ci ha riportato il nostro cucciolo!» urlò lei come risposta.
«Ah! Allora non era finito sotto una macchina? Dunque c'è del vero nel detto: i gatti hanno sette vite. Sette o undici? Non ricordo bene, devo chiederlo a tuo padre. Certamente lui lo saprà. Lui di solito sa sempre tutto. Ma visto che il signore è stato tanto gentile, digli di entrare a prendere qualcosa» disse a voce alta la madre, rientrata in casa e intenta a sbrigare faccende domestiche con l'aspirapolvere.
«Vuole entrare, signore, magari per… un caffè?» replicò allora sua figlia per formalizzare l'invito.
«No, sarà per un'altra volta, se mi ricapiterà un giorno di passare da queste parti. Grazie lo stesso. E ringrazia da parte mia anche la tua mamma.»
«Un bicchiere di Fanta o di Coca-Cola?» insistette.
«Mi spiace, devo andare.»
«Proprio non vuole?» fece un po' delusa, lei.
«Ci si rivede, Maria.»

Stavo ormai per andarmene, e la biondina fece ancora: «I cinquanta euro non li vuole?»
Finsi di non capire quello che diceva e confermai soltanto: «Non posso fermarmi, vado di fretta.»
«Allora buona giornata, signore» mormorò con voce incerta, mentre mi guardava, preoccupata, e lentamente, stando accanto a dei fiori bianchi arrampicati su un graticcio in stuoia di vimini, carezzava il dorso del suo gatto.

Mi ero ormai già allontanato di una ventina di passi, che la sentii gridare:
«Ehi, signore! – mi voltai – Io mi chiamo Isabella! Non Maria! Ma tutti mi chiamano Betty!»
«È la stessa cosa, piccola! È la stessa cosa!» E scappai via, senza neppure ricordare più dove prima stessi andando.

* * *

Caso volle, circa due settimane avanti, mentre di pomeriggio passeggiavo in un parco di un quartiere parecchio distante da dove si era svolta la "faccenda del gatto", che rividi Isabella. Indossava una T-shirt aderente, impavidi shorts jeans e sandali infradito: e tutta roba griffata Michael Kors, con abbinata relativa borsetta pink a forma di cuore, e tra le mani aveva un cellulare, di quelli buoni, nuovo di pacca e con la mela morsicata dietro. Stava lì con una sua amica, coetanea e altrettanto sciccosa, intente a fare selfie e foto a vicenda, e a giocare con Mr. Jones.

Il gatto correva e saltava agilmente, tendendo, con piccoli balzi felini, azzardati agguati ai piccioni che gironzolavano attorno alla vasca di una fontana, senza mostrare alcun minimo segno di qualche presunta cecità. Non era di certo una questione di vita o di morte, ma la mia indole curiosa mi spinse in quel frangente a cercare di capirne di più su quella storia del "gatto cieco".

Aspettando il momento opportuno, mi mantenni una certa distanza da loro e non fui notato. E quando la sua amica si allontanò per mettersi in fila a un chiosco di gelati, presi la palla al balzo e di soppiatto mi avvicinai alle spalle della ragazza, e le dissi: «Piccola, ma non era cieco il tuo gatto?» Lei ebbe un fremito e di soprassalto voltò la testa a guardarmi, meravigliata dalla mia inattesa presenza, poi, con un sorriso malizioso, vivacemente disse: «Oh! Ma lui è un mattacchione! E a volte gli piace giocare a fare il cieco. È un modo per attirare l'attenzione e ottenere qualche coccola in più.»

Ai suoi occhi azzurrissimi e all'humor di quella risposta, persi le parole e rimasi basito. Ma ero contento che Mr. Jones godesse di ottima salute, nonostante le bugie della sua padroncina.
«E i cinquanta euro della ricompensa, dove sono finiti?»
«Beh, ho finto con mamma che lei li… Trattenuti da me e spesi insieme ad altri messi da parte in un laboratorio per un piercing all'ombelico. Fatto di nascosto, perché mamma è ottusa, bigotta e tirchia, e non mi avrebbe mai dato i soldi e il consenso per farlo. Poi quasi tutte le mie amiche hanno un piercing o tattoo da qualche parte.»
«Io sono stato la tua prima vittima?» le domandai, curioso.
«Oh, no… credo il settimo o l'ottavo in circa un anno e mezzo a non volere la ricompensa per un povero micio malato. Ora non lo dirà alla mamma e resterà un segreto tra noi, vero?»
«Tranquilla! Sarò muto più di un pesce!» e lei ribatté con un accorto sorriso. «Racconti sempre tante bugie, piccola?»
«Non tante! Soltanto quando servono» rispose mentre mi abbassavo sulle ginocchia per accarezzare il suo fido complice felino, dicendogli: «Ehi! Mr. Jones, visto? Stai di nuovo con la tua scaltra padroncina!»
«Miao! Miao! Miao!» confermò molto felice il gatto.
«Lo vuole vedere il mio piercing, signore?» azzardò la ragazza.
Deviai la sua audace domanda, chiedendole:
«Sul serio ha quattordici anni, Mr. Jones?»
«Lui ne ha quattro, io, invece, quindici, anzi, sedici il prossimo ottobre.»
«Infatti, mi sembrava fin troppo arzillo per essere tanto vecchio.»
«Lo vuole vedere il mio piercing, signore?» incalzò poi schietta, domanda che questa volta elusi non rispondendole, ma, senza che potessi accorgermene, lei arrotolò con entrambe le dita delle mani il bordo della sua maglietta, continuando liberamente a dire: «Da grande voglio diventare come Taylor Swift, Margot Robbie, però anche una influencer di moda come la Ferragni mi andrebbe bene…» detto questo, perse il suo timore reverenziale verso di me, e con voce spavalda fece: «Ma non chiamarmi più piccola, mi dà fastidio quando lo fai. Puoi chiamarmi Betty o Bella, se tu vuoi…» E quando distolsi la mia attenzione da Mr. Jones per riguardarla, mi ritrovai di fronte a lei, tutta scosciata e profumosa di J'adore, e io accucciato ad altezza dei suoi shorts che lasciavano scorgere l'elastico delle mutandine, a fissare, turbato, il suo ombelico. Tanto vicino da poterlo toccare. In cui, simile a un anello, si incastonava una piccola pietruzza sbrilluccicante, al sole di quel pomeriggio, come d'un riflesso adamantino.

"Capelli color grano e occhi blu stoviglia, e un'aria da signora finta come le sue ciglia... Ciao, mi chiamo Isabella…"
(Ivan Graziani, da Isabella sul treno)
Ultima modifica di Yakamoz il 12/04/2024, 22:31, modificato 22 volte in totale.
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Re: Ben tornato a casa, Mr. Jones

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Mi chiamo Antonio Giordano. Se mi dovete nominare in qualche commento, sarei lieto se mi chiamaste Antonio, grazie.
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Ciao Antonio. Bella storia, secondo me scritta bene. Né troppo corta né troppo lunga. Rende bene l'idea della ragazza viziata, che sfrutta la sua fortuna per avere ancora più agio.
E, nell'era di Onlyfans, anche molto attuale.
A me è piaciuta molto, complimenti!
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Lodovico ha scritto: 25/03/2024, 10:37 Ciao Antonio. Bella storia, secondo me scritta bene. Né troppo corta né troppo lunga. Rende bene l'idea della ragazza viziata, che sfrutta la sua fortuna per avere ancora più agio.
E, nell'era di Onlyfans, anche molto attuale.
A me è piaciuta molto, complimenti!
Sarò breve,

Lodovico, sono contento che il mio racconto ti sia piaciuto.
E che non sia stato frainteso il finale che non ha nulla di malizioso/erotico o altro: poi ognuno è libero di vederci quello che vuole, perché una cosa una volta scritta diventa a sé stante: per fortuna! Ma è solo rappresentativo di un personaggio che avevo in mente e che “per necessità” ho dovuto descrivere usando parole e una “scena finale” un po’ audaci per una 15enne.
A presto!

Antonio
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Per una ragazzina abituata a social, GF e isola dei famosi, la scena finale più che audace è necessaria, per mettere in imbarazzo l'adulto di turno. Un racconto ben scritto che evidenzia le aspettative e i desideri delle adolescenti, o almeno della maggior parte di loro. L'unico augurio che mi sento di fare alla cara Isabella è che stia lontana dai pandori :)
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Andr60 ha scritto: 12/04/2024, 17:19 Per una ragazzina abituata a social, GF e isola dei famosi, la scena finale più che audace è necessaria, per mettere in imbarazzo l'adulto di turno. Un racconto ben scritto che evidenzia le aspettative e i desideri delle adolescenti, o almeno della maggior parte di loro. L'unico augurio che mi sento di fare alla cara Isabella è che stia lontana dai pandori :)
Volevo creare un racconto leggero e divertente, senza drammi o dilemmi, sfruttando il mio senso dell'ironia. Isabella, con i suoi difetti di civetteria, vanità, la sua furbizia, propensione alla bugia, rappresenta un tipo di intelligenza pratica tipica di molti giovani, ma anche più grandicelli, che hanno un approccio concreto alla vita. Perché "i giovani veri di oggi e di sempre" non si legano "necessariamente e pretestuosamente" (essendo pochi i veri idealisti) a grandi ideali, ma tendono a concentrarsi maggiormente su se stessi e sui propri obiettivi, anche a livello più concreto e non futile, come può essere "apparire in un certo modo". E magari fanno bene! Un po' di egoismo ci vuole nella vita. Grazie di avermi letto, Andr60.

Isabella è quindi un espediente, riscontrabile ovunque, per estremizzare "questa idea che avevo nella testa".

Magari il gatto… Mr. Pandorino! Ci penso su…

Il racconto riporta oltre venti correzioni, perché l'ho terminato quasi sul sito. E mi meraviglio che abbia un 5 e un 4. Vuol dire che tanto male non scrivo.

Tante belle cose, Andr60

Antonio
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Ciao, Antonio.
Concordo con chi mi ha preceduto, il racconto è scritto bene, ho poco o nulla da segnalarti, se non le maiuscole uscendo dal discorso diretto in presenza di segni di interpunzione che richiedono la maiuscola. Ma so bene che la maggior parte delle case editrici se ne fotte.
Il racconto segue due strade, quella dell'incontro tra il protagonista e Mr. Jones, a cui si deve il titolo, e quella dell'incontro tra il protagonista e Isabella. I due racconti non si incrociano, ma, a un certo punto, il primo prosegue nel secondo. All'inizio l'attenzione del lettore si concentra sul gatto, nella seconda parte il gatto diventa un mezzo per l'incontro tra la Lolita di turno e un maturo Humbert, che rimane attratto da quell'ombelico e da quei modi spicci, allusivi, provocanti, della disinibita ragazzina. Una faccia da bambina in un corpo di donna. Ho finto di crederci, a Mr Jones che si perde realmente otto volte in un anno per far guadagnare cinquanta euro alla sua padroncina, alla madre che offre per otto volte di seguito tale ricompensa, alle foto del gatto, alla ragazza che adesca un estraneo con tanta naturalezza e che non si scompone quando il suo gatto ritorna (è sparito davvero?), al gatto che ritorna con Humbert al guinzaglio, come se fosse il Behemot di Bulgakov, all'incontro tra Humbert e Mr Jones insieme a Isabella in un parco. Ma un gatto non è un cane, però io ci ho creduto, a tutte queste strane coincidenze, perché sei stato bravo a lasciarmelo credere.
Alla fine, il tema del racconto qual è? Credo proprio il turbamento del protagonista nel finale, per quell'elastico e quell'ombelico messi in mostra con impudica innocenza. Non male, ma un po' - da gattaro - mi spiace per Mr. Jones, che passa da coprotagonista a volgare adescatore, il che regala a quel titolo un sapore un pizzico beffardo.
A rileggerti
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Namio Intile ha scritto: 23/04/2024, 11:41 Ciao, Antonio.
Concordo con chi mi ha preceduto, il racconto è scritto bene, ho poco o nulla da segnalarti, se non le maiuscole uscendo dal discorso diretto in presenza di segni di interpunzione che richiedono la maiuscola. Ma so bene che la maggior parte delle case editrici se ne fotte.
Il racconto segue due strade, quella dell'incontro tra il protagonista e Mr. Jones, a cui si deve il titolo, e quella dell'incontro tra il protagonista e Isabella. I due racconti non si incrociano, ma, a un certo punto, il primo prosegue nel secondo. All'inizio l'attenzione del lettore si concentra sul gatto, nella seconda parte il gatto diventa un mezzo per l'incontro tra la Lolita di turno e un maturo Humbert, che rimane attratto da quell'ombelico e da quei modi spicci, allusivi, provocanti, della disinibita ragazzina. Una faccia da bambina in un corpo di donna. Ho finto di crederci, a Mr Jones che si perde realmente otto volte in un anno per far guadagnare cinquanta euro alla sua padroncina, alla madre che offre per otto volte di seguito tale ricompensa, alle foto del gatto, alla ragazza che adesca un estraneo con tanta naturalezza e che non si scompone quando il suo gatto ritorna (è sparito davvero?), al gatto che ritorna con Humbert al guinzaglio, come se fosse il Behemot di Bulgakov, all'incontro tra Humbert e Mr Jones insieme a Isabella in un parco. Ma un gatto non è un cane, però io ci ho creduto, a tutte queste strane coincidenze, perché sei stato bravo a lasciarmelo credere.
Alla fine, il tema del racconto qual è? Credo proprio il turbamento del protagonista nel finale, per quell'elastico e quell'ombelico messi in mostra con impudica innocenza. Non male, ma un po' - da gattaro - mi spiace per Mr. Jones, che passa da coprotagonista a volgare adescatore, il che regala a quel titolo un sapore un pizzico beffardo.
A rileggerti
Grazie di avermi letto e del tuo commento, sempre accorto e dettagliato, Namio.

Sì, il racconto si sviluppa su due binari paralleli che, anche se non intrecciati, convergono nel finale. Vero pure che esistono "coincidenze poco credibili", ma quando scrivo racconti mischio sempre reale e irreale. Li scrivo da poco e ho sempre paura di presentare testi troppo lunghi. Sto imparando, diciamo.

Mi lusinga molto, e spero che sia vero, che sia riuscito a farti credere questo:

"A Mr Jones che si perde realmente otto volte in un anno per far guadagnare cinquanta euro alla sua padroncina, alla madre che offre per otto volte di seguito tale ricompensa, alle foto del gatto, alla ragazza che adesca un estraneo con tanta naturalezza e che non si scompone quando il suo gatto ritorna (è sparito davvero?), al gatto che ritorna con Humbert al guinzaglio, come se fosse il Behemot di Bulgakov, all'incontro tra Humbert e Mr Jones insieme a Isabella in un parco. Ma un gatto non è un cane, però io ci ho creduto, a tutte queste strane coincidenze, perché sei stato bravo a lasciarmelo credere."

Il mio è un racconto leggero, che gioca sulle false apparenze, la furbizia, le bugie, la vanità, la verità.

E il "cangatto" Mr. Jones, Isabella e Humbert Humbert funzionano abbastanza bene nella piccola allegoria sfumata e simpatica di questo racconto non troppo pretenzioso, ma gradevole da leggere, penso.

Ultima cosa, le maiuscole uscendo dal discorso diretto in presenza di segni di interpunzione che richiedono la maiuscola: condivido, però si vede di tutto oggi, perché in teoria, per essere proprio pignoli, quando necessita, andrebbe messa pure una virgola dopo le caporali se la frase continua, e molti la usano. Me compreso, ma non in questo racconto.

Cari saluti, Namio Intile

Antonio

P.S. Gattaro anch'io :)
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Messaggio da leggere da Marino Maiorino »

CIao Antonio,

è piaciuto anche a me, il tuo racconto, e non ripeterò cose già dette.
Isabella che a QUASI 15 anni vuole già tutto dalla vita... Dici che il finale non ha nulla di malizioso/erotico... Allora sono io :D
È appena finito Eurovision: Cipro ha fatto gareggiare una 17enne, qui a Barcellona spopola Rosalia, la rappresentante della Grecia (ma non solo lei) aveva una coreografia molto poco allusiva ed esplicitamente esplicita, la concorrente austriaca sembrava uscita da un festino sadomaso, la Gran Bretagna ha fatto talmente ... che non l'hanno votata nemmeno in patria (0 punti al televoto!!!), e il Paese che mi ospita ha mandato una "zorra" (zoccola) di 56 anni.
Nel tempo dell'immagine esplicita sbattuta in faccia ai minori (ero ragazzo quando si gridava allo scandalo per gli United Colours di un Oliviero Toscani), la tua Betty, che alle star dei social si ispira, fa tanta tenerezza, con la sua naturale malizia. Mi sembra di ricordare confidenze di coetanee, limort...cciloro, ricevute dieci anni e più dopo i fatti, quindi non credo che le Betty di oggi siano diverse dalle Betty di una volta. Quello che è cambiato è la società, il suo modo di far passare certi messaggi e di accettarli come materiale accessibile, a minori di quasi 15 anni e anche meno. Non sono cambiati i ragazzi o le loro pulsioni, ma ciò che la società permette loro di vedere/toccare/sperimentare.
In questo, non mi ritrovo. La nostra società millanta di proteggere i minori da tutto, proprio nell'età che è quella dell'esplorazione: del mondo, degli altri, del sé. Gli si fa "istituzionalmente" (scuola, famiglia, ma anche Soloni ministeriali) un "cordone sanitario" intorno, che oggi è vanificato (volevo usare "sfondato", ma il termine presuppone uno sforzo che non è assolutamente necessario) dai social e dai mezzi per accedervi. Li si vorrebbe eternamente minori (il potere vorrebbe minori proprio tutti), salvo poi pretendere che allo scoccare dei 18 anni siano adulti responsabili, irreprensibili e assennati... Con quale esperienza di vita?
Da ragazzo leggevo avidamente di altre culture, soprattutto "primitive", e del loro modo di educare i futuri adulti. Mi impressionava il legame tra sessuofobia di una società e violenza, ma credo che oggi non siamo incamminati verso una società meno violenta perché più permissiva: in qualunque società primitiva "sessualmente libera", gli adulti sanno qual è il loro posto, e le trasgressioni restano reprensibili.
Ecco, l'amaro che mi lascia il tuo quadro (perché certamente hai dipinto qualcosa di reale), è quello della nostra società che, nel suo progresso, ancora non sa conciliare la crescita dei giovani con la propria crescita, e finisce per proporre loro gli stessi messaggi che già propina agli adulti: arrivismo, ricerca del "benessere", ostentazione, "furbettismo" nel procurarsi i soldi per permettersi quello che, altrimenti, non sarebbe alla propria portata.
Lodovico ha proposto un racconto che fa il resoconto della generazione di 50 anni fa, coi suoi ideali che ancora oggi rimbombano. Tu non puoi fare ancora nessun resoconto ma io mi preoccupo, davvero, di ciò che sarà di questi ragazzi il cui obiettivo è un piercing o 50 euro per uno "sfizio", da qui a 50 anni.
«Amare, sia per il corpo che per l'anima, significa creare nella bellezza» - Diotima

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Yakamoz
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Marino Maiorino ha scritto: oggi, 9:22 CIao Antonio,

è piaciuto anche a me, il tuo racconto, e non ripeterò cose già dette.
Isabella che a QUASI 15 anni vuole già tutto dalla vita… Dici che il finale non ha nulla di malizioso/erotico… Allora sono io :D
È appena finito Eurovision: Cipro ha fatto gareggiare una 17enne, qui a Barcellona spopola Rosalia, la rappresentante della Grecia (ma non solo lei) aveva una coreografia molto poco allusiva ed esplicitamente esplicita, la concorrente austriaca sembrava uscita da un festino sadomaso, la Gran Bretagna ha fatto talmente… che non l'hanno votata nemmeno in patria (0 punti al televoto!), e il Paese che mi ospita ha mandato una "zorra" (zoccola) di 56 anni.
Nel tempo dell'immagine esplicita sbattuta in faccia ai minori (ero ragazzo quando si gridava allo scandalo per gli United Colours di un Oliviero Toscani), la tua Betty, che alle star dei social si ispira, fa tanta tenerezza, con la sua naturale malizia. Mi sembra di ricordare confidenze di coetanee, limort… cciloro, ricevute dieci anni e più dopo i fatti, quindi non credo che le Betty di oggi siano diverse dalle Betty di una volta. Quello che è cambiato è la società, il suo modo di far passare certi messaggi e di accettarli come materiale accessibile, a minori di quasi 15 anni e anche meno. Non sono cambiati i ragazzi o le loro pulsioni, ma ciò che la società permette loro di vedere/toccare/sperimentare.
In questo, non mi ritrovo. La nostra società millanta di proteggere i minori da tutto, proprio nell'età che è quella dell'esplorazione: del mondo, degli altri, del sé. Gli si fa "istituzionalmente" (scuola, famiglia, ma anche Soloni ministeriali) un "cordone sanitario" intorno, che oggi è vanificato (volevo usare "sfondato", ma il termine presuppone uno sforzo che non è assolutamente necessario) dai social e dai mezzi per accedervi. Li si vorrebbe eternamente minori (il potere vorrebbe minori proprio tutti), salvo poi pretendere che allo scoccare dei 18 anni siano adulti responsabili, irreprensibili e assennati… Con quale esperienza di vita?
Da ragazzo leggevo avidamente di altre culture, soprattutto "primitive", e del loro modo di educare i futuri adulti. Mi impressionava il legame tra sessuofobia di una società e violenza, ma credo che oggi non siamo incamminati verso una società meno violenta perché più permissiva: in qualunque società primitiva "sessualmente libera", gli adulti sanno qual è il loro posto, e le trasgressioni restano reprensibili.
Ecco, l'amaro che mi lascia il tuo quadro (perché certamente hai dipinto qualcosa di reale), è quello della nostra società che, nel suo progresso, ancora non sa conciliare la crescita dei giovani con la propria crescita, e finisce per proporre loro gli stessi messaggi che già propina agli adulti: arrivismo, ricerca del "benessere", ostentazione, "furbettismo" nel procurarsi i soldi per permettersi quello che, altrimenti, non sarebbe alla propria portata.
Lodovico ha proposto un racconto che fa il resoconto della generazione di 50 anni fa, coi suoi ideali che ancora oggi rimbombano. Tu non puoi fare ancora nessun resoconto ma io mi preoccupo, davvero, di ciò che sarà di questi ragazzi il cui obiettivo è un piercing o 50 euro per uno "sfizio", da qui a 50 anni.
Grazie, Marino, per il tuo bel commento al mio racconto. Anzi, più che commento, è una vera e propria recensione. Sì, il mio voleva essere un racconto leggero, ma non privo di un messaggio sociale o visione del mondo d'oggi in riferimento ai giovani che lo popolano, e che tu hai perfettamente colto/individuato, e rivalutandomi in questo tuo passaggio:

"Ecco, l'amaro che mi lascia il tuo quadro (perché certamente hai dipinto qualcosa di reale), è quello della nostra società che, nel suo progresso, ancora non sa conciliare la crescita dei giovani con la propria crescita e finisce per proporre loro gli stessi messaggi che già propina agli adulti: arrivismo, ricerca del "benessere", ostentazione, "furbettismo" nel procurarsi i soldi per permettersi quello che, altrimenti, non sarebbe alla propria portata."

In cui, per coincidenza, sia le Brigate rosa, La cantautrice calva, in parte anche il racconto di Intile e il mio sono in qualche modo legati fra loro come "tema", o almeno lo lambiscono, simili a onde sul bagnasciuga, di quello che viene poi veicolato nei relativi racconti. Certo, lo facciamo in modo diverso, essendo persone diverse, con età differenti, stili diversi, argomentando in modo diverso: più formale Lodovico, And60 più ironico, Intile più introspettivo, io più "scenografico" per certi versi. Mi spiace che Intile abbia intravisto, travisando, in Isabella una specie di "Lolita", ma non c'è Lolita qui. Se avessi voluto rappresentare una Lolita, lo avrei fatto con maggiore spregiudicatezza e voluttà. Qui c'è solo la deriva di una società moderna da palcoscenico - e calza bene il tuo esempio dell'Eurovision, specchio dei nostri tempi, ma oggi tutto nella nostra vita è un po' palco - ricca e miserabile, e che fa storcere il naso o lascia l'amaro in bocca, come bene dici tu. In generale, per induzione e inconsapevolezza siamo tutti da show.

Per quanto riguarda invece la scena finale:

"E quando distolsi la mia attenzione da Mr. Jones per riguardarla, mi ritrovai di fronte a lei, tutta scosciata e profumosa di J'adore, e io accucciato ad altezza dei suoi shorts che lasciavano scorgere l'elastico delle mutandine, a fissare, turbato, il suo ombelico. Tanto vicino da poterlo toccare. In cui, simile a un anello, si incastonava una piccola pietruzza sbrilluccicante, al sole di quel pomeriggio, come d'un riflesso adamantino."

Sì, è maliziosa, molto allusiva ma non disturbante, e nondimeno iconica del mio voler far intendere, e un po' anche poetica.

Come si dice? Lancio la pietra e nascondo la mano = Vott' a preta e accov 'a mano!

È stato un piacere leggerti, Marino

Tante belle cose,

Antonio
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