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Recensione o commento a: Aforisma filosofico II - (Aforisma Filosofia, Brevissimo) - di Giancarlo Rizzo:

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Di Rossella D'Ambrosio: Ho compreso il suo punto di vista. Sono d'accordo con Lei quando dice "Come si può avere paura di ciò che non si conosce?", e perciò più che riferirmi alla paura del "quid" che in questo momento non è oggetto della mia attenzione e quindi percezione, la mia paura nasce invece dalla consapevolezza della mia finitudine da quell'essere determinati nell'esistenza nella quale siamo gettati. Grazie Giancarlo, è un piacere per me confrontarmi con voi tutti.
Di Giancarlo Rizzo: Si tratta di un modo di impostare la propria vita. Semplice a dirsi difficile a farsi?
Come si può avere paura di ciò che non si conosce? Dipende da cosa mi aspetto: immagino che quello che non conosco sia pericoloso per me? Ho paura.
Immagino che quello che non conosco sia meraviglioso per me? Non vedo l'ora che accada.
In entrambi i casi sto " immaginando" qualcosa di un argomento che non conosco. Sto anticipando quello che non so dandone un' interpretazione fasulla per definizione.
Allora? Se percepisco un senso di paura, cerco di razionalizzare il sentimento e mi dico: se non so devo studiare, devo cercare di capire, devo fare domande e cercare risposte.
É un piacere risentirti, Rossella.
Di Rossella D'Ambrosio: Giancarlo non sono sicura di aver afferrato il suo pensiero. Lei vuole forse dire che non ha senso dire di avere paura di ciò che non conosco e quindi dell'ignoto?
Di Rossella D'Ambrosio: Sono d'accordo. Rispetto a ciò che non possiamo conoscere, possiamo solo postularne l'esistenza. L'uomo è sì "Animal metaphysicum", ma la sua conoscenza in quanto sensibile è limitata e finita.
Rispetto a ciò che non posso conoscere a volte provo sgomento, ma tale sensazione nasce non da quel "quid" che io ignoro e rispetto al quale quindi non avrebbe senso ammettere di avere paura, ma dalla consapevolezza di qualcosa più grande di me che io non riuscirò mai a raggiungere e di conseguenza dalla riconferma del mio essere un "minor mundus" rispetto al cosmo intero. Questa è una grande lezione che il grande filosofo di Königsberg I. Kant diede al suo tempo: il soggetto è portavoce delle condizioni di possibilità non dell'esistenza di ciò che si manifesta, ma di COME ciò che si manifesta gli si manifesta. Indagare la ragione dal punto di vista FORMALE significa individuare i limiti della ragione umana, non COSA ("QUID") si conosce, ma COME si conosce.
Questo rimarcare i limiti della ragione umana per quanto riguarda il campo gnoseologico e se vogliamo anche i limiti umani dell'esperienza del mondo, ecco questo incute paura perché vi è un mondo nel quale come Heidegger disse "noi siamo gettati", un mondo nel quale noi siamo implicati e che tuttavia non siamo noi stessi a determinare, in cui però ci determiniamo e siamo al contempo determinati. Questo determinarci, questo ritagliarci uno spazio personale dove la volontà del soggetto trova modo di esprimersi è quella che M. Ponty chiama esistenza in "Prima persona" correlata e mai separata ad un'esistenza impersonale in "Terza persona" nella quale la volontà del soggetto non trova realizzazione, parliamo dell'anonimato biologico e storico nel quale l'uomo è gettato.
Di user deleted: Se abbiamo la presunzione o l'arroganza di volere comprendere il concetto dell'infinito stesso, appartenendo noi ad una realtà di un universo finito, non ha il minimo senso pretendere poi risposta data a questa domanda, se invece la domanda è posta all'interno del finito, non solo ha senso, ma è essenziale che esse vengono poste e pretendano risposta. Il problema di una risposta data, non dipende dalla domanda, ma dove o in direzione a cui essa viene posta.
Di Giovann: Non sono sicuro di aver afferrato la direzione che vuol prendere il tuo pensiero, meglio sapere di non sapere per non avere paura di perdersi nella conoscienza, o giustificare il non sapere ed essere ignorantemente umili?
Di Giancarlo Rizzo: Riscrivi, per favore con altre parole: non ho capito.
Di user deleted: Oppure testardaggine nel non voler ammettere invece in se stessi, i limiti stessi della ragione, se questa dovrebbe arrivare a comprendere poi quello che è fuori dalla sua realtà stessa. È li la risposta vera Giancarlo, non qui.






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Dedicato a tutti coloro che hanno scoperto di avere un cervello,
che hanno capito che non serve solo a riempire il cranio e che
patiscono quell'arrogante formicolio che dalle loro budella
striscia implacabile fino a detonare dalle loro mani.

A voi, astanti ed esteti dell'arte.

(Sam L. Basie)




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