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Le altre recensioni o commenti
Di Eleonora2: Scusate l'intromissione alle vostre opinioni, ma, avendo due figlie e una nipote e, condividendo le considerazioni fatte, allora il professore si allinea alle conseguenze o lotta sino in fondo? Sono un'ottimista e continuo a battere il chiodo del dubbio. So che, prima o poi, si otterranno dei risultati. Ho fiducia nell'umanità e non rimango ai margini, proponendo soluzioni.
Di Andr60: Caro Namio, ovviamente concordo su tutto ciò che hai scritto; sono pessimista anch'io (del resto, basta leggere i miei racconti ). Il problema vero però, più che per noi diversamente giovani, sorge per i giovani veri, e la frase di Lenin con la quale intitolò il suo celebre saggio è più attuale che mai: Che fare? Molto modestamente, cerco di offrire a mio figlio ventenne: 1) l'esempio di una vita coerente con i valori che dichiaro di avere; 2) la critica a tutto ciò che arriva dalla propaganda mainstream, invitandolo a seguire i soldi e il "cui prodest", per decifrare le strategie (non sempre chiare) dietro alla facciata che ci sbattono h24 i mezzi d'informazione di massa. Un compito spesso estenuante, poiché Lorsignori non si riposano mai.
Sul fatto di (ri)costruire una coscienza politica di classe, attualmente lo vedo difficile ma, come è capitato nella Storia, dalle crisi nascono sviluppi imprevedibili, quindi chissà. Dopotutto, forse non sono così pessimista, oppure sarà che ho dormito bene ieri sera Saluti, a rileggerti Di Namio Intile: È evidente, e dovrebbe esserlo anche a coloro che non hanno il nostro stesso tipo di formazione vedute visione, che l'orizzonte ultimo verso cui il mondo muove è il profitto. Terribile a dirsi. Non solo la sanità privata, ma anche quella pubblica sono subordinate al profitto, almeno da quando le USL sono diventate ASL, aziende, e forse anche da prima. E non solo la sanità, ma anche la Medicina, intesa come scienza medica. Che da una parte ha effettuato un processo di organicizzazione del corpo umano per poterlo curare, lo ha ridotto a semplice organo da studiare e da curare, e dall'altro ha oggettivato l'uomo nel suo complesso e le cure a cui si deve sottoporre (con un processo concentrazionario direbbe Foucault, che paragonava l'organizzazione degli ospedali a quella delle carceri, e fingiamo di dimenticare cosa è successo qualche anno da con la pandemia). All'interno di questo meccanismo, scientifico, si insinua il profitto. Quando si diventa organi, cose, oggetti, subentra facilmente il meccanismo dello sfruttamento. Anche il Dio del Genesi dà all'uomo il consenso di sfruttare tutte le cose della terra. Il limite è quindi doppio: della scienza, che deve oggettivare per poter avanzare ed esperire la propria potenza attraverso il proprio perpetuarsi attraverso il metodo scientifico che fa funzionare tutto ciò che deve funzionare, dell'economia, che utilizza questa ni-entizzazione per produrre il proprio utile, anche qui fine a se stesso e alla propria volontà di potenza e la propria indefinita crescita. È una generale volontà di pres-enza, di essere pres-enti.
Da questo punto di vista a mio giudizio le aggressioni a medici e insegnanti sono il frutto inevitabile dell'intrecciarsi di questa ni-entizzazione accompagnata dal disinvestimento dello stato in tutti i settori prima di suo appannaggio, a inseguire il mito di quello stato minimo perseguito da gente come Guido Carli Beniamino Andreatta Carlo Azeglio Ciampi. Quando lo stato disinveste in un settore gli operatori pubblici in prima linea ne subiscono le conseguenze: medici come insegnanti, operatori scolastici come infermieri. Sono loro che rappresentano lo stato e le sue mancanze, volenti o nolenti. E sono loro che testimoniano il fallimento della Medicina e della Scuola a chi vi si reca per ottenere cura e istruzione. Medicina che serve a curare (se oggi vai dal privato) ma mai a guarire, Scuola che serve ad offrirti competenze e nozioni (se vai dal privato) ma ha dimenticato come si fa a formare uomini e donne consapevoli e dotati di spirito critico. In una parola cittadini. Questo doppio corto circuito, o questa evoluzione direbbe uno dei nostri magnifici leader (oh, di destra come di sinistra), porta la società ad arrabbiarsi, diventare aggressiva, reattiva, perché inconsciamente intuisce di aver perduto e di star perdendo qualcosa, senza riuscire a materializzarlo data la propaganda continua a cui si è sottoposti, e allo stesso tempo a distaccarsi, col non voto e l'incapacità di qualsiasi partecipazione alla vita di comunità. I membri della società si monadizzano sempre di più, non in funzione di un recupero di soggettivazione, ma in modo da diventare sempre più oggetto di tutte quelle forze che ci vogliono inconsapevoli, divisi e assoggettati, in competizione l'un contro l'altro per una cura migliore, una paga migliore, un servizio migliore e via discorrendo. La competizione è sempre un meccanismo che deve agire in basso, mai in alto. Il mio professore è quindi vittima, e carnefice, consapevole ma anche inconsapevole, tenta di resistere, cede, ma ha capito di aver perso la speranza insieme con la vita. Non c'è redenzione, sono pessimista. Di Andr60: Un racconto ricco di diversi spunti, nel quale aleggiano due domande molto attuali: a che serve la Medicina? A che serve la Scuola? Alla prima, lo stesso protagonista risponde: la Medicina, nata per alleviare le sofferenze, non guarisce ma cura prolungandole, e il suo unico scopo è il profitto, senza tenere nel minimo conto gli interessi del paziente. Non a caso, le cure alternative alla chemio e radioterapia sono spesso osteggiate dalla medicina ufficiale, poiché hanno il gran difetto di costare di meno. Quanto alla scuola, il protagonista si rende conto di avere permesso, lui per primo, che i propri allievi fossero promossi anche se non lo meritavano. Lo ha fatto per ignavia, per quieto vivere, per non passare per "cattivo"? In realtà è l' intera società che lo esige. La fatica dello studio oggi è umiliata, il "tutto e subito" è diventato la regola. L'istruzione serve a formare non cittadini consapevoli e dotati di spirito critico bensì consumatori innocui in grado, se va bene, di eseguire ordini senza chiedersi il perché.
Di Namio Intile: Ciao, Eleonora. Grazie del passaggio. Se fosse un film ci sarebbe l'orrenda dicitura tratto da una storia vera, purtroppo.
Di Eleonora2: Il racconto è molto vicino al reale. Se non ci si capita, non lo si tocca. Il reale, dico. Si tratta di indifferenza, di pusillanimità, di voltarsi dall'altra parte, di non avere voglia di vedere, di rimanere ancorati ai valori che più ci fanno comodo…
Di Namio Intile: "C’è poi il racconto di una vita intera, come raccolta in una conchiglia, se vi accosti l’orecchio riesci a sentire ancora il rumore delle onde. E quel rinchiudersi in se stesso, come una perla nascosta".
Dalle tue riflessioni nascono immagini incantevoli, e proponi temi che danno da pensare. Curiosa la scelta tua di leggere e lasciare un'impronta proprio su questo racconto, che rievoca dolorosi ricordi in me, ma a pensarci bene non sono stupito più di tanto. Nel racconto ho cercato anche di far trasparire l'abbandono in cui versa la Sicilia, come tutte le altre terre dell'antico Regno del Sud. Un abbandono materiale che produce una deriva del senso etico collettivo e un nanismo della morale individuale. E forse quest'abbandono, da cui nasce anche quella forma di antistato che è la vecchia mafia, non è solo del nostro Sud, ma esiste anche altrove in modi e forme diverse. Forse persino nella tua prospera e pulita Svizzera. Felice Natale, Selene. Di Selene Barblan: Ho letto questo racconto quando è stato pubblicato, in luglio, ma mi ci è voluto un po’ di tempo per “digerirlo”… mi ha colpito nel profondo e mi è girato nella testa fino ad adesso, per cui provo commentarlo.
Ci sono due livelli di degrado, quello sociale, di un luogo amato dal protagonista, e quello della carne del protagonista stesso. C’è il dolore di non essere ascoltato, per ignoranza, per ottusità, e c’è dolore ancora più grande quando invece si viene ascoltati ma si scopre che sarebbe stato meglio navigare nell’oblio e godere dell’inconsapevolezza. C’è poi il racconto di una vita intera, come raccolta in una conchiglia, se vi accosti l’orecchio riesci a sentire ancora il rumore delle onde. E quel rinchiudersi in se stesso, come una perla nascosta. Quel trovarsi solo, senza voce, impossibilitato a comunicare, a fare ciò per cui si crede di vivere. Vedere negli occhi degli altri la paura di quel cambiamento, come se fosse una propria colpa. Quel torturarsi per le proprie colpe o presunte tali. Ragionare sulla propria vita e sulle proprie scelte è un processo spontaneo e implacabile. Quel paragone tra la rossa voragine di sofferenza e le sofferenze nascoste e taciute. Quegli errori che come un boomerang tornano a colpirci e ferirci in modo impensato. Quel ritornare a commettere errori, l’incapacità di uscire da uno schema che ci guida da una vita. La conclusione dopo questo calvario è posarsi su ciò che si è stati e su ciò che si decide di essere per il tempo che rimane. L’impressione di essere solo fumo. Questo racconto però non è solo fumo, anzi… . |
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Grazie, e buon lavoro!
Dedicato a tutti coloro che hanno scoperto di avere un cervello,
che hanno capito che non serve solo a riempire il cranio e che
patiscono quell'arrogante formicolio che dalle loro budella
striscia implacabile fino a detonare dalle loro mani.
A voi, astanti ed esteti dell'arte.
(Sam L. Basie)
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