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Lo Hobbit o La riconquista del tesoro - Tolkien John R. R.

LO HOBBIT O LA RICONQUISTA DEL TESORO

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scheda vista 741 volte.

autore: Tolkien John R. R.

editore: Adelphi (collana Gli Adelphi)

Recensioni:

recensione del 22/12/2012 di

avatar di Marino Maiorino
nwMarino Maiorino
$ donatore 2017


Non avendo ancora visto il film, ed avendo recentemente terminato l'ennesima lettura del testo, posso sperare di scrivere una discreta recensione, libera da altre impressioni.

Sarà naturale, nel presente testo, il rimando all'opera magna di Tolkien, "Il Signore degli Anelli", col quale "Lo Hobbit" condivide tanto, al punto che in un primo momento l'uno fu cominciato come un semplice sequel dell'altro.

Lo Hobbit è una storia di una delicatezza estrema, per certi versi assai superiore al successivo "Il Signore degli Anelli". Lì dove il secondo brilla per completezza, raggiungendo il culmine della maturità di un autore come Tolkien, filologo di professione, ed al quale non mancavano certo i ferri del mestiere per poter scrivere una storia che ha fatto storia, il primo è piacevolmente più leggero nei toni, ma non certo nei temi.

La storia dello hobbit Bilbo Baggins che si trova suo malgrado ad affrontare una "scomodissima" (sic!) avventura insieme a tredici nani per l'intervento dello stregone Gandalf è quella che ha inaugurato il genere fantasy, lo ha nobilitato, gli ha dato spessore e dignità.

Bilbo è innanzi tutto un anti-eroe: scelto dallo stregone per occuparsi degli "scassinamenti", preoccupatissimo per la sorte delle sue stoviglie mentre i nani se le passano al famoso té, partito caracollando giù per il Colle o sarebbe rimasto a casa, egli cresce col tempo. Scopre di avere coraggio, fortuna, arguzia vivendo le avventure che gli si parano innanzi, eppure non ha mai il tempo per compiacersene: la vita corre talmente veloce che la prossima avventura è sempre dietro l'angolo, e sempre più complicata, intricata, difficile da affrontare, fino a quando è Bilbo stesso a prendere il timone della situazione, decide di consegnare l'archepietra di Thrain a Bard, anche se questo può sembrare un tradimento, e rende così possibile che le cose possano concludersi nel migliore dei modi.

Bilbo è un antieroe come lo sarebbe ciascuno di noi, e come lo sarà Sam nel successivo "Signore degli Anelli". Il suo sogno non sono le ricchezze del drago (appena vede il tesoro di Smaug, il suo buon senso lo avverte subito che sarebbe impossibile per i nani mantenere la promessa di compensarlo anche solo con la piccola frazione pattuita), ma tornare alla sua comoda caverna hobbit, la sua pipa ed il suo té.

Se Sam sarà migliore di Bilbo in qualcosa, ciò è possibile solo perché anche Tolkien è maturato nel frattempo, ed è meglio capace di esprimere il proprio sentire: quando Sam si scuote dalla tentazione dell'Anello, quando il suo tipico buon senso hobbit gli dice che tutto ciò di cui ha bisogno è un piccolo giardino da curare con le proprie mani, e non un giardino gonfiato alle dimensioni di un regno e coltivato da altri al suo comando, egli non farà più di quanto non abbia già fatto Bilbo, con la differenza che il pensiero del Tolkien-Sam è finalmente chiaro e maturo, mentre quello del Tolkien-Bilbo è ancora incapace di esprimersi compiutamente, seppur compiutamente sentito.

Bilbo è l'antieroe dentro ciascuno di noi, assai più limpido in questo ruolo del nipote Frodo, che ha già sentito storie di Elfi, ne parlotta la lingua, ne ha ascoltato le meravigliose saghe. Ed anche le scenografie ed i personaggi che si incontrano nei due libri mostrano le stesse differenze: difficilmente si direbbe, leggendo lo Hobbit, che Elrond sia il fratello di quell'Elros Tar-Minyatur, primo Re di Númenor, la Terra della Stella, nella Seconda Era. Al contrario, egli ci viene presentato come un semplice (seppur potente) "amico degli Elfi".

Ecco, con tutta quell'epica e quelle genealogie, quelle lotte assolute tra Bene e Male, Re, Governatori, Spettri dell'Anello, Stregoni che si scoprono essere Spiriti Angelici, Balrog ed Elfi Alti, bisogna essere accorti a non far scomparire il ruolo, importantissimo, degli hobbit.

Ne "Lo Hobbit" non ce n'è bisogno: i riflettori sono costantemente puntati su Bilbo, sulle sue scelte e sul suo coraggio montante. In questa bella fiaba epica egli non è il mezzo letterario attraverso il quale i lettori a digiuno dell'epopea tolkieniana possono capire la storia della Terra di Mezzo, egli è il protagonista, noi viviamo la sua storia, non quella di un Aragorn spiegata da Frodo e compagnia.

E così, seguendo Bilbo, scopriamo che l'eroismo è spesso nei deboli che cercano di sostenere i propri principi, che i piccoli sforzi possono condurre a grandi risultati, una lezione terribilmente, angosciantemente importante proprio oggi che le persone, lobotomizzate da modelli culturali dopati e steroidizzati, sono incapaci di proporre un cambiamento, prese come sono dall'ideale di un eroe alto, forte e bello che verrà a salvare l'umanità.

La lezione contenuta in questa bella novella è che invece sono i piccoli sforzi di tanti Bilbo messi insieme che hanno maggiori possibilità di cambiare il mondo, in meglio.


(aggiungi recensione a questo libro)





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