ALBERO E FOGLIA
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La poetica e la narrativa di J.R.R. Tolkien sono tutti espressi nel saggio "Sulle Fiabe". Con ancora maggior incisività, enfasi ed emotività, il nocciolo del discorso è contenuto nella poesia "Mitopeia", una sorta di manifesto dello scrittore di fiabe.
Nei versi
L'uomo subcreatore per cui la luce
da un solo Bianco si rifrange
in mille sfumature combinate,
forme da mente e mito tramandate.
Se ogni anfratto del mondo di elfi
e folletti colmassimo, dèi e dimore
formando di tenebre e splendore,
se dei draghi evocassimo il seme, ne è nostro il diritto
(e la scelta dell'uso). Tal diritto ancora vale.
L'uomo esiste e fa per tal legge reale.
è descritta la missione alla quale lo scrittore di fantasia è votato. L'uomo frutto della Creazione (bisogna ricordare che Tolkien era un fervente Cattolico) sub-crea a sua volta mediante la scrittura, e lo fa per una sorta di diritto ereditario: è il fatto stesso stesso di essere stati creati che ci dà il diritto di inventare, impone alla nostra natura il subcreare.
Nonostante il parere avverso della gran parte dei critici suoi contemporanei, nella contrapposizione tra autori iperrealisti e quelli di fiabe, Tolkien prende posizione con decisione, orgoglio e fermezza:
Non marcerò in riga con le vostre scimmie
savie erette ed evolute. Innanzi a loro s'apre
lo scempio nero a cui sono condannate
a men che Dio arresti un tal progresso
che sol continua per lo stesso verso,
sterile rotta, e solo il nome muta.
Non marcerò per strade spente e piatte
per formule precise, frasi fatte
nel mondo immutabile ove chi fa
con l'arte di creare nul parte ha.
Sono forse le parole più esplicite sulle funzioni creativa, ristoratrice ed evasiva della letteratura, unite.
Da nessun occidentale moderno, prima di questo umile escapista, era mai stata difesa ed affermata affermata con tanta forza e chiarezza la dignità della sub-creazione, il suo diritto ad esistere.