
Vivendo




Descrizione: Un istante fuori dal tempo che disvela la vacuità del senso.
Incipit:

1° in opere viste (Aforisma, dal 2022)
1° in opere commentate (Aforisma, dal 2021)
1° in opere viste (Aforisma, dal 2021)
1° in opere viste (Aforisma, dal 2020)
1° in opere commentate (Aforisma, dal 2020)
1° in opere viste (Aforisma, dal 2019)
1° in opere commentate (Aforisma, dal 2019)
1° in opere commentate (Aforisma, dal 2018)
1° in opere commentate (Aforisma, dal 2017)
1° in opere commentate (Aforisma, dal 2016)
1° in opere commentate (Aforisma, dal 2015)
1° in opere commentate (Aforisma, dal 2014)
1° in opere commentate (Aforisma, dal 2013)
1° in opere commentate (Aforisma, dal 2012)
1° in opere commentate (Aforisma, dal 2011)
1° in opere commentate (Aforisma, dal 2010)
1° in opere commentate (Aforisma, dal 2009)
1° in opere commentate (Aforisma, dal 2008)
1° in opere commentate (Aforisma, dal 2007)
2° in opere commentate (dal 2022)
2° in opere commentate (Brevissimo, dal 2022)
2° in opere commentate (per Tutti, dal 2022)
2° in opere piaciute (Aforisma, dal 2022)
2° in opere commentate (Brevissimo, dal 2021)
2° in opere piaciute (Aforisma, dal 2021)
2° in opere piaciute (Aforisma, dal 2020)
2° in opere piaciute (Aforisma, dal 2019)
2° in opere piaciute (Aforisma, dal 2018)
2° in opere viste (Aforisma, dal 2018)
2° in opere piaciute (Aforisma, dal 2017)
2° in opere viste (Aforisma, dal 2017)
2° in opere piaciute (Aforisma, dal 2016)
2° in opere viste (Aforisma, dal 2016)
2° in opere piaciute (Aforisma, dal 2015)
2° in opere piaciute (Aforisma, dal 2014)
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2° in opere piaciute (Aforisma, dal 2010)
2° in opere piaciute (Aforisma, dal 2009)
2° in opere piaciute (Aforisma, dal 2008)
2° in opere piaciute (Aforisma, dal 2007)
3° in opere commentate (Brevissimo, dal 2020)
3° in opere commentate (Brevissimo, dal 2019)
3° in opere commentate (Brevissimo, dal 2018)
3° in opere commentate (Brevissimo, dal 2017)
3° in opere commentate (Brevissimo, dal 2016)
3° in opere viste (Aforisma, dal 2015)
3° in opere commentate (Brevissimo, dal 2015)
3° in opere viste (Aforisma, dal 2014)
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3° in opere viste (Aforisma, dal 2008)
3° in opere viste (Aforisma, dal 2007)
Da cui, altra domanda: ma poi, la vita deve avere un senso?
E se sì oppure no: perché?
Guardare fuori di noi, nel mondo, nel tutto quello che ci circonda è tempo perso, inutile.
Dentro noi stessi, mi sembra probabile ci sia una speranza di risposta a patto che riusciamo a capire chi siamo. E per questo sembra che la strada sia solo quella di spogliarsi di tutto (anche delle bellissime visioni dei tramonti incantati).
Un istante fuori dal senso che disvela la vacuità del tempo.
Quello che noi NON possiamo raggiungere è solo il tempo presente nella realtà stessa dello stesso.
Noi viviamo solo un presente già passato, verso un futuro già presente.
Viviamo quindi solo nel passato di ogni singolo pensiero o azione data o posta, sul nostro relativo (illusorio) presente percepito come tale.
Quindi come si può dare un senso a qualcosa che non si può concretamente vivere in essere?
Si può comprendere (tramite esperienza presente/passata). Questo è il vero e unico senso possibile della vita per come ci è posta in essere.
Noi possiamo comprendere ogni giorno, vivendo questo presente/passato, al meglio delle nostre facoltà e possibilità, cercando di comprendere solo noi stessi, quindi tramite questa comprensione, comprendere in essere o al nostro meglio, anche l'altro e il mondo fuori di noi, la nostra realtà o universo, come noi, anch'esso, di natura finita.
Tutto, ogni possibile concetto che non sia iscritto in una realtà finita (anima, Dio, Spirito, il concetto stesso di infinito) non possiamo né potremo mai per questo comprenderlo in essere, quindi per logica non ci appartiene in essere, esula completamente dalla realtà (quindi può essere tale solo fuori di essa, e credo che sia esattamente così). Noi però, dentro questa realtà possiamo solo attribuire a questo, un nostro senso (il nostro relativo sentimento, o emozione relativa), senza poterne dare o conoscere però, l'in essere stesso, dato o posto tale, fuori dalla realtà in cui tutto in questo universo/realtà è iscritto e si muove nel suo tempo/spazio finito (noi compresi), quindi solo un nostro senso puramente attributivo correlato solo al nostro diverso per ognuno, sentire.
Facciamo questo solo per crearci la via di fuga o migliore accettazione data e posta singolarmente e personalmente sulla morte, ognuno in/tramite proprio relativo sentire più vicino a sé.
Il sé probabilmente è una dissociazione dell'io creata da questo stesso, per darci modo di sentire reale in noi una qualche "Altra" forma possibile di appartenenza in essere fuori dal corpo (anima o spirito) oppure in alternativa a questo (per chi non crede) speranza nel futuro possibile del miglioramento e prolungamento in vita del corpo, quindi della propria coscienza in esso o fuori da esso.
Sono arrivato a queste conclusioni dibattendo in questi mesi con Giancarlo, ho battezzato questa teoria "inganno dell'io".
Ho trovato poi in seguito a questo mio pensiero, numerose e concrete affermazioni (riportate oggettivamente meglio e con un linguaggio appropriato e comprensibile) su questo stesso ragionamento date e lette poi con stupore in un libro di Antonio Damasio un rilevante studioso delle neuroscienze, nonché di psicologia e filosofia.
Dove con mio stesso stupore dicevo, lui elaborava scientificamente gli stessi concetti o del tutto simili o sovrapponibili alle mie o di Giancarlo, a suo diverso modo, intuizioni logiche avute.
Il libro si intitola "sentire e conoscere".
Vi invito a leggerlo perché è molto interessante e di immediata comprensione.
Tramite questi vari ragionamenti logici (sull'io e la consapevolezza di essere in vita, questa sì sempre e realmente presente in noi in ogni istante) sono arrivato per quel che mi riguarda a darmi questa unica possibile risposta al senso stesso della vita. In realtà sono due una di specie nel protrarla nel tempo e una singola e personale appartenente ad ognuno di noi che d'altronde è quello che facciamo ogni giorno per poter vivere anche sub consciamente, cercare di capire e quindi comprendere chi siamo sul/nel nostro spazio e quindi tempo, dato da vivere.
Sono molto curiosa di leggere il testo che mi hai consigliato.
È quindi una caratteristica di ciò che è, dell'Essere (non del tuo in essere) o dell'Esserci (Dasein) in questo mondo quella di divenire. Il divenire è immanente all'Essere, è una sua caratteristica precisa. Anche il tempo diviene, lo percepiamo come diveniente, e perciò esso è. Essere e Tempo come figli di un'unica madre e legati tra loro da un rapporto simbiotico per sempre, perché cessando uno cesserà pure l'altro. L'Essere è lo specchio in cui il Tempo si riflette.
E tu obietterai: e il Nulla? Ti sei dimenticato il Nulla. L'ho dimenticato perché non esiste. Il Nulla, il Vuoto, il Niente, non sono e quindi non divengono. La caratteristica del Nulla è che esso Permane, non Diviene. Il Nulla è l'opposto dell'Essere. L'essere e il Nulla si contrappongono. Ma è una contrapposizione fittizia, perché come tale il Nulla non appartiene a questo mondo, non è fisica, cioè Natura, esso è meta-fisica: ossia oltre la Natura, dopo la Natura, nel senso di Estraneo alla Natura, estraneo in quanto immaginato e creato dalla razionalità umana e non provato perché non esistente in questo universo. Il Nulla non è.
Il Nulla metafisico è opposto e coicidente al Tutto metafisico, ossia DIO. Come il Nulla Dio non diviene, ma permane. Come il Nulla Dio è ovunque in ogni tempo e si intreccia a ciò che Esiste come la trama con l'ordito. Come il Nulla Dio è il non visto e il non provato perché creato dalla razionalità, dalla fantasia, umana.
Dio e il Nulla sono uniti nella medesima origine metafisica e sono entrambi il significante dell'identico Significato.
Ecco perché non credo a Dio, a qualunque dio.
Tu non credi perché non hai fede, rinfacciano i credenti a coloro che reputano vero solo l'Esserci. La fede è un sentimento cieco ispirato dalla divinità, dicono i credenti, o la possiedi o non la possiedi. La fede come dono della divinità. Un dono non ambivalente, ma in cui si celebra l'equivalenza del valore. Il valore assoluto e incondizionato della divinità.
Ma chi non crede nell'equivalenza ma solo nell'Esistenza risponderà loro: non dai sentimenti nasce la fede. Essa, come il Dio e come il Nulla, intenti ad avvolgersi e a inseguirsi, divorarsi come un ourobouros in eterno, nasce dalla razionalità dell'uomo. La fede vive nel territorio della metafisica e quindi è la fiducia razionale riposta dall'uomo nella valenza delle costruzioni ideologiche dell'uomo stesso.
D'altra parte la scelta è sempre stata amplissima: sciamanesimo, mana, animismo, panteon divini, religioni rivelate e non, annunciate e costruite nel corso dei millenni. E persino le scienze esatte in ultimo con tutte le loro furbe scappatoie logiche e semantiche fatte di Big Bang e fine tuning o di disegno intelligente: anche esse non coltivano il dubbio, ma lo conducono nel medesimo luogo laddove da millenni trova la sua risposta: nell'origine, nel punto di partenza da qualcuno o qualcosa messo in movimento per generare ciò che è.
Ecco, per spiegare il movimento la metafisica ricorre al suo esatto opposto: ciò che permane immobile. Dio o il Nulla a produrre il Caos attraverso il Big Bang.
Perché ciò che odia la metafisica alla fine è proprio il Caos di ciò che esiste e diviene. E giù a metter ordine con leggi e regole, ipotesi e teorie, con libri sacri e mitologie, spiegazioni tutte insuperabili a ignorare l'essenziale.
Tutto ciò che esiste non può far a meno di farlo, l'Essere è immanente a se stesso e non a qualcos'altro.
Troppo facile: è vero, inventiamo un'altra teoria scientifica fatta di brane e di stringhe o di universi paralleli e coesistenti o infiniti e quindi non suscettibile di prova né ora né mai. O un'altra bella religione, con tanti santi ad aiutarci nell'ultimo giorno, quello del giudizio. Perché una cosa è sicura in ogni metafisica, dopo di noi verrà il Nulla in cui solo Dio esisterà.
Dio e il Nulla.
Questi poi in origine non necessitavano in realtà né di un cervello né di una mente, né di una coscienza che sappia poi comprenderli.
Sono cioè l'evoluzione presenti in noi, della primissima forma base di un tipo di intelligenza primordiale e naturale, una primordiale forma di intelligenza presente all'alba della vita, senza bisogno di un cervello, mente o coscienza per essere attuata; parlo di vita a livello cellulare o pluricellulare, di batteri e così via.
Essi per proliferare devono tendere comunque alla propria sopravvivenza, quindi nel loro nucleo (i batteri addirittura ne sono privi) cellulare già è presente questa forma di ricompensa o punizione rilasciata tramite sostanze chimiche adatte a questo scopo (che evolutasi in noi diventerà poi sotto forma di dolore e piacere) attua alla sopravvivenza dello stato presente/passato di qualsiasi forma di vita presa in esame (questo continua a esserci ed essere fatto anche in ogni singola cellula in noi presente). Quindi nel nostro caso tutto ciò che noi comprendiamo ha origine dal sentimento cioè la lettura tramite immagini che siano poi impulsi sonori, olfattivi, tattili, gustativi, o visivi che creiamo per mezzo del cervello e il sistema cognitivo celebrale. Sistema poi a strettissimo contatto e in comunicazione diretta con quello corporale, dove mappando continuamente e costantemente il corpo (si mappa pure il cervello stesso che sta mappando) in relazione al contesto in cui si sta trovando a vivere in qualsiasi posta e data esperienza fisica o mentale che sia, ci permette quindi la comprensione e presa di coscienza di questa esperienza tramite e in relazione all'io/sé.
Da questo possiamo poi ricordare, immaginare, razionalizzare, ragionare, riflettere, usare una logica, prevedere al meglio, fantasticare ecc.
Quindi tutto sta in questa interazione continua, questa lettura, questo scambio incessante di informazioni per immagini tra corpo e mente, la mente però è anch'essa, parte del corpo quindi, inizia e deriva dal corpo, interagisce solo e per mezzo del corpo, tramite cioè tutti i sentimenti, partendo da quelli primordiali e risalendo tutta la scala evolutiva di essi che generano poi tutte le relative emozioni da noi comprese e vissute.
Penso che in ultima analisi la fede derivi da emozioni derivati da sentimenti di paura o accettazione della morte, e quindi un proprio egoismo (di sopravvivenza) per cercare soluzioni di continuità alla propria esistenza. Questa parte puramente emozionale si allaccia poi al concetto da te espresso di Dio/Nulla.
Se niente si può creare dal nulla è altrettanto vero che nulla si crea dal niente in questa realtà.
Quindi razionalmente senza però nessuna risposta possibile in nessuna teoria da noi ipotizzabile e quindi falsificabile, Dio o Nulla deve essere per forza di cose fuori dalla realtà stessa.
Da qui il bisogno di anima, spirito ecc. per avere il mezzo di uscire dal corpo, di credere che la nostra coscienza o essenza ultima, non appartenga al corpo ma esuli da questo tempo e spazio universale che ci ingabbia in esso così come lo fa il proprio corpo da noi vissuto in essere.
Questo è pura e semplice paura e speranza umana (comprensibilissima) nel dubbio almeno di una via di fuga, cosa c'è di divino in questo?
Questo è solo infatti la ricerca da parte del corpo (cellule/materia quindi) tramite i processi sopra descritti di tendere alla propria sopravvivenza o almeno accettare la morte in quanto tale (tramite l'io, quindi religioni e via dicendo o scienza nel mantenimento del corpo), cosa che sa rimanere comunque soggettivamente ( oggettivamente sappiamo di no chiaramente), totalmente a lui ignota (quindi ecco il dubbio su di essa e su una possibile eventualità post vita) perché la morte sopraggiunge solo nel presente, interrompendo quindi la comunicazione e informazioni date tra la mente nel presente/passato, quindi anche la possibile lettura o comprensione della stessa morte tra mente e corpo; solo se almeno la coscienza stessa che il corpo ha di sé stesso, l'io; cioè la nostra soggettività, non muoia con esso.
Ecco l'inganno dell'io che sto cercando di esprimere già da diversi mesi, portare a credersi ognuno secondo la propria emozione in questo riposta (speranza, fede, dubbio ecc) di essere una soggettività, un sé/io (anima/essenza spirituale) potenzialmente anche fuori dal corpo.
Tutto cioè è legato al corpo, anche l'informazione o sentimento primordiale sempre presente in ogni forma di vita, fin dalla prima cellula esistita, di essere in ogni momento dato in vita e quindi adoperarsi in ogni modo, evolvendo di volta in volta in mezzi e strutture (cognitive) sempre più adatti per continuare la sua sopravvivenza biologica, mezzi che in noi, meraviglia delle meraviglie, lo hanno poi portato ad avere coscienza di sé tramite il cervello, la mente, le emozioni, tutto pervenuto da questa intelligenza primordiale del corpo verso il suo mantenimento ottimale. Sentimenti primordiali ( diventati in noi da premio e punizione a piacere e dolore) che di volta in volta tramite il cervello mappano l'intero corpo per prendere e dare all'io e quindi alla nostra comprensione e lettura, conoscenza e coscienza su/di esso.
(Non sto citando, sto andando a memoria su quello già letto e cercato di comprendere e assimilare al meglio precedentemente da un suo libro letto qualche giorno fa)
Le forme più semplici di intelligenza sono anche le più evolutivamente parlando efficenti, basta pensare ai batteri che ci accompagnano e ci permettono o contribuiscono anche oggi come all'alba della vita, a noi come a molti altri organismi viventi più evoluti, di vivere e sopravvivere grazie alla loro incredibile, per quanto semplice capacità ed efficienza del loro corpo, quindi al loro straordinario sentimento primordiale, di ricompensa/punizione evolutiva che ha permesso loro un mantenimento così alto di omeostasi, omeostasi stessa che poi ha permesso loro questa incredibile adattabilità alla vita e alle diverse forme di questa data.
Tempo fa ebbi modo di conoscere Stefano Mancuso, palermitano con cattedra a Firenze, neurobiologo vegetale. Proprio così neurobiologo. Mi rivelò in quell'incontro ciò che da tempo sospettavo circa l'intelligenza vegetale. Non so se ti sia mai capitato di prenderti cura delle piante, ma hanno una capacità straordinaria di reagire agli stimoli, sia degli animali che delle altre piante. Non è errato dire che provino sentimenti e un certo grado di consapevolezza di sé e del mondo che le circonda. A ogni modo, Mancuso mi parlò di intelligenza diffusa perché le piante non hanno un cervello come le specie animali, ma la loro intelligenza è corporea. Che poi credo che anche il tuo Damasio per superare l'impasse logico filosofico della dualità corpo cervello (anima corpo), provi con quel proto sé ad allargare le funzioni neurobiologiche quanto meno a tutto il sistema nervoso. Mancuso ha poi pubblicato diversi testi divulgativi, tra cui il semplice La Repubblica delle Piante, molto semplice alla lettura ma che ha la funzione quanto meno di aprire uno squarcio in un mondo che l'uomo ha sempre sfruttato senza farsi ma molti scrupoli. Alcune specie vegetali vivono sulla Terra da centinaia di milioni di anni e si sono evolute, hanno sfruttato le risorse naturali, hanno colonizzato i mari e poi i continenti ed esteso la loro impronta in tutto il pianeta dai deserti alle vette alpine fino al continente antartico. La mia idea è che ogni forma di vita sulla Terra sia a modo suo intelligente. E forse, come diceva Heidegger, l'unico nostro scopo come specie è quello di prendercene cura.
". La mia idea è che ogni forma di vita sulla Terra sia a modo suo intelligente. E forse, come diceva Heidegger, l'unico nostro scopo come specie è quello di prendercene cura."
Sulla prima parte come spiegato sono d'accordo.
Sulla seconda credo che sia più un rapporto ambivalente, lo stesso che c'è tra corpo e sentimento, sembrano molto distanti a prima vista, in realtà sono totalmente la stessa cosa, sono totalmente intrinseci e sovrapponibili, non esiste reale dualismo tra le due né scissione, solo un illusorio senso di essi come spiegato.
Noi siamo qui per prenderci cura delle piante e animali, ma allo stesso tempo noi non ci saremmo mai evoluti senza il fabbisogno energetico/ chimico apportato da questi in noi.
Loro ci sarebbero senza di noi, noi no, quindi si può affermare il contrario, il pianeta che noi uccidiamo giorno dopo giorno è quello che si è sempre preso cura di noi. Noi egoisticamente ci dobbiamo prendere cura di lui semplicemente per non estinguerci immediatamente dopo o subito prima delle sue diverse forme vitali ivi presenti.
Forse quindi ci siamo evoluti come è stato per un altro motivo ben preciso.
Le piante o gli animali incidono direttamente solo sulla realtà propria o comunque del pianeta dove essi vivono.
Noi tramite la nostra coscienza e conoscenza data del nostro corpo dal nostro corpo, quindi di noi stessi, abbiamo anche la coscienza su tutto ciò che ci circonda, dentro e fuori dal pianeta stesso, a livello quindi quanto meno cosmologico.
Quello che voglio dire è che noi anche senza reale libero arbitrio (non starò a ripetere i motivi ora, basta ragionare sul fatto che viviamo e ci muoviamo solo nel presente/passato), abbiamo però la possibilità di incidere direttamente nella nostra infinitesimale parte sulla realtà stessa dell'universo. Possiamo comprendendo noi stessi comprendere l'universo che ci ingloba e da cui evoluzione tutto deriva in termini vitali di materia. Quindi venire a conoscenza e coscienza della storia che ha poi portato a tutto il resto e quindi a noi. Inoltre possiamo, come d'altronde stiamo già facendo in nostra infinitesimale misura e parte, essendo già riusciti a superare gli orizzonti dal pianeta, a essere parte attiva e non solo passiva della stessa realtà che ci racchiude, cioè nell'essere e divenire universale di quest'ultima.
Questo a prescindere se tutto fosse poi voluto o meno da questo Nulla fuori dalla realtà ( non ha per noi la minima importanza), dato che questo è comunque un fatto venuto tramite evoluzione compiuto in essere e divenire all'interno della realtà data e posta.
Quello che voglio dire, come dicevo a Giancarlo nell'altro testo dove stiamo (per ora sto) dibattendo ora, le altre forme di vita terrestri sono solo sul campo, noi invece abbiamo anche la palla per giocarci al meglio la nostra singolare e di specie partita, sempre però entro le regole poste nel campo di possibile azione e quindi di gioco.
Bisogna cioè accettare che le risposte che mano a mano emergono da questi studi non portano al di fuori del corpo, ma dentro di esso. Tolgono la speranza di vincere la morte? Si. In compenso però attribuiscono e ricordano il valore e la singolarità di ogni vita vissuta, quindi la libertà e la verità celata dal velo di illusione che noi stessi ci siamo, prima o poi, nella nostra vita, indistintamente sempre posti.
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