Descrizione: Ha la presunzione di essere un saggio storico, con i suoi risvolti politici e sociologici, sul momento di passaggio del ceto senatorio gallo romano e romano italico dalle carriere civile a quelle ecclesiastiche della Chiesa di Roma.
Incipit: Nel 483 il senatore Basilio, sublimis et eminentissimus vir, nella qualità di Prefetto al Pretorio d'Italia (in quel periodo, di fatto, una sorta di Governatore d'Italia) e rappresentante del praecellentissimus rex gentium Odoacre, faceva eleggere al soglio pontificio Coelius, della gens Anicia, il quale prendeva il nome di Felice III. Felice appartiene a una antichissima e illustrissima famiglia dell'aristocrazia romana, da secoli esponente di primo piano dell'ordine senatorio, e poteva annover…
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Normalmente lascio le mie “sconsiderazioni” alla fine, ma qui farò un’eccezione: dove diavolo stavo con la testa quando, seduto al mio banchetto verdino, si sgolavano per spiegarci la nostra (e ribadisco “nostra”) storia?
Ma veniamo a questo scritto di Namio Intile, per il quale consiglio senza remore una lettura al rovescio, cioè partendo dalla conclusione. Ciò consentirà un’immediata visuale a lungo, anzi lunghissimo raggio, rendendo quasi visibile come la “mani” della storia impastino materia preparata secoli prima, e quanto in profondità possano affondare nell’informe massa. A questo va aggiunto una piccola nota autobiografica: essendo io romano, vivo e mi muovo tra vestigia onnipresenti e, in realtà, sconosciute ai più (digressione musicale: gli altri siamo noi). Immaginate l’effetto che ho provato nel leggere questa lenta metamorfosi, molto ben descritta (e anche potenzialmente allargata a “percorsi” collaterali) che ha portato alla transizione tra le istituzioni romane e quelle ecclesiastiche. Immaginate una città come Roma, seppur in un periodo tanto infausto come questo in cui sembra letteralmente sprofondata, dove sono presenti centinaia di chiese. Dove ancora si sentono risuonare i nomi d’importantissime famiglie, nobile retaggio di un illustre passato.
Così scopro, grazie a questo breve ma dettagliato, ben sviluppato excursus storico, come in realtà vi sia stata una transizione, del tutto impercettibile, da un ceto senatorio verso cariche episcopali. Come i due poteri si siano intrecciati e appoggiati a vicenda. In quale modo in Gallia si siano perfino precorsi i tempi in questo passaggio, e le lande germaniche abbiano fornito uomini importanti che hanno ricoperto ruoli fondamentali nelle gerarchie istituzionali romane. Ma soprattutto, spero di aver ben interpretato, tocchiamo con mano il vero e proprio humus di quella che diverrà la Chiesa Romana, il substrato culturale e sociale, fatto di uomini esperti e sapienti nel gestire. Come lo stesso autore afferma, quella certa peculiarità della storia d’Italia, fatta di paeselli, principati, granducati affonda le sue radici in una trama a dir poco inestricabile, ma della quale possiamo avere qui, quanto meno, un cenno sulla direzione di ricerca. Considero una piccola perlina preziosa l’indicazione della nascita del Saro Romano Impero quale inevitabile esito di un'auspicata unità d’intenti “occidentale”, come la definisce Namio Intile “una continuità ideologica” che potesse consolidarsi e contrapporsi alle lente ma inevitabili frizioni che porteranno qualche secolo dopo a uno scisma epocale. Vorrei riportare qui le parole, con un indegno copia incolla ma tant’è, pronunciate da Leone III all’atto dell’incoronazione del grande Carlo “A Carlo piissimo augusto, coronato da Dio, grande e pacifico imperatore dei Romani, vita e vittoria!». Imperatore dei Romani.
Grazie ancora a Namio Intile per questa ennesima ben riuscita prova, utile a tutti.
E l'hai pure commentato. Complimenti, e grazie per le tue considerazioni, le apprezzo molto.
Nell'analisi del passaggio, invero cruciale, nel corso del V secolo, del ricco e potente ceto senatorio dalle carriere civili a quelle ecclesiastiche, mi sono lasciato trasportare dalla mia visione marxista della storia.
Col distacco e l'oggettività consentita dal gran tempo trascorso non è però possibile non notare come le grandi famiglie dell'aristocrazia romana abbiano mantenuto ceto, posizioni e ricchezze abbracciando, e non ostacolando, il nuovo che avanza.
Un nuovo addomesticato, in fin dei conti, dalle capacità e dalle ricchezze accumulate in centinaia di anni.
La tesi del saggio è che le élite riescono, anche quando ciò pare improbabile, a perpetuare la loro supremazia, magari integrandosi e cooptando altre élite o ceti emergenti, a dimostrazione che il vero conflitto non è mai orizzontale, tra genti diverse o diverse religioni, ma verticali, cioè per ceto o censo. Tra ricchi e poveri.
Ciò non è sempre vero, come dimostrano le invasioni arabe in Europa (ma non in Africa o in Medio Oriente) che portarono a un reale rimescolamento delle carte in gioco.
A ogni modo, nella seconda parte (che non so se pubblicherò) di questo mio excursus ho provato ad analizzare il percorso di alcune famiglie del ceto senatorio nel loro passaggio attraverso il Medioevo sino ai giorni nostri.
Con qualche sorpresa. Cambiano i nomi, ma la ricchezza, e il potere, spesso rimangono immutati.
Sarà per questo che gli studi storici vengono considerati come superflui e da sostituire con competenze concrete. Perché quello che conta non è formare un cittadino consapevole e dotato di senso critico, ma di addestrare un funzionario diligente, obbediente e competente.
La competenza e la meritocrazia, si sa, al primo posto.
L'altro intento dell'articolo, nella seconda parte che non ho postato, era quello di dimostrare la contiguità delle famiglie senatorie romane con quelle nobiliari dell'Alto e Basso Medioevo per giungere in alcuni casi sino all'età moderna.
Insomma, il potere e la ricchezza proteggono loro stesse e si riproducono oltre ogni possibile immaginazione.
Grazie del passaggio.
Di solito non commento i saggi, sono principalmente una scrittrice di racconti (e poesie), ma questo l'ho trovato molto accattivante, sia per come è impostata la scrittura, chiara e fluida, sia per il focus del saggio. L'analisi è condotta in modo lineare, e pone il giusto accento su ciò di cui l'autore voleva parlare, veicolando bene il messaggio che voleva trasmettere: la trasformazione del ceto senatorio da imperiale a curiale, nel Basso Impero. Tra le righe del saggio è possibile notare anche l'intento dell'autore di dimostrare come l'aristocrazia
o meglio l'elite sia in grado, mediante il potere e la ricchezza di proteggersi e rigenerarsi, anche abbracciando il nuovo che avanza, e mutando con esso al fine di mantenere il proprio status, o almeno è l'impressione che ho avuto. Il saggio si è rivelato molto interessante. Davvero una buona lettura.
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