I ragazzi del ponte

Spazio dedicato alla Gara stagionale di primavera 2024.

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Athosg
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I ragazzi del ponte

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Franco Piltelli aveva appena finito di pranzare. Cominciò a rassettare velocemente la cucina e a chiudere il sacco della spazzatura. Poi, come accadeva tutti i santi giorni degli ultimi quattro mesi, andò in camera e si mise il pigiama. Ritornò in sala, accese il computer e si collegò a un sito porno. Tenne la solita media di venti minuti, osservando attento un paio di scene per sfracellarsi secondo il mood del momento.
Finito tutto, si abbandonò sul divano.
Prese il giornale in modo distaccato, sfogliando le pagine con malcelata noia. Sapeva che di lì a qualche istante avrebbe avuto gli occhi semisocchiusi e il respiro pesante; a questo punto avrebbe gettato il giornale sul tappeto, tirato il plaid fin sopra gli occhi e cominciato a dormire. Un lungo sonno senza sogni particolari, fino al risveglio causato dalle grida dei bambini del condominio che rientravano da scuola. Come un automa si sarebbe alzato controvoglia, avrebbe preparato un caffè e atteso la moglie al rientro dal lavoro. Tutto pianificato.
Da quando era andato in pensione, la sua vita aveva preso questi ritmi monotoni. Non si era ancora ripreso dalla fine del lavoro di assicuratore che lo aveva tenuto impegnato per quarantadue anni. Era stato un uomo tremendamente ligio al dovere, quasi mai un’assenza e con una correttezza più unica che rara. Negli ultimi anni la sua grande esperienza lo aveva portato a essere amico, confidente e anche confessore. I suoi clienti si fidavano ciecamente di lui, essendo ricambiati con una quantità di consigli che neanche un padre avrebbe potuto dare a un figlio.
Purtroppo, sin dal primo giorno da pensionato, non aveva rivisto più nessuno, la grande ruota della vita aveva continuato a girare e con lei i milioni di criceti che correvano all’impazzata. La sua porticina si era aperta e una volta escluso dalla giostra l’inedia aveva preso il sopravvento.
In città, nell’andirivieni del traffico, gli era capitato di scorgere qualche volto conosciuto, ma aveva sempre desistito dal rincorrerlo ritenendolo un gesto inutile. Che cosa avrebbe potuto dire? Ormai era acqua passata, diceva tra sé, e lui doveva guardare al futuro, anche se non aveva ancora capito in quale direzione.
Luciana, la moglie, come un coach psicologico lo assecondava in tutto, lo spronava a non abbattersi e a cercare qualche interesse. Lui le rispondeva a monosillabi, conscio della difficoltà dell’impresa, per chi come lui aveva sempre scambiato il lavoro come hobby, divertimento e passatempo. E ora si ritrovava nudo davanti allo specchio.
A volte diceva a Luciana che se almeno avesse avuto un nipotino, lo avrebbe potuto accudire, ma la coppia non aveva figli e anche su quel versante non c’era trippa per gatti. Lei gli diceva di aspettare ancora due anni e poi sarebbe andata in pensione. Allora sì che se la sarebbero spassata con viaggi e vacanze al mare.
Una sera Luciana al rientro in casa lo trovò ancora sul divano. Dormiva, coperto dal solito plaid. Neanche il vociare dei bambini lo aveva svegliato da quel coma psichico. Non gli disse nulla e andò in camera a vestirsi con abiti più comodi. Tornando in sala, vide il marito alzarsi stancamente, stirarsi con lentezza e ributtarsi sul divano. Il plaid era finito per terra, tutto arrotolato in un angolo vicino al muro.
“Franco, Franco bello, datti una mossa, non puoi passare le giornate a dormire” gli disse.
“Sì, sì. In primavera mi muoverò di più.”
“Muoviti caro sei ancora giovane. Vai al cinema oppure in palestra, ma muoviti!” insistette.
Promesso, ad aprile comincio a usare la bicicletta e a pedalare.
“Sì, amore mio, fino alla cima Coppi!” Franca lo abbracciò un po’ preoccupata da quel marito depresso.

Quando giunse il tepore di aprile Franco mantenne la promessa e prese l’abitudine di usare la bicicletta e fare un giro fuori città. Gli faceva bene pedalare tranquillamente per i lunghi viali, respirare profondamente, osservare le case e le persone che incrociava per poi svoltare in una via laterale presa a caso e ritrovarsi in qualche spazio aperto.
Un mattino arrivò vicino alla statale e vide una schiera di operai che si stavano cambiando la tuta. Si avvicinò alla zona, appoggiò la bicicletta e s’inoltrò nel terreno prospiciente. C’erano altri uomini anziani che osservavano la strada.
Chiese a uno di loro cosa stesse succedendo, e quali lavori erano in corso.
“Devono costruire un ponte che scavalcherà l’autostrada. È un nuovo raccordo che collegherà le tangenziali che vanno
alla Malpensa” gli rispose.
“Una grande opera, dovranno bloccare il traffico per dei giorni. Chissà che casino” replicò Franco, affascinato da questa prospettiva.
“Ehi amico, sei rimasto indietro. Adesso costruiscono il ponte a mezz’aria, senza bloccare un bel niente. Lo vedrai nei prossimi tempi, con le gru e altre diavolerie all’opera” gli disse un altro.
“Addirittura! Incredibile! E voi siete sempre qui a vedere?”
“Sì, io mi chiamo Andrea e tu?”
“Io Franco.”
Si diedero una stretta di mano. Sopraggiunsero anche gli altri e subito si presentarono.
“Piacere Antonio.”
“Io mi chiamo Alberto.”
Si ritrovarono in quattro, intabarrati e infreddoliti perché l’aria quel giorno soffiava fresca.
“Venite qua tutti i giorni?” chiese loro Franco.
“Tutti i santi giorni, dal lunedì al venerdì. Piove, nevica o tempesta, noi siamo qui” gli rispose allegro Andrea, un vecchietto che sfiorava gli ottanta.
“Allora ogni tanto verrò anch’io. Sono da qualche mese in pensione e la giornata è sempre lunga. Non so mai cosa fare.”
“Bravo vieni con noi, ci troverai sempre.”
Franco quella sera li salutò pensando già a quando li avrebbe rivisti. Gli sembravano brave persone, che avevano trovato il loro hobby nel guardare la costruzione di un ponte. Gli venne in mente un soprannome e sorrise a questo pensiero. Per lui sarebbero stati i ragazzi del ponte.

Il giorno dopo alle due ritornò. Andrea, Antonio e Alberto erano già lì. Franco lasciò la bicicletta per terra vicino alle altre, e si avvicinò al trio.
“Eccolo il Franco, hai dormito bene? Non c’eri questa mattina, noi invece eravamo qui.” precisò Alberto, mettendogli una mano sulla spalla.
“Ho dormito fino alle nove e poi sono uscito a prendere il giornale.”
“Franco, ti dico che noi siamo qui dalle nove del mattino a mezzogiorno e dalle due alle sei. È la nostra giornata. Contratto moderno da trentacinque ore la settimana.”
“Bene, ora che lo so cercherò di essere più presente. Vi posso chiamare i ragazzi del ponte?”
“Bravo, ci mancava pure questo nome!” Antonio pronunciò enfatico questa frase. Era il più tosto del gruppo, con la sua improbabile giacca a vento viola e verde.
I quattro cominciarono a scherzare e a parlare di calcio.

Intanto l’opera proseguiva. Gli operai avevano iniziato a lavorare sulla base ed era un gran movimento di betoniere e camion.
Era venerdì pomeriggio e il gruppo si salutò, concordando l’appuntamento per il lunedì successivo. Lo avvisarono che avevano l’abitudine di portare una bottiglia di vino a rotazione. Il giro sarebbe proseguito normalmente e a Franco sarebbe toccato il turno del giovedì.

Ritornò a casa leggermente euforico per la giornata, e un po’ triste perché nel week end non avrebbe potuto vedere i suoi nuovi amici. Scoprì che aveva tante cose da raccontare. Si fermò nell’enoteca vicino a casa per comprare le bottiglie di vino. Ne parlò con il commesso e scelse due bottiglie di Inferno, due di Sassella, due di Barbera d’Asti, due di Grignolino e due di Bardolino. Pensò anche che se qualcuno avesse avuto qualcosa da obiettare si sarebbe spostato su altre marche.

Luciana al rientro vide le dieci bottiglie e gli chiese se volesse per caso ubriacarsi. Franco sorrise, e le raccontò la storia dei ragazzi del ponte e di come pensasse di cominciare a frequentarli.
“Non ho molto da fare e con loro scambio quattro chiacchiere.”
“Molto bene, lo vorrei fare anch’io. Bravo il mio Francuzzo.” Luciana abbracciò il marito con il sorriso della madre felice per un buon voto del figlio.
L’ufficio, il lavoro, le polizze e tutte le dinamiche mentali che aveva affrontato per oltre quarant’anni erano là, eteree e inconsistenti, quasi inutili, figlie del suo passato ormai andato.
Franco pensò che si aprisse una nuova stagione della sua vita e benedì il giorno che incontrò Luciana. La sua tenacia, lungimiranza, empatia lo aveva salvato. Era felice, perché la sera avrebbe avuto qualcosa da raccontare alla moglie mentre cenavano.

Il giovedì successivo fu il suo turno di portare la bottiglia di vino. Pensò e ripensò a cosa scegliere, perché aveva voglia di fare bella figura. Alla fine scelse il Grignolino d’Asti.
La giornata era bella, il sole scaldava anche le ossa scricchiolanti e lui aveva lasciato la bottiglia fuori tutta la notte per tenerla ben in fresco.
Appena arrivato sul posto, li vide già tutti e tre presenti. Stavano discutendo del troncone di ponte che era arrivato. Sembravano tre ingegneri provetti, mancava loro solo il caschetto giallo. Quando lo videro arrivare gli fecero subito festa. Scolarono il Grignolino fresco e leggero, e la compagnia assunse toni da baldoria.

Passò una settimana. L’impresa incaricata viaggiava a ritmi solleciti. Il ponte aveva coperto le corsie di destra dell’autostrada sottostante e si ergeva con i suoi spuntoni di ferro a mezz’aria. Le gru agganciavano le pesantissime putrelle e le trasportavano al moncone finale. Poi lentamente calavano il loro pesante carico, e gli operai imbragati in grandi corde metalliche, ponevano il pezzo a incastro. I quattro amici del ponte osservavano le operazioni con occhio attento, ogni tanto qualcuno toccava il vicino e gli sussurrava un commento e quando il pezzo era perfettamente incastrato, le urla di giubilo arrivavano sino agli operai che ricambiavano con ampi gesti delle braccia. Anche per quei ragazzi la presenza dei quattro era diventata un’abitudine, e molto spesso venivano nel gruppo a informarli sulle prossime mosse.
La sera Franco tornava a casa e raccontava tutto a Luciana. Era come un fiume in piena, le narrava dei lavori e delle vite dei suoi tre amici. Lei lo ascoltava attenta per poi chiedergli altre informazioni. Forse aveva già intuito tutto il senso del discorso, ma le curiosità che chiedeva al marito la facevano sentire bene, vedendolo attento e pimpante nelle risposte.
La bella stagione era arrivata e gli amici del ponte la omaggiarono con due bottiglie di vino, una il mattino e una il pomeriggio. Anche qualche stuzzichino spuntava dallo zaino di Andrea, che aveva una moglie cuoca.
Franco pedalava di gran lena per raggiungere il cantiere. Ora guardava le ragazze fiorire nella loro primavera con uno sguardo benevolo e ammirato, non più con la senile concupiscenza figlia della reclusione invernale.
Nei pressi del cantiere sostava una ragazza di colore. Si chiamava Milly e faceva il lavoro più antico del mondo. Era istruita e pulita, non si sa come ma aveva una piccola casetta di legno posta nel bosco a circa duecento metri dal loro ritrovo e lì riceveva i clienti. Ogni tanto i ragazzi le davano qualche tartina.
La loro continua presenza era di richiamo per una geografia umana varia e curiosa. Oltre a Milly aveva conosciuto Yussuf che portava in consegna il latte e a fine turno si fermava a fumare una sigaretta. Paolo e Francesca, due ragazzi fatti l’uno per l’altra che facevano lunghe passeggiate. E Amir, Angelo, Pasquale, un gruppo di carpentieri e tanti altri.
Avevano creato intorno a loro un piccolo mondo di cortesia e abitudini.
Il ponte intanto viaggiava veloce e ai primi di giugno aveva raggiunto la sponda opposta.
Franco abbracciò Antonio. “Cavoli, ti ricordi un paio di mesi fa? Era un piccolo moncherino sospeso a due metri da terra, e adesso guarda che opera!”
“È un ponte della Madonna, caro Franco. Quei ragazzi sono proprio bravi, organizzati e veloci.”
Stapparono la bottiglia di Bardolino e mangiarono le frittelle alle mele che la moglie di Andrea aveva preparato per loro.

Ormai aveva anche cambiato le sue trentennali abitudini. Ora Il pigiama lo metteva solo prima di andare a letto e il giornale non lo comprava più. Gli bastava sentire qualche notizia alla tv per essere informato su cosa succedeva nel mondo di fuori.

Quella sera Franco prima di rientrare a casa ritornò nell’enoteca, dove acquistò altre dieci bottiglie di vino. Sicuramente ne sarebbe avanzata qualcuna, perché alla fine del ponte mancava solo un paio di settimane. A questo pensiero Franco cominciò a sentirsi un po’ nervoso, avvertì lo stesso senso d’insicurezza e straniamento che lo aveva accompagnato negli ultimi giorni di lavoro. Scosse il capo e s’impose di non pensarci. Ne avrebbe discusso con i ragazzi del ponte.

Due settimane dopo l’opera era terminata. Il suo lungo viaggio sospeso a mezz’aria era arrivato alla sponda opposta, un arco teso che si librava nel verde della campagna. Ora doveva essere asfaltato, avrebbero aggiunto tutti i parapetti, fatto tutti i controlli necessari per certificare la sua tenuta e, nel giro di un paio di mesi, le automobili avrebbero cominciato a circolare. Ma il bello, la parte pionieristica dell’opera, si poteva dire conclusa.

Gli amici del ponte si ritrovarono quel pomeriggio con una bottiglia di Ferrari fresca di frigo. Alberto aveva portato i calici giusti e si preparavano a stappare e festeggiare. Al momento erano lì con le mani in tasca, che gironzolavano in cerchio un po’ nervosi sul da farsi. Erano tutti giovani anzianotti e di acqua sotto i ponti, come un karma benedetto, ne avevano vista passare. La percezione comune era che quel periodo si stesse chiudendo.
Stapparono la bottiglia e riempirono i bicchieri. Alberto disse.
“Al ponte” e tutti in coro gli risposero “Al ponte.”
“Peccato, ora tutto è finito” disse Antonio.
“Già, e ora? Non ho voglia di rintanarmi in qualche bar a giocare a scopa” osservò Andrea.
Franco era silenzioso, poi svuotando il bicchiere disse tra sé e sé “Ed io non ho voglia di infilarmi il pigiama alle due del pomeriggio.”
La malinconia si stava facendo largo nei loro animi e il vino non dava loro la gioia delle giornate precedenti. Un leggero luccichio brillava nei loro occhi.
Da lontano uno degli operai li salutò. Gli amici del ponte lo chiamarono, chiedendogli se volesse bere un po’ di spumante. Lui corse subito. Era di Catanzaro e la settimana successiva sarebbe tornato in Calabria. Si sarebbe sposato e poi di nuovo il ritorno al nord.
“Non vedo l’ora, così porto con me la mia Rosetta.”
“Fai bene, sei giovane. E il lavoro? Continui con questa ditta?” gli chiese Andrea.
“Sì, di lavoro ce n’è anche troppo. Da settembre dobbiamo costruire tre ponti nella zona di Pavia.”
I ragazzi del ponte sgranarono gli occhi. Pavia era distante solo una ventina di chilometri, e in autostrada ci volevano circa quindici minuti di macchina per raggiungerla.
Il ragazzo una volta vuotato il bicchiere si dovette congedare. I ragazzi raggranellarono venti euro a testa e glieli diedero come regalo di nozze. Volevano altresì ringraziarlo per la straordinaria informazione che avevano avuto.
Era quasi sera e i quattro uomini si ritrovarono in cerchio, con le mani in tasca e lo sguardo fisso ben piantato a terra.
Ognuno di loro era perso in mille pensieri e un velo di tristezza scendeva a chiudere quella giornata dalla temperatura quasi estiva.
“Ragazzi, ” sbottò Franco, “da settembre niente più bicicletta ma automobile. Pensate, tre ponti da veder costruire. Io ho la mia macchina, possiamo fare a turno e chi non ce l’ha, non fa niente.”
“È vero grande Franco! Non possiamo farci scappare quest’occasione. E questo straordinario spettacolo d’ingegneria” continuò Andrea.
“Noi saremo sempre i ragazzi del ponte” urlò Antonio.
“I prossimi giorni ci ritroviamo in trattoria o organizziamo la spedizione. Settembre è vicino!” concluse Alberto.

La grande paura era passata e il sogno continuava. Quando si diventa vecchi si ritorna bambini, dice un celebre detto. Aumenta con gli anni la voglia di stare insieme e di rinverdire l’età magica dell’adolescenza. Il gruppo era unito e la voglia di vedersi, di vivere il quotidiano con l’innocenza dei giorni migliori, li univa indissolubilmente.
Come dei ragazzini che hanno risolto il loro primo grande problema, i quattro amici si strinsero in cerchio a suggellare il loro patto d’acciaio. Il patto dei ragazzi del ponte.

Si fecero l’ultimo saluto, come se nessuno volesse andarsene veramente via.
Franco si ritrovò solo vicino alla bicicletta.
Si voltò e guardò tutta la zona intorno. Il ponte, lo spiazzo, l’erba che aveva calpestato per tanto giorni, gli alberi rigogliosi. Aveva gli occhi lucidi perché anche quello era un capitolo della sua vita che si chiudeva. Tutta quell’avventura era stata una sorpresa che mai si sarebbe aspettato di vivere, mentre il futuro andava organizzato con tutte le incertezze del caso, che a quell’età erano sempre in agguato.
Prese la bicicletta e cominciò a pedalare lentamente. Poco lontano vide Milly passeggiare. Si avvicinò.
“Milly, ti auguro buona fortuna, abbiamo finito il nostro compito di sentinelle.”
“Oh che peccato, mi facevate compagnia.”
“Niente più tartine!”
“Povera me e chi mi porterà qualcosa da mangiare? Come farò?”
Rise con la sua bellissima espressione. Franco la guardò estasiato, quel giorno Milly sembrava ancora più bella e lui si sentiva come un ragazzino emozionato e trepidante per un futuro ignoto.
Pensò a Luciana, alla sua pazienza da vecchia quercia e al suo grande amore. Dopotutto ai ragazzi si perdona sempre qualsiasi marachella, pensò.
Guardò Milly con occhi diversi, scese dalla bicicletta e la sistemò contro un albero. Non la chiuse nemmeno a chiave, sicuro che nessuno potesse rubarla o fare un dispetto.
Poi prese la mano di Milly, la baciò e s’inoltrarono nel bosco.
Jacopo Serafinelli
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Messaggio da leggere da Jacopo Serafinelli »

@Athosg
Sconsolante destino dei pensionati che non hanno interessi da coltivare dopo l'età lavorativa. Il finale risolleva un po' dal tedio depressivo… grazie alla Milly… una botta di vita!
Che dite… tornerà a trovarla? :-)
Jacopo
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