Amore mitocondriale - (autore: Marcello Rizza)

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Amore mitocondriale - (autore: Marcello Rizza)

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leggi documento Spiacente ma, in questo browser, la lettura a voce non funziona.

Autrice, aiutami a spiegare con le tue parole. Se Qualcuno si fosse rivelato in carne e ossa non sarei stato solo, avrei messo ordine nel guazzabuglio di emozioni con la voce chiara che ancora non avevo. Sarei stato capace di capire e dire che piangevo, che mi accadeva spesso. Avrei anche provato a raccontare perché piangessi. Non pensai proprio nei termini che seguono, sto raccontando col senno di poi, così come, chiamata a soccorrermi, mi fa parlare una scrittrice moderna, così come forse parlerebbe lei. E lei pensa che se avessi avuto il dono della parola avrei ordinato il pensiero esattamente in questo modo. Che poi, non è neanche del tutto vero che non conoscessi parole, voglio proprio dirlo all’aiutante, perché una, una sola, la conoscevo. Era un richiamo che sentivo da qualcuno che grugniva come me. Un grugnito lieve e insistente, due, tre, e poi quel verso ricorrente e sottile come il fogliame mosso dalla brezza calda quando il sole è alto: “Adàm, Adààm”. Non era il solito brontolio animale. Mi voltavo veloce per scorgere il mio simile che usava quella parola, che arrivava sempre quando ero isolato dal branco, ma non riuscivo mai a scorgerlo. Mi accorsi di essere solo quando, per più albe e tramonti, cercai invano negli occhi dei miei simili colui che di nascosto borbottava la parola, chi avrebbe avuto la stessa luce che vedevo specchiandomi alla fonte. Non rinunciai subito, per molto tempo continuai nell’esercizio difficilissimo di muovere le labbra alla parola “Adàm”, la sperimentavo con ogni membro del branco che incontravo, nessuno mi notava e non avrebbero potuto, avevano occhi spenti. Capii che ero solo, quel grugnito veniva da dentro la mia testa, che “Adàm” era il segno di riconoscimento tanto dell’oscuro passeggero della mente quanto il mio nome. Capii…come potevo, eppure capii. Ecco…lì imparai che si poteva piangere per un dolore diverso. Anche col tuo aiuto, autrice, fatico a spiegarmi. Continua tu, per favore, sono stanco, mi corico in compagnia.
Oggi lo sappiamo, ne abbiamo una versione, chissà se corretta. Ci chiediamo se Darwin avesse ragione, ma dopo di lui la scienza è proseguita. Ma la poesia? Il ”tipo” mi ha chiamata in causa, mi ha chiesto soccorso, e io amo i romanzi rosa.
Aveva quel nuovo senso che non apparteneva agli altri del branco, ascoltava un richiamo che veniva da dentro, una voce senza suono, priva di corde vocali, che muoveva al pianto. Senza ancora avere un linguaggio in qualche modo quella voce gli diceva che, sì, era solo, già intelligente ma ancora oltremisura “scimmia”, inutile, incompiuto come la notte senza il mattino, e così piangeva. Era confuso, quella voce lo impegnava a andare oltre al riconoscere e ripetere scoperte casuali, faceva emergere aspetti unici, per quanto primordiali, della sua natura: osservazione, senso estetico, stati entusiasti, ma anche ansia, inquietudine, solitudine, malinconia. La voce diventava assordante quando calava la sera, soprattutto con la pioggia che riduceva al silenzio gli uccelli e infreddoliva le ossa. Cosa voleva quella voce da lui, perché non lo lasciava in pace? Non era quel tipo di compagnia a cui tendeva. Non sapeva dare un nome o un perché alla malinconia, non ne conosceva il concetto, ma la sperimentava e ne avrebbe fatto volentieri a meno. Voleva un confronto con altri occhi vivaci, desiderava comunicare, raccontare il suo mondo. No, in natura non esiste la condivisione della inquietudine. Non c’erano idee da spartire, cosa avrebbero potuto comprendere il cane affamato o la pigra zebra dei suoi stati d’animo? Durante il giorno usava il nuovo senso osservando ciò che potesse essere utile alla sopravvivenza. Lì dove sputava i semi dei frutti nascevano altre piante e ne prendeva atto. Governava animali bui, ne combatteva altri provvisti solo d’istinto. Ma all’alba, quando al pozzo incontrava a dissetarsi i suoi simili, nessuno s’incuriosiva di lui. Li osservava, li indagava, li interrogava con sguardi che finivano su occhi spenti: ”Adàm!”. Occhi spenti. Si inventò Qualcuno. Fuori dalla sua caverna si stagliava una rupe, più alta della sua statura, che nel tardo pomeriggio assumeva un colore caldo d’autunno. Aveva osservato le morbide striature della roccia a forma di onde increspate dal vento, di quel bel colore brunastro come la sua pelle in estate, alternate a altre dal colore di quei fiori dalle tinte sfumate che crescono vicino al fiume. Così come riusciva a vedere delle forme guardando il cielo stellato, anche riusciva a vedere in quelle venature della pietra i lineamenti di un volto onesto, e tanto gli bastava. A quella pietra muta si rivolgeva. Se abbatteva un animale lo divideva e metteva la porzione di carne tenera ai piedi del simulacro. Se raccoglieva un frutto succoso e profumato andava bene anche quello. Quando questa avesse voluto, la pietra avrebbe potuto prender vita e sacralità, cibarsi dei suoi doni, contribuire a comunicare intelligenza e quiete. Nell’attesa spesso si addormentava e, risvegliandosi al mattino, vedendo i resti consumati delle cibarie offerte, si chiedeva se Qualcuno si fosse manifestato, se avesse gradito l’offerta. A volte vedeva fuggire qualche ignaro e incolpevole animale che aveva predato il cibo destinato al suo Amico immaginario. C’erano anche momenti dove lui era felice. Accadeva quando mangiava certi tuberi o funghi che riteneva sacri. In quel mentre provava una sensazione di leggerezza, capace di volare più in alto degli uccelli, si sentiva compenetrato col cielo stellato, non sentiva fame di cibo e compagnia, si bastava e piaceva. Non c’erano più incognite nella sua vita, c’era una risposta a tutto. Bello, certo! Ma durava poco e quei funghi non erano così facili da trovare. Crescevano nel sottobosco, qualsiasi cosa significhi sottobosco in Africa, non ce n’erano molti e li trovava solo quando pioveva molto, dopo qualche giorno. Pioveva poco, troppo poco in quell’habitat. L’uomo mitocondriale non si accorse di essersi addormentato dopo avere mangiato un fungo. All’alba, di nuovo confuso nell’intelletto ma con la marchiatura di una trascorsa esperienza onirica, andò al pozzo per bere coi suoi simili. Una femmina del branco, dopo essersi dissetata, tenne lo sguardo su quel pezzo di legno che lui brandiva per governare gli animali. Colse un baleno negli occhi di lei. Per la prima volta espresse curiosità, di colpo non si sentì solo. Si innamorò. Lui grugnì una, due, tre volte e con la leggerezza del suono del fogliame mosso dalla brezza calda quando il sole è in alto disse “Adàm”. Lei rispose con l’eleganza del quieto sciabordio sulla rena bianca: “Ev”. Fu la seconda parola che lui scoprì e a cui in fine si abituò. In quel mentre, parliamo di migliaia di anni, sta dormendo con lei. Mi chiedo cosa mi è giunto da loro due, tra governare animali e amare, ma li ringrazio per avermi fedecommesso il desiderio.
- Uff! Ma la smetti di scrivere? A che ti serve? Nessuno comprerà i tuoi libri. Ho fame, sono le sette e mezza…”.
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Re: Amore mitocondriale - commento 1

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Il racconto testimonia una certa capacità del suo autore di dominare le tecniche narrative. Era ora, mi viene da dire.

La voce narrante, un io narrante, iniziale apre il testo narrativo con una invocazione all'autrice (ma perché il maiuscolo?), che mi ha ricordato il Cantami, o Diva omerico, affinché la aiuti a esplicare con le parole i propri sentimenti.

L'io narrante sviluppa la narrazione lasciando poi spazio al protagonista Adàm, il quale riflette su stesso e sulla propria vita dando luogo a una sorta di monologo interiore o flusso di coscienza.

Nella seconda parte del racconto, il quale in verità nel complesso è molto breve, il protagonista, considerata la propria insufficienza, passa la parola alla voce narrante, la quale si fa d'improvviso impersonale e abbandona il punto di vista del protagonista per assume quello terzo del finto autore (trice) reale del racconto (la quale è invece sempre una voce narrante).

Questa nuova voce narrante offre al lettore uno squarcio sulla nascita della coscienza nel genere umano (o in quello Homo se proprio vogliamo seguire quanto dice la scienza) e dell'incontro di Adàm con la sua Ev.

Il racconto narra insomma di questo primo incontro, a cui si aggancia anche il titolo "Amore mitocondriale".

Nel finale di nuovo la voce narrante finge di essere l'autrice del racconto per chiudere la narrazione con la scontata scoperta che tanto a noi, scrittori della domenica, non ci legge nessuno e con questo "augurio" ammiccando al lettore reale, cioé a me che leggo e recensisco. Ma proprio questo finale mi ha lasciato freddino, questo rivolgersi gratuito al lettore per ingraziarsene il favore. Se ne poteva far a meno, a mio avviso.

Buona, se non ottima, la struttura dunque, come l'uso dei tempi verbali, il lessico, il tono, non ho notato errori di sintassi o refusi, a differenza di altri racconti. Ogni tanto nella narrazione è venuto fuori anche l'autore implicito, come in questo caso: "qualsiasi cosa significhi sottobosco in Africa". E queste intromissioni, a mio avviso, dovrebbero essere sempre ben calibrate e dosate per non risultare pesanti e artificiali, se non peggio: inutilmente didascaliche. Non sempre l'autore reale è riuscito a rendere gradevole quello implicito, mettiamola così.

Quanto al contenuto, si riallaccia al concetto scientifico di Eva mitocondriale (concetto dalla scienza riferito però alla specie Homo Sapiens, e quindi all'uomo moderno, e non a quella Homo in generale, come dal racconto parrebbe evincersi) il quale ha delle naturali assonanze semantiche e narrative con la storia biblica di Adamo ed Eva sapientemente colte dall'autore per confezionare questa sua storia o versione della biblica Genesi.

L'assonanza tra storie bibliche e storie di una certa scienza forse non dimostra altro che una naturale prosecuzione del racconto scientifico da quello della tradizione religiosa, e forse ciò dimostra la fallacia sia dell'una narrazione che dell'altra, ma non è certo questo il luogo dove affrontare un tema del genere.

Il racconto è onesto, se proprio non originale, e scritto con capacità dal suo autore.

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Re: Amore mitocondriale - commento 2

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Ho apprezzato molto questo racconto, sia per come è stata gestita la scrittura, sia per come -chi lo ha scritto- è riuscito a passare una quasi fotografia di qualcosa che ci appartiene nella sua evoluzione, di specie animale, di anima, di scoperta e di collocazione di quei primordiali bagliori di umana percezione che hanno fatto la differenza con e nell'ambiente. Qualcosa di fantastico si mischia a Darwin e a me piace. All'inizio quel rivolgersi direttamente all'Autrice, può apparire disturbante, ma poi nel tempo della lettura si amalgama perfettamente a tutto il resto.

Inoltre, a mio avviso, c'è da premiare l'originalità del tema su cui verte il racconto. Aggiungo che a me personalmente evoca e ricorda qualcosa/qualcuno che ho già letto, basandomi sul suono che le parole messe insieme nel rigo producono.

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Re: Amore mitocondriale - commento 3

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A una prima lettura l’introduzione che invoca l’aiuto di un’autrice mi sembrava “di troppo”. Attenzione, non brutta o scritta male: superflua. Rileggendo meglio mi rendo conto che un senso ce l’ha: giustificare il linguaggio usato a paragone di chi linguaggio non aveva. E’ una scelta non pienamente in sintonia con i miei gusti, ma non per questo la giudichero’ negativamente. E poi si lega a quel gran bel finale…

In maniera che oserei definire pregevole l’autrice (suppongo) ci racconta il debutto dell’evoluzione di questa scimmia con un “nuovo senso”. Un senso che porta l’animale a osservare, ad avere coscienza dei propri sentimenti. Ma tra questi sentimenti ci sono anche ansia, inquietudine, solitudine, malinconia… il nuovo senso porta la scimmia a sentirsi sola, sola perché consapevole di essere diversa da tutto il resto. Una conseguenza è il desiderio di trovare un altro animale con il nuovo senso; un’altra conseguenza è che la scimmia si pone delle domande alle quali non sa rispondere.

Soluzioni a questo primordiale disagio esistenziale? Si, più di una. Ci sono dei funghi che fanno sparire ogni dubbio dalla testa della scimmia, che la fanno stare in pace e la fanno sentire bene. Il problema è che l’effetto dura poco (ma…ma,,,come. Neppure un accenno di condanna verso quei funghetti? Un mal di pancia, un mal di testa… facevano bene e basta? Attenta mia cara autrice che qui ci perdi un mezzo punticino!). Poi c’è l’altra soluzione: inventarsi Qualcuno, un amico immaginario. E qui, mia cara autrice, si incappa palesemente nel reato d’opinione: si rischia fino a due punti in meno.


Ma l’autrice (sempre supposta tale) accennava al romanzo rosa. E dunque? Tra tutti i sentimenti che il nuovo senso fa scoprire alla scimmia c’è anche il più unico. L’animale trova finalmente il suo simile, quella “lei” altrettanto capace di emettere un richiamo diverso da ogni grugnito. E fu con la scoperta di questo ulteriore sentimento che la scimmia divenne uomo.

La domanda che si pone alla fine l’autrice è una riflessione che ci porta più lontano, ma il racconto, giustamente, finisce là.

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Re: Amore mitocondriale - commento 4

Messaggio da leggere da Il Guru »

Mi viene abbastanza difficile giudicare un racconto simile, in quanto sono in atto in me due moti contrastanti su quale voto adottare. Partiamo da un presupposto: la narrazione langue abbastanza, si palesa solo nel finale con l’incontro con Eva, mentre per tutto il resto la fantasia dell’autore (scusate, lo chiamo sempre al maschile) va a spiegare una serie di rituali e pratiche che francamente mi paiono un po’ ridondanti. La stessa ridondanza la ritrovo anche nella scrittura, con una serie di paragoni, iperboli, accostamenti che trovo un po’ auto-referenziati e che tolgono decisamente il ritmo alla narrazione, anzi a tratti appesantiscono decisamente la lettura. La scrittura è ottima, quindi, ma poco funzionale al testo, che pertanto risulta più simile ad una poesia in prosa.

Mosso da queste due anime non mi posso sbilanciare più di tanto sul voto, che rimane neutro.

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Re: Amore mitocondriale - commento 5

Messaggio da leggere da Il Guru »

Quando ho visto un blocco di testo così poderoso mi sono preparato mentalmente: non mi garbano molto, temo di perdermi nella trama. Senza dialoghi poi!
Però, man mano che la lettura procedeva, non ho avuto difficoltà a seguire la trama - se di trama vogliamo parlare - soprattutto perché mi piace molto l’approccio dell’io narrante che parla al lettore, quale che sia il genere letterario.
Ho l’impressione di conoscere lo stile di chi scrive: tante parole ma spese bene, con cura per narrazioni di spessore, ritmo scorrevole e senza sbavature, refusi o errori che si facciano notare (giusto una d eufonica, se proprio dobbiamo).
L’idea di base è originale per un contest di racconti in cui lo spazio è limitato, soprattutto per come è stata strutturata. La presa di coscienza del nostro antenato più lontano che ha “iniziato” a pensare, o a dare il nome “pensiero” a sensazioni, improvvisi mutamenti nella percezione di sé stesso, il cominciare a vedere con altri occhi i suoi simili. Il passaggio evolutivo iniziale più importante: un insieme di evoluzione naturale e mano di Dio, se vogliamo semplificare.
Il tutto in un prima persona: quell’antenato che ora, milioni di anni dopo, ha le parole per raccontarsi. Il garbo e il modo particolare con cui viene posto il dilemma dell’evoluzione (mano di Dio o natura avulsa da interventi divini, complicata ma semplice lotta per la sopravvivenza) mi ha portato alla fine del racconto senza problemi.
Piacendomi l’interloquire con l’io narrante, anche la seconda parte - meno “di pelle” perché l’autrice non ha vissuto di persona quelle emozioni, quindi può solo immaginarle cercando di interpretarne il peso, ma non ha emozioni sue da provare a trasmettere, a mio parere equilibra il testo. Però al contempo lei pare amare i romanzi rosa e potrebbe essere un lungo incipit alla prima storia d’amore - come amore percepito - dell’umanità. Per il resto si rimanda alle api e ai fiori… Potrebbero anche essere i due primi capitoli di un romanzo, con i capitoli affidati ora all’uno e ora all’altro narrante.

Unica cosa: avrei diviso la prima e la seconda parte da uno spazio. Il cambio repentino di narrante non è immediato (basta pochissimo ma ci si interrompe per recuperare).

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Re: Amore mitocondriale - commento 6

Messaggio da leggere da Il Guru »

L’impaginazione è pesante. L’espediente di invocare l’autrice è divertente. Autrice o autore? Non mi pare di vedere una mano femminile dietro questo racconto, sinceramente, chissà se ho ragione o meno.

Il concetto di Eva mitocondriale fa presupporre che l’autore si sia impegnato a ricercare informazioni in merito a tutto ciò che argomenta, anche se sotto forma di racconto e non di saggio. Invece credo che il lavoro di ricerca svolto non sia così approfondito. Il dubbio mi è venuto, ad una prima lettura, all’espressione "qualsiasi cosa significhi sottobosco in Africa". Il sottobosco ha un unico significato, in qualsiasi parte del globo ci troviamo. L’autore sta forse dicendo che in Africa non c’è sottobosco? Ma se intende questo, sta immaginando l’Africa come è ai giorni nostri, non come era centinaia di migliaia di anni fa?

Da questa considerazione sono partito per una seconda lettura e i dubbi sono aumentati. Porto alcuni esempi.

“No, in natura non esiste la condivisione della inquietudine”. In realtà, l’inquietudine è una tra le emozioni maggiormente facili da comunicare, in natura, in quanto il sistema recettoriale volto alla sopravvivenza, lo registra con estrema facilità.

Lo sviluppo di capacità astrattive, come la necessità e il concetto di divinità, l’addomesticazione degli animali, l’utilizzo del pollice opponibile per maneggiare strumenti, sono antropologicamente avvenuti nella sequenza qui descritta? Sono avvenuti prima dell’effettivo utilizzo del linguaggio?

Secondo me, per un titolo con delle aspettative molto alte, si sarebbe potuto effettuare delle ricerche in merito più approfondite.

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Re: Amore mitocondriale - commento 7

Messaggio da leggere da Il Guru »

Ho fatto fatica a seguire la "confessione" a lettera aperta che passa dalla prima alla terza persona. Interessante l'evoluzione attraverso le figure di Adamo ed Eva e il rapporto con la Natura ma mi è parso a tratti pretestuoso e confuso, con un finale che alleggerisce tutto il resto. Forse gran parte della fatica nella lettura, comunque, potrebbe essere dovuta alla struttura del testo.

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Re: Amore mitocondriale - commento 8

Messaggio da leggere da Il Guru »

Di primo acchito il testo mi è sembrato molto interessante e ben
scritto poi, dopo averlo riletto più volte, non mi ha entusiasmato.
L'impatto estetico del racconto non mi ha disturbato, anzi ha attirata
la mia attenzione.
L'argomento e lo svolgersi della vicenda ne ha fatto intendere la conoscenza.
La struttura dimostra la capacità di saper condurre un racconto. La
scrittura scorre, la storia è originale e contiene interpretazioni
sugli atteggiamenti o spiegazioni di comportamenti.
Ho approfondito andando a ricercare la vicenda di Adamo ed Eva. Da
vari punti di vista. L'autore o autrice ne interpreta il senso.
Espediente interessante quello di rivolgersi a una scrittrice
(l'autrice) che raccolga le testimonianze.
Finale spiazzante.
Non va incontro alle mie letture ma ho imparato.

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Re: Amore mitocondriale - commento 9

Messaggio da leggere da Il Guru »

Trovo questo racconto allo stesso geniale e impegnativo; l’ho letto diverse volte e ammetto che forse non l’ho ancora compreso del tutto. Ma se un racconto stimola a essere riletto diverse volte, senza provocare un senso di snervamento ma piuttosto uno scricchiolio nel cervello, sintomo forse di un riavviarsi di connessioni cerebrali, significa probabilmente che è davvero ben riuscito. Non so, trovo difficile commentarlo, a livello formale non avrei nulla da dire, a livello di coinvolgimento direi che c’è tutto. Certo, non è di immediata lettura, ma lo trovo estremamente originale anche se tratta di un tema molto molto vecchio. Trovo particolarmente bella la descrizione della “nascita” di Qualcuno, e anche dello sviluppo di quelle che sono state poi le principali caratteristiche che ci hanno portati qui dove siamo. Trovo davvero complesso spiegare qualcosa che è innato, e qui mi sembra che il tentativo sia ben riuscito. Insomma, certamente è un racconto che ricorderò e quindi mi sento di dare il voto massimo.

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Re: Amore mitocondriale-10

Messaggio da leggere da Il Guru »

Confesso che mi sono documentato su internet, scoprendo il significato del concetto di Eva mitocondriale, presunta capostipite del genere umano. L’autrice comunque sembra non essere interessata all’aspetto storico-scientifico, e nemmeno a quello religioso, il suo intento è quello di rivisitare il mito di Adamo e Eva in chiave amorosa: questo racconto potrebbe essere l’incipit del primo romanzo rosa della storia… L’idea non è niente male, e nel testo si palesa una capacità di scrittura di buon livello. Al contrario ho trovato il finale un po’ banale, un escamotage per chiudere in velocità il racconto.

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Re: Amore mitocondriale-11

Messaggio da leggere da Il Guru »

Non voglio discostarmi eccessivamente dalle ottime recensioni di persone che certamente ne capiscono più di me , a me sotto un’analisi soggettiva il testo non ha fatto impazzire , si fa fatica a seguire il racconto e il tutto sembra essere molto confuso.
Credo il problema più significativo provenga dalla forma che non ha nemmeno uno spazio o uno stacco che permetta al lettore di prendere fiato.
Questi cambi di punti di vista rendono il testo ad un lettore che già ha poca soglia dell’attenzione a causa della lunghezza del testo ancora più confusionario.
Alla fine il racconto in se ha ottimi spunti, unione di religioso e scientifico e temi che vanno anche molto più in la.
Bello ma non di mio gusto, de gustibus non disputandum est direbbe un latino.
VOTO: 3
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Re: Amore mitocondriale - commento 12

Messaggio da leggere da Il Guru »

Un racconto che si divide in due parti con due diversi narratori. Il tentativo di fondere la continuità della storia non riesce molto bene e, all’inizio, risulta un pochino pesante. Procedendo nella lettura del testo si comprendono meglio sia il protagonista che la sua storia, e quella richiesta di aiuto per cercare di far sapere, di far conoscere la propria esistenza. Nella seconda parte del racconto sono belle le descrizioni dell’ambiente e dei contatti, visivi e non, con gli animali, le creature che popolano il mondo primitivo del protagonista e la ricerca/necessità di un Qualcuno a cui far riferimento.

Voto 3
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