Lampadine
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Lampadine
«Ecco a lei» esclamò con voce sottile la cameriera.
Posai il quotidiano. Non ero solito bere il caffè, ma quel giorno la stanchezza mi travolgeva. Avevo deciso di entrare prima a lavoro, di anticipare di un’ora il mio orario d’ufficio per tornare a casa prima. Il 30 Aprile non era infatti un giorno qualunque: quel giorno quella piccola peste di Aurora avrebbe compiuto 4 anni. La mia luce, la mia stella, colei che con poco riusciva a regalarmi sempre tanto. Posai la tazzina, andai alla cassa e pagai con la solita fretta che contraddistingue chi del tempo fa il suo denaro. Erano le 16:00 e ancora dovevo comprare il regalo per mia figlia.
«Papà, voglio la Barbie con le treccine rosa» mi disse prima di andare a letto, con l’enfasi che solo una bambina il giorno prima del suo compleanno può avere.
Mi indirizzai allora nel negozio di giocattoli più vicino; ce n’era giusto uno qualche chilometro prima di casa mia. Era il giovedì che precedeva l’atteso ponte del 1 Maggio, il traffico era intenso e rendeva Bologna ancora più affollata. Dopo svariati minuti di coda interminabili arrivai finalmente a destinazione. Scesi e con fare svelto andai verso il reparto delle bambole. La ricerca si prospettava però non semplice: le Barbie erano tantissime e orientarsi fra tutta quella varietà non era banale. Capelli lunghi o corti, colorati o bianchi: ce n’erano di tutti i tipi ma nessuna che assomigliasse a quella che mi era stata chiesta. Persi un paio di minuti fino a quando, in basso sullo scaffale la intravidi. “Finalmente!” Pensai fra me e me con aria sollevata, la presi e dopo aver pagato mi indirizzai nuovamente verso la macchina.
Arrivai a casa e suonai il campanello; da dentro immediatamente sentii abbaiare. Era Cooper, il mio fedele compagno a quattro zampe che da 6 anni era entrato a fare parte della mia vita. Aprirono la porta e, senza esitare, mi venne a fare le feste. Ormai non era più un cucciolo, ma non aveva mai perso la vivacità tipica dei suoi primi anni di vita. Lo salutai, e dopo le mille carezze che mai bastavano per calmarlo, aprii il portone ed entrai in casa. Salutai mia moglie e vidi subito scendere Aurora dalle scale correndo:
«Fai piano!» Le dissi preoccupato. Non era la prima volta che, per venirmi a salutare dopo lavoro, inciampava per le scale e si faceva male. Quella volta per fortuna non accadde e mi si buttò tra le braccia.
«Ciao papà sei tornato! Che cosa c’è nel sacchetto?» Chiese incuriosita, ma con quel tono di voce di chi già sa la risposta. Non risposi, le lasciai semplicemente la busta tra le mani con dentro il regalo. Ogni risposta sarebbe stata superflua, la sua attenzione era tutta per quel pacchetto con quel fiocco rosa, forse un po' troppo lente, che le avevo portato. Lo prese, e una volta salita sul divano cominciò a scartarlo. Vicino a lei c’era Cooper che, come Aurora, era impaziente di sapere cosa conteneva quel regalo. Tolto il fiocco, e strappati i primi pezzi di carta colorata, si intravide il logo delle Barbie: era già euforica. Finì di scartarlo velocemente, ma avrei voluto che quel momento non finisse mai. I suoi occhi pieni di gioia, manifestata anche dai movimenti allegri del suo corpo, mi riempivano di felicità; era la parte più bella del regalo, quella dove realizzavo che l’avevo fatta contenta almeno quanto lei faceva felice me. Aperto il regalo, e dopo aver ricordato di ringraziare anche la mamma per la sorpresa, notai lo sguardo deluso di Cooper. Eh già, se con quel regalo avevo accontento Aurora, sicuramente avevo scontentato lui che si aspettava un qualcosa con cui giocare.
«Dov’è la pallina Cooper?» Esclamai con tono giocoso.
Tutto di un tratto il suo disappunto era sparito. Inclinò la testa prima a destra e poi a sinistra e subito dopo si mise alla ricerca dell’oggetto. Faceva come un pazzo, cercava sopra, cercava sotto, ma non riusciva proprio a trovarla. Ero intento a seguire i movimenti repentini del cane quando notai qualcosa di decisamente strano. Il colore del divano sembrava essere diverso dal beige di prima. Mi soffermai a guardare meglio e adesso che l’avevo notato, realizzai che quel divano non l’avevo proprio mai visto. Alzai la testa per cercare con lo sguardo mia moglie ma ora era la casa ad essere cambiata. Il dolce calore che l’accompagnava, quel senso di sicurezza e felicità erano spariti. La casa era buia, illuminata solo da qualche lampadina che non riusciva però a trafiggere il denso buio che la circondava. L’ansia cominciava a salire. Avevo già vissuto quella situazione ma non ricordavo quando; in cuor mio sapevo solo che non era piacevole. Decisi di andare velocemente sotto una lampadina, ma più mi avvicinavo e più la sua luce perdeva d’intensità. A quel punto ero veramente nel panico. Si cominciavano a sentire strani rumori e la tachicardia diventava importante. Presi il telefono, provai a sbloccarlo, ma le mani tremavano troppo e sbagliai più di una volta il codice. Mentre stavo per riprovare un forte rumore fece crollare le pareti. Chiusi gli occhi e tempo pochi secondi li riaprii. Ero nella mia villetta sui colli bolognesi. Cooper dormiva di fianco a me e realizzai che si trattava solo di un sogno meschino. Un sogno che dipingeva la mia vita e che ricorreva periodicamente. Ogni volta però, aggiungeva una parte in più all’incubo, e ne toglieva una dalla favola che lo precedeva. Le lampadine nel sogno erano tutte le false convinzioni che avevo creato fino ad allora per andare avanti. La voglia di arrivare, la mia cieca ostinazione nel raggiungere i miei obiettivi mi avevano portato qua. Avevo la possibilità di cambiare, la possibilità di aggiungere una parte bella al sogno e di eliminarne una dall’incubo. Ma anche quel giorno non lo feci. Anche quella mattina mi convinsi di poter andare avanti in quel modo, con quel sentimento, ed accesi un’altra lampadina.
Ora però sono qua, di nuovo dentro questo incubo. Sì ormai solo di incubo si può parlare. Non c’è più nessuna caffetteria, non c’è più nessuna moglie e nessuna Aurora. Siamo arrivati al punto che ci sono solo lampadine, lampadine che per quante siano, non riescono ad emettere tutta la luce che invece riusciva a propagare il sorriso di mia figlia. Quella figlia che ormai non vedo da anni perché non mi parla più. Quella figlia che ho perso per colpa della mia cieca ostinazione.
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Re: Commento
Ti ringrazio Francesco per il commento! È uno dei primi racconti che scrivo e mi fa piacere che tu lo abbia apprezzato. Grazie anche per avermi avvisato dell'orrore (più che errore ahaha) che mi era sfuggito addirittura due volte!Francesco Pino ha scritto: ↑23/08/2020, 18:26 Ho trovato il racconto molto scorrevole e a tratti intrigante. Mi ha da subito incuriosito l'ambientazione nel 2031 e non riuscivo a capire a cosa servisse: ). Mi è piaciuta la descrizione della felicità della bambina col regalo fra le mani e mi ha sorpreso il repentino cambio della situazione… facendomi capire solo li di cosa si trattava realmente. Il finale è una triste realtà comune alla nostra società frettolosa ed esigente. Forse potevi specificare un po' di più quali lampadine influirono maggiormente sulla vita del protagonista, quella che sembra essere la più importante per lo meno.
Ti segnalo che hai scritto per due volte CECA invece di CIECA.
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però devo segnalare che vi sono parecchi refusi e che la punteggiatura andrebbe rivisitata, così da sistemare bene le frasi.
buone le descrizioni e discreta la sorpresa finale, anche se un po' annunnciata.
in ogni caso è un discreto lavoro
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Globalmente non mi è dispiaciuto ma penso andrebbe un po’ sistemato, mettendo più in risalto la parte centrale, quella della “trasformazione” della casa.
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Re: Commento
Grazie!Fausto Scatoli ha scritto: ↑23/08/2020, 19:03 la storia in sé è gradevole, accattivante.
però devo segnalare che vi sono parecchi refusi e che la punteggiatura andrebbe rivisitata, così da sistemare bene le frasi.
buone le descrizioni e discreta la sorpresa finale, anche se un po' annunnciata.
in ogni caso è un discreto lavoro
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Re: Commento
Buongiorno Selene. Apprezzo molto il tuo commento e ci tengo a darti il mio punto di vista sugli aspetti da te evidenziati. La scelta del business man è voluta proprio per contrastare il calore della famiglia, facendo immaginare comunque un personaggio molto preso dal lavoro. Anche l'aspetto di curare pochissimo la moglie è stata voluta. Desideravo dare l'idea di un uomo che ha "la colpa" di coltivare poco le proprie relazioni, trascurando quelle che crede già sue e dunque "al sicuro".Selene Barblan ha scritto: ↑23/08/2020, 20:57 Trovo riuscita l’immagine delle lampadine “buie” che anziché illuminare, rubano la luce… molto realisticamente rappresentano l’incubo, la paura che i sogni così bene possono suscitare. Per lo meno così mi sono immaginata io la scena. Mi ha coinvolto poco l’inizio, ma forse l’impronta da business man è voluta per contrastare con l’atmosfera più calda che si vive in casa. Trovo poco messa in risalto la moglie, mentre è ben reso l’affetto e il legame con la bimba. Segnalo il fiocco troppo “lente”.
Globalmente non mi è dispiaciuto ma penso andrebbe un po’ sistemato, mettendo più in risalto la parte centrale, quella della “trasformazione” della casa.
Ti ringrazio ancora per gli appunti che mi hai fatto: )
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Re: Commento
Grazie mille! Ad essere onesti sì, un pò di personale in questa storia c'è, non tanto come vita veramente vissuta, ma come timore per gli anni a venire!Roberto Virdo' ha scritto: ↑23/08/2020, 21:05 Trovo che questo testo abbia più di qualche spunto interessante. In particolare l'espediente delle lampadine è originale, non male davvero. Poi il passaggio dall'incubo alla realtà, che resta un passaggio sempre difficile da sviluppare, si snoda bene. Per essere uno tra i primi racconti dell'autore mi sembra promettente. Concordo con Francesco sul fatto che si poteva sviluppare maggiormente lo spunto di base e probabilmente qualche altro aspetto dedicandoci più tempo. Sono in bilico tra un 3 e un 4. Poiché però qualcosa mi fa credere che ci sia stata anche una significativa partecipazione personale nello scritto propendo per il 4.
Grazie ancora per il bel voto
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Re: Commento
Di niente sì, capisco le tue scelte.Luca Palla ha scritto: ↑24/08/2020, 9:18 Buongiorno Selene. Apprezzo molto il tuo commento e ci tengo a darti il mio punto di vista sugli aspetti da te evidenziati. La scelta del business man è voluta proprio per contrastare il calore della famiglia, facendo immaginare comunque un personaggio molto preso dal lavoro. Anche l'aspetto di curare pochissimo la moglie è stata voluta. Desideravo dare l'idea di un uomo che ha "la colpa" di coltivare poco le proprie relazioni, trascurando quelle che crede già sue e dunque "al sicuro".
Ti ringrazio ancora per gli appunti che mi hai fatto: )
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Re: Commento
Grazie Lucia per la recensione. Mi fa piacere ti sia piaciuto il racconto!Lucia De Falco ha scritto: ↑24/08/2020, 19:38 Il testo mi è piaciuto soprattutto per la prima parte : lo spazio dato all'affetto per la figlia, alle emozioni da lei suscitate, l'attenzione ai movimenti tipici dei bambini che trasudano emozione nell'apertura del regalo. Anche il finale è ben scritto, ma mi ha stupita perché il protagonista mi sembra un buon padre, perciò forse i commentatori precedenti avevano consigliato di approfondire la seconda parte. Forse , però, un approfondimento rischierebbe di aggiungere razionalità alla seconda parte, la cui bellezza deriva proprio dalla dimensione onirica, che di per se stessa, è irrazionale.
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Re: Lampadine
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