Ottagono
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Ottagono
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commento a Ottagono
Idem per gli avverbi in “mente”, ben 16, in 3 casi ce ne sono 2 in una sola riga.
Per me è una questione di forma, ma non ti preoccupare, pochi notano questa sovrabbondanza, l’importante per chi legge è uno stile scorrevole, e in effetti lo è.
“lì ad osservare” – meglio - lì a osservare
“trattato ad introdurre” – meglio - trattato a introdurre
ad una – meglio – a una
“chiaramente rimandavano…” preferisco - chiaramente rimandava…
“e la vetustà dei luoghi facevano pensare…” anche in questo caso preferisco - e la vetustà dei luoghi faceva pensare
Refuso - in una vasto
Personalmente eviterei di usare l’espressione “di cui”. In particolare ci sono due “di cui” molto vicini - … Guardai allontanarsi il furgone di cui … e poco più avanti - … di cui quello centrale…
… quello su cui insisteva la porta … - … insistevano delle arcate … -- insisteva…insistevano
Uso troppo frequente (8 volte) del verbo sembrare – meglio usare sinonimi o cambiare la frase.
Breve commento
Premesso di non aver letto il romanzo "Il contesto. Una parodia" di Leonardo Sciascia e di non essere uno studioso di Voltaire, a me il racconto è anche piaciuto, soprattutto nelle premesse, con la descrizione dell’apertura della cella e la descrizione del castello. Mi aspettavo ben altro e invece sono finito in un discorso sulla giustizia. Un appassionato di questi argomenti lo troverà anche interessante, ma non il sottoscritto nato e nutrito da tutt’altre esperienze.
Tuttavia non sarei corretto nel valutare il racconto secondo i miei gusti. Ti ho segnalato tutto ciò che mi sembrava perfettibile e rileggerò volentieri il testo fra un po’. Per il momento non esprimo un voto.
Commento
Mi è piaciuto il dialogo tra i due e la descrizione dello stato d'animo del protagonista, di volta in volta sorpreso, spaventato, incerto.
Quel dialogo ha un che di strano in senso psicologico che mi pare poter rappresentare una specie di dialogo interno al protagonista stesso.
- Marino Maiorino
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sempre interessanti e profondi i tuoi spunti, e ben trattati.
Osservo un'unica pecca, non solo al tuo racconto, ma a tutti racconti che seguono questo schema (la soluzione impossibile): la soluzione non esiste.
Fin dal principio lo scrittore sa che il protagonista è condannato, e per quante speranze possa infondere nel lettore durante la narrazione... in cuor suo sa già come finisce. Questo appesantisce tutta la storia con un'atmosfera ben riconoscibile.
Inoltre, c'è da osservare che sebbene realista, una storia nella quale il protagonista fa la fine del resto, che senso ha?
Infine, che sarebbe accaduto se il protagonista avesse continuato a dichiararsi innocente? Magari lì comincia la storia, certamente molto più lunga, ma è quella che vorrei leggere.
A presto!
Racconti alla Luce della Luna
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A ogni modo, il racconto è surreale, Il contesto non lo è per nulla, a tratti didascalico con quel riferimento a Voltaire, e al suo Trattato sulla Tolleranza (che poco ha a che fare col proceso in quanto tale), inclusa la sequenza dialogica con l'ncontro tra i due uomini in quel luogo non precisato in cui il prigioniero viene condotto. L'autore vuole dimostrare una tesi: l'errore giudiziario non esiste, ma non dice mai il perché non esista, se non citando la presunzione d' innocenza. Il prigioniero deve rinunciare alla presunzione di innocenza se vuole rimanere in quel posto, altrimenti dovrà tornare al penitenziario. Il tutto fa desumere un altro processo, che rimane nell'aria. Ma tutto questo alla fine mi pare che non dimostri molto, le parole del guardiano non mi sono sembrate incisive e conclusive a proposito, né quelle del protagonista detenuto. La presunzione di innocenza vale fino a sentenza passata in giudicato. Dopo non si è più imputati ma colpevoli o assolti. Quindi il detenuto non è più un presunto innocente, a meno che il processo non sia stato fatto, ma allora egli si trova detenuto a causa di una misura cautelare e quindi in attesa di giudizio. Per esser brevi, il processo è il luogo in cui si forma una verità che è solo quella processuale e non fattuale. La verità fattuale è solo il punto di partenza di un processo, mai il punto di arrivo. Ed è il luogo in cui la legge, astratta e non specifica, viene applicata a un caso concreto e specifico. I meccanismi riduttivi e applicativi delle leggi processuali sono passati attraverso secoli di riflessione anche illuminista.
Il trattato di Voltaire si riferiva comunque più al diritto sostanziale che a quello processuale.
Non so neanch'io perché mi sono imbarcato in questa astrusa memoria sul diritto processuale, forse dipende da quella presunzione di innocenza che hai citato.
Ma il tuo protagonista, messo di fronte alla probabilità di una più alta condanna preferisce tornare in carcere, sbaglio? Come tutti del resto. Quindi non è innocente, pertanto l'errore processuale non può esistere. Ma l'assenza dell'errore processuale in questo caso dipende tutto dalla paura del processo e dal fatto che egli possa evitare questa paura fuggendo e rifiutando il processo. Ma nell'esperienza comune la paura del processo non ti consente di evitarlo e quindi l'errore processuale non può dipendere dalla paura, ma da tutta un'altra serie di concause.
Ora, cosa vuoi dire al lettore col tuo Ottagono? A questo punto mi sono un po' perso.
Un'ultima annotazione, forse la sequenza descrittiva iniziale è troppo lunga e appesantisce la narrazione. Avrei evitato descrizione del genere: "L'arditezza delle raffinate scelte architettoniche chiaramente rimandavano alle antichità romane e la vetustà dei luoghi facevano pensare che molto probabilmente quella costruzione risaliva a quell'epoca." Mi paiono fini a se stesse e non aiutano la comprensione del testo.
Un racconto di cui apprezzo il tentativo e lo sforzo, per nulla il risultato, che mi pare opaco.
Permettimi, Nunzio, sarebbe anche opportuna una tua replica. Perché io non sono certo l'Oracolo di Delfi e posso aver scritto una marea di stronzate.
- Nunzio Campanelli
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Re: Ottagono
Permettimi, Nunzio, sarebbe anche opportuna una tua replica. Perché io non sono certo l'Oracolo di Delfi
e posso aver scritto una marea di stronzate."
Namio Intile
No caro Namio, non hai scritto una marea di stronzate. Ho pubblicato questo racconto con la consapevolezza dei suoi gravi difetti. Speravo che lettori esperti del tuo calibro riuscissero a trovarvi del buono ma sapevo già che non potevo chiedere tanto. Dunque, questo doveva essere il primo capitolo, con il quale volevo parlare dei libri in generale, e di un singolo libro in particolare, uno per ogni stanza ottagonale, per un totale di nove stanze, fino a formare appunto l'ottagono di cui al titolo. Il finale del racconto che ho pubblicato non è naturalmente quello che avevo ideato, dove il protagonista accetta con entusiasmo di trattenersi in quella struttura, suo malgrado. Perché ben presto si accorgerà che il compito affidatogli, quello di rintracciare il libro di cui parlavo, è superiore alle sue forze, e dovrà scendere a patti con il bibliotecario. Insomma, un carcere biblioteca, dove scontare le proprie colpe con la consapevolezza che forse non ne sarebbe più uscito. Vedi bene che mi ero imbarcato in un'impresa sicuramente superiore alle mie forze e mezzi, ma tant'è, quando lo scrissi, circa tredici anni fa, mi mancavano tante doti ma di una in particolare ero invece ben dotato. La pervicacia. Poi gli eventi si sono succeduti senza darmi il tempo di capire perché ero capitato in quell'ingranaggio distruttivo nel quale si era trasformata intanto la mia vita. La lunga malattia di mia moglie, la sua morte conseguente, poi la mia malattia che pian piano da ormai diciassette anni mi sta trasportando verso la fine, hanno reso impossibile anche la sola formulazione di un pensiero idoneo allo scopo. In altre parole non riesco più a scrivere, perché manco della capacità di concentrarmi. Il Parkinson produce anche questi effetti. Scrivo poesie, che un amico ha definito tristissime, che escono di getto quando vogliono. Grazie per il tempo che hai voluto dedicarmi.
Nunzio Campanelli
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Re: Ottagono
A rileggerti
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La Gara 45 - Due personaggi in cerca d'autore
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La Gara 49 - La contrapposizione
A cura di Maddalena Cafaro.
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antologia di opere ispirate dal concetto di Carosello e per ricordare il 40° anniversario della sua chiusura
Nel 1977 andava in onda l'ultima puntata del popolare spettacolo televisivo serale seguito da adulti e bambini. Carosello era una sorta di contenitore pubblicitario, dove cartoni animati e pupazzetti vari facevano da allegro contorno ai prodotti da reclamizzare. Dato che questo programma andava in onda di sera, Carosello rappresentò per molti bambini il segnale di "stop alle attività quotidiane". Infatti si diffuse presto la formula "E dopo il Carosello, tutti a nanna".
Per il 40° anniversario della sua chiusura, agli autori abbiamo chiesto opere di genere libero che tenessero conto della semplicità che ha caratterizzato Carosello nei vent'anni durante i quali è andato felicemente in onda. I dodici autori qui pubblicati hanno partecipato alle selezioni del concorso e sono stati selezionati per questo progetto letterario. Le loro opere sono degni omaggi ai nostri ricordi (un po' sbiaditi e in bianco e nero) di un modo di stare in famiglia ormai dimenticato.
A cura di Massimo Baglione.
Contiene opere di: Giorgio Leone, Enrico Teodorani, Cristina Giuntini, Maria Rosaria Spirito, Francesco Zanni Bertelli, Serena Barsottelli, Alberto Tivoli, Laura Traverso, Enrico Arlandini, Francesca Rosaria Riso, Giovanni Teresi, Angela Catalini.
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