
Levare l’ancora



Incipit: Una cornice nera, di plastica, contorna una figura serena, la mano sinistra al petto, distesa, rilassata. La mano destra porge un libro, luminoso, come il viso, che non mi guarda.
Pertanto la defunta ha tutta la mia solidarietà.

La cornice nera di plastica (come fosse un involucro che contiene un viso, ma di plastica e quindi finto o imposto), il viso luminoso che non guarda (è l'inattenzione a cui siamo addestrati sin da piccoli per poter resistere agli sguardi degli estranei), la divisa nera (la cornice che si fa divisa, e quindi ancor più omologante e conformizzante e ancora il nero, il colore che annulla tutti i colori, come se il colore fosse la vita).
Un linguaggio metaforico, simbolico, non so fino a che punto pensato, voluto, dovrei conoscere l'autore meglio di come lo conosco per poterlo dire.
E quel titolo, il salpare l'ancora, come metafora del viaggio, della vita come viaggio per mare; vita come povero guscio che affronta i marosi senza l'aiuto di nessuno, di percorso che comunque ha come meta la morte, il non essere. Anzi, l'esistenza stessa che alla fine non esiste perché inizia con la non vita e deve terminare con la morte, di nuovo con il nulla, il ritornare al nulla come unico viaggio possibile e immaginabile e desiderabile.
La protagonista è una pallida voce narrante che sopporta sulle sue povere e giovani spalle il peso di una costruzione umana durata migliaia di anni che ha generato una società quasi non del tutto comunità che rende l'individuo una singolarità alle cui sole forze si deve il raggiungimento dell'unico obiettivo consentito: il successo. Successo che ha come controparte il fallimento.
Il successo a scuola, il successo nel lavoro, nella famiglia, il successo che offre quel riconoscimento sociale che permette di vivere, di affrontare il mondo senza guardare il mondo, il mare, senza dover salpare l'ancora.
Di contro il mancato raggiungimento degli obiettivi minimi, e quindi la riprovazione e l'isolamento, il senso di inadeguatezza personale, individuale, la perdita di senso della vita e di stima di sé.
Una società che non è comunità non aiuta i suoi membri, ma li giudica soltanto e li isola e marchia col sigillo della riprovazione chi non ce la fa o chi semplicemente si pone delle domande, chi non si conforma al pensiero e al sentire dominante. Chi non la pensa come gli altri, chi non si comporta come gli altri, chi si pone domande e cerca risposte.
Nel conformismo generale si perde l'individualità e arriva quella morte forse solo metaforica che coglie la tua voce narrante/protagonista.
L'unica soluzione al nulla è tornare nel nulla, levare l'ancora.
È questa un po' l'essenza del nichilismo in cui precipitiamo ogni giorno, stretti tra due nulla, tra il conformismo e la fuga verso il buio.
Ma si possono percorrere anche strade alternative, che in questo scritto io non vedo.
Forse la voce narrante/protagonista dovrebbe davvero guardare al mare, quello vero e non metaforico, la sua unità nella multiformità, la necessità di ogni ritorno, e considerare ciò che esiste, il mondo, con occhi nuovi, o forse antichissimi.
Difficile recensire qualcosa di tuo, eh, Selene.
Riguardo il finale, sì, il mare e ciò che simboleggia ci può ispirare a trovare alternative, una via che non sia il farsi soggiogare né il rinunciare a combattere.
Grazie infinite!
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descrizione: Non pare intelligente ma ha pilotato una astronave che non pare intelligente.
incipit: – Ha accettato la serie dei controlli medici sempre senza protestare? – – Docile quanto un cucciolo. Pronuncia la solita frase unita a qualche aggiunta banale estemporanea, mangia, dorme e si sottopone alle visite placidamente. – – E cosa dicono i referti? – – Dicono quello che già sappiamo in due casi su tre. Uno: ha una fisiologia ragionevolmente compatibile con quella degli esseri terrestri. Due: è effettivamente ermafrodita. Ma, tre: non ha subito danni cerebrali riscontrabili. –
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descrizione: Avevo scritto questo breve raccontino per un'antologia, ma quel progetto poi è saltato e quindi lo pubblico qui.
incipit: La vita di Eriberto era piuttosto strana. Sin da ragazzino lui era il genio della compagnia, ma al contempo ne era anche il guastafeste, colui cioè bullo ma con la testa sulle spalle, quello che "no, dai, lasciamo stare, non ne vale la pena" ma che poco prima aveva rubato una bicicletta; sempre pronto a
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incipit: Ci sono strade, luoghi del mio paese, che non sono cambiati molto dalla mia infanzia. Eppure a volte, quando sono assorta, li rivedo nella mia mente come li vedevo allora. È questione di pochi attimi, poi, il tempo di uno scatto fotografico, torno a vederli come sono ora, e percepisco uno sfasamento netto: non sono gli stessi luoghi.
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descrizione: Due gemelli. Due vite rovinate. Un'altra che sta per esserlo.
incipit: Mattia e Giordana si presero per mano.
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descrizione: Roma, 1998. Gianmatteo è un bambino sensibile, intelligente al punto da ritrovarsi confuso nelle mille contraddizioni del suo piccolo mondo familiare e scolastico. Sarà un gruppo di coetanei speciali ad aiutarlo. (Nota: L'opera è divisa in tre parti)
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